Alfabeta - anno II - n. 19 - nov.-dic. 1980

Cfr. Quaderni storici, n. 44, fase. II Bologna, li Mulino, agosto 1980 pp. 433, lire 8.000 Interessante la prima sezione di questo fascicolo, dedicata a « Parto e maternità» e redattta da un gruppo-di ricerca coordinato da Luisa Accati (Paola Astrua, Lisa Baruffi, Elena Beltrami, Sandra Cavallo, Sabina Loriga, Vanessa Mayer, Gianna Pomata, Cristina Savio). L'argomento non è inedito, ma il fatto che venga affrontato da un punto di vista storiografico ha un certo peso. Solitamente, infatti, i problemi connessi al femminile vengono considerati in una prospettiva costitutivamente astorica: politica (o micropolitica, emancipatoria, comunque proiettata in un «a venire>; o psicanalitica (dunque arcaica, mitica, preistorica). Cosi che la questione del femminile risulta definita in un campo decisamente metafisico, e quindi assertorio, normativo, e «maschile». Viceversa, le 1ranches storiografiche messe in gioco in questo fascicolo (lranches per lo più ridotte e analitiche; p. es. il controllo sociale della riproduzione nel Piemonte sei-settecentesco; o la mortalità delle madri e delle bambine nel Punjab indiano) consentono un accesso al femminile meno carico di pregiudiziali totalizzanti o sistematiche. Si disegna cog una genealogia del femminile che-almeno in linea di principio e per scelta metodologica - si sottrae al dualismo uomo-donna che solitamente costituisce l'a priori del discorso sulla donna. Rivista di Estetica, n. 4 Torino, Rosenberg & Sellier, 1980 pp. 136, lire 7.000 Il quarto fascicolo della nuova serie della Rivista di Estetica ( che ha ripreso le pubblicazioni dopo alcuni .anni di silenzio) è dedicato al tema «Arte e metropoli». Il problema che si pone immediatamente - e che verosimilmente costituisce il movente del fascicolo - è: apocalittici o integrati? Cioè: rassegnati al deterioramento dell'esperienza (e con essa dell'arte, e della riflessione estetica) indotto dalla vita metropolitana, oppure ancora alla ricerca dell' «aura> perduta, che si suppone propria dell'oggetto estetico? Interrogativo, a prima vista, arcaico, per nulla «metropolitano>. Se ne dibatteva a Francoforte, molto tempo fa, e con esiti sia apocalittici che integrati (vedi Adorno da una parte, e Benjamin dall'altra). Ma nel frattempo, nei vent'anni circa che sono intercorsi tra gli ultimi «classici» francofortesi e le riflessioni attuali, parecchie cose sono cambiate, e la contrapposizione non è più così chiara (e, tanto per cominciare, i media metropolitani si sono sempre più inciviliti, mentre l'arte, per lo più consapevolmente, si è intensamente «mediatizzata» ). Cosi, in «Arte e metropoli» si riconoscono bene due vie, alquanto eterogenee, ma entrambe estranee alla condanna «apocalittica» della metropoli. C'è una mozione di minoranza, costituita dagli interventi di Rosario Assunto, Francesca Alinovi, Alfredo De Paz, Claudio Marra, per i quali il riscatto estetico della metropoli può avvenire, appunto, solo come riscatto e riflessione, sublimazione e perplessità faute de mieux. Ma c'è anche una mozione maggioritaria (almeno per quantità e omogeneità), che inclina per una accettazione incondizionata dell'esteticità metropolitana. Il capofila è Gianni Vattimo («Morte o tramonto dell'arte - una apologia dello stato terminale e deteriorato, declinante, dell'arte); e a questo «cartello» si rifanno i pezzi di Perniola, Bertetto, Ferraris, Salizzoni. In entrambi i campi, comunque, si va verso l'integrazione {l'apocalisse ha già avuto luogo, o ha luogo ora, now, appunto). o.e. Afferrare Proteo «Quaderni della Rivista trimestrale» n. 62/63, gennaio-giuno 1980 pp. 168, lire 5.000 Questo «quaderno» (che è stato redatto da A. Boitani, C. De Vincenti, A. Montebugnoli, P. C. Padoan, G. Rodano, B. Spadoni e A. Zevi), sta suscitando intorno a sé una quantità di interessi forse sproporzionata rispetto alla qualità del contenuto. Sta però di fatto che i commenti e i dibattiti al proposito si sono andati moltiplicando un po' dappertutto, e non solo in Italia: un lungo articolo di Le Monde, per esempio, vi vede uno dei sintomi della ripresa di vigore del pensiero di sinistra. Per afferrare Proteo, ovvero l'attuale capitalismo che viene presentato nella figura dell'imprendibilità, la rivista di Rodano propone di accettare come un dato il distacco che si è creato tra economia e società, e di inventare o predisporre dei «collettori»: in questa prospettiva vengono fatte alcune ipotesi pratiche. Da quella più generale dell'istituzione di un «consumatore collettivo» a quelle più specifiche di un «servizio nazionale del lavoro» (collettore rispetto ai problemi della disoccupazione) e di un «istituto per il finanziamento dei lavoratori» (come collettore per i problemi degli investimenti). La formula teorica di tale proposta appare certamente ibrida: esigenze avanzate in questi anni dalla nuova sinistra (come la teoria dei bisogni) vengono combinate con istanze di tipo liberale e - come è stato fatto notare in sede critica - con un privilegiamento dell'ottica distributiva su quella produttiva. Ma, àl di là del valore teorico intrinseco di questa particolare elaborazione della «crisi del marxismo», l'aspetto rilevante è il peso politico che potrà avere la proposta la quale nasce - va sottolineato - all'interno dello stesso partito comunista. Mary Shelley Mathilda p.a.r. Roma, Edizioni delle donne, 1980 pp. 170, lire 6.000 Esce per i tipi delle Edizioni delle donne Mathilda, «romantic tale» dell'autrice del più conosciuto Frankenstein, Mary Shelley, figlia di Mary Wollstonecraft e di William Goodwin, moglie di Percy B. Shelley. L'intreccio fra tanta biografia e l'opera della scrittrice è assicurato da un ricco saggio introduttivo e da una ricostruzione biografica, operata attraverso diari e lettere, entrambi di Nadia Fusini, che si può dire facciano corpo unico con il racconto centrale. Mathi/da è la storia di un incesto sfiorato ma non per questo meno tragico, che Nadia Fusini ricollega, come il precedente Frankens1ein, al «romanw familiare» di Mary Shelley, la cui vita fu tristemente segnata proprio nel duplice ruolo femminile di figliamadre. La Wollstoncraft infatti morì dandola alla luce, mentre dei figli di Mary Shelley se ne salvò soltanto uno. Particolarmente interessante diventa allora il confronto fra questo testo, scritto durante uno di tali lutti, e le pagine contemporanee del «giornale» che Mary tendeva «a quattro mani» con il marito. Fino alla morte di quest'ultimo, infatti, il diario è cronaca «paesistica» piuttosto che esistenziale della coppia, e forse proprio questa sua apparente freddezza consente a Mary Shelley di giungere, «altrove», alla scrittura. i.p. AA.VV. La mascherata La sessualità femminile nella nuova psicanalisi. Saggi e interviste. A cura di Nadia Bassanese e Gabriella Buzzatti Roma, Savelli, 1980 pp. 205, lire 5.000 «Sono impressioni di lettura, vogliono rispecchiare il modo in cui abbiamo letto i testi di Lacan». Con queste parole N. Bassanese e G. Buzzatti iniziano la loro premessa-introduzione a La mascherata. Dichiarazione di modestia, certo, ma che non va presa alla lettera. O, se proprio si vuole, allora sarà nel senso che quella lettura è nello stesso tempo un tracciato a quattro mani dei percorsi linee traiettorie punti deviazioni passaggi arresti che scandiscono e costellano la topologia del viaggio. Poiché, in effetti, è di un viaggio che si tratta; di un viaggio che le due curatrici rifanno a beneficio del lettore, all'interno di quel «continente nero» (Freud) che è la sessualità femminile in un'epoca in cui «non esiste rapporto sessuale» (Lacan) e il destino dell'uomo e della donna non è legato al loro essere biologico di uomo e di donna. Il libro si divide in due parti. La prima è costituita dagli articoli di Charles Melman («Che cosa vuole una donna?»), di Eugénie Lemoine-Luccioni («L'identificazione sessuale»), di Iréne Diamantis («Una penisola: diventare madre, un pericolo»), di Michéle Montrelay («Il corpo e il politico») e di Nathalie Zaltzman («La chimera del sesso»). Nella seconda parte sono invece raccolte le interviste a tre degli autori più sopra elencati e ad altri due: Mustapha Safuan·che parla «delle disavventure del desiderio» e Lucien lsrael dell'«amare al femminile». Queste interviste non servono a volgarizzare i discorsi della prima parte ma li interrogano, li «agiscono» costringendo gli autori a spiegarsi e spiegare, riprendere ripetere ridire, o dire diversamente e anche altro. Al termine della lettura qualcuno troverà forse quel continente un pochino più «nero», ma il libro è chiaro e agibile e presenta una panoramica abbastanza completa di quanto di meglio finora è stato detto intorno alla «sessualità femminile». V.Bonazza Storia del marxismo voi. Ill, parte I.«11marxismo nell'età della Terza Internazionale» Torino, Einaudi, 1980 pp. 894, lire 30.000 L'impresa coordinata da E. J. Hobsbawn giunge al suo terzo volume che ha come centro la rivoluzione bolscevica del '17 e il complesso degli effetti che essa produce sull'intero marxismo. Restando fermi i dubbi che già erano stati manifestati dalle discussioni che avevano accompagnato l'inizio del progetto- e cioè, in breve, la mancanza di un disegno organico convincente - il volume sul' 17, ancora più dei primi due, presenta una ricchezza di spunti monografici di sicura utilità. Il materiale è diviso in cinque blocchi: l'elaborazione marxista del '17, l'elaborazione non comunista (con riferimento particolare all'austromarxismo), la concezione leninista del partito, i problemi della Russia sovietica, le questioni filosofiche e culturali. Seguirà poi, a completamento del terzo volume, un libro autonomo dedicato ai problemi dello stalinismo. Data la debolezza della cornice che lega il tutto (si veda, per convincersene, la nota iniziale di Hobsbawn), è consigliabile che il lettore si orienti con scelte specifiche sui singoli lavori. Tra i quali, per il taglio teorico che li caratterizza, se ne possono cominciare a indicare alcuni che appaiono meno scontati: il saggio di A. Hegediis (ungherese, fino a qualche tempo fa legato alla scuola di Budapest) sulla costruzione del socialismo in Russia, il pur breve scritto di R. Finzi su Lenin, Taylor e Stachanov, e l'ultimo testo del volume dedicato alla riorganizzazione del capitalismo negli anni venti e scritto dal tedesco E. Altvater. p.a.r. Il piccolo Hans n. 27, Luglio/Settembre Bari, Dedalo Libri, 1980 pp. 218, lire 3.000 Com'è possibile indicare la sensazione di mal di denti e non il dente, o: che cosa si nomina quando si descrive la sensazione «mal di denti» a qualcuno? Che questa sensazione è il significato di questo nome? Che il dolore è il portatore del nome? E perché è difficile immaginare un Robinson Crusoe che menta a se stesso? Ecco alcuni «buchi» o interrogativi attorno a cui Ludwig Wittgenstein mena il can della logica in questo sorprendente saggio «seminale» (come lo chiama il traduttore e curatore Pietro D'Oriano) sul «no man's land» dell'esperienza privata e la sua rappresentazione, che si può leggere nel n. 27 de Il piccolo Hans, appena giunto in libreria. Questo testo raccoglie gli appunti e «note di letture» che Wittgenstein teneva negli anni 1934-36 a Cambridge sull'esperienza privata e i dati di senso e traccia praticamente tutti gli aspetti del cosiddetto Argomento del Linguaggio Privato discusso nel corso del decennio successivo ai paragrafi 243-363 delle Ricerche Filosofiche. • Sempre su questo argomento e a sostegno delle tesi principali sulla impossibilità di rappresentare in linguaggio comunicativo l'esperienza privata avanzate nel saggio,si può leggere l'articolo di Mary Tiles del King's College di Cambridge («Il privato e l'esperienza del mentale»), che aveva già raccolto e pubblicato nel 68 sulla Philosophical Review queste note di w. ln questo numero inoltre, un articolo di Aldo Gargani su «Scienze fisicomatematiche e forme di vita» (relazione presentata alle giornate di studio della «Pratica freudiana» del maggio '79), un intervento di Fulvio Papi in forma-diario di alcune sue letture estive, una nota di Ermanno Krumm sul versante «psichico» della poesia del ovecento, un appunto di Paolo Bollini sull'«aletheia in questione», di Mario Spinella su Bloomsbury e la filosofia, 2 racconti «gialli» di Carlo C. Delforno, 6 poesie di Giuliano Gramigna, e gli scritti seminariali di Sergio Finzi («Silhouettes») e di Virginia Finzi Ghisi («Storia di un significante»). V. Bonazza Roberto Guiducci La società impazzita Milano, Rizzoli, 1980 pp. 190, lire 8.000 Guillaume Apollinaire Le mammelle di Tiresia. Color del tempo Torino, Einaudi, 1980 pp. ll0, lire 4.000 Guiducci ha cominciato nel '56, punto cruciale d'inizio della seconda metà, a scrivere pamphlets decisivi: e allora c'era nel '56 il simbolo del ragazzo Mowgli che piangeva su un sasso... Oggi Guiducci dà in chiusura questa battuta: «se l'umanità riuscirà a sopravvivere, sarà un giorno stupefatta che degli uomini abbiano potuto tollerare che Caligola considerasse nonuomini moltissimi altri uomini, e Senatore il suo Cavallo. E che questo fatto si sia puntualmente ed ossessivamente ripetuto fino al XX secolo». Si tratta di un utopista indiavolato che puzza anche di Marx. Il più folle è il suo nesso fra questione femminile e mondo del lavoro: mentre la prestazione è uguale nell'agricoltura e nell'industria, il dominio maschile è dipeso, in un certo periodo preistorico, da una specializzazione lavorativa maschile: la continuità tecnica assicurata nei lunghi viaggi di spedizione e nelle guerre ... E proprio questo argomento esposto dal Guiducci emancipazionista egualitario rende non credibile un verso-chiave di Apollinaire delle Mammelle di Tiresia (1916-17). Rileggendo il testo, infatti, dopo il formidabile prologo del direttore della compagnia in frac, Tiresia canta No Signor marito Perché mi hai fauo la corte nel Connecticut - non debbo certo farti da mangiare a Zanzibar e canta appunto il verso-chiave: Ho voglia di essere soldato un due un due. La prestazione sarebbe discontinua, invece. F. Leone/li Ofalcone desiderato. Poemetti erotici antico-francesi Traduzione e introduzione di Charmain Lee Milano, Bompiani, 1980 pp. I 59, lire I 0.000 Fra i successi letterari dell'annata (stando almeno alle voci, e alla fortuna critica fin qui ricevuta), uno non può che sorprendere, e assai piacevolmente. Si tratta di questa raccolta di quattro poemetti di argomenti prevalentemente erotico, tradotti e introdotti con mirabile finezza da Charmaine Lee, e risalenti al medioevo francese. I due lais ( «Il mantello magico» e «li lai dell'amante dissoluto») e i due fablieux ( « n cavaliere che facev;:iparlare le fiche» e «Il falcone desiderato») coSlituiscono un corpus di notevole interesse sia per l'immediata piacevolezza della lettura, sia per l'importanza che essi rivestono per lo studioso di comunicazione letteraria. Evidenti parodie di generi già affermati (quello di ambiente cortese, il lai e quello di argomento popolare, il fablieux, i poemetti costituiscono infatti una sorta di «oggetto sperimentale» letterario, in cui gioco retorico, rottura delle regole di genere, contaminazione si alternano mirabilmente, producendo da un lato uno straordinario effetto di comicità, e dall'altro nuova istituzione di genere. Non a caso l'informata introduzione fa riferimento, sia pur con qualche correzione di tiro, a Bachtin. Da notare, fra l'altro, che la traduzione rende eccellentemente il senso della «rottura» letteraria, perché audacemente si introducono nel testo termini che sono impropri rispetto all'originale, ma che producono rispetto all'auuale norma linguistica lo stesso effetto di straniamento. Un testo, dunque, che con il suo pieno successo porta al successo anche la collana Nuova Corona, diretta da Maria Corti, che a questo tipo di opere (inedite, o distrattamente dimenticate dalla critica, dalle Origini ai nostri giorni) è dedicata. Versus n. 25, gennaio-aprile Milano, Bompiani, 1980 pp. 100, lire 4.000 Fascicolo monografico dedicato alle semiotiche visive: cioè alla «bestia nera» della semiotica. Come ricorda infatti Calabrese («From the Semiotics of Painting to the Semiotics of Pictorial Text» ), la pittura pone alla semiotica tre problemi epistemologici non facili: la definizione del rapporto tra l'icona e il referente (se il rapporto sia convenzionale, cioè culturale e arbitrario; o se, come vuole Peirce, ci siano rapporti analogici, naturali e materiali, tra l'icona e l'oggetto della rappresentazione); la possibilità o meno di isolare, nel campo del visibile, unità minimali di significazione paragonabili ai fenomeni della linguistica; e l'articolazione, sicuramente ardua, tra la sincronia che caratterizza l'analitica semiotica e la diacronia (traditio, storicità, sovrapporsi temporale di scuole, modi e maniere) che sta alla base della produzione e dell_afruizione dell'oggetto pittorico. Angosce del visibile in presenza, e della sua analisi. Meno drammatici i problemi posti dal visibile in abse111ia, cioè dalle impronte, dai sintomi e dagli indizi, che rinviano a un referente scomparso. Ad essi dedica un articolo Umberto Eco «Il cane e il cavallo: un testo visivo e alcuni equivoci verbali», ove si commenta un brano di Zadig. Seguono tre saggi applicativi: Gloria Vallese sul «Trittico del fieno» di Hieronymus Bosch; Giovanni Manetti sul Readymade; e Martin Krampen sul disegno infantile. _111.f , . . . , . . . , , "' .s ~ t:l.. e:, oO O\ ~ .<:) E ~ .l,l :s; ~ ... .<:) E ., ::. e s:: ::: O\ s:: S! ., .<:) ~ "'

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