Alfabeta - anno II - n. 18 - ottobre 1980

Praticaeg[Qmmatica 'O M. Corti, E. Manzotti, F. Ravazzoli Una lingua di tutti. Pratica, storia e grammatica della lingua italiana Firenze, Le Monnier, 1979 pp. VI - 559, lire 6.800 F. Sabatini La lingua e il nostro mondo. L'italiano come si è formato, come lo usiamo Torino, Loescher, 1978 pp. XII - 335, lire 3.900 M. L. Altieri Biagi Didattica dell'italiano [Milano], Edizioni scolastiche B. Mondadori, 1978 pp. 256, lire 4.800 Per una didattica interdisciplinare nella scuola media A cura di M. L. Altieri Biagi, E. Pasquini, F. Speranza Bologna, Il Mulino, 1979 pp. 241-32, lire 5.000 M eglio tardi che mai: dopo un quindicennio e più di polemiche, di esperimenti generosi ma non sempre giudiziosi e - ciò che più importa - di drammi scolastici atroci, anche sul problema della grammatica dell'italiano per «fanciulli e giovanetti» sembra che si sia trovata la strada giusta. Dico «grammatica», potrei anche dire, con termine altrettanto onesto e trasparente, «educazione linguistica», che dà almeno l'idea di una didattica più attiva, efficace e libera dello stesso oggetto, ma si dia un'occhiata alle copertine dei molti libri di testo editi di recente: nel titolo abbondono le «strutture», i «segni», la «comunicazione» e soltanto nel sottotitolo compare, quando compare, la parola «grammatica». Perché questo fastidio, questo timore e i tentativi di occultare un termine cosl noto? I- lettori già sanno, quella parola evocava ed evoca per quanti hanno a che fare con la scuola di massa una situazione penosa: ragazzi negli anni dell'obbligo ed oltre che stentano a parlare di argomenti appena un poco impegnativi e complessi, che soprattutto scrivono male e, per risolvere il problema dentro la scuola, solo quel vecchio strumento, il testo digrammatica, inutile quando non dannoso. Sto parlando delle vecchie grammatiche, incoerenti ed inadeguate, prive di qualsiasi impostazione scientifica per quanto riguarda il metodo e ancora . ben strette per inerzia o purismo attorno al modello della lingua letteraria. Ma potrei anche riferirmi a grammatiche più recenti, in cui l'assunzione ostentata di alcuni termini e concetti dai diversi settori della linguistica generale o della grammatica generativotrasformazionale, non cancella gli antichi vizi ai quali aggiunge quello nuovo della babele terminologica, cioè la confusione delle idee. E la confusione, tranne le solite eccezioni, regna davvero nella scuola media: c'è chi tra gli insegnanti si irrigidisce su posizioni normative e puristiche reprimendo così qui tanto di lingua o di lingue che i ragazzi già conoscono, chi invece cerca di aggiornarsi sperimentando l'inefficacia delle grammatiche nuove nella forma, ma vecchie nella sostanza e chi infine, deluso ed illuso, getta letteralmente la grammatica alle ortiche. Verso quest'ultima scelta, ahinoi, spesso si indirizza o si è indirizzato proprio l'insegnante più attivo e progressista. C'è sotto un bell'equivoco: poiché a parlare e, una volta superata la fase dell'alfabetizzazione, anche a scrivere si impara parlando e scrivendo, la grammatica deve essere sostituita con pratiche locutive e scrittorie continue, su argomenti motivati e motivanti, indotte dall'insegnante. Certo, anche a -. correre si impara correndo, ma se ap- ~ pena voglio partecipare a una campe- 2 stre, dovrò sapere qualcosa sugli alleè namenti necessari, stabilire una tattica ~ di corsa ecc. L'analogia vale anche per <: • il tipo di attività locutoria e scrittoria che deve essere svolta nella scuola media dell'obbligo ed oltre. Se essa non è inserita in una strategia linguistica e metalinguistica dall'insegnante, può facilmente finire in chiacchiera e in qualcosa di molto simile alle scritte sui muri: spesso divertenti, ma non pertinenti. Il problema, va da sé, è tanto più vivo per lo scritto che per il parlato, per quel più d'artificialità formale che in numerosi registri lo caratterizza. Insomma, rispetto a pratiche naturali e/o già note, una scuola formativa dovrebbe intervenire sì a stimolarle, ma al fine di esplicitarne gli usi antropologici e sociali e le regole interne di funzionamento: cosl dovrebbe fare l'educazione fisica per le pratiche motorie, l'educazione linguistica per quelle verbali e così via. Sembrano affermazioni ovvie (ma non per chi conosce appena un poco il dibattito interno alla scuola) ed anche ingenue, se si pensa alle inutili grammatiche di cui sopra ed alla relativa novità e quantità di nozioni che un tale lavoro richiede agli insegnanti. Sono comunque giustificate da alcuni lavori seri, apparsi negli ultimi tempi, che consentono di guardare con più sollievo al futuro. Ma voglio, a premessa, indicare alcuni punti a mio avviso importanti per una buona didattica della lingua, anche per chiarire i criteri per cui qui appaiono citati alcuni testi e non altri. Mt'4d.iont. "-"J...:.r~,oL."" ~ 1) Il punto di partenza, in termmt ideali se non cronologici, dell'educazione linguistica, dovrebbe essere il repertorio linguistico della classe, le lingue e i linguaggi già conosciuti dai ragazzi: dialetti locali, koinè dialettali, varietà regionali dell'italiano così come i linguaggi settoriali e i gerghi. Le pratiche linguistiche che il ragazzo vive in sé e nel proprio ambiente debbono essere censite e liberate da pregiudizi puristici e sociali. L'operazione è pertinente in senso linguistico: debbo esplicitare funzioni e regole di pratiche abituali, se voglio passare ad altre meno abituali o più complesse o del tutto sconosciute. Ma importanti ne sono anche i risvolti storici e sociali: quanto ai primi delineo una mappa di quel «plurilinguismo interno», proiezione di una grande ricchezza di culture locali, che la nostra scuola per ragioni politiche ha, fino all'altrieri, occultato; quanto ai secondi, posso anche contribuire a ripristinare identità, personali o collettive, lacerate dallo sviluppo caotico, dall'emigrazione ed immigrazione traumatiche e così via. Discorso a parte per i linguaggi settoriali: censirli ed analizzarli senza pregiudizi non contraddice affatto che si dicano le cose come stanno: attraverso i mass-media essi sono il punto del sistema su cui più si esercita la manipolazione linguistica, innovativa all'apparenza, sterile e labile nella sostanza. I ragazzi spesso li conoscono bene (ed è un bene!), ma possono restare vittime del martellamento manipolativo e confondere così la parte con il tutto e parlare e scrivere solo per stereotipi: qui posso e debbo intervenire, altro che insistere su gli pneumatici contro i pneumatici! 2) A mezzo dell'itinerario didattico, sempre idealmente, si pone l'analisi di funzioni e regole dello standard italiano come modello unico delle sue varie pratiche. È il punto più delicato e occorrerà sensibilità storica. L'italiano come lingua parlata da una comunità nazionale è, come si sa, molto giovane. Il toscano scritto e soprattutto letterario, dunque, trasmesso per secoli da letterati e grammatici, diventando pratica orale di milioni di parlanti, si sottopone per alcune serie a processi di adattamento, di selezione, di semplificazione. L'innovazione del parlato può passare poi allo scritto: è un processo fisiologico che compete a tutte le lingue; per l'italiano, in questa fase, è solo più accelerato e vistoso: tentare di bloccarlo è illusorio, oltre che sbagliatto. È proprio il caso, allora, di «concedere» al solo uso parlato il tipo se lo vedevo, lo compravo, indicando come unica soluzione per lo scritto se lo avessi visto, lo avrei acquistato? In questa, come in tutte le altre occorrenze, le serie di oscillazioni sintattiche, morfologiche, lessicali vanno indicate come tali: irrigidirne gli usi in compartimenti stagni o censurare una variante, sia essa quella tradizionale o quella innovativa, è puro arbitrio. 3) Il punto di arrivo dell'attività più che le parole sono le idee. La c\escrizione della mappa sociolinguistica del significazione. Và da sé che mentre la frase rimanda al testo in cui è inserita, il testo rimanda al contesto, è relazionabile cioè all'insieme di elementi, anche non verbalmente espliciti, che costituiscono la pratica in cui è inscritto. In effetti il ragazzo, come tutti del resto, produce ed interpreta discorsi (testi) rapportandoli sempre e comunque alla situazione in cui si trova, vive pratiche linguistiche globali, non elementi minimi pertinentizzati dall'analisi. Una pratica dunque eminentemente testuale può essere potenziata da una grammatica che descriva «le relazioni che connettono le frasi di un discorso in una catena logicamente organizzata» e che indichi, nei limiti del possibile, anche come il discorso «agisca» la realtà. Cosi accade in Una lingua di tutti: si parte dal testo, descrivendolo in base agli elementi formali che lo definiscono come tale, e si passa poi ai costituenti minori: il periodo, la frase, il lessico e così via sino alla fonetica che è l'ultimo capitolo, realizzando così definitivamente l'inversione dello schema tradizionale. Attraversano l'opera, punto per punto, due distinzioni ormai normalmente acquisite dal pensiero linguistico: quella tra scritto e parlato e quella tra competenza ed esecuzione; corola- F-.-..1. ~ \Vut,"4: -:-·~-,--~ paese e della storia linguistico-culturale da cui essa risulta, si trasforma in coscienza storica. Ancora, un'analisi semplice e coerente dello standard, che espliciti punto per punto i propri principi metodologici, che definisca con rigore la propria terminologia oltre che funzioni e regole dello standard stesso, si trasforma in educazione al pensiero logico. La pertinenza della grammatica scolastica è forse più di ordine epistemologico che linguistico: per suo tramite si insegna in primo luogo a ragionare e, di riflesso, a dominare meglio le pratiche verbali, centrando cosl il fine stesso di una scuola «formativa». E d ora qualcosa sulle opere scelte. Le prime due si presentano, tradizionalmente, come libro di testo ed eserciziario; i destinatari diretti ne sono quindi i ragazzi: concetti e termini della linguistica vi sono ritradotti in lingua comune e trasparente, il che può comportare ridondanza, ma non travializzazione. Indirettamente comunque ne è destinatario anche l'insegnante, non fosse altro per la novità dell'impostazione o per la quantità di competenza specialistica implicata. - Più in particolare in Una lingua di tutti, s'intrecciano capitoli di storia della lingua, sui linguaggi settoriali, sui dialetti, a capitoli di linguistica generale applicata all'italiano e di grammatica vera e propria: ottimi i primi, ma stimolanti soprattutto i secondi. Gli autori partono da una tesi che è punto d'incontro felice tra le ultime acquisizioni teoriche da un lato e un progetto didattico dall'altro. In sede teorica, si sa, da tempo si insiste nell'istituire come oggetto della linguistica, piuttosto che la semplice frase, il testo, parlato o scritto, come unità pertinente di lario di quest'ultima è l'introduzione del concetto di frase come modello e di enunciato come realizzazione concreta, analizzabile quindi, artcora una volta, nel vivo delle pratiche verbali. Dunque un'ipotesi grammaticale «forte> e come tale impegnativa: le continue analisi sintattiche e semantiche, sempre e comunque finalizzate alla definizione di concetti, sono a volte contributi originali di linguistica italiana. Eppure la chiarezza espositiva, l'impegno argomentativo e soprattutto il principio per cui nulla viene dato, ma tutto indotto e dedotto, dovrebbero consentire ai ragazzi di provarsi in una vera e propria ginnastica mentale verso il pensiero astratto, soprattutto negli esercizi che propongono continue operazioni di riscrittura e di parafrasi, cioè di applicazione finalizzata della competenza testuale. Quanto ai testi reali, il panorama che l'opera ne offre è quello che normalmente occorre all'esperienza di un ragazzo: piuttosto banali che esemplari quelli scritti e più semigergali che neutri quelli parlati. È appena il caso di aggiungere che per le serie che presentano, storicamente, oscillazioni, tutto viene descritto e nulla proscritto. N iente grammatica, invece, in La lingua e il nostro mondo di Sabatini. Il fine dell'opera, che per molti aspetti può" essere considerata complementare alla prima, non è, se non indirettamente d'incrementare la competenza linguistica e testuale del ragazzo, bensì quello di formarne la coscienza storica, che poi pensiero astratto e pensiero storico implichino in egual misura il rigore esemplare del metodo, è circostanza pertinente all'impegno formativo della scuola. L'assunto della linguistica che Sabatini sperimenta nella didattica è che le lingue sono diverse perché diverse sono le culture dei popoli che le parlano e come le seconde sono continuamente sottoposte allo scambio interculturale che ne modifica la struttura, così, anche se con più lentezza, accade alle prime. L'oggetto dell'opera sono, allora, le lingue come specchio di culture, in accezione antropologica, lungo l'asse della storia italiana. Ed ecco il grande romanzo: dagli antichi mediterranei agli indo-europei, dal latino ai volgari neolatini, dagli influssi germanici a quelli arabi, dai dialetti alla lingua: o anche, dai venerandi relitti linguistici, ancora vivi, dei primi pastori della penisola all'ultimo anglismo. Il libro si presenta dunque come il primo e compiuto manuale di storia della lingua ad uso scolastico, storia che nella seconda parte dell'opera si proietta in una splendida mappa sociolinguistica dell'Italia unita. Delle esigenze che un'opera del genere soddisfa s'è già detto: in più, per lo specifico statuto della storia linguistica e per il particolare taglio che Sabatini le imprime, sono soprattutto culture e vicende delle classi subalterne che ne escono illuminate e valorizzate. Una postilla: la storia della lingua è anche storia di parole che mutano significato: costante è l'attenzione dell'autore nell'indicare la funzione che nel cambio semantico svolgono gli usi metaforici del linguaggio, in definitiva la creatività personale, tanto a livello popolare che colto. Diversa la destinazione degli ultimi lavori dell' Altieri Biagi (che è stata anche coautore di grammatiche): non si tratta di testi per ragazzi, ma di strumenti didattici per gli insegnanti. Nella sua concezione, più che il libro di testo, assumono importanza le strategie metalinguistiche che l'insegnante opera sulle pratiche verbali degli allievi. Lo «stratega> deve partire innanzitutto da una buona base di conoscenze psicopedagogiche e selezionare in base ad esse le proposte provenienti dai più diversi settori della linguistica e gli compete di verificare di volta in volta che la proposta sia adeguata all'esigenza d'incrementare la competenza e la capacità critica del ragazzo. In Didattica dell'italiano sono offerti, da questo punto di vista, itinerari esemplari per chiarezza e «potenza>, che coinvolgono nozioni di logica, di matematica, oltre che di linguistica, ma è demandato all'insegnante il compito di sceglierli, realizzarli e sperimentarli nel egioco> didattico (l'autrice insiste molto sull'importanza della componente ludica per l'insegnamento della lingua). L'interdisciplinarità, che I'Altieri Biagi riesce a riscattare dalla prigione dei luoghi comuni, e l'esigenza di un rapporto stretto tra autore specializzato ed insegnante, già operanti come progetto personale dell'autrice, costituiscono, ovvia conseguenza, le premesse per un progetto collettivo: si forma a Bologna un'équipe di specialisti ed insegnanti delle diverse materie, che propone e verifica nella scuola strategie metalinguistiche ed epistemologiche per tutte le pratiche, ben raccordate per metodi ed obiettivi. Per una didattica interdisciplinare ... raccoglie appunto i risultati di tre anni di questo lavoro; le stesse aggregazioni tradizionali delle discipline ne escono salutarmente terremotate: perché, ad. es., non legare sempre di più la didattica della lingua a quella della matematica, posto che entrambe le scienze cui si riferiscono e operano con linguaggi e su linguaggi»? L'ipotesi «forte» del1'Altieri Biagi è, si sarà capito, di desettorializzare l'educazione linguistica in un quadro totale di riforma della didattica e, al limite, della scuola e con ciò la proposta linguistico-pedagogica si associa strettamente a quella politica. Così dal libro sul banco, al libro nella bibliotechina didattica siamo arrivati, inevitabilmente, al problema più grosso. Una cosa è certa: aumentano le difficoltà, ma crollano gli alibi e si riduce lo spazio per gli ignavi e gli improvvisatori.

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