Alfabeta - anno II - n. 18 - ottobre 1980

la comparsa dhtn istituto «assolutamente impossibile» nella Russia pre-. petrina: i cosiddetti «harem padronali», tenuti in genere da possidenti «illuminati». occidentalisti, neniici convinti della «crassa ignoranza> e del- )'«arretratezza» dei propri connazionali. Il fatto è che «una cultura viva non può costituire una ripetizione del passato: è giocoforza che produca sistemi e testi nuovi sul piano strutturale e funzionale. Eppure non può non contenere in sé la memoria del passato». Quanto alla cultura russa, secondo Lotman e Uspenskij, essa (perlomeno fino a tutto il Settecento) ha avuto di specifico una sorta di insistente moto pendolare: il prevalere di una tendenza soggettiva a rimuovere drasticamente il passato acuiva più che mai la percezione del legame oggettivo con esso. e. viceversa. !'«orientamento sul passato» s'accompagnava di fatto all'oblio della «tradizione reale». in favore di un'«antichità» tutta mentale e «chimerica». e ome giustamente ci ricorda Simonetta Salvestroni (TeC), Michail Bachtin, interpellato nel 1970 dalla rivista Novyj mir ( e la sua risposta è confluita nell'ultimo volume sovietico di scritti bachtiani, tstetika slovesnogo tvorcestva [Estetica della creazione letteraria]. Izdatel'stvo «Iskusstvo». Moskva 1979). salvava pochissimo - quasi niente - degli studi letterari sovietici più recenti. dominati dalla «paura del rischio investigativo". dalla «paura delle ipotesi»; e metteva. dentro quel pochissimo, «il filone rappresentato dai giovani ricercatori che fanno capo a Ju. M. Lotman». L'eccezionalità dei lavori di Lotman e della sua «scuola», a detta di Bachtin (che si riferiva ai primi quattro fascicoli dei Trudy po znakovym sistemam [Ricerche sui sistemi di segni), la pubblicazione dell'università di Tartu giunta ormai al suo undicesimo quaderno), stava nel fatto che essi «non scorporano la letteratura dalla cultura», che essi «mirano a intendere i fenomeni letterari nell'unità differenziata di tutta la cultura di un'epoca». Per parte sua, licenziando gli scritti della sua ultima raccolta italiana (TeC). Lotman non esita ad affermare: «Alla base dei lavori inclusi nel volume c'è la convinzione che fra l'universo culturale e il singolo testo, che si realizza in un sistema di cultura proprio come testo. esista un rapporto di isomorfismo». Naturalmente, «il microtesto elementare è la parola»: la parola, infatti, rimane )'«elemento primo» della cultura. mentre questa è data da «un insieme di parole (di testi)». Siamo dunque più che mai sul terreno dei cosiddetti «sistemi modell(izz)anti secondari» (a quanto sembra. la dizione. un po' sommaria ma «pratica», fu coniata da Vladimir Uspenskij. il fratello matematico di Boris, ancora negli anni cinquanta). La cultura però. avverte Lotman. «non è un deposito di idee e di testi già pronti. ma il meccanismo vivo della coscienza collettiva. Nello stesso tempo essa forma l'involucro intellettuale della vita che si svolge sulla terra. L'intelletto collettivo può agire solo se è inserito all'interno di esso». Ma Lotman, in questo suo nuovo libro, dà forse il meglio di sé là dove la preoccupazione di cogliere e definire i «modelli semiotici generali della cultura» si disegna in filigrana o galleggia dentro l'analisi dei testi. di precisi segmenti di vita culturale. Un ottimo esempio di scandagli e ricostruzioni di tal genere è il saggio sulla «poetica del comportamento quotidiano» nella cultura russa settecentesca. LIprimo Settecento. dice Lotman. fu sottto il segno di «un variegato disordine dei mezzi lessicali». che «accentuava il senso dell'importanza stilistica non solo degli strati della lingua. ma di ogni parola presa separatamente» (e non solo del comportamento in generale. «ma anche di ogni singola azione»). preludendo ai «rigidi ordinamenti classificatori» che. ver o la metà del secolo. investiranno. oltre al campo strettamente letterario. tutto l'ambito della cultura sociale. Il secondo passo. nella «semiotizzazione del comportamento». fu la «creazione degli stili» nella sfera delle norme che regolavano la vita quotidiana. Cosicché «il modo di parlare. di camminare, di vestirsi» divenne l'emanazione inconfondibile del posto che. «nella polifonia della vita quotidiana». ogni individuo occupava. e doveva occupare! Sappiamo (e sull'argomento si è soffermato anche Lotman. in altri suoi scritti) che più di un ukàz imperiale. nel corso del Settecento. stabili. ad esempio, quali dei quattordici «ranghi» in cui erano raggruppati tutti i membri delle famiglie poste al servizio dello Stato (nell'esercito e• nella burocrazia). potevano indossare i broccati «con ricami in oro e argento». o i broccati stranieri «da non più di quattro rubli il braccio». «da non più di tre rubli,., «da due rubli» ecc. In Russia. conclude Lotman. la «poetica del comportamento» di dissolse negli anni quaranta del secolo scorso. «con gli ultimi romantici» (da parte degli scrittori realisti si ebbe «un'ostentata esclusione di questa categoria»). ma per risorgere «nella biografia dei simbolisti. e poi. nel 'costruttivismo'. nel 'teatro per un sol.o attore', nel 'teatro della vita' e in altri fenomeni culturali del XX secolo». Nell'elenco bisognerebbe naturalmente inserire i futuristi. un po' tutti «minacciati dalla propria biografia». come di uno di loro - Velimir Chlebnikovebbe a scrivere Jurij Tynjanov. Ma c'è di più. Sono ben noti gli influssi settecenteschi sulla poesia futurista; e tuttavia sorprendono alcune affinità tra la zaum'. la poesia «trasmetale» di un Chlebnikov. di un Aleksej Kruèenych. e i gerghi. le forme maccheroniche usate in certi ambienti e in certi gruppi sociali russi. tra Sette e Ottocento. e studiate anche da Lotman (FURP). La sensibilità (caratteristica del primo Settecento. del suo «variegato disordine» lessicale) per la «parola· presa separatamente» sembra proprio trovar riscontro in qualche tentativo futurista («trasmentale») di far del russo quasi una lingua isolante. La zaum'. poi. è inconcepibile fuori della cornice. fuori del contesto di una «poetica generale del comportamento» (o del- !'«anti-comportamento> ). Al secolo XVIII si richiama.un altro articolo di Lotman. dedicato alla «maschera verbale» di Sljunjaj (il Bavoso). un personaggio grottesco di una «scherzotragedia» di Ivan Krylov (1756-1844). Attraverso lo scilinguato. ciangottante Sljunjaj. Krylov si fa anche beffe del modo di parlare degli scegoli- i cicisbei. i damerini dei salotti russi di fine Settecento-. della loro pronuncia «tenera». in cui. fra l'altro. alle palatali /z/ e /si venivano sostituite le dentali corrispondenti/z'/ e/s'/. mentre il suono /j/ rimpiazzava le liquide /IJ e /r/: tratti che denunciano. benché Lotman non lo rilevi. una regressione al linguaggio infantile. Lotman scopre la fonte di queste bizzarrie fonetiche di Sljunjaj nella parlata degl'incroyables. i damerini francesi dell'epoca del direttorio e del consolato («Savez-vous. dit l'incroyable. une histoi-e singu-ière qui vient d'a-iver au théat-e Moliè-e...»). E si potrebbe dire che Krylovvoglia co ì sottrarre la «stranezza,., !'«alterità» degli scegoli allo spazio culturale russo e consegnarla allo spazio esterno che «si meritano»: quasi una loro simbolica esplusione. L o spunto per il suo romanzo-poema. Le anime morte. fu suggerito a Gogol' da Puskin. come tutti sanno. Alle picaresche «avventure di Cièikov» Gogol' volle però affiancare una Novella del capi• tano Kopejkin. È la storia di un ufficiale che ha perduto un braccio e una gamba nelle campagne antinapoleoniche. si riduce alla fame. cerca inutilmente di ottenere una pensione dal governo zarista e si fa bandito nelle steppe del Volga. La censura si accanì sul racconto; ma per vederlo stampa• to. Gogol' si piegò a tagli e a ritocchi. lo riscrisse più volte. cocciutamente. Eppure si tratta di un'appendice che. per tanti storici letterari. è del tutto avulsa dal «corso fondamentale> del «poema» gogoliano e solo «meccanicamente» è inserita nel suo testo. Lotman. splendido indagatore e analista di processi creativi, dimostra che cosi non è. « elio sviluppo delle idee artistiche - egli afferma - c'è una logica. e una nuova idea è generalmente la trasformazione di una qualche variante di partenza». Durante l'ultimo periodo della sua vita, Puskin escogitò molteplici varianti di un «archi-intreccio» che tornava periodicamente ad affascinarlo: quello di un «brigante-gentiluomo» russo. Lo spunto offerto a Gogol' non poteva venire che di là: dall'esuberante groviglio di quelle intuizioni. di quelle schegge narrative. Nelle carte di Puskin. che era solito prender nota di tutto. che pensava (e inventava) «sulla carta» (come dice Lotman). non v'è traccia di schemi. di progetti che rinviino scopertamente alle Anime mone. E non ha senso congetturare su fanto• matici abbozzi puskiniani che sarebbero andati perduti. Al contrario. importa saper cogliere il giusto meccanismo della «trasformazione». il filo-i molti fili - d'Arianna che. palesi o sotterranei. dissimulati. si diramano dall'«invariante di partenza» e riconducono ad essa. Tirando le somme dell'analisi di Lotman. scopriamo che )'«archi-intreccio» puskiniano. debordando, riversandosi nell'immaginazione e nella narrativa di Gogol'. ha_prodotto due partiture e due eroi - Cièikov e Kopejkin - che sono in definitiva com• plementari fra loro. Kopejkin è «l'eroe delle guerre antinapoleoniche». un eroe romantico-popolare con tutti i crismi. Cièikov è il parodistico «eroe della copeca» (kopejka. in russo); ed è anche un grottesco. caricaturale «masnadiero romantico». «pers.onaggio demoniaco». Napoleone (Anticristo) redivivo. Perciò. nulla di strano (vien fatto di concludere) che la censura se la prendesse tanto con l'orgoglioso Kopejkin. Dentro la sua ribellione «inventata». «fittizia». echeggiavano ribellioni ter• ribilmente reali. di cui la memoria del Potere conservava le cicatrici. E le steppe. il Volga restavano - per la memoria collettiva. folclorica - il grembo inesauribile di epici brigantaggi. di indomite guerre cosacche e contadine (quelle di Sten'ka Razin. Emel'jan Pugaèev). (Già dopo la Rivoluzione. nei giorni della NEP. dei suoi amari fasti. anche il mitissimo Chlebnikov - futurista nutrito di succhi remoti e folcrorici - avrà un soprassalto «alla Kopejkin»: «Ehilà. gaglioffi di mercanti,/ vento nella capoccia! / In pelliccioto pugaceviano / cammino attraverso Mosca!/ Mica per questo è così alta/ la nostra volontà di giustizia./ perché fra zibellini e trotta· tori / si lancino schemi dalle slitte. / Mica per questo senza risparmio / è scors.o il sangue del nemico. / perché ogni venditrice / si metta perle alle dita. / Non digrignerò i denti / lungo notti d'insonnia; / vogherò- canterò/ sopra il Don - sopra il Volga!. ..>). Parlando delle circostanze in cui Puskin avrebbe «donato» a Gogol' lo spunto per Le anime mone. Lotman non ha dubbi che si sia trattato di una trasmissione orale. Su quello spunto Puskin dovette imbastire un'improvvisazione briosa e appassionata, che Lotman ricostruisce a grandi linee, con tocchi sapienti. Ma il problema del rapporto «scrittura-oralità> è affrontato da Lotman in maniera assai più diretta sulle pagine di una nuova pubblicazione tartuense. rivolta esplicitamente alla «semiotica del discors.oorale» (e tirata in sette-ottocento esem• plari): Ligvististiceskaja semantika i semwtika [Semantica e semiotica della lingua). In un suo primo scritto (URIKP) Lotman pone i termini generali del problema. Dopo aver ribadito che i testi «non costituiscono una summa culturae. ma soltanto una parte di essa». e che «soltanto l'esistenza di non-testi permette di individuare, sul loro sfondo. un insieme di testi> capace di definire una data cultura. egli afferma: cl testi sono ciò che viene introdotto nella memoria collettiva della cultura. ciò ch'è soggetto a conservazione. e deriva che la lingua dei testi dipende sempre dal meccanismo memorizzante. In una società prealfabetica. essa esigeva delle limitazioni supplementari di tipo mnemonico. avvicinandosi evidentemente alla struttura della poesia. dei proverbi. degli aforismi. Il sorgere della scrittura fece sì che la lingua dei testi venisse a identificarsi col discors.oscritto. e quella dei non-testi. col discors.oorale». E ancora: «Il discors.oscritto è discreto e lineare. Il discors.oorale tende a una struttura non-discreta, al continuum. Esso si allontana dalle costruzioni logiche. per accostarsi a quelle iconiche e mitologiche...». Lotman. in un secondo articolo (FURP). recupera sparsi. screziati frantumi del discors.o orale dell'età puskiniana; rintraccia i focolai che produssero queste forme espressive sospinte poi ai margini. trascurate anche dagli studiosi. e ricostruibili per indizi. con pazienti montaggi. E. di nuovo. Lotman s'immerge nella storia. Altri prestigiosi ricercatori sovietici legati alla «scuola di Tanu» - Vjaèeslav lvanos. Vladimir Toporov - sono attratti dal «genere». ossia dagli archetipi. dagli universali della cultura. ma a sedurre Lotman è la «specie». sono i concreti fenomeni culturali. nella loro complessa. polivalente unicità. Viziprivatei pubblica TV Mario Praz Studi sul concettualismo Firenze. Sansoni 1946. pp. 307 Oliver Goldsmith She stoops to conquer ( 1773) a cura di Tom Davis London. New Mermaids. 1979 Théophile Gautier Mademoiselle de Maupin ( I 835) Paris. Garnier-Flammarion. 1966 René Berger La telefissione Roma. Edizioni Paoline. 1979 pp. 260. lire 3500 «L'Unità» collezione completa per gli articoli di Francesco Maselli «L'Espresso» collezione completa per la critica televisiva di Sergio Saviane A ).Per aver presentato («condotto» si dice in gergo) qualche programma televisivo culturale. assistito da qualche successo (successo: presso chi? Ma presso i parenti. i vecchi genitori. gli amici: quale altro successo conta: nella vita. nella televisione?). mi è stato chiesto di dare una mano a definire. descrivere. elencare le qualità che ci vogliono per proporrè un buon programma culturale televisivo. I programmi televisivi di genere culturale sono la croce- si sa- della Televisione. Bisogna farli. perché la Rai-Tvè un ente di Stato. E poi. anche il popolo. si sospetta. li vuole. Ma tendono a venire fuori. chissà perché. sempre noiosi. Con la conseguenza che la Televisione (di Stato) tende a risolvere i problemi producendoli con una mano e relegandoli a tarda seratl! con l'altra. In questa Televisione di Stato si Beniamino Placido adotta. magari senza saperlo. la filosofia del Senatore Fanfani. il quale disse una volta. riferendosi a non so quale marachella politica dei suoi avversari: «Chi l'ha fatta la ricopra» (alludeva evidentemente a quell'altra produzione - corporea - di cui tutti temono lo sgradevole odore). La Televisione di Stato fa i programmi «culturali». e poi li ricopre. ficcandoli in orari dove nessuno li può vedere. Cosi l'onore (se non anche l'odore) è salvo. Si dà il caso purtroppo che io non sappia (e non abbia) nulla delle qualità che occorrono a fabbricare un programma culturale televisivo interessante. Ma so (ed ho) certamente qualcuno dei difetti indispensabili. Proverò ad elencarli. I) Bisogna essere ignorami: solo un conduttore (o presentatore) veramente ignorante - e proporzionalmente interessato al contatto delle cose nuove - può trasmettere al pubblico la passione. l'eccitazione dell'apprendimento. Solo mantenendosi ignoranti non si daranno per scontati certi passaggi. certe notizie. certe informazioni. Perché non saranno scontati nemmeno per noi. Grave - e persistente - errore della Televisione di Stato quello di affidare la preparazione dei suoi programmi culturali a persone informate. a volta addirittura colte. Che sanno già tutto. Che hanno letto tutto. (A volte. si dà il caso. hanno anche già scritto tutto). Che snocciolano le informazioni cuitu• rali come i sacrestani di una volta biascicavano in chiesa le giaculatorie: senza che nessuno dei fedeli li sentisse. né si curasse di seguirli. Una certa dose di ignoranza in televisione dovrebbe addirittura essere imposta con la forza. Per esempio. una Commissione giudicatrice dovrebbe accertare che chi aspira a manipolare materiali culturali davanti al teleschermo ignora del tutto - e definitivamente - l'aggettivo «emblematico». Mediamente parlando. l'intellettuale chiamato a far cultura in televisione ritiene che si faccia cultura (o divulgazione culturale) in televisione dicendo che una certa tal cosa è «emblematica» di una certa qual altra. Ma l'aggettivo «emblematico» fa tanto male alle trasmissioni culturali quanto la peronospora alle viti. L'aggettivo «emblematico» usato dai presentatori culturali della televisione con la stessa irresponsabile leggerezza con cui gli agricoltori sfaticati irrorano di anticrittogamici le pesche. rivela in chi lo usa una ignoranza radicale (probabilmente irrimediabile) di ciò che la televisione è. Perché l'agget• tivo «emblematico» è il contrario dell'aggettivo «televisivo». In uno splendido vecchio libro (uno dei pochi. pochissimi libri di cui la

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