d'età giolittiana e l'apostolato scientifico di Zanotti Bianco, essa è giunta a conglobare oggi i risultati della migliore riflessione antropologica, dell'analisi giornalistica e di costume e infine della ricerca storiografica locale sotto il segno comune sl della polemica o, talora, del compianto, ma al riparo anche di un fatto emblematico e corposo come l'emigrazione di massa. Pur senza indulgere alle approssimazioni ché caratterizzano certi lavori stimolanti ma di fastidiosissima lettura o pur accettando, per converso, la provocazione di alcune imprese editoriali tanto «povere» e «selvagge», quanto da incoraggiare, rimane il fatto che proprio la presenza costante di un fortissimo flusso emigratorio dalla regione calabrese sembra lasciare irrisolti sul tappeto molti problemi e senza plausibile risposta molti interrogativi. 4. Le lotte per la terra Non vogliamo riproporre qui, pari pari, la classica equazione fra esodo incontrollato/procurato ed essenza della «questione meridionale», ma sta di fatto che ovunque si voglia porre la cesura del particolare decorso storico che avrebbe condotto all'avvento pieno del capitalismo nelle campagne del Sud e di nuovi equilibri nella sua compagine economico-sociale, ci si ritrova dinanzi a questo inquietante e sintomatico fenomeno. Ad esso. non a caso. si sono interessati per cent'anni molti scrittori calabresi. Ma anche lasciando da canto le remote esercitazioni letterarie ottocentesche o i bei romanzi di Francesco Perri e di Vincenzo Bonazza, sarebbe ugualmente pericoloso far cadere all'improvviso nel dimenticatoio le analisi che vi ha dedicato ad esempio, e a più riprese Paolo Cinanni, un autore della cui produzione recente vale la pena di occuparsi anche per altri versi. Essa verte infatti proprio sui problemi di cui si è discorso sin qui e non si sforza quasi mai di attenuare o mascherare un approccio «battagliero» che al Cinanni è già costato critiche frettolose. ma che personalmente riteniamo legittimo e produttivo. In due libri. il secondo dei quali «ricicla» un puntiglioso intervento comparso altrove (P. Cinanni. «Il riscatto delle terre pubbliche. Una strategia per i contadini italiani», in Hérodote Italia I. 1979, pp 118-137), Cinanni prende di petto e affronta l'intera questione delle lotte per la terra nel Mezzogiorno contemporaneo: sottovalutando forse l'importanza della loro più corretta periodizzazione. ma offrendo altresì una riprova di come non si possano considerare del tutto superatene, nemmeno sotto un profilo storiografico. le istanze soggettive e le caratteristiche culturali annosissime che ne accompagnarono l'incedere. Si tratta di lavori in cui indubbiamente una forte carica emotiva e una documentazione per lo più «di parte» convivono con la schiettezza rude degli enunciati e con intenti non celati di polemica nelle più varie direzioni. A noi, adesso. preme però di parlarne non tanto perché rappresentano un felice esempio di storiografia extra-accademica consapevolmente ispirata. quanto perché pongono alcuni importanti quesiti sulla storia delle classi rurali subalterne e dei loro rapporti col Pci nel Mezzogiorno a cui non ci sembra siano riusciti a dare completa risposta nemmeno altri autori sopra ricordati. Con la parziale eccezione del Tarrow (cit.) e ora, soprattutto, del Bevilacqua. nessuno. ad esempio. ha mai posto così direttamente come Cinanni la questione del rapporto fra Pci e masse rurali del Mezzogiorno, vincendo le tentazioni ricorrenti della più ingenua mitologia spontaneista e respingendo nel contempo gli allettamenti delle ricostruzioni che sempre più sprezzantemente. oggi. tendono a sbarazzarsi. con moto spontaneo d'insofferenza erudita. del problema s\orico costituito dalla coscienza che i contadini avevano dei propri diritti. La scrittura del Cinanni è passionale e col conforto anche delle considerazioni finali di Guido Cervati (pp. 229236) approda nel libro feltrinelliano a risultati. per tale verso. consistenti. Mediante una rievocazione puntualissima che non risparmia strali acerbi nemmeno alla fasce di neonotabilato del Pci. il partito a cui l'autore appartiene e per il quale guidò in Calabria molte fasi delle lotte agrarie sulle quali le sue ricerche si soffermano. Cinanni batte e ribatte. poi. il chiodo della «grande truffa» consumata ai danni di tanti contadini risultati «beneficiari» delle successive assegnazioni di terra. Sottolinea Cinanni l'incompresione e le amarezze a cui egli andò incontro anni addietro. persino all'interno del partito di cui era dirigente nazionale, per non aver voluto abbandonare alla loro sorte i contadini e per avere costantemente sostenuto in sede politica un punto di vista rivelatosi più tardi. attraverso le ripetute sentenze della Corte Costituzionale. validissimo e giuridicamente inattaccabile: «Infatti. ft. J.-.""•wi,. JOJ 1' I r"~ -.. #4"'-'Ca ...,......_i. ~ c.. 1"4.h.c. per il modo in cui hanno operato gli enti. rilevando i dati della grande proprietà da espropriare dai soli catasti (che la stessa giustizia non ha mai accettato come prova certa di legittimo possesso). gran parte delle terre 'espropriate' dagli enti di riforma erano e restano tuttora di 'qualità demaniale'. per cui i 'decreti di esproprio' ...che hanno operato su tali terre sono nulli; gli assegnatari stessi di tali terre. pur avendo pagato le quote di riscatto per 30 anni. risultano oggi soltanto degli occupatori abusivi di terre demaniali. mentre i veri usurpatori hanno avuto in compenso miliardi di 'indennità di esproprio'» (ed. Marsilio. op. cit. pp. 110-111 ). La responsabilità per questa «ingiustizia».-rileva Cinanni nell'altro suo lavoro. è anche di coloro. fra gli stessi comunisti. che si sono volentieri arresi e degli studiosi. magari d'uguale ispirazione e orientamento. che si limitano a scrivere «la storia in biblioteca, dando credito alle disposizioni cartacee che sono rimaste tali. senza essere riuscite a diventare realtà. a modificare. quindi. la realtà del Paese» (p. 92). Battendosi contro I'«amnesia politica» per cui nessuno più farebbe oggi riferimento al problema del monopolio terriero e della rendita fondiaria, Cinanni lamenta in sostanza la scomparsa nei piani politici della sinistra di un obiettivo già ritenuto storicamente maturo e indifferibile come quello della «vera» riforma agraria. E lo fa. sintomaticamente. appellandosi alla cultura. alla memoria e alle tradizioni della gente contadina del Sud. Se in questo suo assiduo recriminare egli rischia di apparirci irrimediabilmente datato (vecchio leninista. uomo. come l'illustre prefatore Terracini. della Terza Internazionale ecc.) ovvero ancorato anacronisticamente, per certi aspetti. alla tematica classica e logora dei residui feudali. è vero anche che esiste in lui la convinzione delle novità irreversibili introdotte nelle campagne meridionali dall'affermarsi del modo di produzione capitalistico e di una discontinua presenza dello Stato programmatore. Sorvolando sul fatto. non proprio marginale, che evita d'interrogarsi sui tempi e sulle modalità effettive di tale penetrazione. Cinanni ci sembra ponga con giusta ostinazione un problema riguardante non solo la Calabria. ma tutto intero il Mezzogiorno e cioè quello della matrice di fondo dell'azione per la terra sviluppata dalle popolazioni contadine. la cui memoria storica avrebbe determinato il movimento di occupazione dei suoli. nel ricordo appunto e nella rivendicazione degli originari diritti di uso civico. Su questo punto abbastanza nodale di tutta una questione interpretativa. la polemica di Cinanni contro gli storid -✓- • ...... v:~ ci di professione ed in particolare contro Rosario Villari si fa durissima, anche se andrebbe. a nostro avviso. mitigata. Se è vero infatti che costoro trascurano persino di prenderla in considerazione. trincerandosi dietro a formule verbali sbrigative e parlando con leggerezza della «rivendicazione delle terre demaniali usurpate» come di «un vecchio generico motivo di agitazione» (Villari. La crisi del blocco ... cii.. p. 135). è vero altresì che i residui feudali di cui parla Cinanni (ed. Feltrinelli. pp. 216-219) costituirono realmente un'importante fonte di diritto delle popolazioni rurali su tutto il territorio meridionale. Per l'esperienza che di problemi analoghi abbiamo maturato in altre zone. sicuramente anche più marcate da queste «reminescenze» oppure, ad esempio. dall'intreccio di alterità e integrazione (cfr P. Brunello. «Lenin a Susegana. Sulla storia delle classi subalterne». in Ombre Rosse 1980. n° 31. pp. 112-116) caratteristico dei comportamenti delle masse subalterne d'ogni tempo e paese. siamo inclini ad articolare e a sfumare in materia. molGiornale dei Giornali lo più di quanto non facciano. rispettivamente. Cinanni e i suoi contradittori. Troppo recisa ci appare. per un verso. la pretesa di cancellare «dalla storia del movimento contadino contemporaneo la categoria del ribellionismo spontaneo» (G. Giarrizzo) anche se a vantaggio del riconoscimento dovuto alla funzione «svolta dai partiti popolari non soltanto nell'orientare e organizzare le lotte contadine. quanto anche nel realizzare una funzione propulsiva nei confronti di masse prive di una salda tradizione organizzativa, socialmente frantumate. assai spesso dominate da bisogni elementari è immediati» (Bevilacqua, cit. p. 4). Ma non meno eloquente ci sembra, per un altro verso. la spirale viziosa in cui rimane invischiato Cinanni allorché ripensando l'impostazione data al movimento organizzato di occupazione delle terre. dopo il 1946. dai comunisti. la confessa e la depreca come errata perché ignara delle «spinte spontanee che sorgevano dalla coscienza dei diritti usurpati e dei torti subiti» (ed. Feltrinelli, p. 33). Mentre è sempre Cinanni che in pagine bellissime e dense di comprensibile commozione ricorda la natura e le dimensioni dello sforzo compiuto dai comunisti per far crescere il partito nelle campagne calabresi e per far avanzare. in forme organizzate. in tutto il Mezzogiorno la lotta per la conquista della terra. 5. D senso di DC Non meno sintomatico appare però. a questo riguardo. un aneddoto che Cinanni. nel libro edito da Marsilio. confina in nota (1.p. 65) e che narra .-(-.,I. delle terre demaniali di Montalbano Jonico dove ancora oggi nelle quote degli assegnatari della riforma agraria democristiana. si trovano gli antichi blocchi di pietra con su scolpito DC. Quelle terre. come quelle del resto di Melissa ecc.. si trovavano in possesso del barone Berlingieri ed un assegnatario si rivolse un giorno proprio a Cinanni per chiedergli lumi sul significato della scritta: «Cosa vuol dire? Democrazia Cristiana?» «No - gli risposi - vuol dire Demanio Comunale». Cinanni. affatto giustamente. commen~al'episodio facendo notare come la terra fosse dei «comunisti» rurali di Montalbano e come l'ente di riforma l'avesse «espropriata» per modo di dire corrispondendo la relativa indennità all'usurpatore Berlingieri. sicché dopo aver pagato le rate annuali di riscatto per trent'anni l'assegnatario «non sarà il legittimo proprietario se il suo possesso non verrà opportunamente sistemato con una nuova legge». Questi sono fatti. ma. nello stesso tempo. il dubbio del contadino che evidentemente immemore della memoria storica di classe scambia la sigla del demanio con quella del partito di governo democristiano, ci sembra pur esso indicativo. E tuttavia non lo è sino al punto da farci poi dimenticare altre circostanze su cui ancora Cinanni ha il merito d'intrattenersi sovente e con grande comprensibile emozione. La spirale di repressione e di riforme, ad esempio, che abbinò alla politica della maniera forte scelbiana l'abituale sfogo liberistico dell'emigrazione, oppure la stessa morfologia delle lotte (pp. 219-228), che videro impegnati organizzatori comunisti e lavoratori delle campagne in tutto il Mezzogiorno. massime a partire dal 1949 quando. il 3 giugno. proprio su impulso di Paolo Cinanni. prese avvio, durando oltre due settimane, in provincia di Cosenza. il primo sciopero a rovescio sperimentato dal movimento operaio italiano. In una storia di vita raccolta da Alasia e Montaldi. la biografia del calabrese Giosuè immigrato a Milano. (Milano Corea. Inchiesta sugli immigrati, Milano Feltrinelli 197512", pp. 189-180) ci sembra che si possa rinvenire la provvisoria ma suggestiva epigrafe di tante vicende e di tanti dibattiti. così politici come storiografici. che tuttora rimangono drammaticamente aperti: «Il 2 maggio J 955 40 disoccupati di Sant' Andrea. abbiamo formato uno sciopero alla rovescia per andare al lavoro di una strada che conduceva dal comune di Sant' Andrea al comune di San Sostene ...Noi tutti ci siano riuniti in piazza e siano partiti. picchi e pala. al mattino alle sette siamo andati sul posto di lavoro affinché qualcuno della Prefettura venisse ad assistere a questo sciopero ... Verso le 10 è intervenuta la Legge. C'era il Brigadiere e due carabinieri ... «..Arrivati noi ci hanno fermati con i mitra come se fosse arrivata una banda. Ci hanno chiesto dove andiamo. Noi ci abbiamo risposto: 'A lavorare'. La sua risposta: 'Favorite sulle camionette' ...Così ci hanno portato in carcere a Catanzaro. Bene che abbiamo fatto 10 giorni di carcere: però il lavoro è andato in vigore che si sono occupati 200 padri di famiglia per un anno. perché poi l'hanno messo sui giornali che ci avevano arrestati. Ma di quelli che siamo stati arrestati nessuno è andato a lavorare. solo che uno e per sette mesi. «Ancora io poi sono stato a casa fando qualche giornata quando la trovavo. che ci avevo il matrimonio prossimo che sposai il 9 agosto del '55. Sposato a spasso sempre che lavoro non ce n'era. 250.000 lire di debiti sulle spalle sono stato costretto dopo tre mesi che ero sposato. lasciare la moglie in Calabria ...Sono arrivato a Milano il 23 novembre. ho trovato acqua. pioggia. tutti i giorni giravo bagnato con un ombrello poco buono che mi aveva imprestato un mio amico. per trovar lavoro. Dormire dormivo in pensione da un mio paesano che davo 6.000 lire al mese e ci avevo pure la comodità di farmi da mangiare. Ci avevo tre mesi di pensione che io non potevo pagare e mi trovavo malissimo. Però il padrone di casa è stato così buono che delle sere mi dava anche un piatto di minestra. Così ho trovato lavoro e dopo due mesi e mezzo ho potuto mandargli i primi 5.000 lire alla moglie che stava giù.... > Osservaziosnui lmetodo I. Un bisogno vecchio di un secolo N on occorre fare un programma politico. né addurre di ciò le ragioni: il lettore le vedrà·subito da sé. Ci basta indicare in modo sommario a quali esigenze e con quali mezzi questo nuovo periodico si propone di soddisfare. «Non a tutti è dato abbonarsi a più giornali; ed uno solo o due. per quanto il formato sia esteso e la redazione diligente. non possono dar notizia di tutto. avendo ciascuno limitate fonti d'informazioni. Assai meno possono, per i rapporti che hanno colle parti politiche, riflettere ciascuno le molte e diA cura di Jndex-Archivio Critit!b de~'Informazione. verse opinioni sugli atti di governo ed i movimenti de' partiti. «Noi ci proponiamo di fare appunto ciò che gli altri per loro natura non possono: riferire. cioè. sopra ogni questione tutte le opinioni. di ogni avvenimento tutte le notizie. A tale scopo riprodurremo tutti i giorni. integralmente o in parte secondo l'importanza e lo spazio. gli articoli. le corrispondenze. le informazioni di tutta la stampa italiana sopra le quistioni e gli avvenimenti del giorno. Il nostro giornale li rifletterà. compendiati. tutti: esso può dirsi. esso è anzi il Giornale de' giornali». Così si apriva, il 16 dicembre 1878. l'editoriale del primo numero del Messaggero di Roma (la testata. per la precisione. era allora Il Messaggiero). Dunque l'lndex non ha inventato nulla di nuovo e il nostro Giornale dei Giornali risponde a un bisogno già individuato da più di un secolo: persino la coincidenza del nome. da noi coniato anni fa prima di venire a conoscenza dell'antico precursore. ha del sorpren- •dente. Nelle g1andi linee. il modo con cui quel bisogno veniva allora definito e gli strumenti individuati per soddisfarlo ci sembrano sostanzialmente gli stessi di oggi. Certo. oggi. in seguito allo sviluppo del sistema informativo e delle metodologie di analisi, diamo di quel bisogno e di quegli strumenti una definizione più approfondita. più sofisticata. meno empirica. Eppure il nocciolo rimane lo stesso. sicuro indizio che la «struttura profonda» del sistema informativo è rimasta sostanzialmente immutata. ponenedo già alla fine dell'Ottocento i J>roblemiche oggi ci stanno di fronte. È un indizio che vale la pena di seguire e di analizzare proprio per questa ragione . L'antico editorialista del Messaggiero proponeva una duplice spiegazione delle esigenze che un «Giornale de' giornali» doveva soddisfare. Tale spiegazione si basava su una premessa molto importante, anche se formulata in modo semplice e riduttivo: «Non a tutti è dato abbonarsi a più giornali>. La frase indica con chiarezza che l'accesso alla stampa. nella sua molteplicità di veicoli. era un privilegio, riservato ai ceti più ricchi. Non ci sembra che la situazione. da questo punto di vista, sia sostanzialmente mutata. Come è noto, in Italia si diffondono giornalmente cinque milioni di copie di quotidiani, meno di una copia ogni dieci abitanti. Non disponiamo di dati precisi in proposito. ma è certo che solo una ristretta minoranza della popolazione acquista più di un quotidiano. In linea di principio, una larga sezione della popolazione italiana fruisce di un reddito
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