si estende con estrema rapidità, e con caratteri abbastanza uoitari, in tutta l'Europa occidentale, trova dunque in Italia una situazione politica e sociale del tutto favorevole: una coalizione di governo in crisi e più che mai parali:l;- zata sul piano decisionale, un partito comunista «ghettizzato» nel sistema e incapace di scegliere con chiarezza la strada della socialdemocratizzazione a tutti i livelli (giacchè l'altra possibile, quella del partito «rivoluzionario» secondo il modello leninista, era già stata di fatto abbandonata da trent'anni almeno), un assetto istituzionale contradditorio caratterizzato da una costituzione avanzata ma soltanto in parte attuata e insieme da una legislazione ordinaria formulata negli anni trenta ed essenzialmente autoritaria (soprattutto nel rapporto Stato-cittadini), infine una società contrassegnata da arretratezze notevoli sia per la mancata attuazione di riforme dei servizi sociali e delle istituzioni pubbliche indispensabili in ogni società industriale sia per l'incombere mai scongiurato di nuove crisi economiche derivate dalla mancata soluzione dei problemi di fondo. Ha importanza relativa sul piano storico rispondere all'interrogativo se si trattò a questo proposito di una vera occasione perduta per il centro-sinistra e per la classe dirigente, come sostengono Salvati e Ruffolo, rispetto al sistema economico italiano. Certo è che la contestazione studentesca del '68, immediatamente seguita dall'aprirsi delle lotte operaie nelle grandi fabbriche del Nord, potette da una parte svilupparsi con straordinaria ampiezza grazie all'atmosfera nuova di maggior tolleranza del dissenso che in Italia si era consolidata negli anni del centro-sinistra ma dall'altra dovette fare i conti con una situazione a tutti i livelli assai confusa e contraddittoria, in un certo senso (per riprendere l'intuizione di Ruffolo) già portata alla «destabilizzazione». Quali fossero gli effetti della contestazione studentesca nel breve periodo non è facile, a distanza di pochi anni, accertare in maniera convincente ma ci sono alcuni giudizi formulati da testimoni e protagonisti del movimento che mi paiono equilibrati e persuasivi. «Non c'è dubbio - scrivono ad esempio Ciafaloni e Donolo su Quaderni piacentini nel luglio 1969-che la nascita del movimento studentesco del 1967-1968 ha modificato profondamente la situazione politica in Italia. Più esattamente ha imposto la ridefinizione di molti problemi politici, ha posto con urgenza imprevista richieste di soluzioni di alcuni problemi sociali e istituzionali, ha messo in crisi o almeno svelato senza equivoci la crisi latente di molte venerande istituzioni, anzi ha introdotto il problema generale della crisi istituzionale, politica, dei valori socio-culturali su cui si basa il sistema vigente come problema per la classe dominante e quella politica in particolare». Subito dopo aggiungono però che è un grave errore degli studenti quello di credere di far la rivoluzione facendo la contestazione. che bisogna esser consapevoli che Stalin è morto •ma anche Lenin è morto e che si può imparare piuttosto da Marx e dalla rivoluzione cinese. Al di là della parte propositiva e immediatamente politica, l'articolo di Ciafaloni e Donolo è forse la prima presa di posizione lucida e lungimirante sull'impasse in cui viene subito a trovarsi la contestazione degli studenti in un paese come l'Italia, di fronte a una classe politica che pare non reagire alla critica e darà segni di vita soltanto nell'anno successivo quando le lotte operaie «partite» nel marzo '68 saranno sfociate nel cosiddetto «autunno caldo» determinando una situazione di crisi della leadership padronale, la radicalizzazione inevitabile delle posizioni nel Pc (nasce il manifesto) l'estendersi del movimento antiautoritario a un gran numero di sedi e istituzioni della società nazionale. La caratteristica peculiare delle lotte operaie in Italia è ora quella di non puntare esclusivamente sui miglioramenti salariali e sulle relative garanzie normative ma - come ha notato A. Pezz-ino - «di mettere in discussione le condizioni di impiego del lavoro, attraverso una grande controffensiva alla 'razionalizzazione' degli anni sessanta: straordinario, mÒbilitàinterna. lavoro a cottimo, catene di montaggio; e, al di là di questi aspetti, investono in pieno il principio dell'autorità manageriale e di quelle dei quadri intermedi». Di qui non certo la nascita (che è assai interiore e si collega strettamente all'esperienza dei Quaderni Rossi negli anni cinquanta e al gruppo di Classeoperaia nel successivo decennio) ma la ripresa e l'espansione di un filone operaistico del movimento di contestazione, accanto a quello marxista-leninista (che dà vita a un vero e proprio partito di tipo staliniano come l'Unione che raccoglie un suo seguito effimero ma ampio) e accanto a componenti più eclettiche e meno definite che si legano all'una o all'altra situazione locale e culturale. 5. Nuovi elementi di contraddizione Le reazioni delle forze politiche istituzionali alla contestazione la dicono lunga sulle difficoltà che la pressione studentesco-operaia (cui si aggiungono presto movimenti di tecnici e quadri intermedi oltre che di fasce notevoli del pubblico impiego) genera in un equilibrio ormai saltato come quello della coalizione di centrosinistra, cui d'altra parte nulla si è sostituito malgrado i nuovi tentativi della Democrazia Cristiana di aprire a destra. Scuola e Università vengono lasciate allo sbando senza che si realizzi, a livello politico. un tentativo di riforma globale degno di questo nome. L'unica misura assunta dal governo nasconde dietro la vernice democratizzante una manovra essenzialmente demagogica, come l'esperienza successiva ha ampiamente dimostrato: mi riferisco alla legge di liberalizzazione degli accessi e dei piani di studio nelle università del dicembre I969 n. 91O. Quanto alle fabbriche, è dell'anno successivo l'approvazione in Parlamento di un provvedimento importante come lo Statuto dei lavoratori che peraltro si trova ad operare in un contesto economico e sociale arretrato. non adeguato alla concezione di fondo che la legge esprime, nell'assenza di un «patto sociale» effettivo tra le componenti del sistema, sicché partiti di sinistra e sindacati dovranno riflettere ancora una volta sulle contraddizioni irresolubili che comporta l'attuazione di riforme parziali, non coordinate tra loro né ingrado di operare in un contesto sociale equilibrato ed omogeneo. In questo caso. come in molti altri che non si possono qui analizzare, la classe dirigente invoca la supplenza politica della magistratura, della buroc;razia politica, di una stampa che dipende ancora per troppa parte dalle logiche di partito o dei potentati economici, accentuando quel processo di trasferimento di fatto di poteri politici ad organi dell'amministrazione o ad istituzioni della società non legittimati ad esercitarli che costituirà un fenomeno ancora più grave e macroscopico nell'ultimo decennio. A sinistra. l'esplodere della crisi introduce nuovi elementi di contraddizione senza risolvere i problemi di fondo già posti dalla svolta del '68: è possibile oppure no che sorga, a sinistra del partito comunista, una formazione politica in grado di unificare le componenti rigorosamente anticapitalistiche e operaie e di condurre una lotta contro l'assetto politico dominante. senza per questo abbandonare la legalità e le regole costituzionali? E ancora: può il partito comunista, accantonate tradizioni terzinternazionaliste e opzioni filosovietiche. imboccare con decisione la strada di un inserimento completo nella logica partitica e parlamentare (pur con tutti i mutamenti che questa logica sta subendo da molti anni a questa parte) propria delle democrazie di massa che caratterizzano l'Occidente capitalistico? La risposta a questi problemi è ancora una volta negativa. I comunisti rispondono alle polemiche della «nuova sinistra» con scarsa attitudine a comprendere, più preoccupati di parare eventuali falle politiche ed elettorali che di far dei passi avanti nell'analisi di un fenomeno complesso. D'altra parte non si può negare che i dirigenti dei movimenti collettivi del '68-'69 non riescono a tradurre istanze ed esigenze che nascono dal profondo di strati non irrilevanti della società civile in una domanda politica capace di pesare con efficacia nella situazione data. Il risultato di questa duplice insufficienza è grave giacché porta contemporaneamente a una emarginazione dei movimenti collettivi dalla lotta politica legale e in una delega al partito comunista e al sindacato di quelle istanze. Son prova di ciò i successi elettorali della sinistra storica nel biennio '74-76 e la carica di speranza accumulatasi sulle scadenze istituzionali di quegli anni. Coglie un aspetto centrale di questa contraddizione Carlo Donolo nel '77 quando scrive che «il Sessantotto è culminato nel '20 giugno». Un ideologismo di fondo poco attento alla peculiarità del caso italiano e intento invece a speculare su diverse letture del marxismo e del mito rivoluzionario socialista; un'ottica settentrionale e operaistica che ba teso a rappresentare l'Italia come un paese diverso dal reale; un'incapacità che si direbbe strutturale ad allargare le proprie basi sociali. Questi elementi ed altri, che qui non è possibile analizzare. hanno condotto il movimento di contestazione studentesca ed operaia a contare sul piano del costume come di alcuni valori esistenziali ma non a formulare una strategia unitaria e di medio periodo né a proporre alla sinistra istituzionale una prospettiva perseguibile attraverso gli strumenti propri della lotta politica legale. La classe dirigente democristiana ha avuto buon gioco, di fronte alla mancata saldatura tra vecchia e nuova sinistra. anzi di fronte al profondo disorientamento che ne ha caratterizzato l'azione negli ultimi anni, ad attuare - come hanno notato Tarrow e Ruffolo - una strategia opportunistica, da «classe intermediatrice> assai più che da classe dirigente, favorendo una ristrutturazione spontanea del sistema economico che ridà maggior potere ai grandi gruppi economici; attuando una sorta di disgregazione del governo dell'economia che accentua il metodo «additivo» e quello «spartitorio> nella disposizione e distribuzione delle risorse. Una politica che è di fatto l'opposto di qualsiasi politica di programmazione e di pianificazione organica dello sviluppo. A sua volta, il movimento sindacale ha scontato dal '76 a questa parte una notevole subalternità da una parte alle spinte corporative di categorie più forti e combattive, dall'altra. e nello stesso tempo, alle indicazioni strategiche del maggior partito della sinistra, consistenti a partire dal '73 nel tentativo di accordo stabile con la democrazia cristiana. In una simile situazione contrassegnata dall'immobilismo del centro (un immobilismo, intendiamoci, che è di per sé una scelta politica di conservazione, di continui aggiustamenti tattici volti a ricuperare lo spazio perduto nell'ultimo decennio) e dagli errori del movimento operaio organizzato come dei gruppi dissidenti, ma caratterizzata anche dalla crisi economica, da un alto tasso di disoccupazione e da una progrediente e spietata inflazione, nasce e si afferma nella prima metà degli anni settanta il fenomeno che domina oggi la vita politica (e non solo politica) del paese: il terrorismo organizzato. Tra le tante spiegazioni che sociologi e scienziati politici hanno fornito di esso, almeno nel caso italiano sembra più convincente un'interpretazione che da una parte insista sia sulle contraddizioni gravi a livello economico-sociale ma anche «culturali» in senso lato che caratterizzano la nostra società, sia sulla forte delusione che l'espansione politica e di costume del '68 non sfociata in conquiste generalizzate ha trasmesso a un'intera generazione; dall'altra sottolinei la «situazione di blocco> che si è determinata in Italia nell'ultimo decennio se per blocco si intende (la definizione è di Luigi Bonanate) l'incapacità del sistema politico «di svolgere i suoi compiti, se non in modo ripetitivo. di rinnovarsi adeguandosi a nuovi stimoli o nuove esigenze, di svilupparsi e di autoregolarsi». La difficile transizione del partito comunista da una tradizione leninista e rivoluzionaria a un riformismo amministrativo di marca socialdemocratica (con le peculiarità che lo separano dalla socialdemocrazia tedesca come dal laburismo britannico) influisce senza alcun dubbio sulla situazione di blocco cui si accennava. Ma occorre aggiungere che un peso assai maggiore sull'espandersi del terrorismo organizzato come della criminalità comune ha avuto il ruolo che nell'ultimo decennio ha giocato il partito di maggioranza relativa. detentore da trent'anni della gestione della cosa pubblica, al centro ininterrottamente di complotti e macchinazioni gestiti dai corpi separati dello stato come di casi gravi di corruzione politica. All'indomani dell'assassinio del giudice Alessandrini il 29 gennaio 1979. alcuni magistrati milanesi, a sottolineare il peso di quest'ultimo elemento. hanno affermato: «L'immagine della legalità è devastata dall'impunità concessa ai gruppi clientelari che hanno strumentalizzato al loro servizio i pubblici poteri e le risorse collettive. Questa degenerazione del sistema ha indotto un perverso meccanismo di avversione verso tutto ciò che è pubblico e un conseguente isolamento delle istituzioni. Anche da qui Io generarsi di un'illegalità diffusa e un terreno fertile per il terrorismo ... Ci impegniamo a reagire nella misura delle nostre possibilità alla dsgregazione sociale. dando fra l'altro una risposta più pronta ed efficace, oltre che alla criminalità organizzata, comune e politica, a quei reati finanziari, fiscali e valutari e a quella crimin<!Iitàcosiddetta dei colletti bianchi, che sono tra le cause della situazione di esasperata conflittualità sociale>. Campagn~,wmeridional Paolo Pezzino La riforma agraria in Calabria. Internoto pubblico e dinamica sociale in un'area del Mezzogiorno 1950-1970 Milano. Feltrinelli, 1977 pp: 252, lire 8.500 Paolo Cinanni Lotte per la terra e comunisti in Cala• bria 1943/1953. "Terre pubbliche" e Mezzogiorno Prefazione di Umberto Terracini - Considerazioni storico-giuridiche di Guido Cervati Milano, Feltrinelli, I 977 pp. 243, lire 5.5!)0 Lotte per la terra nel Mezzogiorno 1943-1953. "Terre pubbliche" e tra• sfonnazione agraria Venezia, Marsilio Editori, 1979 pp. 155, lire 4.500 AA.VV. C-pape emovlmeatocontadinonel Mezzogiorno d'Italia dal dopoguerra a oggi. Volume primo. Monografie regionali, presentazione di Francesco Renda Bari, De Donato, 1979 pp. 910. lire 28.000 Piero Bevilacqua Le campagne del Mezzogiorno tra fascismo e dopoguerra. D caso della Ca• labria Torino, Einaudi. 1980 pp. 462, lire 12.000 1. Cronache e storia L e cronache di marzo recano in scarso rilievo sui giornali una notizia che sembra proiettarci indietro nel tempo e che stimola alcune riflessioni in quanti si occupano delle campagne meridionali nel dopoguerra. A Minervino Murge 28 braccianti e studenti membri d'una cooperativa agricola sono stati assolti dall'accusa di avere illegittimamente occupato quaranta ettari di terreno comunale dopo che i mutamenti politico-amministrativi del giugno 1979 avevano determinato per essi il mancato rinnovo del contratto di affitto già concesso, in passato, da una giunta locale di sinistra. Sono aspetti della lotta di classe nelle campagne meridionali che ritornano e invogliano a rinverdire i termini del titolo apposto da Rita Di Leo a un suo libro di quasi vent'anni fa. R_enato Zangheri a proposito dei provvedimenti legislativi del biennio 1949-50 ha invece osservato: «Si dice che la riforma è stata fatta senza i contadini. Dovremmo evitare che senza i contadini se ne facesse pure la storia» (R. Zangheri, A trent'anni dalle leggi di riforma fondiaria. Un commento, in «Studi Storici• 1979, 3, p. 524). È un fatto che le leggi di riforma fondiaria sarebbèro abbastanza inconcepibili fuori dal rapporto che le collega ad un ciclo famoso di lotte contadine iniziatesi a guerra non ancora conelusa e smorzatesi appunto fra caute riforme, violente repressioni e grandi slanci emigratori sull'aprirsi della decade 1950. In forma diversa, utimamente, si sono incaricati di rammentarlo vari studiosi i quali in dibattiti e convegni e quindi in saggi e in libri, hanno avuto modo di ripercorrere le tappe della vicenda a cui risale quello «spostamento a sinistra di una parte considerevole delle masse contadine» meridionali che poi rimase «un dato costantedella situazionepoliticadel Mezzogiorno ed uno dei caratteri stabili della nuova geografia politica italiana> (R. Villari). Ma se un tale spostamento costitul, come si conviene, un indubbio successo politico del movimento contadino, i provvedimenti per la riforma agraria presi sotto l'incalzare delle occùpazioni delle terre da esso realizzate fra Iutti e sacrifici cruenti altro non comportarono, di fatto, che il trionfo di una linea di politica agraria moderata e l'affossamento definitivo di ogni prospettiva di cambiameto radicale del tipo caldeggiato dalla sinistra nel periodo della ricostruzione. Più o meno a queste conclusioni perviene lo studio documentatissimo di Paolo Pezzino che sottolinea inoltre. per la Calabria, come le leggi di riforma fondiaria abbiano siglato, in campo agricolo, il salto «dalla fase della ricostruzione a quella del rilancio e della ristrutturazione capitalistica> (p. 3I). Ciòrivelerebbe non solo la natura strumentale e il fine immediatamente politico dell'intervento governativo, ma anche, giusta una vecchia frase di Serafini e Ferrari Bravo, il «termine a quo del 'decollo' capitalistico del Mezzogiorno». «Si può ritenere infatti - scrive Pezzino (p.33) - che nelle campagne la penetrazione di forme capitalistiche avanzate si accompagni non alla scomparsa delle aziende contadine, o alla loro persistenza come residui di rapporti di produzione precapitali-
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