Alfabeta - anno II - n. 18 - ottobre 1980

t'anni dopo. Ma siccome su Stracciafoglio di Sanguineti e BlackouJ di Baiestrini mi è già avvenuto di pronunciarmi in altre occasioni. concentrerò qui l'attenzione sull'opera di Porta. N el suo caso, a dire il vero, qualcuno potrebbe subito lamentare la pretestuosità del volerlo riagganciare alla partenza cnovissima», oome ad agitare vecchi spettri sperimentali. Non si è forse riconosciuto, da parte di tutti i numerosi recensori, che quest'ultimo Porta ha ormai raggiunto una piena maturità e classicità, a modo suo, di espressione? Una felice autonomia, insomma. che lo sottrarrebbe a ogni dipendenza da ricette del passato. Cosi è senza dubbio, ma a patto di precisare che l'attuale felice disinvoltura e padronanza non sono state conquistate necessariamente ccontro» le impostazioni di partenza bensi al loro interno, procedendo col lasciar cadere certi grovigli irrisolti, certi punti di ingorgo e di oscurità eccessiva del disoorso. Ma le migliori armi del primo Porta ci sono ancora tutte. approfondite, affinate, rese appunto più sicure. Queste si possono forse individuare nel numero di due: l'abbassamento, la discesa agli inferi di un onirismo dove la più schietta corporalità si svela sottraendosi ai freni inibitori, e quindi svolgendo prorompenti, immediate pulsioni libidiche, sadiche, sensoriali in genere-fino ad attingere la concretezza e l'attualità di vere e proprieperformances. di esercizi, per cosi dire, a oorpo libero. E per altro verso, un tono prosastico di totale disinvoltura e quotidianità che serve a condurci sui luoghi delle manifestazioni e basse» quasi senza che ce ne accorgiamo, facendole apparire del tutto comuni, condividibili, nostre. Ecco perché nasce l'illusione che quest'ultimo Porta non sia più cosl provocante come quello del passato, proprio per tale straordinaria dimestichezza con cui ci introduce alla sua teratologia, ai suoi •associazionismi violenti. Onirismo quotidiano, in maniche di camicia, o anche «normalizzato». si potrebbe dire, in modo che non sappia di magia incantatoria, di spelonca stregonesca, di antro iniziatico. De re nostra agitur, il coinvolgimento del lettore è assicurato. Del resto. di una tale limpidezza strumentale portante (nel senso letterale: che porta sul luogo del delitto senza metterci in preallarme). Porta è consapevole. al punto da osservare: equi i miei versi diventano semplici e chiari». Eppure. se andiamo a vedere che cosa ci viene veicolato attraverso tanta chiarezza e semplicità. il panorama è appunto selvaggio, violento, onirico. non ci sono stati insomma patteggiamenti e rinuncie. rispetto agli ardori giovanili. In uno dei primi componimenti della sezione Brevi lettere compare per esempio un'auto che sbanda c ... tra lenzuola e cespugli inodori»; poi si parla di c ... una visita alle mummie:/ in cambio di carne fresca offrono monete d'oro». Chi può negare che i dati costituiscano un panorama di nessi sconvolti. di associazioni deliranti? (ma è il delirio quotidiano in cui tutti ci immergiamo nell'ora del sogno. o dovremmo farlo per ricaricarci, per e tocca.e terra»). Volendo, ritroviamo perfino i luoghi tematici cari a Erba e a Cucchi: «Ti scrivo dalla campagna dove era/ il giardino di delizie ...». Non è un caso, però. che qui il racconto sia al passato, ma soprattutto conta il seguito: «...si è stabilito un buco nero». Si tratta. letteralmente. di uno sprofondamento: il verso. e ilsuo carico di dolcezze intimistiche si inabissano. attingono una dimensione «altra». violentando i balletti tenui cari alla linea degli altri due poeti. E merita anche di notare, come tipico dello stile di Porta. il passaggio della fase discorsiva-normale a quella onirica-violenta: dall'una siamo trasportati nell'altra quasi senza che ce ne accorgiamo; una semplicità tranquilla e disarmante ci immette nel bel mezzo delle insidie e del pericolo. in totale assenza di cartelli ad avvisarci che stiamo valicando un confine. Naturalmente. è il corpo il dio violento che domina questa poesia, prendendo la rincorsa dai versi «semplici e chiari» che già in qualche modo lo preannunciano. Molti passi. in qua e in là. funzionano da dichiarazioni di poetica in tal senso« ... pronunciando queste parole divento corpo». Oppure «il corpo esiste. mio caro». E la sua esistenza è subito configurata con l'eros, sconfinante a sua volta in ogni altra forma di esercizio dei sensi. a cominciare. dal bisogno di cibo. dalla fame. L'amore è anche un «mangiarsi» reciprocamente. dove l'epressione non deve essere affatto assunta metaforicamente. ma nel modo più letterale e concreto possibile. Questa infatti una della delle conseguenze dell'onirismo di Porta: si sa bene che il sogno ignora il «come se». ma salta direttamente da un oggetto all'altro che gli sia associabile per qualche ragione. Del resto. la protagonista femminile della sequenza· di sedici componimenti intitolati alla Scelta della voce confessa apertamente: J ... io/ sono sempre molto affamata». Ne viené insomma la primarietà della fame come dell'eros. oltre che la loro sostanziale equipollenza: «... tu/ mi hai mangiato per farmi vivere», si legge ancora in un'altra poesia della sezione Scardanelli ha un occhio solo sulla fronte . Ma anche qui. per non far pensare a un'agudeza barocca, subito prima l'apparente metafora era stata collegata a un buon corrispettivo di solida antropologia culturale. ricordando che « ... i contadini nei tempi più antichi/ per non morire si mangiavano tra loro». S ta di facto che questa equivalenza (non metaforica) sesso-fame costituisce uno dei motivi-propulsori di Passi pasaggi, e ad essa si devono alcune tra le più belle e felici invenzioni. dove si raggiunge il solito collimare di un massimo di violenza e di un'estrema naturalezza. La voracia dei sensi e del sesso non ci appare affatto scandalosa. anzi. meglio così, meglio che esca allo scoperto, diradando le nubi, i miasmi della pruderie e della morbidezza. il «dire e non dire»: «se in risposta mi castro. mi ridi masticando lo scroto/ la mela del mio corpo conservato/ sotto la paglia dell'inverno».« ... ti offro/ gli occhi in un piatto a guardarti ... le mammelle recise/ a fette i prosciutti delle cosce». Questi gli acmi di eros-violenza. di aggressione diretta e drammatica; mentre in altri casi subentra un raffinato divertimento. o se si vuole. una tecnica di sapiente prolungamento, per cui dalla fame passiamo al suo succedaneo appunto protratto nel tempo. la golosità. col correlativo della gastronomia. Le prove d'amore declinano in ricette cu]inarie. anche se, per coerenza. si tratta pur sempre di una cucina povera ed elementare: «Io ti surgelo. ti consumo. fettino per fettino/ le dita a scottadito. che ti pare?/ gli occhi a uova all'occhio, non ti va?», ove si manifesta anche un Porta in formato più facile e godibile, impegnato altrove a fabbricare cantilene filastrocche di sapore infantile - una vena che nell'impegno «maggiore» del.la presente raccolta non viene sviluppata. Ma attenzione che a parlare di infanzia non si cada nelle sciroppose immagini del repertorio prefreudiano. Ancora una volta. siamo ben lontani dal «giardino delle delizie» della tematica crepuscolare; da un simile pericolo. ci mette in guardia un altro passopassaggio della omonima sezione centrale, dove viene precisato che se si accende «..l'idea di un minuscolo paradiso carico di frutti/ di ogni specie». questa «... non è una certezza è fame». Una fame che quindi diviene una pulsione perfino più lata. se·possibile, dell'eros, pronta a imprimere il suo sigillo su ogni fase ed episodio delle violente performances cui ci introducono i vari brani. Si veda la straordinaria invenzione, in una delle poesie della sezione Scardarelli ecc., in cui una coppia di cavalli degni di un racconto kafkiano (leggi. di onirismo domestico, «normale», fortemente evidente e presente) trascinano sulla neve «... un pane caldo appena sfornato e dentro il pane caldo/ un bambino dorme ...». Straordinaria natività di dolce violenza. di tenera crudeltà; e cosl via continuando con una serie inesauribile di ossimori. che non fanno altro che ridire l'ossimoro di fondo della poesia di Porta. fatta di una semplice, quotidiana. normale mostruosità. come rivela anche l'immagine finale del «cuore del bambino che pulsa ancora per poco e si gela». dove l'evento mostruoso si iscrive nell'ordine fisico delle cose. e questo a sua volta tiene a bada quello. gli impedisce di prevaricare. Ciò del resto è quanto succede in un'altra straordinaria performance che l'io narrante propone di sé: «Potrei anch'io offrire le mie viscere/ e lasciarle lì a palpitare sulla piazza». I sognicorp•~~dJeJllaparola Edoardo Sanguineti Smcàafoglio Milano, Feltrinelli, 1980 pp. 128, lire 4.000 Antonio Porta Passi passaggi Milano, Mondadori. 1980 pp. 148, lire 7.000 Maurizio Cucchi Le meraviglie dell'acqua Milano. Mondadori, 1980 pp. 92. lire 6.000 Valerio Magrelli Ora semata retinae Milano, Feltrinelli, 1980 pp. 108. lire 4.800 Nanni Balestrini Bladtomt Milano, Feltrinelli, 1980 pp. 72. lire 2.500 S e è vero che leggere poesia significa agire, intervenire sul testo per provocarne le potenzialità. non si può tuttavia raccontare la «lettura» senza imbarazzo. L'operazione risulta di necessità mediata, resa sospetta da meccanismi di verifica e controllo: già l'uso della parola, strumento-oggettodel discorso.impone del resto una neutralità fittizia. Tanto più se la poesia mette in discussione i margini della propria esistenza verbale. per consapevole eccesso di «umiltà» stilistica {è ti caso di Sanguineti), per progressivi interventi di «sospensione» {Magrelli). per un bisogno fisicodi appropriazione diretta {Porta, e in misura diversa Cucchi) o di dizione collettiva, apparentemente spersonalizzata (Balestrini). Casuale almeno la scelta dell'argomento, inizialmente suggerita da ragioni contingenti: la data di pubblicazione dei libri, usciti tutti nella primavera dell'80. Stagione fortunata, e non solo per esiti numerici: un Porta aggressivo e spoglio. straziato e ironico, un Cucchi più lontano dal cneocrepuscolarismo». in bilico tra fermezza e abbandono; e ancora lo «stupore• silenzioso e attonito di Magrelli, e certi accostamenti felici di Balestrini, o risvolti espressionistici della «cronaca povera» di Sanguineti. «poeta spretato». Scrittura come accumulo o sottrazione di dati dell'esistere, affermazione o ricerca: una poesia. si direbbe, che rinuncia alla parola come comunicazione differita, tramite fonico fra concetto e referente, e rivaluta la voce. il corpo. lo sguardo, i confini perimetrali del segno. il margine sfocato o deciso dell'immagine, sino ai limiti patologici della miopia (Magrelli) o della mutilazione (le «le dita recise». il «taglio della lingua» di Passi passaggi). Già lo «scriversi addosso» di Sanguineti, le sue «coliche lessicali: (e di poesia):» sono in verità tutt'altro che logorroiche, attraversate da uno stile basso. sottoumano. da un espressionismo demonico che fortunatamente equilibra le elucubrazioni-confessioni del «professore-deputato-vetero» in crisi di identità, che non trova di meglio ehe rispolverare acrostici e virtuosismi metrici: «vivo da topo: (vivo da vero topo): (che si mastica le croste):( con le sue dure/gengive ... » - «e:mastico e sputo:(mi aspetta, me lo sento, la mia trappola:/{di quelle da cantina, con il chiodo. per il cranio):/( e lì. cosl. poi, zàc. cràc):». Una sorta di iperrealismo che ricorda l'incarnazione grottesca e tragica della sezione 45 di Reisebilder ( cii corpo morto, di un viola cosi cattivo, che mi porto dietro con tanto sforzoJdentro un tappezzato corridoio cieco...») con più impotenza e lacerazione, imposta dalla «dieta psichica»della rinuncia («per quel mio incubo di quelle mie corde, invece, che me le strappo via dalla mia gola»). Ridotto drasticamente, con ironia indecorosa, lo spazio dell'«arte» {«mi tiro dietro questi versi come una porta. sbattendomeli, per chiudermici dentro:/perché. appunto, uno non può spezzettarsi troppo [...)mi tiro dietro questi versi come una catena [...)(che me li tiro come una sega. un po', però):)». i frammenti del vivere si allineano per un anonimo inventario (e(dico che vivo nel (e del) perpetuo. minuzioso recupero/di minuzie perdute di vita (e di vista))») che da Reisebilder (le «petites proses en poème») e Postkarten si ripete con insistita. caparbia monotonia. Le «sbriciolate gesticolazioni ossessionali» di Stracciafoglio lasciano tuttavia emergere qua e là, lungo il fitto e loquacissimo «monologo esteriore», un'energia spastica che riconduce la parola all'identificazione corpor<'!a («...perhcé il mio corpo è un testo, veramenteJvivente. da cima a fondo•). mentre sull'agenda planing. sorta di qiw vadis tascabile, si incidono gesti verbali. occasioni grafiche di una scrittura pronta a fagocitarsi, ripetendosi («chi scrive, scrive, Federico caro. e riscrive. il proprio testamento»). «Parole poche, pochissime», raccomanda il Cucchi de Le meraviglie dell'acqua: anche in questo caso si tratta di recuperare, da un accumulo verbale frammentario e dimesso (le «paroleJcioè. un po' stiracchiate» del Disperso. distribuite in indizi, appunti, inventari, didascalie) la dimensione delle pulsazioni materiche, del funzionamento organico. Ricerca faticosa. costretta a vagare tra brandelli epidermici e sedimentazioni intestinali («La pelle/si staccava dalla carne, si sminuzzavano/i polpastrelli in briciole...» - «Rosso e carico. gonfio,/eccomi. fatico/a respirare» - «i succhi interni. pappa vischiosa che.ristagna./ da assimilare. distribuire, espellere»). sospesa tra espansione («leggero come l'aria. più leggero dell'aria») e riduzione («Potrei restringermiJridurmi con lenta e metodica conquista/a vivere in un piede, in un occhio o in un orecchio;/in un polmone. Ambiti sicuri della casa»). interno ed esterno («oscillo incerto tra dentro e fuori» - «Proiettato sull'esterno ...»-«...le punte acuminate dello sguardo/proteso, verso il fondo dell'imbuto ...»). L a forza pulsionale delle sensazioni, fissate con «occhi trasparenti gonfi», si debilita nella proiezione del ricordo: ma alla memoria Cucchi non sa o non vuole rinunciare, pure confinandola in una lontananza che la rende remota. popolata di oggetti di latta (la ballerina. la rana che balla girando la chiavetta), tra gesti meccanici e scatti marionettistici, caricatura ironica di una impotenza reale («Ma lo slancio tendeva a trasformarsi in smarrimento ... o nel solito disagio inconcludente»). consumata tra laforghiani ritmi di organetto. facendo il verso (ma con quanta pena) a un crepuscolarismo intriso di torte Delizia e di funghi trifolati. di carrozze rosse e nonne I upo. A lungo andare, il circolare «un po' nell'ombra, un po' nella memoria». !'«ambiguo delirio» intacca l'integrità dello sguardo. corrode la fermezza del corpo («che resistenza potrà mai opporre/la pelle e non· piuttosto decomporsi, macerarsi ...»-«·...ho messo solo un piede/dove comincia l'ombra/e mi ha succhiato tutto»), suggerendo abbandono («sono/nel morbido cuore di un uovo caldo»). Più spesso però i segnali di Cucchi possiedono l'efficacia della notazione oggettiva, impersonale, straniata, attraversata da bagliori {«Mulano/gli oggetti. finalmente, si fanno/elettrici, più luminosi») e il «limpido Qblio del sogno» suggerisce fremiti verbali: se il corpo si sfalda, sarà allora per un vibrare della materia che incalza oltre i limiti «dell'osservazioneJdello studio acuto, impotente, fantasioso» verso un «graduale inarrestabile espandersi». Molecole di impressioni, scansione fluida di immagini, disposte lungo il percorso della spersonalizzazione, per esorcizzare gesti che «si ripetono, si ghiacciano», rivitalizzare rapporti intorpiditi: «guarda ...potremo/uscire...leggerissimi, conoscere il mondo?». Autocoscienza di un servo intitolava Porta una sezione di Week-end in cui la tematica dentro/fuori, vita/morte si irrigidiva sino all'automatismo di gesti essenziali, a loro modo emblematici («sto al di qua della finestra/e guardo quello che succede fuori» - «mi circondo di sbarre» - «non si può uscire in nessun modo» - «Ecco: sono già morto» - »). Le brevi letture '78, con l'asciutta successione di sequenze proiettate e di folgorazioni metaforiche, apparentemente paiono riproporre quei motivi: «rientrare a casa e farmi appendere per i piedi/con la finestra aperta a masticare farfalle» - « .. .le finestre aperte» - «dentro la casa» - « ... di qui si passa, ripeto/questo è un passaggio pronunciando/queste parole divento corpo e mi muovo/ i primi passi uscendo dalla finestra» - «Non ti muovi no non mi muovo»-«ma fuori della stanza non si va/non si esce dalla finestra oppure si/mi muovo...» Ma Passi passaggi si situa al di là dello schematismo e dell'atmosfera e

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