costitutiva del mondo, le trovo come qualificazione de/l'esistenza. «Sembrerà strano che io mi accinga a trattare i vizi e Lestoltezze degli uomini con procedimento geometrico, e voglia dimostrare con ragionamento certo cose che essi non cessano di proclamare ripugnanti alla ragione, vane, assurde e orrende. Ma ecco qual'è la mia argomentawne. Nulla avviene nella natura che si possa attribuire ad un suo vizio; giacché la natura è sempre Lamedesima, e la sua virtù e potenza d'agire dappertutto una sola e medesima ... Tratterò dunque della natura e della forza degli Affetti e del potere della Mente su di essicon il.medesimo Metodo con cui ho traltatonelle parti precedenti di Dio e della Mente, e considererò Leazioni e gli appetiti umani come se si trattasse di linee, di superfici e di corpi». In secondo Luogo, Lacollocazione dell'uomo nella conoscenza: descrivo il. mondo in maniera convenzionale, attraverso nozioni comuni, ma presto - nella misura stessa in cui vado sempre più adeguando idee e realtà-colgo la realtàcome processo unitario e ad esso applico, coscientemente, Lamia ragione. Tra L'immaginazione e L'intuizione,non costruisco in talmodo solo Laveritàma anche Lamia libertà. La verità è libertà, trasformazione, liberazione. La potenza metafisica della collocazione umana è la stessa cosa del metodo di trasformazione che discende da quell'azione unitaria che è prodotta da ragione e volontà. « Per virtù e potenza intendo la medesima cosa; cioè La virtù, in quanto si riferisce all'uomo, è l'essenza stessa o natura dell'uomo, in quanto egli ha il.potere di fare certe cose che si possono intendere solo mediante le leggi della sua natura». Detto questo, Lapotenza appropriativa dell'essenza umana comincia a rivelarsi con estrema chiarezza: le condizioni si sono riunificate, - metafisicamente, formalmente. Debbono ora unificarsi attualmente, in maniera determinata, per permettere di considerare il processo costitutivo non solo come trama generale del/' esserema come genesi, potenza in sviluppo. Di nuovo immaginazione, passione, appropriazione: ma garantite dal non cadere nel circolo vizioso della filosofia seicentesca,preparate invece a dominare L'immediatezza e a costituire direttamente Larealtà del mondo. L'essenza dell'uomo. «Questo sforzo (conatus), quando è riferito so/Jantoalla Mente, si chiama Volonlà; ma, quando è riferito insieme alla Mente e al Corpo, si chiama Appetito; questo, quindi, non è altro se non la stessa essenza dell'uomo, dalla cui natura segue necessariamente ciò che serve alla sua conservazione; e quindi l'uomo è determinato a farlo. Non c'è poi nessuna differenza tra I' appetito e la cupidità, tranne che la cupidità si riferisce per Lopiù agli uomini in quanto sono consapevoli del loro appetito, e perciò si può thfinire così:la Cupidità è l'appetito con coscienza di se stesso. Risulta dunque da tutto ciò che verso nessuna cosa noi ci sforziamo, nessuna cosa vogliamo, appetiamo o desideriamo perché la giudichiamo buona; ma, al contrario, che noi giudichiamo buona qualche cosaperché ci sforziamo verso di essa, la vogliamo, l'appetiamo e La desideriamo». L'essenza dell'uomo è quindi «appetitus»: il.mondo è qualificato dall«appetitus> e dalla «cupiditas». L'unità della ragione (intelletto e volontà) e l'unità della ragione e del corpo vengono proposte assieme. Perciò l'appetito e Lacupidità qualificano. Ma qualificare è una potenza costitutiva statica. Mentre Ladeterminazione costitutiva che l'uomo dà del mondo è dinamica. L'orizzonte sul quale la potenza costitutiva umana si libera è aperto. li mondo è quello che non è ancora. È L'avvenire. È questa proiewne. Anche questo è essenza umana, elemento fondamentale della defi:tizione. «La Cupidità è l'essenza stessa dell'uomo in quanto da una sua qualunque affezione data è concepita come determinata a fare qualche cosa». Cupidità sta in Spinoza per passione, ma insieme per appropriazione: «l'appetito è l'essenza stessa dell'uomo in quanto è determinata a fare le cose che servono alla sua conservazione>, vale a dire che La cupidità spiega l'essenza dell'uomo nell'ordine dinamico della riproduzione e della costituzione. È davvero una filosofia positiva, durissima nel suo rigore costruttivo, quella che viene formandosi. Unafilosofia della gioia, come qualche Lettorel'ha voluta chiamare? Probabilmente. Certo è che qui abbiamo finalmente raggiunto una base di ricostruzione che ha dilatato a dismisura la nostra prospettiva, sia in termini Logiciche in termini etici. Ma v'è dell'altro. L'uomo, l'abbiamo visto, non è «uno Stato nello Stato>. La natura non è uno Stato confederato e confuso nella sua costituzione, come lo sono i Paesi Bassi. È un'entità collettiva, invece, un processo che vede l'individualità umana costituirsi essa stessa come entità colleuiva. « Per cose singolari intendo Lecose che sono finite e che hanno un'esistenza determinata. Che se più Individui concorrono in una medesima azione in modo che tutti siano insieme causa di un medesimo effetto, io li considero tutti, per questo rispetto, come una sola cosa singolare>. Questo passaggio, già appunto logicamente precostituito nel II libro dell'Ethica, ha qui ora un rilievo eccezionale. La determinazione materialistica del processo costitutivo viene infatti caratterizzata da questa ulteriore modalità: il. collettivo, Lamoltitudine. Dal punto di vistastorico, Larottura con il rigido individualismo delle concezioni generalmente diffuse nel pensiero seicentesco, ed in particolare con quella hobbesiana, diviene totale. Dal punto di vista sistematico, la determinazione spinoziana del collettivo ha effetti poderosi: essa infatti permette alla concezione dellapotenza di svilupparsi in maniera integrale. Supponiamo che Lo sviluppo della vita passionale e sociale non sia immediatamente articolato allo sviluppo del collettivo: ne deriverebbe una configurazione etica e sociale nella quale, all'efficacia costitutiva della potenza, si opporrebbe validamente, come unica possibilità determinata, L'unificazione logica o politica, comunque trascendentale, del processo delle individualità. Ma questo è contro Lepremesse spinoziane: il.processo costitutivo non è immaginabile fuori dall'ipotesi di una sua interna qualificazione collettiva. «Nessuno potrà percepire correttamente ciò che voglio dire, se non si guarda accuratamente dal confondere Lapotenza di Dio con lapotenza umana dei Re o col loro diritto>. Che è dire: non è possibile lo sviluppo della potenza divina del mondo, della tensione appropriativa che si esprime dalla individualità, se pensiamo-come s'allude attraverso la metafora assoluti· sta-che questa potenza possa esseregovernata o ordinata a mediazioni trascendenti o trascendentali. La metafora della regalità divina corre nella filosofia del secolo, ed inparticolare in quella cartesiana, a segnare l'impossibilità di una mediazione ontologica dell'unità e della molteplicità. E si tenga presente che il.concetto del collettivo non è altro che una determinawne - ontologica - del rapporto molteplicità-unità. li rifiutospinoziano della metafora regale, assolutistica è dunque segno dell'acquisizione del collettivo come soluzione ontologica. Il «decreto», nel quale si unifica - o, molto meglio, si esprime - L'unitàoriginaria, la «simultaneità della Mente e de/L'appetito», - questo autodecretarsi (sincronico) della natura che fa piaua pulita di ogni parallelismo, vale anche sul piano diacronico, dove il colleltivo è forma «simultanea>della costituwne temporale dell'uomo. È fondamentalmf!nte la volontà, nella sua sintesi dinamica con l'intelletto, che impone questa rivelazione del procedere della ragione, dall'individuale al collettivo, senza soluzioni di continuità che non partecipino della meccanica interna del passaggio, della fisica della qualificazione, per il fatto stesso che l'essenza d,elprocesso è attiva ed espansiva. Il materialismo costitutivo ed espansivo della potenza esige dunque una determinazione collettiva. Con ciò il complesso delle condizioni costitutive ha raggiunto il più alto punto di fusione. Concludendo. Appropriazione verso costituzione: tutte le condizioni sembrano dunque date ad un livello di fusione che diventa esso stesso determinante e qualificante la figura della potenza e della sua azione nel mondo. Se ora riguardiamo per un momento quello che sembra essere il documento più appassionato della polemica spinoziana contro il finalismo, la Appendice della Parte I del/' Ethica, avvertiamo quale rilevanza abbia il passaggio cui assi.stiamo. L'ani· mus polemico del/' Appendice è infatti svolto ora, attraverso le idee di appropriazione e di costituzione, in animusproduttivo. L'alternativa nella concezione della verità non consiste più nella scelta tra il paganesimo finalistico e l'affermazione della norma in sé che le verità matematiche contengo!'lo, - consiste bensì in un ulteriore passaggio: dalla verità in sé alla verità costitutiva, dall'adeguazione dell'intelleuo e della cosa alla funzione adeguata della costituzione materiale. «Le Leggi della natura sono tanto ampie da bastare a produrre tulle le cose che possono essere concepite da un intellello infinito»: le condizioni di questo auspicio, che rappresenta uno dei punti più alti cui sia pervenuto il primo strato dell'Ethica, sono ora date come presupposti operativi. 3. Forza produttiva: un'antitesi storica Torniamo al conce/lo di appropriazione, vedendolo questa volta in stretto riferimento a quella coppia «passione-interesse» che, con la nascitadell'economia politica, verràponendosi al centro della teoria in maniera esclusiva. Ora, la corposità di ques/a coppia consiste nellasua determinazione storica: economia politica, borghesia, capitalismo, -categorie tutte addirittura impensabili fuori da una fondazione passionale, dove l'interesse egoistico e la sua validazione non costituiscano l'elemento fondamentale. In tempi a noi più vicini, siamo man mano giunti al punto di escludere dalla modernità quel 4101/a, 1k _..:... .i-.L-f>·u,. J.~ j-~- L" --f-'"•~....,.._ pensiero che non assuma L'interesse, o almeno La materialità della passione, come ingrediente teorico determinante. In ciò corrispondendo alla realtà: se la storia moderna è storia della genesi e dello sviluppo del capitale, La tematica della passione-interesse la tesse strutturalmente e rende effettua/mente insignificante ogni pensiero, tanto più ogni posizione metafisica, che dall'interesse come Lavoro per Latotalità tenti di sganciarsi. Eppure, detto tutto questo, non abbiamo risolto Laserie di problemi che insorgono attorno al concetto di appropriazione, -né la dovizia di bibliografia ha la capacità di togliere i problemi. E allora: non sarà che la riduzione di appropriazione ad interesse sia un'operazione indebita, del tutto apologetica, mistificante e, inoltre, postuma? Eccoci al punto: l'analisi dell'estensione è dell'intensità, la capacità di applicazione e la determinazione storica della categoria «appropriazione». Ora, se appropriazione significa rivoluzione nelfordine dell'ideologia e della vita stessa dell'evo moderno, qualificando infatti una concezione umanistica di conquista della natura e di trasformazione del mondo, che apartire dal tardo Medioevo esplose e si impose nella storia della civiltà occidentale, - pure, partendo da questa epocale ed enorme estensione, il. termine categoriale viene affinandosi e determinandosi, assumendo significati alternativi e qualificando, nella parabola storica che descrive, differenze non solo ideali. Nel Seicento ci troviamo a/l'origine della generale estensione del termine ma, nello stesso tempo, all'origine della sua diversa ed alternativa qualificazione. Appropriazione, infatti, è il trascendentale della rivoluzione capitalistica, la trama del nesso di sussunzione che la definisce: la capacità pratica, Laforza costruttiva assumono le condizioni naturali, Lerendono astratte e circolanti, le trasformano in seconda natura, in nuova forza produttiva. Appropriazione è sinonimo della nuova forza produttiva. Ma questo nuovo mondo si presenta come forza unitaria e universale solo in termini ideologici: di fatto, stru11uralmente è 1m mondo scisso. Quando le p~ime crisi insorgono, quando l'ideologia e la sua enfasi collettiva si dissolvono, la realtà mostra l'appropriazione ridotta ad interesse egoistico e la rivoluzione capitalistica come conservazione politica o mera trasformazione funzionale delle strutture del dominio. La rivoluzione è piegata alla mediazione e la mediazione ordinata alla ricostruzione del dominio. Mentre l'appropriazione rimane il trascendemale delle forze produttive, la tematica degli interessi registra con efficacia il Livellodei nuovi rapporti di produzione. Nell'andamento ciclico dello sviluppo capitalistico, forze produttive e rapporti di produzione pervengono a disporsi in contraddizione: una contraddizione che, sola, permette di leggere i secoli successivi. Ma la filosofia non si turba! Questa fondamentale contraddizione, che la realtà sempre più drammaticamente registra, corre accamo al corso maestro della storiografia filosofica. La razionalità, il valore, la creatività risiedono tutte nell'esaltazione dei rapporti di produzione capitalistici: le forze produttive e le contraddizioni che da esse promanano, vengono comprese solo come marginalità al processo filosofico. Avremo naturalmente forme di mistificazione più o meno inclusive e potenti: l'idealismo tenta la mistificazione tout court dell'identità di forze produttive e di rapporti di produzione, ripete senza interruzione - ipostatizzandola dolosamente a frome della crisistrutturale del rapporto-l'illusione, originaria e rivoluzionaria, dell'unità della produzione capitalistica. L'empirismo produce invece disincantamento rispetto all'ideologia ma cinicameme accetta l'inversione della terminologia esplicativa e tenta di giustificare le contraddizioni dei rapporti di produzione attraverso la considerazione dell'efficacia del loro sviluppo. Di contro: è possibile descrivere una continuità di rifiuto e di ribellione, a fronte di queste compassate sintesi storiche? È possibile vedere l'andamento reale della lotta di classe, del sempre necessariamente riemergente movimento delle forze produnive, disegnare (nell'ambito della stessa metafisica) un cammino di rifiuto e di devianza, di distruzione della mistificazione e di alternativa teorico· pratica? Esiste un corso di pensiero che, muovendo dalla rivoluzione umanistica, assumento la centralità antropologica del concetto di appropriazione, nega la crisi della rivoluzione e rifiuta di piegare l'appropriazione all'ordine dell'interesse capitalistico, all'individualizzazione ideologica del suo movimento? E riafferma invece la potenza materiale, colle11ivac, ostitutiva dell'appropriazione? Se ci si tieneallastoriografia filosofica consolidata, tutto ciò non è ammissibile neppure come questione elegante. Eppure, con tutta la sua prosopopea, con tutto il continuo e febbrile lavorio di aggiustamento critico che opera, la storia della filosofia non riesce a nascondere i buchi neri, i troppi vuoti della sua capacitàdimostrativa. Ed anche la retoricafilosofica su questi buchi neri inciampa, quando non precipita. Tanto più a fronte di Spinoza. La metafisica di Spinoza è infatti la dichiarazione esplicita, a tutto tondo, dell'irriducibilità dello sviluppo delle forze produttive ad un qualsiasi ordinamento. Tanto più all'ordinamento della borghesia. La storia dei rapporti di produzione deve privilegiare il Seicento, necessariamente, perché in questo secolo la purezza delle alternative ideologiche che accompagnano la genesi capitalistica è piena. Ora, com'è noto, nel Seicento la linea vincente èquella che, più tardi.sarà chiamata «borghese». Lo sviluppo capitalistico - si sostiene-, a fronte del primo insorgere della lolla di classe, deve mediarsi con lo Stato: di fatto, esso media con i vecchi ceti di governo, imponendo Lorouna nuova forma - razionale e geometrica - del comando, l'assolutismo. Ma, insieme, la borghesia nascente compie un'altra fondamentale, complementare operazione ed è quella di rendere dinamici i termini della mediazione, definendo un'articolazione a fronte dello Staio: la società borghese, come terreno dell'indipendenza, dell'autonomia o della separatezza relative dello sviluppo capitalistico e della slessa borghesia come classe. L'essenza si vuole prima dell'esistenza. Un'astrazione totale, la divisione della società dalla Stato, viene affermata allo scopo di determinare la dinamica dello sviluppo borghese. L'essenza della borghesia sarà sempre separata dallo Stato: lo sarà anche quando avrà determinato il massimo di egemonia sullo Stato; non dunque perché essa possa effeltivamente porsi contro LoStato (ma ha qualche senso porre in termini di realtà un problema la cui base è pura finzione?) ma perché essanon può identificarsi con nulla, se non con la propria forma di mediazione potente delle forze produttive. La borghesia sarà di volta in volte «per» o «contro» lo Stato, sempre sul ritmo del suo essereforma improduttiva (altrimenti della: rapporto di produzione) dell'organizzazione per il dominio delle forze produttive. Perché, dunque, essa è da sempre classe dello sfruttamen:o. Ma lo sfruuamento capitalistico è comando di un rapporto, è funzione di un'organizzazione, - è mediazione, sempre e solo mediazione delle forze produttive. È l'individualità dell'interesseche si sovrappone al processo col/euivo dell'appropriazione - trasformazione più costituzione - della natura da parte delle forze produttive. È mistificazione del valore che privatizza Larealtà dell'estrazione del plusvalore. È feticismo contro forza produttiva. Hobbes • Rousseau • Hegel. Come abbiamo già accennato, è fondamentalmente attraverso questi tre apici che la mistificazione borghese raggiunge la sua perfezione. In Hobbes la categoria di appropriazione associativa (colletiva) è tradotta, tanto paradossalmente quanto efficacemente, nellasoggezione autoritaria al sovrano, il meccanismo di produzione del plusvalore si affida al feticismo del valore. In Rousseau la traslazione autoritaria delle forze produttive alla sovranità viene democraticamente mistificata e l'alienazione assolutamente santificata. Di qui si scatena la congiunzione del dirillo privato e della forma assoluta del diritto pubblico, la fondazione giuridica della diuatura del capitale. Hegel toglie il paradosso, lo dialettizza, lo distribuisce entro momenti di autonomia relativa, restituiscead ognuno il suo margine di lavoro per esaltare nell'asso- /uro la condizione alienata, per ricomporre nella totalità dello sfrut· tamento l'illusione della libertà di ciascuno. In ogni caso, lapreliminare distinzione dellasocie1àborghese dallo Stato diviene un orpello della teoria: una finzione appunto che il processo storico della teoria ha dovuto ammeltere e del quale ora si sbarazza, raggiunta lamaturilà del dominio: è dunque lo Stato che produce Lasocietà civile. Né cambierebbe nulla se, come nelle correnti empiristiche, la distinzione fra società borghese e Stato fosse tenuta ferma, perché la maggiore o ~ minore autonomia della società borghese non incide sulla natura "' della definizione della borghesia: in ogni caso classe di mediazione "" "ò'o per lo sfruttamemo, - non forza produttiva ma rapporto di produ- "' zione. ~ ILpensiero di Spinoza è la preliminare demistificazione di tutto ~ ciò. Non solo perché è lapiù alta, metafisica affermazione della forza ...., produ11ivadell'uomo nuovo, della rivoluzione umanistica, ma anche ]; perché è la la negazione specifica di tutle Legrandi finzioni che la g borghesia stende a mascherare l'organizzazione del proprio domi- e nio. Nella fattispecie, in Spinoza non esiste la possibilità di fissare il ~ rapporto di produzione indipendentemente dalla forza produttiva. IL t: rifiuto del concello stesso di mediazione sta a fondamento del pensie- ~ ro spinoziano. Ci sta nel momento del suo sviluppo utopistico, in ~ questo registrando la generalità e la qualità del pensiero moderno <!:!, nella sua genesi rivoluzionaria. Ma ci sta anche nella forma matura, <i
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