Alfabeta - anno II - n. 18 - ottobre 1980

È questa una riaffermazione dei risultati del Trattato teologico. Essa contiene un enorme potenziale: sganciandosi dal contratto di soggezione, il meccanicismo cambia natura, il pensiero genetico diviene pensiero produttivo, su di un orizzonte che la «potentia» tiene aperto. Ma questa affermazione raggiunge il suo pieno significato ed il suo adeguato sviluppo solo se riportata ad un quadro metafisico che ne renda possibili le condizioni. E infatti il secondo punto è subito posto: se solo un quadro metafisico di superficie permette la libertà, allora lafondazione dellapotenza deve raccogliere in sé l'espansività globale della divinità nel mondo. «Quanto alla dimostrazione da me adottata nell'appendice ai Principi di Cartesio geometricamente dimostrati, che Dio non si può, se non molto impropriamente, dire uno o unico, rispondo che una cosasi può dire una o unica soltanto rispetto all'esistenza, ma non a/l'essenza; poiché le cose noi non le possiamo concepire numericamente, se non quando siano state condotte a genere comune. Colui, per esempio, che tiene in mano un sesterzio o un imperiale, 11011 penserà al numero due, se non in quanto l'uno e l'altro si possono indicare con lo stesso nome, ossia denari, monete, e allora potrà dire di avere due denari o due monete, perché sia il sesterzio che l'imperiale si possono designare col nome di denari o monete. Di qui si vede dunque chiaramente che nessuna cosa si dice una o unica, se non dopo che se ne sia concepita un'altra che, come s'è detto, conviene con essa. Ora, siccome l'esistenza di Dio è la sua stessa essenza e della sua essenza 11011 possiamo formarci un'idea universale, è certo che colui il quale chiama Dio uno o unico, 11011 ha di Dio un'idea vera, e ne parla impropriamente». La divinità è tale che diviene pleonastica lapredicazione dellasua unità. Anche l'ultimo segno della tradizionale figurazione teologica della divinità viene meno. Quello che corrispettivamente appare è invece il contesto della infinita potenzialità prodoua dal divino. Un orizzonte totale che non riconosce più neppure una trascendenza logica. Il divino è il complesso della forza potenziale. Qui ilpensiero di Spinoza si è fauo interamente pensiero della superficie. Terzo punto: l'esplosione estensiva dell'idea della divinità implica - e qui la prospettiva politica è fondamentale nel suggerire ed organizzare l'approccio - la dislocazione del punto di inserzione metodica. Su questa totalitàdivina è la determinazione concreta che è in gioco. Ora, «quanto al fatto che la figura è una negazione, e non alcunché di positivo, è evidente che l'intera materia, considerata come indefinita, non può avere alcuna figura e che la figura può aver luogo soltanto nei corpi finiti e determinati. Infatti, chi dice di percepire una figura, non dice con ciò niente altro se non che concepisce una cosa determinata e in qual modo essa sia determinata. Questa determinazione, dunque, non appartiene alla cosa per se stessa,ma al contrario appartiene al suo non essere. Poiché, allora, la figura non è che determinazione, e la determinazione è negazione, la figura dunque, come si è dello, non può esserealtro che negazione». li paradosso del mondo, fra unità e molteplicità, non è più tale: la sua dilatazione metafisica dà luogo alla determinazione concreta. Il concreto, come unico terreno di realtà, è frutto della determinazione paradossale. Si badi bene: qui, l'importanza del passaggio non è certo fissata dal fatto che la negazione specifichi il principio di determinazione. Questo rapporto negazione-determinazione lo conosciamo fin dal Breve trattato. L'elemento fondamentale del passaggio che ora si dà (già anticipato ma solo allusivamente da/I'Epistola XXXVI/), consiste in ciò: che «negazione» non è più souoposta a privazione, che la determinazione non si coglie più come elemento di un meccanismo di degradazione e/o di opposizione metafisica, comunque non dentro la relatività dei segmenti della totalità. «Non apposita sed diversa». Il male, l'errore, erano sempre stati schiacciatisul terreno, precostituito dal ritmo emanativo, di una negazione intesa come rapporto, come relatività, come privazione. Ora il metodo permette di volgersi alla determinazione nella sua immediatezza concreta, per svolgersi poi verso la totalità. La negazione è assoluta: determinazione, appunto, - non traslazione di significati metafisici. Come può diventare trasparente l'essere, davanti a noi! Ma questa volta non sono la trasparenza e la versatilitàdi una totalitàoggelliva, com'era la cosa nel regno dell'utopia: è invece l'ipotesi della connessione metodica ed ontologica costruita, della conoscenza chiarificatricee costitutiva. Persuo mezzo, «glispellri o gli spiriti», che il volgo immagina rivelare lamateria e lasua vitalità,possono essererimossi: perché noi chiamiamo «spettri le cose che ignoriamo», ma, non appena la ragione entra in campo, qualsiasi concezione del mondo che sia meno che necessariae rigorosa nell'adeguare costitutivamente la ragione e l'essere, ci appare come oggetto di superstizione e di ignoranza. L'essere è trasparente perché la conoscenza è adeguata. Non v'è alcuna mediazione fra il finito e l'infinito, non c'è alcun libero arbitrio che medi il necessario e il fortuito, non c'è alcuno schermo fra la verità e l'esistente. Qui allora l'essere è trasparente nellasua determinazione, in quanto è sempre determinato ed esclude ogni mediazione produttiva della determinazione. «L'autorità di Platone, di Aristotele e di Socrate non ha per me gran valore. Sarei stato molto sorpreso se mi aveste citato Democrito, Epicuro, Lucrezio o qualche altro atomista o sostenitore dell'atomismo. E non bisogna stupirsi che coloro i quali hanno ragionato intorno alle qualità occulte, alle specie intenzionali, alle forme sostanziali e a mille altre sciocchezze, abbiano escogitato gli spettri e gli spiriti e creduto alle sibille al fine di sminuire l'autorità di Democrito, di cui invidiarono a tal punto la celebrità da bruciare tutte le opere che egli aveva pubblicato con tanto merito. Se voi avete intenzione di prestar fede a tutte queste cose, come potete poi rifiutare i miracoli della Santa Vergine e di tutti i Santi, riferiti da tanti e celeberrimi filosofi, teologi e storici, che si possono citarea cento contro uno degli altri?». Un vero e proprio orizzonte materialista costituisce, con la trasparenza de/l'essere e la sua superficialità, la possibilità di agirlo laicamente. Qui il discorso può chiudersi. La dismisura che - nel rapporto con l'andamento generale del pensiero politico e filoso fico del secolo - caratterizza in maniera relativa il pensiero spinoziano, comincia infatti ad emergere in termini assoluti. Il movimento metafisico della costituzione, approfondendo le proprie condizioni, perviene a definire un orizzonte materialistico. Ma, appunto, costitutivo. Non dobbiamo attendere la «scoperta» della dialetticaper giungere allasintesi della produ11ivi1àna1urale, storica e umana con le condizioni materiali de/l'esistenza! Ciò che il primo approccio analitico alla definizione dei movimenti dell'immaginazione ha rivelato, e cioè la complessità delle articolazioni reali e materiali della ragione, la coscienza filosofica comincia a sentire come primo esclusivo problema metafisico. L'etica è il terreno sul quale funzione costitutiva e condizioni reali-meglio, fuori da ogni tentazione pur lontanamente idealistica, materiali - debbono ricomporsi. La prima redazione del/' Ethica, in questa situazione, non è criticata: è semplicemente rovesciata. La possibilità che essa potesse essere letta come impalcatura problematica di una raffigurazione di «superficie», che vuol dire materialistica, e di una ricostruzione pratica del mondo, si realizza. Se il primo strato del/'Ethica conteneva un'alternativa, qui essa è risolta: è solo percorribile la «via in su», il cammino costitutivo. Nulla di più vero, ad un'analisi struttura/e dell'Ethica, e di più facile, che il rintracciare in essa piani diversi, portatori e moltiplicatori dell'alternativa iniziale. Non è dunque questo che si nega. Si afferma al comrario che questo «raddoppio» (e replica) di piani viene risolto da una scelta teorica: il materialismo, e da una determinazione pratica: la tensione costitutiva. Il secondo strato del/'Ethica e la sua conclusiva figura (quella almeno che ci è consegnata dagli Opera postuma), elaborati fra il 1670 e il 1675, sono il suggello di questo progetto. E qui s'intende ancora la sua anomalia. Perché questo progetto è davvero fuori misura rispetto alle determinazioni culturali del tempo: nel suo ateismo, nel suo materialismo, nel suo costruttivismo, esso rappresema la filosofia maledetta, selvaggia, la permanenza del sogno rivoluzionario de/l'umanesimo, organizzata come risposta alla sua crisi, come anticipazione di nuovo movime1110di lotta, come proiezione di una grande speranza. Insistere su questo: la dismisura non deriva tanto dal rapporto - relativamente - sproporzionato con il tempo di crisi, quanto dall'organizzazione assoluta che la coscienza della crisi imprime al progetto di superarla. La più alta fede nella divinità è rovesciata, - organizzata nel rovesciamento materiale sul/'orizzome storico. La più alta apprensione della potenza, rifiutando ogni mediazione, divenendo pura e semplice forma materiale, comincia non più solo a percorrere le traiettorie dell'immaginazione produttiva ma a ricostruirne il tessuto determinato, a trasformare le facoltà in forza costruttiva, in seconda natura. Con la seconda fondazione dell'Ethica, la natura naturata conquista una totale egemonia sulla natura naturans. Che cosa può essere,se non questo, opera del demonio? 2. Appropriazione e costituzione La trasformazione del pensiero spinoziano è rappresentata da quel punto sul quale la continuità teorica, che s'era data nello sviluppo (dall'orizzonte emanativo alla costituzione sincronico-strutturale) della prima impostazione metafisica dellEthica, si interrompe: il ........ ...tè sistema si volge ora ad una costituzione diacronico-etica. La prima organizzazione dell'infinito, insistendo sulla spontaneità del rapporto fra molteplicità ed unità e sulla perfezione panteistica di questa tensione, s'era bloccata fra utopia e paradosso: la ricostruzione del sistema non nega la spontaneità ma nega il problema del rapporto, assume l'infinito come base della molteplicità e considera la perfezione come un orizzonte aperto, materialistico. Qui si colloca la fondamentale anomalia del pensiero spinoziano nei confronti del suo secolo, e cioè nella eliminazione del problema del rapporto fra infinito ed indefinito, che sta allabase di tutte le filosofie razionalistiche a tendenza idealistica. L'anomalia è nella prospettiva radicalmente a111ifinalisticadella filosofia spinoziana, laddove per finalismo si intenda - come Spinoza intende - ogni disegno metafisico che sovrappone una sintesi trascendentale a/l'iniziativa del molteplice. Fosse pure, questa trascendenza, puramente logica! È una condizione storica èhe con ciò viene rotta: è un'operazione rivoluzionaria, quella che si compie. Il finalismo è sempre l'ipostasi di un progetto precostituito, è la proiezione, sull'ordine indissolubile della natura, del sistema di rapporti consolidato sul mondo storico, è apologia de/l'ordine e del comando. Tutto questo l'abbiamo già visto, e ci avviciniamo al momento nel quale dovremo ricostruire la seconda fondazione de//'Ethica nellasuacomplessirIàn. queswparagrafop,erconcluderleaparre preliminare, dobbiamo ancora solamente vedere come gli elementi predisposti allanuova fusione, in questo momento incandescente del processo, vengano per così dire spontaneamente predisponendosi. Il problema è quello dei vari elementi, predisposti, singolarmente fissati, ma non ancora combinati. li metodo non si è ancora appropriato dell'insieme delle figure ontologiche che pure, nella loro separatezza, ha contribuito a costituire. Ed è una situazione pesante perché, da un lato, l'unità metodica (ontologicamente radicata) è un'urgenza fondamentale del pensiero di Spinoza, dall'altro, manca ancora ilpumo d'appoggio dal quale quest'unità divenga praticabile nella nuova prospettiva. Il progetto costitutivo è ancora un punto di vista. Né la tematica fin qui affrontata, nel suo originarsi stesso, ha offerto un solido tessuto sul quale ricomporre materialmente il progetto. L'immaginazione! Certo, essa rappresenta, in Spinoz&-e in tutto il secolo, quel terreno ambiguo e fluttua111esul quale il metodo prova la sua capacità di applicazione e di sintesi, quel mescersi di natura e ragione che dà luogo allapassione: il rinnovamento cinquecentesco dello stoicismo aveva imposto e privilegiato questo ambito ed il Seicento ne segue le tracce. Le passioni, dunque. Rispetto alla tematica de/l'immaginazione la problematica delle passioni approssima la determinazione pratica, perché nell'insieme confuso di natura e ragione inserisce la volontà, quindi l'accensione de/l'elemento di scelta, di alternativa, eventualmente di rottura. Questo è dunque il punto sul quale una prospettiva di costituzione può organizzarsi, avendo non solo definito l'ambito ed il punto di vista, ma anche il soggetto del costituire: l'uomo, nella sua immaginazione e nella sua passionalità, tramiti della conoscenza e della volontà - l'uomo come auività. Il metodo è qui applicabile all'ontologia. Nella ragione, intelligenza e volontà si identificano, non c'è idea che non sia un atto di affermazione o di negazione. Il metodo è appropriazione. E, tuttavia, neppure da ciò il problema del punto d'appoggio poteva dirsi risolto. Se infatti guardiamo di nuovo alsecolo, notiamo che ilpensiero seicentesco, da Descartes a Hobbes, svolge la tematica dell'appropriazione passionale del mondo dentro prospettive che, immediatamente o mediatamente, abrogano lo stesso concetto di appropriazione. Per Descartes l'appropriazione è confinata al regno meccanico e diviene inessenziale per la liberazione dell'uomo. Il dualismo è solo ipoteticamente mediato al livello delle passioni e ripropone la sua sfida sul terreno della teologia razionale piuttosto che su quello dell'antropologia. «So bensì che il celeberrimo Cartesio, benché abbia egli pure creduto che la Mente ha un potere assoluto sulle sue azioni, ha cercato, tullavia, di spiegare gli Affe11i umani mediante le loro causeprime, e, insieme, di mostrare la viaper la quale la Mente può avere un dominio assoluto sugli Affetti; ma, almeno secondo la mia opinione, non ha mostrato altro se non l'acume del suo grande ingegno». Per Hobbes, l'appropriazione è invece fondamenta/e e la sua fisica è effeuivamente base di una metafisica. Ma è adeguata questa metafisica? Non perviene essa, reintroducendo la trascendenza de~obbligazione, anegare-se non l'intera fisica - certo una credibile immagine dell'uomo? Non è il rapporto fra passione e costituzione del tutto piegato -quasi pauroso delle suggestioni indotte - a riorganizzare la separazione dell'oriuonte umano?. Il problema consiste dunque nel fallo che, ad un livello o ad un altro, la filosofia seicentesca introduce il criterio della mediazione delle passwni come fondamento per la loro stessa definizwne. L'ambiguità, la jluttuazwne delle passwni non costituiscono un cammino da percorrere ma una difficoltà da superare. Nel mentre reintroducevano la tematica materialistica delle passwni, le correnti neostoiche reinterpretavano la tematica idealisticadel controllo delle passwni. «La maggior parte di quelli che hanno seri/lo sugli affetti e sulla maniera di vivere degli uomini sembra che trattino non di cose naturali che seguono le comuni leggi della natura, ma di cose che sono fuori della natura. Sembra anzi che concepiscano l'uomo nella natura come un impero in un impero. Credono, in/ani, che l'uomo turbi l'ordine della natura più di quel che lo segua, che abbia un potere assoluto sulle proprie azwni e che non sia determinato da altro se non da se stesso. Attribuiscono, poi, la causa dell'impotenza e dell'incostanza umane, non alla comune potenza della natura, ma a non so qual vizio della natura umana, che essi, per questa ragione, compiangono, deridono, disprezzano o, come accade per lo più, detestano; e chi sa più eloquentemente o più argutamente censurare l'impotenza della Mente umana è ritenuto quasi divino>. La filosofia seicentesca accetta in genere questo terreno. L'appropriazwne passwnale della natura - questa metafora ideologica del mercato capitalistico e del/'accumu/azwne originaria - doveva chinarsi allenecessità dell'organizzazione sociale e statuale dei flussi del valore. Si dice che questa concezwne laicizza la filosofia! E chi lo nega. Ma insieme, la rende partecipe di un'immagine determinata del potere-, e questa panecipazione nega la creatività del tesswo materialisticofin qui scoperto, o almeno ne mistifica la natura e gli effetti. lmmaginazwne, passwne, appropriazwne divengono elementi consustanziali dell'ideologia borghese del mercato, - creatività subordinata all'ordine, - valore subordinato al plusvalore?. Unfinalismo, diverso da quello tradizwna/e della teologia ma non meno efficace, viene così ad istituirsi: L'ambiguità passwna/e è risolta in una pratica mediatoria dell'appropriazwne, l'appropriazione in uno schema sociale ordinativo che la sovradetermina, - è dialettica vera e propria, questa, un processo di mediazwni che non costituisce nulla perché la sua norma è implicita, è costituita, è «causa formale» e non «causa efficiente». La trascendenza domina la mediazwne, sia pure in forme logiche, trascendentali; l'appropriazione è «legittimata> (souoposta a/l'universale) cioè dirottata e mistificata nella sua definizwne stessa. Non a caso, allora, attorno a questa reinvenzwne della mediazwne, a questa riverniciatura del finalismo, a questa restaurazione della trascendenza, s'annoda il filone antiumanistico e reazwnario della filosofia seicentesca: quello che, provenendo direttamente da~'apologetica cattolica o riformata, trova nel canesianesimo teologico e nel/'hobbesismo politico un'adeguata base per la rivendicazione delle tradizwni, - della teologia come della ragion di Stato. Quando, in Spinoza, il metodo viene definito come appropriazwne, è un intero mondo filosofico ad essere messo da parte. La premessa è la concezwne radicalmente univoca dell'essere, l'argomentazione (sul terreno dell'ideologia) è il radicale ateismo, la conc/uswne è una concezione materialistica dell'uomo. Sulla concezwne dell'essere non val qui lapena di ritornare. E neppure su quel che riguarda la critica teologica, se non per accennare al /ano che in Spinoza sembrano trovare soluzwne le tenswni interne alle piil radicali «esperienze» di liberazione religiosa del secolo: sia sul lato dell'ebraismo che sul lato del protestantesimo. Esperienze, non ideologie, non dottrine, -s'è detto: ché, appunto, è l'approccio stesso a rifiutare la mediazwne teologica, ad assumerla come ostile ed estranea, -le esperienze religioseche s'avvicinano o incrociano, o s'identificano con il pensiero di Spinoza sono anch'esse appropriazwne, appropriazwne della divinità. L'antiplatonismo ontologico di Spinoza va di pari passo con il suo anticristianesimo teologico. Di qui la concezionme acerinliscidceall'uomo,comeanivicàc,omepotenza appropriativa. Sull'uomo deve verificarsi quella fusione di elementi, meglw, quell'implosione di premesse, che, raffreddandosi e chiarendosi, ci offrono lo strumento del progeuo costitutivo. Il rapporto fra uomo e orizzonte costitutivo è preparato da una seriedi condizioni metafisiche ormai risolte. Mettiamo/e l'una accanto all'altra e vedremo come esse preparano la definizione dell'uomo come auività di appropriazwne. In primo luogo, la collocazione dell'uomo nella natura: il rovesciamento dellaprospeuiva metafisica ci ha confermato l'unwne indissolubile dell'uomo e della natura, ma l'ha rovesciata, nel suo senso, nel suo andamento, facendo dell'uomo non l'espresswne della natura ma il produttore del mondo. La potenza de/l'universo e della divinità le provo ora nella potenza

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==