Spinozal, 1ano,malisaelvaggia I ; ~ 1. MisOJlle dismisOJll Q uando Spinoza, nel 1670, scrive la «prefazione» del Trattato teologico-politico e lo pubblica anonimamente, e nello stesso periodo trasferisce la sua residenza all'Aia, possiamo riconoscere compiuta la fase interlocutoria, succeduta alla crisi dellaprima redazione nell'Ethica Fase interlocutoria ma centralenello sviluppo del pensiero spinoziano. L'intento dichiarato del Trattato teologico è la lotta contro l'assolutismo monarchico e la difesa e l'espansione delle libertà della Repubblica. «Se tutto il segreto e l'interesse del regime monarchico sta nell'ingannare gli uomini e nell'adombrare con il nome specioso di religione il timore che serve a frenarli, così da indurli a combattere per la propria schiavitù come se combattessero per la propria salvezza e da far loro credere che, non solo non sia sconveniente, ma che sia il massimo degli onori il sacrificare il proprio sangue e la propria vila per la gloria di un sol uomo, nulla invece si può pensare e si può tentare in una libera repubblica che sia di ciò più assurdo; poichè ripugna assolutamente alla comune libertà il soffocare coi pregiudizi o il costringere comunque la libera opinione individuale». Ma sappiamo, e questa «prefazione» ce lo conferma, che la distruzione dell'unilà precostituita richiede una norma di ricostruzione del sociale e che la norma di costituzioine del sociale dev'essere ontologicamente fondata. Sappiamo che il vecchio mondo-la reazione orangista preme per restaurarlo-ha la sua base di legittimazione popolare in una certa chiesa ed in una certa teologia, quella della scolastica rigorosa del calvinismo, e che l'interesse monarchico organizza il fanatismo popolare e la sua immagine teologica, il finalismo religioso: che è come dire, secondo Spinoza, che la base di legittimazione consiste nell'immaginazione corrotta e senz'altro nella «superstitio». «Se gli uomini potessero procedere a ragion veduta in tutte le loro cose o se la fortuna fosse 1oro,sempre propizia, non andrebbero soggetti ad alcuna superstizione». Superstizione,-condizione immediatamente politica. «La paura è la causa che origina, mantiene e favorisce la superstizione». E gli uomini, attratti dallo «smisurato desiderio degli incerti beni della fortuna», divengono preda dell'insania e del fanatismo, e ciò li dona al potere assoluto del monarca. Distruggere la reazione è dunque scavare il vuoto sotto il rapporto «metus» - «superstitio»,-ma è soprattutto costituire la sicurezza della società dispiegando un progetto di libertà e di ragionevolezza. «Dimostrata così la libertà che la legge divina rivelata riconosce a ciascuno, passo all'altra parte della questione: che, cioè, questa stessa libertà può, anzi deve essere concessa senza pregiudizio della pace dello Stato e del diritto delle supreme autorità, e che non può essere tolta senza grave pericolo della pace e senza grave danno di tutto lo Stato: e per dimostrare ciò prendo le mosse dal diritto naturale individuale, il quale si estende fin là dove si estende la cupidigia e ilpotere di ciascuno, nessuno essendo costrettoper diritto di natura a vivere secondo la volontà altrui, ma essendo invece ciascuno padrone della propria libertà. Dimostro in seguilo che nessuno decade da questo diritto a meno che non deferisca ad altri la facoltà di difenderlo, nel qual caso questo diritto che ciascuno·ha di vivere a modo suo, congiuntamente con il potere di difendersi, viene necessariamente esercitalo in modo assoluto dalla persona in cui è trasferilo; e quindi dimostro che coloro i quali detengono il sommo potere hanno diritto a tutto ciò che rientra nel loro potere e che essi solo sono i custodi del dirilto e della libertà, mentre tutti gli altri non possono agirese non in conformità dei loro decreti. Tuttavia, poiché nessuno può privarsi della facoltà di difendersi fino al punto di cessare di essere uomo, ne segue che nessuno può privarsi in modo assoluto del proprio naturale diritto e ·che i sudditi mantengono quasi per diritto naturale alcune prerogative che non possono esser loro tolte senza grave pericolo per lo Stato e che sono loro tacitamente riconosciute e da loro espressamente stipulate con i detentori del sommo potere». Due progetti sono a confronto: da un lato, il rapporto «metus superstitio» si presenta come imbarbarimento e servitù del potere, ed è appunto come dire: teologia-immaginazione corrotta -monarchia; dall'altro, la «cupiditas» si svolge in «libertas» e in «securilas», che è dire: filosofia-immaginazione produttiva -Repubblica. Non si può certo negare che Spinoza abbia accettalo la scelta di campo. Tutta la sua filosofia esprime qui un punto di vista, una presa di posizione di partito sulla realtà. La scelta politica fonda, condiziona e muove il progetto metafisico: legittimare la repubblica mondana è fondare la cittàdi Dio, la repubblica dello spirito. Per chi conosca la tradizione rivoluzionaria dell'umanesimo, dai cancellieri fiorentini ai repubblicani protestanti, questo non risulta strano: è una continuità, quella che Spinoza rinnova. L'anomalia, la dismisura del progetto di Spinoza stanno in altro: nel fatto che questa «spes» contro il «metus», che questa «libertas» contro la «superstitio», che questa repubblica contro l'assoluto monarchico, egli li pone e li rinnova quando tutto il secolo gli si muove contro. Sicché la misura razionale che costituisce il contenuto rivoluzionario del discorso di Spinoza si presenta come dismisura a fronte del concreto storico. Misura e dismisura dell'istanza spinoziana: la teoria politica risucchia e proietta questa anomalia nel pensiero metafisico. La metafisica, portata sulla prima linea della lotta politica, contiene in sé laproporzione sproporzionata, la misura smisurata, che è propria di tutto Spinoza. Maqual'èilpuntodi vistadalqualedr.finirme isura e dismisura, proporzione e sproporzione? Chi possiede il concetto della ragione quando la ragione è stata assunta a distruzione della misura rinascimentale del mondo? Chi agisce nella sproporzione, -colui che nega il rapporto fra infinito ed indefinito e si concede alla sfrenatezza barocca o colui che afferma ed esalta la potenza di questa sintesi? Certo anomala, dunque, la filosofia spinoziana nel suo secolo, e selvaggia agli occhi della cultura dominante. È la tragedia di ogni filosofia, di ogni selvaggia• testimonianza di verità che si ponga contro il tempo: contro questo tempo e contro questa realtà. Ma la tragedia può aprirsi potente sull'avvenire. La pubblicazione del Trattato teologico-politico suscita feroci polemiche. Il giudeo di Voorburg o dell'Aia ne è al centro, riconosciuto oltre l'anonimato. Non che queste polemiche non fossero attese, e ben lo dimostrano le infinite precauzioni prese da Spinoza già progettando la sua opera, l'anonimato della pubblicazione e il tentativo di impedirne la traduzione olandese. Ma la violenza della rispostapubblica è particolarmente urtante e sgradevole: questi professori che lo attaccano, gli «sembra che espongano in vendita la loro mercanzia alla maniera dei rigattieri, i quali offrono sempre per primo quello che hanno di meno pregevole. Dicono che il diavolo è astutissimo, ma a me pare che questa razza lo superi di gran lunga». In realtàè la rivelazione de/l'anonimato ad essere inattesa, allo stesso Spinoza, la rivelazione della sua profondità, del suo spessore. È una rivelazione per la coscienza teorica di Spinoza. E allora: non v'è nulla di più potente della ribellione di un innocente, nulla di più smisurato del contrattacco della serenità eticae dellamisura razionale. Tutto era teoricamente pronto, ma è difficile immaginare «la réfonte del' Ethique» -come dice A. Koyré analizzando questi anni - fuori dell'emozione di questo scontro, di questa rivelazione della dismisura del progetto. «Lamberto di Velthuysen al dottissimo e chiarissimo Signor Giacomo Ostens», da Utrecht, il 24 gennaio 1671: un professore di Utrecht recensisce il Trattato teologico-politico. Si badi bene, Velthuysen è un repubblicano ed un sostenitore di de Witt, la sua recensione è perciò estremamente importante perché supera i limiti della "·--·····ijfu.···: @ i ----<n@r:l : .. r-'t . (.) . . .· .., .. • ·-•••-•·.'/jCfj & • ~'\):"_; ··----·· •... ----.• - Il'! ili ~ ••••· .... · .. - r[![l r-~a. k~cL ~~-- . . . ············: ' divisione di partito entro i quali, certo in buona fede, Spinoza tende a mascherarsi. È una lettera importantissima perché è un furibondo attacco che rivela la dismisura del Trattato teologico e la discriminante epocale, non solo teorica o politica, che ad esso si oppone. Dunque, «io non so chi egli sia né qual sia il suo tenore di vita, e neanche mi interessa di saperlo. L'argomento del suo libro è sufficiente a testimoniare come egli non sia d'ingegno disprezzabile e non abbia preso a trattare e discutere con supina acquiescenza delle controversie religiose che si agitano nell'Europa cristiana. L'autore di questo libro si è convinto di poter procedere con maggior successo ali'esame delle opinioni che dividono gli uomini in fazioni e in partiti, liberandosi e spogliandosi di ogni pregiudizio. Di qui la sua esageratapreoccupazione di svincolare l'animo suo da ogni superstizione; ché, per rendersene immune, piegò nell'estremo opposto, sicché per evitare il male della superstizione, pare a me che si sia spogliato di ogni religione. Per lo meno, non si eleva al di sopra della religione dei deisti, il cui numero è abbastanza rilevante ovunque (talmente in basso è sceso il costume del secolo), ma specialmente in Francia dove il Mersenne ha scritto contro di loro il trattato che ricordo di aver letto. Ma io credo che nessuno dei deisti abbia parlato con sì perversa intenzione, con tanta abilità e acume in favore di quella pessima causa, quanto l'autore di questa dISsertazione. Anzi, se non erro, costui non si annovera nemmeno fra i deisti, e non lascia sopravvivere fra gli uomini neppure le forme più attenuate del culto religioso». Questo è l'inizio, ma è anche il refrain e la conclusione de/l'attacco, sorretto - è bene dirlo - da notevoli doti argomentative. E non varrebbe la pena di proseguire nell'analisi della lettera se, in essa, il livello della mera recensione non fosse presto superato ed alcuni elementsiostanzialin, questomomentogiàall'operaperlaseconda fondazione dell'Ethica, non fossero rivelati, - e criticati. Quello che Velthuysen sottolinea e denuncia è in effetti il rovesciamento del punto di vista 'metafisico, avvenuto nel Trattato teologico ed ormai predisposto ad ulteriori sviluppi: un punto di vista che, dietro il rispetto formale del culto propugna una concezione della religione che sorge e si sviluppa «spontaneamente e senza alcuna istituzione», una pratica di libertà cosi estesa da ridurre il ruolo del magistrato ad «aver cura soltanto che nello Stato siano osservate la giustizia e l'onestà». E allora un punto di vistametafisicamente ateo, vale a dire ontologicamente costitutivo. Conclusione: Spinoza «promuove nascostamente l'ateismo», «insegna con sottili e larvati argomenti uno schietto ateismo»: ricostruisce il mondo fuori dal timor di Dio, fuori della regola - comunque sostanziale ali'esperienza ed al pensiero religiosi-della trascendennza divina e della contingenza umana. E c'è da aggiungere - ed è concetto che Velthuysen oscuramente percepisce - che, su questa base, il Trattato teologico ha anche prodotto lo strumento dell'ateismo costitutivo, -la «cupiditas» etica si articola alla «potentia» ontologica ed insieme costituiscono (non hobbesianamente, in termini cioè originariamente sofisticati dalla tendenza assolutistica, dal preconceuo della trascendenza dell'obbligazione, ma in termini schieui e decisivi) il conceuo di appropriazione, - questo fondamentale termine della rivoluzione del rapporto fra uomo e natura, fra uomo e Dio. Ma di ciò più tardi. Ora guardiamo piuttosto la risposta di Spinoza. Egli reagisce con estrema violenza. L'ironia di altre risposte polemiche è qui completamente taciuta, «libello», quello del Velthuysen, «sinistra interpretazione», sviluppata «per malizia e per ignoranza». Tutta lamia vita testimonia della mia virtù: continua Spinoza, - quindi non sono un ateo! Strana argomentazione, invero, eppure consueta, e soprattutto prudente, in quel secolo. in vece, «credo di scorgere quanto sia basso il livello di costui. Egli, cioè, non trova nella stessa virtù e nell'intelletto nulla che lo soddisfi, e vivrebbe volentieri secondo l'impulso delle sue passioni, se non glielo impedisse il solo fatto che ha paura del castigo. Egli si astiene dunque dalle male azioni e osserva i divini comandamenti con la medesima riluttanza di uno schiavo e con animo titubante; e in cambio di questo servizio attende di essere ricolmato da Dio di ricompense assai più ambite dello stesso divino amore, tanto più quanto più è ri{uttantee mal disposto a fare il bene che fa: ecco perché crede spregiudicati e senza alcuna religione tutti coloro che non sono costretti da questo timore». E dove ha trovato, il signor Velthuysen, che io assoggetto Dio al fato? E dove il mio anarchismo in materia religiosa? È da chiedersi subito quanto questa risposta riguardi il merito della criticadel Ve/thuysen al Trattato teologico, o quanto piuttosto essa non colga e sviluppi la necessità di difesa del progetto complessivo. Non è un caso che la polemica insista soprallutto contro il finalismo della concenzione religiosadi Velthuysen, contro quest'ultimo razionale orpello della superstizione teologica! Ma anche, appunto, ultimo ostacolo alla proposta spinoziana di intraprendere una «via in su», di elaborare una pratica costitutiva. I fondamenti di questa pratica, proprio dentro questi episodi polemici, si rivelano nella loro più estrema estensione: spontaneità egratuità dell'operare, determinazione divina immediata dell'approccio, statuto ontologico della separazione del giusto. «Quanto più nobili e belle fossero le riflessioni di Talete di Mileto, rispello a quelle del suddetto scrillore, lo dimostra questo suo ragionamento. Tutte le cose degli amici, egli diceva, sono comuni; ma i sapienti sono amici degli dei e tulle le cose sono degli dei; dunque, tutte le cose sono dei sapienti. Così, con una sola parola quell'uomo sapientissimo si fece ricchissimo più con il generoso disprezzo che con la sordida avidità di ricchezze...». Spontaneità, gratuità, ricchezza de/l'essere infinito, li avevamo già potuti apprezzare nell'utopia iniziale del pensiero spinoziano: ma in maniera indeterminata, come suggelli della totalià e della perfezione della sintesi ontologica del mondo. Qui è tu/l'altro. Qui, sotto lo stereotipo del saggio, è il punto di vista della soggettività, della costruzione dell'essere che si propone interamente. La pienezza della concenzione rinascimentale del mondo si mette al servizio di una filosofia ontologica della prassi. Ma, con tutto ciò, poco intendiamo ancora della profondità della svolta del pensiero spinoziano, se non la mettiamo, per così dire, in tensione con la drammaticità della crisi culturale epolitica che i Paesi Bassi attraversano in questi anni. Non che la crisi politica del 1672, la restaurazione di Orange, - e la feroce uccisione, il 20 agosto, dei de Witt- possano considerarsi l'elemento decisivo escatenante della seconda fase del pensiero di Spinoza, anche se grande sembra essere stata l'emozione provata dal nostro autore: «ultimi barbarorum!». Neppure, credo, possa darsi una importanza più che episodica all'incontro di Harlem ed all'immagine che esso rende di un possibile reinserimento di Spinoza nei milieux politiques. Molto più importante e profonda, mi sembra, la riflessione spinoziana di questi anni sulle miserie della vicenda bellica, di questa guerra coninua che erode il regime oligarchico e la stessa democrazia olandese. Decisiva infine è la riflessione sulle lotte di religione e sulla loro consustanzialità al regime politico, che percorre tutto il Trattato teologico e oppone, come demonio e Dio, il sopruso religioso e settario ali'ordinata convivenza democratica. Tuili questi elementi vanno considerati assieme, messi appunto in tensione con la maturazione interna del pensiero spinoziano, con il suo nuovo proieuarsi sulla realtànon più in termini di contemplazione ma di ricostruzione. Vale a dire che la crisi el mondo esterno rappresenta analogia con la crisi del mondo interiore. Ma nello stesso momento in cui si pone, questa analogia si rompe: ché, la vicenda politica fluisce verso la stabilizzazione generale europea de//'ancien régime, mentre la filosofia di Spinoza, vera filosofia di Krisis, si oppone e supera questa pacificazione repressiva, quest' equilibrio dell'accumulazione originaria e del mercantilismo, che toglie speranza e infine degrada ed istituzionalizza la rivoluzione umanistica. Il tempo storico si stacca dal tempo reale della filosofia spinozia- ::: na. La dismisura, resasi consapevole nella crisi, riorganizza i suoi "' termini progettuali. E si definisce come tale, appunto, per differenza, -5 perstacco:metododavveronuovoinunautorecheavevadichiarato i «non essere sua abitudine scoprire i difetti altrui». Ora, tre sono i ~ punti sui quali si è consolidata la nuova base costruttiva. in una ~ lettera a J. Je/les, un po' tarda (2 giugno 1674) ma estremamente .., densa nella sua brevità, ed importante come sunto e specificazione di ]; passaggi critici fondamentali, Spinoza espone questi punti. Quello g politico è primo, anche se ormai ilpensiero è tutto volto alla ricostru- e zione dell'ordine metafisico. «Riguardo alla politica, la differenza ~ fra me e Hobbes, della quale mi chiedete, consiste in questo, che io ,.: continuo a mantenere integro il diritto naturale e affermo che al g sommo potere in qualunque città non compete sopra i sudditi un i diritto maggiore dell'autorità che esso ha sui sudditi stessi, come <l:!, sempre avviene nello stato naturale». si
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