nuovo «eroe» si chiama Dedalus. L'accettazione gioiosa del labirinto non è facile: esso divora. 3.3. Ma rinunciando alle illusioni qualcosa rimane e rinunciando definitivamente all'accumulazione, delegandola cioè ad un capitale senza soggetto. ma non per questo meno spietato. nulla resta da divorare. Ciò che rimane è il puro percorso, senza inizio né fine. È sufficiente, con una facilità mai sospettata. non avere una direzione prestabilita, o meglio fare corpo col territorio, scrivere le tabelle di marcia solo dopo aver fatto tappa. possibilmente illustrandole a colori. e nessun percorso risulterà impraticabile. Giunti a questo limite nessuna delimitazione originaria potrà fungere da patria poiché saremo stranieri in ogni qui e di casa in ogni altrove. Qui forse sarebbe meglio. con Deleuze & C.. parlare di fuite, piuttosto che di viaggio: «Fuir non è esattamente viaggiare. e neppure muoversi. In primo luogo perché ci sono dei viaggi alla francese. troppo storici. culturali e organizzati. dove ci si accontenta di trasportare il proprio 'io'. Inoltre perché le fuites possono essere fatte sul posto. in viaggio immobile.( ...) Le carte sono carte d'intensità, la geografia non è meno mentale e corporale che fisica in movimento» (Dialogues). Difficile riconoscere una categoria che definisca questo terzo tipo di viaggio. forse. fuite ma forse trip o anche on the road (senza dimenticare la nozione situazionistica di deriva). Tre tipi dunque: ma il primo è già il secondo e il secondo è già il terzo. Chi cercasse di tracciare un albero per distinguerli si accorgerebbe che il primo di fatto contiene il secondo dal quale era già stato distinto. Una storia. d'accordo, ma ogni tipo è assimilabile più ad una regione che ad un periodo. Ci piacerebbe, insomma. riuscire ad opporre storia a cronologia: Tristram Shandy nonostante la sua collocazione cronologica è posthegeliano - forse lo sono anche i nomadi medioevali, le navi dei folli, Gordon Pym. le crociate dei bambini, San Brandano. i cercatori del Paradiso Terrestre e il Mandeville. Ciò significa anche che parlare di spazio e opporlo al tempo non è pensare ad una comoda sincronia bensl pensare la diacronia come non cronologica, come microdiacronia zigzagante tra prima e dopo (qualsiasi discorso riceve sempre senso e dal prima e dal dopo). 4. Carte e mappe L'ipotetica incerta verità è ancora quella che il viaggio non è che uno: ma contiene tutti gli oggetti dei nomi diversi che lo diversificano. Uno stesso viaggio per questo può essere descritto nei tre modi e ascritto ai tre tipi. Il modello scelto. sia quello dialettico dell'arricchimento, o quello pluralista, forse negativo. a volte pessimista del labirinto, oppure quello l!ioiosamente delirante e un po' stoico della fuite. non ha alcun valore di verità. La scelta di uno o degli altri è dettata non dalla certezza di una forma del viaggio. ma dalla volontà di dare una forma (primo tipo). dal timore di darne una (secondo tipo). dal piacere di non essere distinto dal proprio viaggio ..:dalla modestia di non decidere per .:sso (terzo tipo). E poi è sufficiente desoggettivare un po' il primo tipo per arrivare al terzo (meglio attraverso un'ottica pluralista che fiorerà il secondo). Per tornare alla distinzione tra viaggiogeografico e l'iaggio cognitivo potremmo dire, rihadendo la dissimmetria, che un viaggio geografico può essere sorvolato da diversi viaggi cognitivi {tra i due in- ~iemi non c'è corrispondenza biunivoca. bisticciando la relazione in questione non è una mappa). Una verifica parziale (nella duplice accezione «di parte» e «solo in parte•) è la messa in rapporto carte-viaggi. on è solo questione di confini o di percorsi. una carta la si può viaggiare in tutti e tre i modi. È vero che riprendendo la definizione hegeliana riportata in 3.1. la carta come segno del !'«itinerario verso la scienza» sarebbe essa stessa già scienza. sarebbe l'arricchimento finale cosi assicurato, almeno la certezza della conoscenza del territorio; ma ad un confronto serrato carta-territorio l'ipotesi è falsificata. Huck Finn facendo questo confronto. durante il suo celebre viaggio in pallone, dovette seppur con stupore riconoscere che il mondo che stava sorvolando non era multicolore come le carte geografiche che aveva sempre avuto sotto gli occhi («L'Illinois è verde. l'Indiana è rosa ... l'ho vista sulla carta geografica ed è rosa». Tom Sawyer ribatte: «Be', se fossi uno sciocco come te Huck Finn, salterei giù. L'hai visto sulla carta? Via, Huck Finn, credi forse che gli stati siano dello stesso colore che sulla carta?» «Ma, Tom Sawyer, a che cosa serve la carta se non ad insegnare le cose?•). Del resto ogni carta si basa su una serie di approssimazioni e anche astraendo dalla messa in scala non potrebbe che coincidere in un unico punto col suo territorio. Ma non solo: una carta che pure riuscisse a risolvere questo arduo problema, come la Mappa dell'Impero di cui parla Suàrez Miranda (citato più volte da Borges). «che uguagliava in grandezza l'Impero e coincideva puntualmente con esso», risulterebbe «inutile e non senza Empietà» (Da qui il postulato di Korzybsky e Gregory Bateson eia mappa non è il territorio•. e l'imperativo epistemologico di Deleuze e Guattari «fate carte. non calchi•). Cosi carte capitalizzabili sono solo quelle che si assicurano un potere sufficiente a decidere che il mondo deve essere cosi, il che le colloca tra gli strumenti del despota o tra i suoi deliri di grandezza (che come quasi tutti i deliri paranoici sono cartografici, cosmologici. imperomani e razzisti). La geografia. non dimentichiamolo, è un fatto di potere: quando tracciando confini sulle carte li traccia sui mari, quando accentra e territorializza (dispiace ammetterlo, come nel caso di tutte le Utopie, geografiche prima che sociali e politiche). Segregazione contro nomadismo, incredibile a dirsi la carta contro i viaggi. La nostra simpatia va naturalmente ai popoli nomadi che le carte le hanno inventate qualche millenio fa e non ne hanno mai abusato. S. I luoghi chiusi L'Utopia. come sistema accentrato riterritorializzante, è connessa in modo anche più stretto alla storia del viaggio. La fine dell'illusione dell'arricchimento è in realta qualcosa di più complesso del sorgere della nozione di labirinto: il labirinto ne è l'immagine più compiuta. la metafora definitiva. ma il viaggio ha dovuto prima riconoscersi in altri oggetti. sempre meno rassicuranti. nonostante le intenzioni, a volte ambigui. Il labirinto è definitivo: una resa definitiva alla molteplicità. Prima di esso alcune immagini provvisorie: il già nominato labirinto arboreo e, soprattutto, il luogo chiuso (la camera di De Maistre, oppure Silling. il castello delle Centoventi giornate di Sodoma). Su questo argomento conviene citare Barthes che vi si è soffermato: «Si viaggia molto in certi romanzi di Sade. Juliette percorre (e devasta) la Francia. la Savoia, l'Italia fino a Napoli; con Brisa-Testa si raggiunge la Siberia. Costantinopoli. Il viaggio è facilmente un tema iniziatico; tuttavia benché Juliette cominci con un apprendistato. il viaggio sadiano non insegna niente {ladiversità dei costumi è relegata nella dissertazione sadiana dove serve a provare che il vizio e la virtù sono idee tutte locali); si trattti di Astrachan. di Angers. di Napoli o Parigi. le città non sono che procacciatrici. le campagne ritiri. i giardini scenari e i climi operatori di lussuria; sempre la stessa geografia, la stessa popolazione. le stesse funzioni; ciò che conta percorrere non sono contingenze più o meno esotiche. è la ripetizione di un'essenza. quella del crimine (una volta per tutte. sotto questo termine s'intenda il supplizio e l'orgia). Se quindi il viaggio è diverso. il luogo sadiano è unico: si viaggia tanto solo per rinchiudersi» (Sade Fourier Loyola). Il saggio di Barthes continua ancora a parlare di «geografia umana» in Sade, ma evidentemente è un problema di spazi: il libertino (l'avventuriero) si organizza degli spazi- i modi di organizzazione dello spazio, crediamo. definiscono e il personaggio letterario e il genere. Ma ciò che qui importa è che il rinchiudere lo spazio che si teme venga perduto non può salvare il modello dell'arricchimento nel momento in cui è una regressione a un tipo di viaggio precedente: quello, appunto, del luogo chiuso (chiusura di territorio che si vorrebbe definitiva) - tentativo di sfuggire alla crisi della produzione con il ritorno ad un'etica del consumo, alla crisi dell'accumulazione con il ritorno all'economia tesaurizzante precapitalistica. Esperienza fallimentare fatta dal re della Maschera della Morte Rossa. Si tratta. insomma. una volta che la molteplicità dei territori non è più governabile dall'unità del viaggio, di cercare il ritorno all'unità del viaggio attraverso l'unicità del territorio. li requisito principale di questa esplorazione in un solo territorio è il suo carattere dispotico (e anche questo la colloca storicamente prima del modello arricchimento), despotismo di un luogo felice perché chiuso nella sua utopica-autarchia, in un equilibrio del potere centralizzato che non deve riservare sorprese (a tutto diritto l'isola di Utopia è un altro di questi ,luoghi chiusi). li fatto che il luogo chiuso sia un modello economico vecchio (dal punto di vista di un'economia topologica, libidinale. significante e non solo politica) forse non basterebbe per decretarne il fallimento. Ma per il luogo chiuso c'è un'impossibilità logica dl sopravvivenza. e Sade e de Maistre lo dimostrano: chiudere il territorio impedisce che venga aperto per allargamento o passaggio ad altro territorio, ma non può impedire che venga aperto per esplorazione intensiva. Così il castello feudale (prototipo del luogo chiuso) riuscirà a mantenere le distanze dal viaggiatore {barbaro o pellegrino) con fossato. tripla palizzata e mura merlate - riuscirà anche a rinchiudere. ma per poco e a malapena. il mercato al suo interno per evitare la labirintizzazione degli scambi commerciali lungo le linee fluviali - ma in ogni caso non potrà non accorgersi che il suo spazio interno va sempre di più somigliando al pauroso labirinto. Problema architettonico ma anche di relazioni sociali e parentali (intrighi di corte, congiure di palazzo). 6. Ritorni senza ritorno Ogni coppia fino a qui nominata vanta una fondamentale dissimmetria e la carta non potrà mai essere un calco o un'immagine speculare del suo territorio. Ma non solo. a volte pare perdere anche la funzione di guidare il viaggiatore, di formare il territorio. Non solo non rappresenta più ma acquista una sua autonomia. Autonomia Cartografica (ché non avrebbe senso altrimenti riprodurre decine di carte tagliandole fuori dal loro romanzo), gioco di forme, talvolta di colori. possibilità di romanzi ancora da scrivere, di itinerari ancora da percorrere. Esotismo dei nomi oppure familiarità dei contorni (brani di mondo «reale• riportati e trasformati) - carte spesso inutilizzabili ma con una loro suggestione. Magari appese ad una parete, alla Vermeer. affiancate ad altre immagini a differenza delle quali sono capaci di staccarsi. Bastano poche linee (due nazioni, un mare- «Planet Mars» ), ma viene da pensare che altrove dovranno pur esserci altre carte a permettere la ricostruzione filologicamente esatta delle parti mancanti, che anche gli «altri mondi• (quelli in cui dal punto di vista geografico non ci siamo mai orientati troppo bene e un po' ce ne dispiaceva) acquisteranno un volto familiare come quello della Terra. Come tutte le altre, anche queste «carte in secondo piano•, pur condannate dalla loro lontananza all'indeterminatezza. provocano quell'effetto di realtà proprio di ogni grande fantasia. (Un po' delusi abbiamo constatato che il pianeta Kripton è stato per decine, forse centinaia di volte disegnato a caso, rendendoci impossibile così ricostruirne una topografia attendibile anche se sommaria). Ancora un problema a proposito del terzo tipo: si è perso qui del tutto il gusto del ritorno. della riterritorializzazione? Qualcosa ci induce a pensare. Ma in fondo il ritorno, in quanto viaggio a ritroso, è già un viaggio diverso, il luogo di partenza diventa quello di arrivo, la relazione che abbiamo con esso è diversa. Amiamo il ritorno perché non è mai ritorno al punto di partenza. Qualcuno ricorderà che a distinguere le due cose è l'inesorabile e irreversibile scorrere del tempo, e troverà molto tristi i ritorni dei vecchi. Forse inutilmente vanteremo ancora la superiorità dello spazio reversibile nei confronti del tempo irreversibile (prova irrefutabile il fatto che i personaggi dei fumetti non invecchiano mai), ma ameremo lo stesso la vecchiaia e i ritorni senza ritorno: dopo un viaggio cosi non possiamo non ritenerci soddisfatti.
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