::, o " ::, .., Al principio del '300. il Maggior Consiglio deplora che «multa et inonesta turpia committentur in ecclesia et portici et platee sancti Marci»; ma. poi. non vien fatta eccezione alla sistemazione delle prostitute. per via della locazione. nelle rughe della attività mercantile e artigianale. Anzi: vien financo ammessa la possibilità di una loro recezione nelle osterie e nei bagni. Ciò significava. in ultima analisi. un'assunzione diretta da parte dello stato di una parte del reddito prodotto dalla prostituzione. visto che a Venezia l'appalto del dazio sul vino e sulle osterie poneva l'autorità pubblica nelle condizioni di vero e proprio imprenditore in quelle strutture; dove. insomma. la presenza delle meretrici. costituiva incremento al consumo e al reddito. potenziandone la frequenza turistico-commerciale. Abbiamo sopra alluso al sondaggio effettuato dall'autorità di governo presso i capi dei Sestieri circa un'eventuale organizzazione di un pubblico pistribolo. Siamo. convien ripetere. alla data 1358: e non è data casuale. poiché scade due lustri appresso la grande pestilenza e sottende la coscienza di rilevanti problemi igienici. Ma il sondaggio vien replicato nel 1360. evidentemente non c'era fretta. Non solo. Le risposte fornite ci obbligano a prender atto che l'identificazione. infine suggerita. del luogo è sorprendente e solo per chi non tenga conto della peculiàre realtà urbanistica veneziana; nor. vien proposta. infatti. una casa in isola. relegata e dannata. ma «omnia loca Rivoalti» cioè. l'intero centro economico della città dove già si dava il maggior insediamento della prostituzione. La preoccupazione dei capi dei Sestieri e dei governanti è. pertanto. esplicitamente economica. e legata alle possibilità redditizie degli immobili; il cui sgombero da parte delle prostitute avrebbe creato una degradazione di fatto. in quanto avrebbe pregiudicato il recupero di sedi d'abitazione ormai timbrato dall'esercizio della prostituzione. La risposta è. dunque. coerente: le meretrici (o la maggior parte di esse) restino dove sono: viene istituzionalizzato. in tal guisa. il dispiegamento a misura e scala urbana del piacere. tanto più che il principio. teso a circoscrivere al momento realtino l'insediamento sanzionato dalla prostituzione. ne consentirà lo sfogo e la dilatazione all'ambito ampio della vicina cintura di S. Silvestro - S. Aponal - S. Matteo - S. Cassiano. E quando un postribolo pubblico verrà organizzato nella parrocchia di S. Matteo (ma si tratterà d'episodio. a questo punto. irrilevante). sarà in strutture edilizie spettanti a proprietà privata la quale poteva trovare. così. grazie all'intervento dello stato. un notevole vantaggio redditizio. Propriamente. nella fattispecie. avvantaggiate sono le famiglie dei Venier e dei Morosini. cui il governo affida la condotta del postribolo pubblico ufficiale. mentre tuttavia progressivamente l'area estesa. caratterizzata dalla presenza del meretricio. non vien affatto sgomberata ma soggiace al concetto della tolleranza. Quel postribolo ufficiale, il Castelletto-che pur è una ruga - obbedisce solo alla volontà di disciplinare cautamente l'esercizio del meretricio e çliavvantaggiare lo stato in termini di chiara opportunità economica: «propter multitudinem gentium continue entrantium». Ciononostante. prendiam atto che si tratta di struttura la quale entrerà presto in crisi proprio a causa della concorrenza resa possibile dal principio della tolleranza che finisce per esaltare la caratteristica presenza diramata. urbanistica in senso ampio. del meretricio. A partire dal '500. assistiamo alla ripresa del meretricio generalizzata su scala urbana. malgrado un estremo tentativo di controllo e di contrazione avvenuto nel 1502. Si Lemortidi Sartre Franca Rosti N .e/l'ambito della cultura iraliana, in molti suoi se/lori, e per voce di molti suoi esponenti, sembra di vivere oggi un pericoloso clima di aurarchia, di salvezza della parria e delle parrie /euere, quasi da quora novanta - culturale. La produzione culrurale francese, ad esempio, è cirarama sempre con esrremo sospeuo. 1 segni di questa situazione sono molteplici, e rilevabili con diversi strumenti. Ma la retorica, di solito strettamente connessa con la pratica autarchica, emerge, prima e meglio che altrove, in occasioni in cui un fatto, per lasua peculiarità, come la morte di un personaggio noto, facilita l'uso della retorica stessa, nella forma tipica del caso: la «commemorazione». A chi si accinge a commemorare, piuttosto che a riflettere o a informare, capita più facilmente di rivelare nelle faglie del discorso, senza volerlofino in fondo, atteggiamenti assai indicativi. Ed è così che un'anJ1/isidei contributi culturali sulla stampa italiana in morte di Sartre, può diventare lo specchio di un atteggiamento di fondo e abbastanza comune a diversi uomini di cultura italiani. Sembra infatti che proprio ogni occasione sia buona per dimostrare, prima di ogni altracosa, di essere rimasti o rientrati nei ranghi, di non cedere a lusinghe pseudorivoluzionarie, di far fulgidamente rilucere capacità critiche verso chi ancora si incaponisce a tentare sortite dalla casta. La morte di Sartre ha fornito un esempio in sé perfeuo, ed insieme un pretesto, per ribadire il proprio assenso ossequioso allostatus quo, all'ordine e al potere. Qualche avvisaglia si era avuta già con la morte di Barthes: ma, si sa, Barthes è meno noto al grande pubblico, la sua irregolarità è per certi aspetti -l'omosessualità -più facile nominarlaper rimuoverla e per altri aspeui -più specificamente culturali - troppo diffi· ci/e e sottile da stanare con invettive moralistiche e il cui significato sia chiaro a chi deve intenderle. Il gioco, la rottura, la frantumazione sono sì estremamente pericolosi ma, appunto, è difficile opporvisi monoliticamente: meglio tacere, pochi articoli, era bravo e raffinato, cose per pochi. E, invece, dopo un mese un'occasione splendida: Sartre è noto a tutti, c'è dentro fino al collo, ha condito la sua vita con gesti inauditi per chi è abituato a_misurarsi su premi Strega e cauedre universitarie e che al Nobel non osa neppure pensare. L'irregolarità di Sartre è fin troppo ovvia, ma invece si scopre che è proprio quella, così banale, a dover essere colpita. Se si escludono, oltre i co111ributi stre//amente giornalistico-informativi, pochi articoli in cui, per quanto possibile in un giornale, cisi muove nell'ambito della riflessione razionale e critica (Vattimo, La Stampa, I 9 aprile I 980; Rossanda, li Manifesto. / 7 aprile 1980, Rovatti, La Repubblica. /7 aprile 1980, D' Eramo, Mondoperaio. n. 4 aprile I 980), la prima e più generale impressione che si ricava, leggendo ciò che buona parte degli intelle/luali italiani è riuscitaamellere insieme in morte di Sartre, è il senso di liberazione che essi hanno provato. Finalmente ,sipoteva fare un discorso conclusivo, chiudere una partita che, Sartre vivo, avrebbe sempre presentato mosse nuove e spiazzanti. Le modalità e i termini con cui ciascuno si è liberato di questa scomodità e con cui ciascuno ha ribadito la sua appartenenza alla propria casta e a/l'ordine morale sono ovviamente diversi, più o meno espliciti, volontari, inconsapevoli o raffinati: dipende dalla protervia, dalla conoscenza di sé, dai lapsus sfuggiti. Ferrarotti se li lascia sfuggire quasi tutti. Dà inizio al suo articolo (li Messaggero. 16 aprile I 980), con alcuni spunti che farebbero la felicità di qualche analista un po' attento: «Ora che è venuto a morte e che vì è giunto senza averci dato il seguito della sua monumentale Critique de la raison dialectique, è forse possibile interrogarsi sul senso della sua presenza e sul significato della sua opera». Prima considerazione: il «senso» e il «significato» corrispondono alla chiusura, allastaticità, alla morte; nella trasformazione non c'è «senso». Seconda considerazione: si fa storia soltanto del passato... eragià stato detto. Terza considerazione: ora che è venuto a morte ... era ora. E, prima di tutte le analisi, più o meno sottili, sulle ascendenze, ·contraddizioni e impossibili mediazioni nel pensiero di Sartre, cosa conta levare di torno subiro? La caparbietà con cui Sartre aveva· vissuto. « Non gli bastava essere un tecnico della parola, un professore di liceo diventato scrittore, noro in tutto il mondo» dice Ferrarotti cui, evidentemente, basta e avanza parlare e a cui l'immagine della funzione dell'intellettuale è chiarissima. Poi gli sfugge di penna la ragione dell'astio che non è riuscito fin qui a nascondere: « ... da ultimo sulla piazza di Boulogne-Bil- /ancourt, direttore de L' ldiot International, in giubbotto di pelle, in lotta contro il potere. Ma il direttore de L'Idiot, un foglio estremista che gli dava forse il brivido dell'azione diretta, della rivolta di piazza, l'illusione di un contatto diretto con il mondo della contestazione giovanile, mi faceva pensare all'altro ldiot. alla mirabile biografia del/' ldiot de la famille, di Gustave Flaubert, cui era tornato amorosamente e alacremente dopo la sbornia del '68 e che lo riportava alle sue dimensioni naturali...». In realtàogni parola di questo piccolo gioiello è densissima di significati che si possono irridere ma che, come sempre, sono tragicamente soffocanti. Il '68 è una sbornia, termine peggiorarivo di ubriacatura, comunque qualcosa di vergognoso che fa emergere incontrollati istinti contro la chiarezza della razionalità e che è bene non diventi un'abitudine; tralasciamo il termine piazza il cui uso è collegabile a precisi ambiti politici; l'illusione di un conta/lo con la contestazione giovanile svela il riaffiorare alla coscienza di ricordi che si vorrebbero forse dimenticare; il giubbouo di pelle... il brivido ... richiamano così facilmente altri brividi in Italia ben noti, da non potersi non me//ere in relazione con disordine e terrorismo. Infine la chiave generale: il ritorno alle «dimensioni naturali», insieme /'in viroe la giustificazione di una cultura ritornata tutta in sé, che riconosce naturali gli ambiti e i contenuti che il potere le assegna. Guarini (Il Messaggero, 17 aprile 1980), rendendo «omaggio» a Sartre con «qualche riflessione irriguardosa», mostra meno inconsapevolezza di sé fin dal titolo «A/tua/e troppo a/tua/e. Il filosofo e il bandito». Il bandito non è Sartre, è Pepè le Moko', individuaro come l'incarnazione perfetta della « retorica esistenzialisra». L 'articolisra sospeua che l'esistenzialismo sartriano più che un pensiero sia stato «una di quelle efficaci miscele ideologico-sentimentali che scuotono periodicamente la superficie della cultura europea senza produrvi alcuna sovversione decisiva». Come dire: lasciamoli giocare, poi rullo torna come prima, gli uomini di cultu'ra in testa. I lapsus di Ferraroui e i sospelli di Guarini diventano, ne~articolo di Col- /eui (L'Espresso,n. 17, 27 aprile 1980, pgg. 221-228), giudizi espliciti e protervi. Col/eui non ha mezzi termini, sa bene quello che dice, non ha sensi di colpa, nel suo convulso tentativo di allontanare da sé mostri e possibili paragoni, di distinguersi, di attestare la propria estraneità e differenza. Così si comincia con l'insinuare che Sartre è «manipolatore assai abile, più che mente rigorosa», che non ha Jeuo direttamente i tesrihegeliani cui fa riferimento, e che è stato complessivamente un «abile amministratore del modesto patrimonio che aveva accumulato». Con quest'affermazione si vuole ribaltare ciò che la Rossanda .(art. cit.) aveva cercato di cogliere come dato essenziale della vita di Sartre: quello di essersi, fra gli intelleuuali di questo secolo, risparmiato di meno. Ribaltare la situazione, capovolgere, aggredire: Sartre diventa, in ciò peraltro accomunato a Lukàcs, l'esempio tipico deltratta dell'invito perentorio dei capi dei Sestieri - «in execution de molte leze sopra prese» - «a tutte le meretrice habitante per le contrade» di «redurse a star al postribolo de Rialto». In realtà. la disposizione. che tenta di adeguare l'esercizio urbanistico del mercato del piacere in Venezia al modello di ogni altra contemporanea realtà urbana. giova solo a informarci. grazie all'indicazione dei luoghi dove essa sarebbe dovnta essere srridara. sulla larghissima diramazione del meretricio. Di più. L'incendio di Rialto. nel gennaio 1514. determinava una obiettiva svalutazione e degradazione del quartiere e. con essa. l'allontanamento delle prostitute che vi avevano preso alloggio. li maggior danno economico. secondo le testimonianze addotte da un'abbondante documentazione. è riconosciuto dai proprietari di immobili in quell'area. proprio nell'esodo. il quale si traduceva d'altronde in un solido vantaggio per i quartieri prossimi prescelti a nuo"3 abitazione dalle meretrici. Infine. si tratta di una vicenda governata dalle regole e dai codici della concorrenza commerciale. Due scritti. il «Pronostico alla Villotta sopra le puttane>. del 1558, e il «Catalogo di tutte le principali et più honorate cortigiane di Venezia». anche della metà del '500. offrono. da un l'«opportunismo». Se mai ci fosse confusione e si rimanesse stupiri dell'uso di quesro rermine proprio in uno scritto di Colletti, eccone la sua definizione: «voler pensare ali'unisono col proprio rempo ed anche con le sue mode» o, addirittura, «pensare, bocca a bocca, con la propria epoca». Le ascendenze hegeliane e marxiane di talemisfauo sono indicate, con filologica precisione, ma si souolinea anche che «hanno condotto in un vicolo cieco». Questo gusro del bocca a bocca, un po' sconcio e perverso, ha poi condo/lo Sartre spesso a «scegliere la parte sbagliata». Ecco il punto: Sartre ha scelro troppe volre la parte sbagliata, rimanendo «dentro fino al collo... in vecchie banalità, che si amerebbe ascoltare nelle omelie di vecchi parroci», mentre Colletti sa, fuori di banalità e con sicurezza, qual è la parte giusta, non il «caos destrutturato e informe» vagheggiato da Sartre ma ciò che a quesr'ulrimo «non poteva che apparire 'merde' ... una società con isrituzioni, leggi e strutture». Più lucido e controllato l'intervento di Cerroni (Paese Sera. I 6 aprile 1980), ma, allora, ranto più duro e disrante. Le considerazioni svolte, con serietà ed acureua, a scanso di equivoci sono rinchiuse tra due giudizi, a/l'inizio ed alla fine de~articolo, che ne indicano la chiave di /e/tura. All'inizio: «Il caso di Sartre è un caso di significativo contrasto fra un'assenza compie/a di riflessione reorico-sisrematicasulla politica e una non meno completa poliricizzazione della propria vita». In chiusura: «Fu l'ultimo dei philosoph~s ... restano dei grandi sorveglianti intellertua/i de~epoca, ma non ne sono più le guide». Al di là di tutto, è bene ribadire che, fuori di certiambiti, «guide» non si è, che chi scambia o usa lapropria intellettualitàper qua/cos' alrrofa poi lafine che si merita. L'Unità (17 aprile 1980), a botta calda, è uscita con un paginone equilibrato in cui Papi e Panca/di, più o meno chiaramente, si bilanciano rra qualche rilievo criricoe una «ammirata simpatia»; e in cui Spinella, giocando sul terreno del reciproco dialogo fra i comunisti italiani e Sartre, si spinge fino ad una valurazionesosranzialmente positiva dell'immergersi di Sartre, certo «talvolta acritica», nel movimen10 di un decennio fa, da rirenersi un processo « ruu'altro che infecondo per il progresso delle idee e della prassi comuniste in atto e a venire». Ma quest'equilibrio è evidentemente apparso eccessivo e troppo discordanre dal resto delle voci, e viene presto rimesso in una prospettiva più complessiva con un successivo intervento di Tortorella (L'Unità, 20 aprile 1980). lato gli elenchi delle abitazioni delle prostitute - che risultano ampiamente ridistribuite e reinserite nel tessuto intero della città - e. dall'altro, la testimonianza della nuova dimensione sociale raggiunta dalle prostitute grazie all'esercizio libero e privato della professione. La meretrice è ormai divenuta cortigiana («Cortigiana hoc est meretrix honesta»: cioè benestante); ed il postribolo pubblico decade. di fatto. irrimediabilmente. Si tratta di una risposta coerente. e sia pur nel nuovo contesto socioculturale del '500. alle condizioni economiche che avevan presieduto ab origine all'instaurazione del meretricio in Venezia. «Le habitationi delle meretrici·_ annota un documento del 1578 - [sono] non solo mescolate con quelle delle donne di honesta vita: ma etiandio contrario a quello che si costuma altrove. [sono] ben spesso disposte nelli più cospicui lochi e belli siti di [Venezia]. .. procurando ancora con eccessivi affitti di sopravanzare li altru. TI ritrauo della presenza urbana in Venezia delle «puttane», tratteggiato da Giordano Bruno· nel Candelajo (atto V. scena 18) e dall'Aretino nei Ragionamenti («Dialoghi della Nonna e dell'Antonia») è veriterio. e conforta le conclusioni che abbiam tratto dalla lettura dei documenti. Prima si souolineano «i comporramenri esisrenzialisticiun tantino provinciali -e persino gli inevitabili compiacimenriche sopra un professore può esercirare l'essere diventato di moda», riecheggiando così le parole di Ferrarotti, e in seguilo, con una prassi ben nota ai Gesuiri, non si sconfessano i propri correligionari e si a//ribuisce ad altri quello che si vuole dire. Così Tortorella nota che «dietro l'universale compianto è sbucato la compassione per il 'fa/filo', per chi ha mancato il bersaglio», mentre lui, senza mancar bersagli, sa che Sarrresi è sempre corretto, anche se a volte si è «ridotto a correre dietro ad un po' di ragazzi scrireriari». Delle «due o tre cose» che Arbasino ·, «ha da dire su Sartre» (La Repubblica, 26 aprile 1980), sarebbe forse meglio non dire nulla. Ad Arbasino sembra che uno dei noccioli delle conrraddizioni sartriane sia, Irale alrrenefandezze, quella di «condannare l'omosessualirà,però non prender moglie» (sic), e via con un chiacchiericcio -ahimè, non come quello «accademico-giornalisrico di tipo filosofico-presrigioso» - che il nostro auribuisce a Sartre ed in IDIO alla cultura parigina. E sia chiaro che Arbasino non si lascia colpevolizzare dalle cupe ma contraddirrorie visioni sartriane su leueratura e fame nel mondo; lui non fa bambini, tu//avia, in quanto imelleuua/e-scrittore anivo ne «l'indusrria /eueraria» li sfama, insieme a «ripografi, addeui ediroriali e librai e le loro famiglie». L'immagine del/'inrellenuale italiano è, così, completa: non va in piazza in giubbotti di pelle, non ha brividi, non pensa bocca a bocca con la propria epoca, non corre dietro a ragazziscrireriari, ma sfama ripograji e bambini. In realràci sarebbe poco da scherzare: ma non credo dorarodi senso, oggi, cosrruire immagini a/rernariveo razionalmente riproporre vecchie discussioni sulla «funzione del/'inrellettuale». A me pare più uri/erentarescardinamenti e frantumazioni, giocando negli intersrizi, e magari facendo mio qualcuno dei «piaceri del marxismo» indicali da Alrhusser e che, di nuovo, la seriosirà italiana e la pratica autarchica non riescono a digerire. Certo il provincialismo e l'ansia di ordine che, così diffuse, affiorano nelle pagine leue, ricordano una cultura, una inconsapevolezza ed un linguaggio ancora diversi ma non troppo lontani dagli aueggiamenti di sicumera culrura- /e e dagli scadimenti linguistici, fino ai cagoia dannunziani: ma sarà, forse, per la prossima morte.
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