Alfabeta - anno II - n. 15/16 - lug.-ago. 1980

M. Tronti Il tempo della politica Roma, Editori Riuniti. 1980 pp. 122. lire 3.000 A. Illuminati Gli inganni di Sarastro Torino, Einaudi, 1980 pp. 158, lire 4.000 F. A. Cappelletti, A.M. lacono. G. La Grassa. M. Turéhetto Circolazione e forme del politico Milano, Franco Angeli. 1980 pp. 124. lire 4.500 11primo punto è capire. Lo dice molto bene Tronti stesso (pag. 64 ): «Capire certe voJte è più importante che fare. È più produttivo politicamente arrivare a conoscere una situazione data così com'è, nei suoi veri termini, che mettere in atto un inter- • vento comunque sulla base di una linea prestabilita. Quello può aprire un campo di azione, questo può chiuderlo». Il secondo punto è prendere posizione. Anche qui Tronti è esplicito (pag. 115): «Il gusto e sacrosanto rifiuto di ogni metodo amministrativo, o, addirittura repressivo, nella gestione della produzione culturale, non deve far perdere il gusto e la volontà della guerra sul piano delle teorie, guerra di pensiero ... c'è un'opaca consistenza 'democratica' del pensiero contemporaneo, dove i pensieri sono tanti, e tutti formalmente eguali, senza vera battaglia delle idee, e senza mai la conquista di una reale egemonia». Capire l'ultimo Tronti (e più in generale le ultime versioni «liberalizzate» e flessibili del!' Autonomia del Politico. con o senza il «dispositivo filosofico» Gargani-Veca) vuol dire cercare di individuare l'elemento storico-materiale sul quale si eleva la sua riflessione. Prendere posizione sull'ultimo Tronti è impossibile se non si ha chiara la complessità e l'organicità di quella particolare variante «di destra» del paradigma teorico «operaista» che ha ormai una storia di quasi vent'anni: e qui il libro di Illuminati è una guida preziosa. Ma questo non basta ancora. Occorre iniziare a dare i primi elementi conoscitivi per una alternativa teorica globale a questo «paradigma». Quando essa verrà. sarà forse un sintomo «culturale» che il problema «materiale» della transizione (che le due attuali faccie dell'operaismo - per motivi beninteso apparentemente opposti - esplicitamente negano) ricomincerà ad essere nuovamente «pensabile». e dunque anche concretamente maturo. Un pensiero radicale L'ultimo Tronti vuole fondare la pensabilità teorica del tempo della politica sulla radicale abolizione della pensabilità del tempo della transizione. Qui - nella abolizione del futuro - il suo pensiero è effettivamente radicale (in tutti i significati più e meno nobili del termine). Qui l'ultimo «operaismo» registra - con sensibili antenne - la profonda crisi che c'è stata della «temporalità rivoluzionaria», sia nella percezione del «vissuto esistenziale» della generazione sessantottina in riflusso sia nella più raffinata· «distruzione filosofica» del nesso fra progettualità e dialettica. Anche il primo operaismo era nato - negli anni Sessanta - registrando la totale impossibilità di pensare il rapporto fra classe operaia e capitale all'interno del marxismo staliniano (questa ideologia della legittimazione che aveva ucciso il marxismo come scienza della rivoluzione) e del marxismo togliattiano (questo storicismo continuista che aveva dissolto le rotture nella pappa del progresso). Si era installato nella breccia aperta da Raniero Panzieri. ma si era ben presto reso autonomo dal programma panzieriano (come è riconosciuto - in modo del tutto esplicito - sia da Cacciari che da Negri). Esso era infine cresciuto (unitario per un certo tratto, poi sdoppiato e sempre più divaricato) come una concezione teorica dotata di una radicale coerenza interna. Il marxiano rapporto sociale di produzione era come succhiato ed assorbito dentro l'attività in-fondata e fondatrice del soggetto (una «composizione di classe» di cui si considerava irrilevante la «trasparenza della coscienza») e conseguentemente !'«oggetto» (ridotto a «posizione» dal soggetto continuamente revocabile) veniva a perdere ogni legalità datagli dalla sua forma di valore. Mai c'era stato un marxismo - Dopo l'operaismo Costanzo Preve per dirla corta - con tantà • auività e senza alcun valqre. Un simile «marxismo» è indubbiamente ricco di «insegnamenti»; mai. infatti. la critica dell'economia politica aveva subito una simile torsione soggettivistica. Come in Nietzsche (secondo la - plausibile - interpretazione di Heidegger) si vede nel modo più chiaro l'esito dello sviluppo della metafisica come regno e destino della volontà in-fondata. appunto perché in Nietzsche questa volontà non si nasconde e si pone apertamente come tale. così negli operaisti è possibile vedere con chiarezza che fine fa il marxismo sottoposto a questa «ingegneria genetica». Concentrazione nell'attività del soggetto di tutto l'aspetto «ontologico» della prassi può voler dire molte cose. dalla autonomia del politico gestita da un ceto professionalizzato e specializzato di politici «disincantati» e maxweberizzati alla autovalorizzazione attuata da un operaio-sociale mosso dai propri irresistibili flussi desideranti. Abolizione integrale della forma di valore come «astrazione reale» e come dato ontologico-sociale fondamentale del capitalismo può anch'essa vol-::rdire molte cose, dalla sincronizzazione temporale di socialismo e comunismo (il secondo visto come pratica immediata del valore d'uso. il primo individuato come reimposizione autoritaria e dispotica del valore di scambio attraverso il comando tutto politico) alla abolizione della transizione (che infatti non si dà senza estinzione del valore e senza temporalità in cui avviene - dialetticamente - la disalienazione). Ancora una volta: bisogna ringraziare l'operaismo per aver svolto in modo radicale e consequenziale tutte le premesse implicite nel suo paradigma teorico. Due fasi dell'autonomia del politico Ma qui non si può analizzare la profonda solidarietà antitetico-polare delle due metà sdoppiate dell'operaismo dopo il 1969. Una segreta solidarietà «teorica» che però non significa affatto - questo deve essere molto chiaro - un gioco delle parti sul palcoscenico storico-politico dell'Italia degli Anni Settanta. Non è infatti casuale che oggi gli «operaisti di destra» siano deputati al parlamento e gli «operaisti di sinista» siano nelle carceri speciali; mentre i primi producevano soltanto dosi massicce d_iideologia della legittimazione di una linea politica stracciona i secondi hanno almeno continuato a «concettualizzare» l'antagonismo sociale ed il rifiuto dello stato di cose presenti. Qui sta la differenza. teorica. politica. morale. Tuttavia. proprio questo ultimo libro di Tronti mostra come questi ultimi anni non sono passati invano neppure per gli apologeti della autonomia del politico. Essi erano partiti nei primi anni Settanta registrando il fatto (indiscutibile) che l'insubordinazione sociale nelle fabbriche e nelle scuole non riusciva a trascrescere linearmente in un progetto politjco di trasformazione. e che anzi tendeva a stagnare ed a impantanarsi. li salto del Politico era dunque un fatto da constatare, contro ogni ideologia «basista». Questo «salto» fu l'oggetto di una confusa concettualizzazione da parte di una politologia (Tronti), di una storiografia (ancora Tronti). di una filosofia (Cacciari). di una storia della letteratura e della cultura (Asor Rosa). Le ambizioni erano grandi, ma alla fine la montagna partorì un topolino. C'è qui -sia detto en passant - un grande insegnamento storico: non si fa grande cultura sulla base di un progetto storico-politico miserabile. In questa prima fase - per così dire - il modello della autonomia del politico fu predicato in forma «rigida». I suoi teorici volevano - certo - distinguersi dai pasticci di Ingrao e Trentin sul «farsi stato» delle masse attraverso la partecipazione ai comitati di quartiere e/o attraverso l'elezione dei consigli dei delegati in fabbrica ed anche dal trionfalismo dei «nuovi giuristi» del Pci che farneticavano di «statalizzazione della società civile» e di Stato dei Partiti come involucro dell'egemonia. Ma finivano però con il non distinguersene affatto. se non per una fastidiosa sapienzialità ed una voluta oscurità massonica. Venne il cosiddetto «movimento del 77» ed ancor più la resistenza sorda della stessa base sociale e storica della sinistra al progetto straccione del governo di unità nazionale. Questa resistenza si tentò certo di esorcizzarla Cesare Viviani come un complotto. come un «ritardo nella coscienza delle masse» o addirittura come una (oggettiva) complicità con il terrorismo. Ma alla fine solo chi era dèl tutto accecato dalla autosuggestione ideologica potè non arrendersi alla durezza dei fatti. Su quella strada la sinistra si stava sfracellando. A questo punto i teorici più attenti della autonomia del politico (e Tronti in primo luogo) presero atto del mutamento di fase e della necessità di «predicare» il loro messaggio in una forma flessibile. Il «sociale» non era più rimosso come ritardo e non veniva più squalificato come materia prima manipolabile e modellabile come la cera. I nuovi «soggetti sociali» (dalle donne ai giovani) erano anzi riconosciuti come titolari di una autonomia storica di fondo. e si chiedeva alla classe operaia di dirigerli in quanto generica «funzione politica di potenza», di concepire la propria «centralità» non più come apologia laboristica del proprio duro lavoro produttivo (alla Amendola) ma come capacità tutta e solo più «politica» di assicurare !;accoglimento di bisogni storico-sociali che non·alludono ormai più a nessuna transizione. ma devono essere «decifrati» e soddisfatti in un orizzonte capitalistico che si tratta ormai solo di accettare con la virile asciuttezza linguistica dell'ultimo Wittgenstein. Nel «deserto che cresce» (Nietzsche), sotto la «calotta di acciaio» (Weber) si danno soltanto più paradigmi indiziari. razionalità regionali, saperi specialistici. giochi e manipolazioni. Così gli operaisti approdano - dopo tanto penare - a Luhmann ed al nesso governabilità-trasformazione pensato al di fuori della transizione. Con grande gioia e clamore scoprono il capitalismo così come il borghese gentiluomo d.iMolière scopre di aver sempre fatto una cosa «nobile» come parlare in prosa senza averlo mai saputo. li secondo Tronti (flessibile) sta dunque al primo (rigido) così come il più smagato Luhmann sta al più formalista Kelsen. con in più le solite considerazioni sulla prima volta come tragedia e la seconda volta come farsa. Sarebbe tuttavia sbagliato pensare di potersi opporre a questa «riconciliazione» (teorica) con il capitalismo con lo stesso apparato teorico semplicemente cambiato di segno. Ogni tentativo di «attivizzare» in senso eversivo questo marxismo che ha come titolare un soggeuo senza valore non è neppure in grado di resistere allo scioglimento dello stesso valore d'uso nell'indifferenza del «simbolico». come appare chiaro leggendo quei veri e propri «karakiri» dell'operaismo che sono gli ultimi lavori di Carlo Formenti e di Furio Di Paola. Il sentiero che è stato percorso in questi anni da Panzieri fino a Baudrillard si rivela dunque uno Holzweg. un «sentiero interrotto». Esso continua però a sedurre, e vi sono poche speranze che venga presto abbandonato. Per poter sopportare la vita l'uomo preferisce talvolta essere ingannato. Gli inganni di Sarastro Il libro di Illuminati è un buon segno. Esso comunica in modo convincente un'idea-forza fondamentale: è ingannato solo chi vuole farsi ingannare. non c'è alcuna «novità teorica> reale nell'autonomia del politico, quest'ultima è ben radicata in duecento anni di «promessa borghese di emancipazione», i termini principali di essa sono già chiari almeno dal Flauto Magico di Mozart. Dare e prendere nello stesso tempo. eternizzare dominanti e dominati a partire dallo stesso ambito - apparentemente «neutrale> - del dominio delle passioni. Soprattutto. sancire la legittimità della divisione sociale borghese del lavoro e l'inevitabilità di un dominio da parte di un ceto di «illuminati>. Il «flauto ingannatore> suona soprattutto due spartiti: quello normativista e quello decisionista, quello che va da Kant a Kelsen e !luello che parte da Hobbes per arrivare a Karl Schmitt attraverso lo Hegel politico. Ad Illuminati è perfettamente chiaro il punto essenziale: il progetto teorico di Marx consiste nel cambiare musica, radicando la questione (non eludibile) del politico dentro la critica dell'economia politica. Suonare questo «terzo spartito» è difficile, avendo il «movimento operaio» storico una lunga tradizione di concerti Iassalliani e staliniani, che hanno sempre coperto con il loro fragore i minuetti francofortesi e/o neogarantisti. Illuminati mostra qui di avere una buona consuetudine con gli esercizi musicali. L'asse teorico da cui parte (un marxismo senza teoria del valore è un marxismo senza valore) è giusto e corretto. La Nuova Teoria trontiana ha poche possibilità di imporsi sulla Vecchia Teoria togliattiana perché non rispecchia la massiccia pratica di presa del potere per via amministrativa. ovviamente fondata su di una ipotesi di pluralismo statalista e di democrazia consociativa. Il trontismo è dunque servito per riciclare migliaia di estremisti pentiti in quadri politicosindacali della politica di Compromesso Storico. proprio quella che avrebbe dovuto essere un incontro fra comunisti e cattolici (ma la Provvidenza - • come è noto -si è largamente vendicata). Ma sembra che non possa servire a nient'altro. e per questo pare adesso piuttosto in ribasso. Illuminati è peraltro molto severo anche nei confronti di quasi tutte le formazioni ideologiche che in questi ultimi anni hanno cercato di opporglisi. A questo proposito è forse bene osservare che se le posizioni di tipo neo-garantisco (da Offe a Stame a Ferrajoli-Zolo) mostrano evidenti scarti teorici in direzioni - mi si scusi la vecchia espressione - sovrastrutturali è anche vero che esse (oltre ad aver giocato un ruolo positivo ed espansivo in quest'.ultima congiuntura politica italiana) pongono con forza l'ineludibile problema del nesso democraziasocialismo nella transizione e della «comunicazione non-autoritaria ed emancipata> come problema reale. Il libro di Illuminati ha anche - giustamente - un capitolo filosofico. Occorre infatti spiegare materialisticamente i presupposti che hanno provocato l'insorgere dell'appareni;a (reale) del primato della circolazione su quello della produzione, l'istallarsi unilaterale nel frammento, l'alluvionale parlarsi addosso, l'apologia del paradigma indiziario e più in generale l'esaltazione di quella «crisi della ragione classica> su cui quasi soltanto Mario Vegetti ha saputo orientarsi con equilibrio e profondità (cfr. Aut-aut, 175-176). apparenza che è poi la stessa a «fondare» l'idea che ci possa essere una «scorciatoia» teorico-pratica per poter tenere insieme i ,pezzi che scappano da tutte le parti {l'autonomia del politico nella sua seconda variante «liberalizzata», appunto). Risulta comunque curioso - sia qui detto del tutto en passant - che questo atteggiamento di fronte al mondo sia chiamato «pensiero negativo», laddove è chiaro che si tratta di puro positivismo e di ovvia reazione speculare al positivismo stesso. La deresponsabilizzazione estetizzante di Gianni Vattimo (il suo Nietzsche danzante ed il suo Heidegger rammemorante) è solo l'altra faccia antitetico-polare della autocesponsabilizzazione decisionistica di Massimo Cacciari (e del suo

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