Alfabeta - anno II - n. 13 - maggio 1980

prosodiques sur les marques syntaxiques ha indagato sulla messa in opera, da parte del locutore, di marche prosodiche interne a un testo letto, osservando come si creino con l'oralità dei contorni melodici attorno alle sillabe accentate. delle marche di modulazione che esercitano funzioni non solo ritmiche. ma anche sintattiche. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che quando la marcatura melodica non è ridondante rispetto alla sintassi del testo, cioè quando devia da essa e ne violenta la struttura, allora essa giunge a mettere in crisi la stessa rigida dicotomia saussuriana fra langue e parole. Questo processo si potenzia enormemente nella lettura di un testo poetico; se poi chi legge è l'autore stesso, egli darà rilievo a certi nuclei semantici, a costellazioni di parole. a particolari agganciamenti e coaguli che egli sente fondamentali nel testo e creerà dei veri blocchi tonali. Si avrà una forma di lettura che rifiuta una sola curva intonazionale del verso a favore di quella che Carlo Emilio Gadda chiamava la tensionespastica del linguaggio; in tale tensione vengono separati elementi linguistici che normalmente fanno gruppo e sono legati fra loro nella lingua di chi parla o scrive. I suoni si liberano, le parole si rinnovano, la lingua si fa corposa. Da un lato, dunque, segmentazioni, urti. strappi liberatorii. dall'altro collegamenti sovrasegmentali fonicotimbrici, autonomi essi pure rispetto alla lettura sintattica e prevalenti su di essa proprio perché il livello ritmicotimbrico è dominante in poesia, nel significato che Tynjanov dava al «livello dominante• di un testo. Stando cosl le cose, sembrerebbe che la oralità offra il massimo di espansione, di dilatazione possibile ai livelli del testo poetico. alla sua stessa realtà di oggetto poetico. Le cose invece non sono cosl semplici: l'esecuzione orale di un testo poetico ha infatti qualcosa in comune con l'esecuzione di uno spartito musicale, offre cioè una delle possibili esecuzioni, uno dei campi di applicabilità di un insieme di segni dell'espressione. In altre parole, attorno a una performance poetica gravitano i mondi possibili e alternativi delle altre performances. Ciò significa che in definitiva il testo poetico orale offre di più. ma anche di meno di quello scritto che lo precede: quest'ultimo contiene in potenza tutte le possibili esecuzioni sicché si può dire che e.sso dà al suo lettore un mandato provvisorio, una momentanea procura. Questo è un problema che va essenzialmente affrontato caso per caso: ci sono testi poetici scritti che contengono già in sé una specie di grammatica dell'esecuzione, altri invece che sono più aperti. In generale si può però dire che dobbiamo alla precedenza operativa dello scrittore alcuni segnali abbastanza precisi. da lui versati all'interno dei segni grafici: se il testo. per esempio. dà segnale di appartenere a un genere affine alla filastrocca. esso potrà giovarsi di una lieve accelerazione della lettura, che non sarà certo pertinente alle segmentazioni temporali di un testo lirico. C'è infine una bravura del lettore. non bravura di laringe. s'intende. In Russia la recitazione è appresa come una materia scolastica, fatto di fronte al quale li per li non si sa che dire. se ne nasce poi quella recitazione straripante a cui ci hanno abituato i poeti russi venuti a declamare in Occidente. D i più vasto interesse il secondo punto che sopra abbiamo citato: quale diverso circuito comunicativo si instaura nella lettura fra poeta e pubblico. che la prassi ci insegna essere costituito prevalentemente da giovani e giovanissimi? li fenomeno ha attecchito molto bene nel nostro costume, sicché sarebbe semplicistico circo.scriverlo a una programmazione di moderni autori vagames: senza dubbio i poeti in questo rito della recitazione esprimono aspirazioni del pubblico non meno che proprie. cioè le finalità di emittente e destinatari tendono a identificarsi, fenomeno che era tipico delle culture orali prealfabetiche. Sipotrebbe allora azzardare che questi riti pubblici rappresentino una almeno inconscia presa di posizione anti-scrittura, anti-civiltà. essendo sentita tale civiltà come troppo razionalistica? Può essere che queste manifestazioni collettive esprimano. prima che un'accettazione di qualcosa. il rifiuto di qualcosa d'altro? li fenomeno è ancora tutto da studiare. ma qualche riflessione già può Dirty Actions, Genova 1980 essere avanzata. È rilevante che ai giovani partecipi di queste sorti di cerimonie culturali (cittadine o provinciali o regionali. tranquille o spastiche) non interessa tanto che testi i poeti recitino. ma il fatto che essi recitino; vi è dunque qualcosa di genericamente atteso. che non è affatto il messaggio individuale con la sua forza centripeta emesso dal singolo poeta. ma è l'ascolto del fiume sonoro al di là dei contenuti (cui spetta interesse secondario) e soprattutto l'ascolto collettivo. Nelle epoche prealfabetiche l'attesa generale si collegava al fatto che la poesia era molto convenzionalizzata e codificata (si pensi alla lettura dell'aedo omerico); oggi si collega al puro fenomeno della oralità. Cioè è proprio l'interesse indiretto ai contenuti testuali e diretto all'esecuzione che dà aspettò ritualistico a tali letture, creando quella che chiamerei un'area di «comunicazione intermedia» in cui il testo orale letto si fa strumento di un processo liberatorio nel pubblico dei giovanissimi, di uno sprigionarsi dell'energia simpatetica collettiva. Si aggiunga la funzione «poeta visibile e parlante». che offre all'uditorio un'immagine iconica. un descensus carminis nella realtà. di cui parlano già le poetiche antiche. Qualcosa di analogo non casualmente succede nel mondo del rock col rifiuto della discomusica. Scrive al proposito Gianni Sassi (in L'Europeo de11'8 aprile 1980): «Questo è un fenomeno interessante. Le case discografiche hanno speso miliardi per lanciare la discomusica. Qua a Milano il Club 54 è stato un grosso investimento. Eppure, malgrado il silenzio degli operatori musicali. il tam tam sotterraneo dei giovani ha decretato: 'disco' niente, vogliamo il rock. Il fatto è che tutta l'attenzione e l'impegno che prima si buttavano in politica ora sono riservati ai fenomeni culturali». Postilleremmo ai fenomeni culturali passibili di esecuzione. di messa in opera diretta entro la collettività stessa dei giovani. Fenomeni nell'insieme di marca irrazionalistica, naturalmente, che possono però essere assimilati a una produzione di anticorpi contro l'eccesso e mal uso del razionalismo. una specie di difesa. tramezza se non proprio barriera. contro lo «scientificismo» e la mal usata tecnologia. L'attesa del giovanissimo pubblico si configura sociologicamente assai diversa da quella delle epoche prealfabetiche; non è passiva, ma attiva; l'aedo di oggi non mette in moto un meccanismo di potere, anche se può illudersi di farlo, ma è funzionalizzato dalle masse dei giovani ai loro riti liberatorii: ascolto di poesia come ascolto di rock, si tratti di hard rock o jazz rock o altre varianti sperimentali, • con l'ovvia differenza che il pubblico del rock è molto più vasto e indifferenziato. li giovane pubblico costituisce, dentro il mare della società, le proprie isole e isolette, foci deputati di una diversa comunicazione; nuota sott'acqua da un'isola all'altra; i poeti sono accolti in queste isole, ma non le creano loro. vi parlano in due o tre consecutivamente, variazioni dell'attesa oralità. Da un punto di vista semiotico, si possono avanzare due riflessioni: 1) nella nostra epoca superdotata di scrittura non solo esiste un sistema a due variabili. segni della oralità e segni della scrittura. ma la diversa combinazione dei due sottosistemi assume un profondo significato generazionale. 2) I segni della oralità appaiono oggi ai giovani come atti a produrre una forma più autentica di comunicazione fra C'era una volta la teoria economica . i singoli e fra i gruppi rispetto ai segni della scrittura; riprende per essi nuova validità contestuale l'affermazione di Socrate per cui i segni della scrittura, come quelli della pittura, sembrano parlare. ma se li interroghi non ti rispondono. D alla specola sociologica più redditizio, lo si è visto, tra i due poli comunicativi quello dei destinatari; ma dalla specola letteraria sarà l'emittente ad avere l'ultima parola. Molto significative le riflessioni di Andrea Zanzotto, là ove in Filò egli. collega la poesia alle origini stess·edella oralità infantile, al petel come «sperimentazione di un'oralità (zona di nutrimento, 'fase' ecc.), oracolarità, oratoria minima eppure forte di tutto il viscoso che la permea( ...) veniente di là dove non è scrittura (quella che ha solo migliaia di anni)>. E Sanguineti, in un'.intervista televisiva del 1979, parlava della poesia come scrittura per la voce e della voce come incarnazione del testo. Altrettanto cospicue alcune riflessioni di Antonio Porta, in un intervento pavese recente, sulla felicità enunciativa e sulla corposità che le immagini assumono alla lettura, ma anche sulla funzione sociale che alla fin fine la lettura esercita offrendo una terza via. un terzo modello di oralità in contrasto sia con quella discorsiva, argomentativa dell'universo scientifico-tecnico, politico ecc., sia con quella legata alla ridondanza e al rumore dei mass media. Naturalmente, concludiamo noi, è auspicabile che ci siano sempre presenti le Muse in accezione esiodiana, da cui siamo partiti; altrimenti potrebbe accadere, e qualche volta accade in questa che è ormai una moda smodata di pubbliche letture, che. gruppuscoli di minori e ultraminori cerchino di portare a spalla qualsiasi pubblico, non senza suo strazio, nel proprio cantiere dove, per dirla con Gadda, abbondano gusci senza il lumacone dentro. Allora nasce una grande confusione tra la poesia e l'energia propria dello spettatore ditirambico, due fenomeni tutto sommato entrambi importanti. ma a livelli alquanto diversi, fra i quali lo spettatore non ditirambico ha diritto e dovere di esercitare il suo distinguo. Cos'èallo~~vcja'pitale? Piero Sraffa Produzione di merci a mezzo di merci. Premesse a una critica detta teoria economica Torino. Einaudi, 1972 (1960) pp. Xlll-129, lire 2000 Pierangelo Garegnani ■ capitale nelle teorie della distribuzione Milano, Giuffrè, 1960 pp. 253, lire 6000 Augusto Graziani «C'era una volta la teoria economica•, in Al&beta n. 10, febbraio 1980. f' C'era una volta la teoria economica. divisa in due campi fieramente avversi, che erano rispettivamente quello dell'economia borghese da un lato e dell'economia marxiana dall'altro•. Dopo questo esordio, Augusto Graziani («C'era una volta la teoria economica-,Alfabeta n. 10) passa a descrivere ('«operazione pacificatrice• che ha dominato la scena negli ultimi vent'anni: quanti ne sono passati dalla pubblicazione di Produzione di merci a mezzo di merci e del libro di Pierangelo Garegnani, Il capitale nelle teorie della distribuzione, che sono ambedue del 1960. Tale operazione consiste, prima di tutto. nel passaggio da una «critica esterna• dell'economia borghese (ossia da una critica «dell'impianto• di quell'indirizzo di pensiero, «dei suoi presupposti di base». «delle sue radici ideologiche•) a una «più raffinata, ma intrinsecamente debole, critica interna», che riguarda esclusivamente la teoria marginalista (arbitrariamente identificata con l'intera «scienza economica borghese») e la respinge solo in quanto «carente nella sua costruzione analitica», riducendo tutto a una questione di «correttezza formale». Ma non basta. A essere respinto senza miglior motivo che per essere logicamente viziato è anche il procedimento attraverso cui Marx, sulla base della teoria del valore-lavoro. determina il saggio del profitto e i prezzi che dovrebbero assicurarne l'uniformità (dopo di che, la stessa teoria del valore-lavoro non può essere difesa se non riducendola a una mera definizione, ciò che essa certamente non era nella concezione di Marx). Ed ecco ('«operazione pacificatrice» totalmente dispiegata: essa vanifica l'antica contrapposizio11enegando validità all'uno non meno che all'altro dei suoi termini. Quel che resta è un che di indistinto, la notte in cui tutte le vacche sono nere. Della scellerata operazione sono responsabili non tanto i «giovani leoni dell'economia politica italiana» i cui lavori Graziani recensisce, quanto quegli «altri e più autorevoli vescovi» per averli acrirt a eewef',c.■o giulio oeeare 97',10155torinoJ ~•nto contraaeegno al ric1vimento/niente eoldi nella bu.• supplemento a L.D. Lega nonviolenta dei detenuU. AUTOIIIIUZIOIII!Jll!L TRil!UIU.U DI 'fORlllO lf,26011 DEL 10/T/1976 DIRB'f'fORI! RBSPOIIS.ll!ILB1 lorenzo gigli oorao giv.lio ccear• '3T- 10155 1ortno llSCI! QU.llll>OCAPITA, UlfA COPIA COSTA DALLB 300 ALU 350 LIRB Qtll!S!'O 1111.lIL IIUlfBRO/E)USCI'fO lll!L PRIILlIO 1978. IWf!IO COLL.t.BORA!01 IIÀlliltro EL IIJ.SIWIUII, PISTIS (COM ll!OL!A C .uaA), IIICOL.t.S IIAVBL, IIJ!:J>IAJIOVJS. Pl'f!A.COLI, CINACCHIO, PAII 011.lD I! Ttlffl QUl!LLI C1!I! ILlllllO COIIPIIA!'O IL GIORIIALB. : :1:=~;~:~ ~:!:~ro~:UU:~ =- =-=ç..: .lSIIIO lii TUTTI I SBIISI. QUESTO IIUl!l!RO li' __ ,_.,.. 'Z!'":i=J-.• Dl!DICA!O A IIOIIAD.lll ALI.Pllll!.AU JmVOIR ------•·-•• I! SB 11011 Cl VEDIA■O PIU' FELICI IIOHJIIT t 1!11011 tU,'ft.lJI Sewer, Torino 1978 aLtolle-an!SI I JOR!:deVI kB LU'OgnA PII oSSe IIORTA( I )eeH!lf(-ijalll )/& ll!Yeol! eooo!l aOAill(HAHAI) A re/SPIIWl-.que SU APPLA'fllCOSIIIClpunto SB U aTAi Dilll'fTAn/l>O A/Tee laPIIIIPOIU.UOcLallDie, ■eS'l'ai Ll aPIILATUlare o/PPure 6( S!l) aLLe pRl!SE A/ne LA tUA OIDDA(aAjAle ! ·• •• , • •moLLATou'f/Alllle/flltto/aLL( 11 ) ♦++ toD0/.1,//?1),i'IIIIA'fl iL nAoO & bU'fta'1'1(c11mpte)llel !O■BlinOl?l?(aAJaLel)(oPOU &) 11,'cYI fflB SPOROACOIOIIS are ,ot,NARI +INTt,~VIS CHRISHA I OAn & THAt NrS (0 OLORB ~ I& Il) cui lo stesso Graziani fa colpa di avere «indicato la strada». Meglio dunque, mi sembra, parlare direttamente dei vescovi. A questa regola mi atterrò in quel che segue. È dalla distinzione marxiana fra «economia politica classica» ed «economia volgare» che conviene prendere le mosse. li brano su cui voglio richiamare l'attenzione del lettore fa parte del Poscritto alla seconda edizione del primo libro del Capitale ed è di quelli che reggono assai bene la propria notorietà. Mi permetterò dunque di citarlo estesamente. «L'economia politica, in quanto borghese, cioè in quanto concepisce l'ordinamento capitalistico, invece che come grado di svolgimento storicamente transitorio, addirittura all'inverso come forma assoluta e definitiva della produzione sociale, può rimanere scienza soltanto finché la lotta delle classi rimane latente o si manifesta soltanto in fenomeni isolati. Prendiamo l'Inghilterra. La sua economia politica classica cadé nel periodo in cui la lotta fra le classi non era ancora sviluppata. li suo ultimo grande rappresentante, il Ricardo, fa infine, consapevolmente, dell'opposizione fra gli interessi delle classi, fra salario e profitto, fra il profitto e la rendita fondiaria. il punto di partenza delle sue ricerche, concependo ingenuamente questa opposizione come legge naturale della società. In tal modo la scienza borghese dell'economia era anche arrivata al suo limite insormontabile ( ...) L'età seguente, dal 1820 al 1830, è contraddistinta in Inghilterra dalla vivacità scientifica nel campo dell'economia politica (...) Si celebrarono splendidi tornei (...) Il carattere spregiudicato di quella polemica - benché

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