steriale-senza la quale nulla potrebbe essere né pensato né agito. Ancora una volta per andare alle radici del diritto - e in particolare del diritto pubblico- si mostra la necessità di prendere in esame la forma stato e gli apparati. Nella Prefazione del suo best selle, (La vicenda dello stato moderno - Profilo sociologico, Bologna, li Mulino, 1978) Gianfranco Poggi ha . scritto: «Molte opere di diritto costituzionale sono tediose quanto l'antropologia e ardue quasi quanto l'economia; spesso, inoltre, si mantengono ostinatamente estranee ad ogni esplicita problematica politica». Svalutazione dell'antropologia a parte, non si può non convenire. Allora un'importante strumento di. studio, il Corso di Rescigno risponde a questa seria critica, e dire che ha come sua caratteristica quella di essere il primo manuale di diritto pubblico pensato in termini marxisti è- mi sembra - ideologico e riproduttivo; più rilevante è vederlo incentrato - come sintesi- sul problema della materialità dei rapporti sociali, la «forza» e il monopolio degli strumenti repressivi da parte di un'unica centrale di potere, lo stato e le sue burocrazie - civili e militari-, il viso violento del diritto. Si esce finalmente fuori dalla presentazione astorica del diritto pubblico che ·è all'origine della «tediosità» denunciata da Poggi e si permette una lettura colta delle istituzioni, calate nel tempo. La storia della centralizzazione del sistema di comando e della trasformazione della violenza in legalità corre non disgiunta dalla storia dell'intolleranza e dei rimedi- più o meno illusorii - per combatterla. Questo filone di lettura del diritto pubblico vale a rovesciarne una serie di «verità» pigramente trasmesse. R. iprendiamo il tema forza-violen-- za. Quando si dice che lo stato ha il monopolio della forza ecco che -di nuovo-si utilizza la figura «forza» con le sue connotazioni positive, quando è invece il monopolio a (presumere di) elevare la violenza a forza, allora è suo il merito di spazzare via una pluralità di violenze e quindi «fare ordine». Ma il monopolio statale ha pur sempre per contenuto la violenza, violenza fisica su persone e su cose. Ribadire questo punto è importante poiché permette di andare concretamente all'incompatibilità del diritto e dello stato con la speranza di comunismo; il tema del deperimento del diritto e dello stato è ipotesi di non necessità di violenza, è progetto di materialità sociale escludente la violenza nei fatti e non vagheggiamento di normatività alternativa. Libertà dei/nei fatti contro illibertà normativa. Affrontare la conoscenza del diritto in questa ottica spinoziana è ben diverso dall'approccio burocratico-descrittivo consueto e vale da vaccinazione contro il mito occhiuto della norma. Qui si ha trattazione del diritto non nel segno di riduzione economicistica, ma come spiegazione di problemi aperti e illustrazione di istituti operate con mente di cultura marxista: l'inveramento-superamento del diritto come azione teorico pratica del proletariato è presentato come dissoluzione dell'ordinamento giuridico nella giustizia materiale. E questo è proprio uno dei grandi temi dell'originaria riflessione marxiana. Molte «verità» si annebbiano, quella della sovranità popolare, per cominciare. Sovrano è chi comanda - effettivamente - gli eserciti, è chi dispone delle armi. chi detiene il potere materiale, il resto sono parole. Il popolo subisce la violenza fisica, dunque non è affatto sovrano. Le forze armate sono comandate da Governo e apparati. Ecco allora che prende senso il tema garantistico: il «come garantire che vi siano sfere di libertà sicure di fronte allo Stato, è il problema che affatica tutte le forze sociali e politiche da quattro secoli, in teoria e in pratica. Ma questo problema nasce proprio dal fatto e dalla consapevolezza che lo Stato è cosi forte che esso, materialmente, può in ogni momento rovesciare ogni limite, ogni garanzia, ogni libertà». Cosi l'analisi dei diritti di libertà, una volta che sia incentrata sul monopolio statale della violenza legale, mostra che il problema è quello di definire diritti dello stato contro la libertà dei singoli, riflesso poi ideologicamente come rivendicazione contro lo stato. La chiave di comprensione dell'apparente paradosso passa sempre per la separatezza tra popolo e governo, tra comando del potere armato e cittadini: la rappresentanza politica la riafferma. E la fragilità dei diritti di libertà è connessa al sistema dei partiti la cui presenza nel sistema costituzionale non può essere trascurata a pena di una lettura notarile e meno che formalistica. È con i partiti che si svela l'oscura realtà della società borghese: la sua radicale divisione, fonte sorgiva della violenza. «L'ideologia dominante» - cito Rescigno- «si sforza di presentare questo fatto inquietante, e in verità drammatico, come normale e positivo (...) Essa è tutta tesa a validare il conflitto sociale, di cui la pluralità dei partiti è l'espressione sul piano politico, come fatto fisiologico e positivo (...) Implicitamente in questo modo si riafferma la ben nota tesi, cara a tutti i reazionari, per cui vi saranno sempre ricchi e poveri, padroni e servi, governanti e governati, dominatori e dominati, oppressori e oppressi, sfruttatori istituzioni statali (dal mondo del potere armato) né mero momento dello stato separato dalla società dal mondo dei bisogni e delle lotte) ma l'una e l'altro insieme e a causa della loro contraddizione. I nteressante che un giurista senta il bisogno di questa «Appendice» e che la lavori in polemica netta con Colletti sul tema della contraddizione e della storicità del conoscere (anche il diritto - ma non è fare storia del diritto) e, quindi, del nesso teoria-pratica. Buort segno che la ragione dialettica si faccia strada in un manuale istituzionale di diritto pubblico. Era tempo e proprio perché la crisi della ragione borghese si è sempre annidata nel diritto in quanto ideologicamente concepito come concrezione della giustizia quando ne era (e ne è )- per ricordare Luki!.cs- sua Zerstorung. Distruzione della giustizia proprio per volontà illuministica di oscurare la violenza che come «forza> il diritto incorpora, quell'irrazionalità che - occultata - si fa inquinante e sovversiva. Sotto tale simbolica epigrafe - distruzione della giustizia - potrebbe andare la storia del pensiero giuridico borghese. Negare la presenza di violenza nel diritto del capitale e del suo stato valeva esaltarne - sua specifica necessità - la valenza di mito, e così agghiacciare il mito stesso e privarlo di e sfruttati. Chi sostiene il contrario è dichiarato illuso». Qui l'analisi si dipana dialetticamente. Lo illustra l'autore di questo Corso che si chiude, inusitatamente, ma con coerenza metodologica, con una appendice «Sul metodo dialettico». L'essere ogni partito né mera articolazione della società separata dalle vissuto, renderlo fabulazione del diritto e di sua «forza> buona, riparatrice, ordinatrice. Favola ingannatrice per i più e metafisica della violenza per i teorici. Anche il trascorrere da «mito> a «teoria» era coerente come necessità di seppellire sotto lapide di sistema quanto di remoto e vitale e profondo il mito recava seco come protesta e speranza e lasciare vivere solo la favola minorizzante e compensatoria. Eppure una riflessione razionale sul diritto post Rivoluzione non può non focalizzarsi sulla tragedia della violenza legale e sul monopolio statuale - e sui modelli remoti utilizzati. E sulle inevitabili tentazioni «concorrenziali» che il monopolio induce al suo esterno. La critica del diritto allora ha senso come critica della violenza e perciò del diritto, come ricerca sulla violenza umana di cui l'ordinamento giuridico fa uso e sua messa in questione e sull' - humus sociale ove la violenza si radica e cui il diritto fa velo. Lo sdoppiamento del mito del diritto, il giudice divino, in favola e metafisica (per residuare mera e bruta repressione) origina con l'occultazione della violenza. È nodo pensabile solo nella forma di riconoscimento di realtà irrazionale da conoscere e dominare. l'oralitàe ilpqrlardeelleMuse N el proemio alla Teogonia Esiodo, che fu un grandis!l:-:!lOartista e non il paludato autore didattico dei nostri licei classici, ha una luminosa e un po' commossa riflessione metapoetica sul parlare delle Muse: tale, oralità divina gli appare qualcosa di corposo che scorre nell'aria come un fiume (pregnante metafora cui fa da parallelo l'altra del diffuso sintagma «parole alate») e lascia nell'aria una serie di suoni. ripetuti dalle balze dell'Elicona. sotto forma di eco. Esiodo si riferisce ai tempi eroici della oralità, in cui l'aedo costruiva il testo poetico orale su un gioco combinatorio attuato con due serie di strut- . ture storicamente capitalizzate e individualmente conservate dalla sua memoria ben esercitata. la serie semantica o dei temi poetici (tenuti presenti con la tecnica formulare) e la serie fonico-timbrica. entrambe ripetitive. Allora dietro la recita di poesia non c'era il testo scritto perché si era in culture o pre-alfabetiche o alfabetiche ma ancora prevalentemente orali. Al livello della competenza del pubblico, va detto che essa era tale da disporlo all'immedesimazione col messaggio: la tecnica ripetitiva in luogo di produrre noia. diveniva liberatoria. produttrice di energia sociale all'interno di un rito collettivo di ascolto. Poi la scrittura si è affermata decisamente. ha fissato coi suoi segni grafici una piccola parte dei testi orali vaganti nell'aria. mentre i più si sono persi. Allora. il fiume poetico della oralità esiodeo può diventare per sovrappiù immagine o simbolo del fiume del tempo. del panta rèi eracliteo; di pari passo la scrittura può diventare segno sì di sopravvivenza. di vittoria sul tempo. ma anche in qualche modo segno di c_imitero. Da un punto di vista semiotico si p11òaffermare come dentro ogni epoca dotata di scrittura non solo esista un sistema a due variabili. segni della oralità e segni della scrittura. ma la diversa combinazione dei due sottosistemi abbia un profondo significato per ciascuna cultura. V ediamo un po' cosa succede oggi. Proviamoci a capire come mai si possa nuovamente parlare di importanza, sul piano sociologico, della funzione della oralità; come mai riprenda quota il destinatario collettivo e la riappropriazione del segno poetico orale da parte del pubblico. Affermare che si è in un periodo di sovrasaturazione e di groviglio della scrittura è affermare l'ovvio: a portata di tutti l'esperienza di impero. per non dire di incubo. della stampa come canale di comunicazione insieme della ricerca scientifica, parascientifica, tecnologica. delle ecolalie. dei rumori. Un brutto affare. insomma, tutto questo scrivere e stampare. In un contesto non molto dissimile. forse meno nevrotizzato. undici anni fa Northrop Frye in un saggio dal titolo Mito e Logos. composto per un numero americano di Strumenti critici (n. 9 del 1969). cosi descriveva la situazione del suo paese con occhio soprattutto alla 1Jb ·- W Oo~ •~ uBtrffn ·-~ a,11.. taen--. +•t onato ae1. J>O]IO'.lo 4efU 11<:ia lli. 111 •co,._ Ooh .. "bl,ia 4iapcn\& -.rceem:aa, •rct-1dee, aeee..-re--.-rc,- "tflllPO.. b. nessuna disponibilJ,tà alla collettivizzazione, alla prodiuziOnt èol lettiva contro la merce. Pub darlr che• questa· ai&. una condizione da accettare per una fase. la 4u1.~ OOlle~~8olt.t-ùta: -- ]1111.".. l~a • batto tw,1. 1 e),. :rluttt..., a.._... - JoJ>olb. Occorrerà da questa restar fuori,scontan California: «I cambiamenti culturali degli ultimi vent'anni all'incirca hanno reso ovvio il fatto che noi stiamo incominciando a muoverci in un'orbita culturale diversa, in un'epoca che sta recuperando molte qualità della cultura preletteraria. Il risveglio della poesia orale è il più ovvio di questi fattori; la poesia letta o recitata a gruppi, vicina all'improvvisazione. di solito con qualche tipo di accompagnamento o sfondo musicale, e spesso indirizzata a commentare l'ultimo problema sociale del momento. Quando pensiamo alla poesia contemporanea non pensiamo tanto a un gruppetto di grandi poeti quanto a un tipo di diffusa energia creativa, molta della quale assume forme abbastanza effimere». Più oltre Frye insiste sulle reazioni do 11 impossibilità di determinare alcun effetto 1 di. movimento". Ja.-U• .. 1->-lnle:liùa dell .. tocilll.itt a~ l'f'Ole-taorla•tt m11 t --..raùile. 0(;,correrà ·teeeere 11 filo della ricomp.o• aizione fuori da questa matassa, perchà. poi, da qualche parte (da determinare, nei prossimi mesÙ 11 filo sappia riatt ravereare la matassa, e rifarne 1:1:ovimen1:: to, disegno chiar0 del processo di libe• razione consapevole. X. candi-sj.one a.tbal.e 1~ iapealece ad un I operazione che aia di immediata proposta organizzativa. Nessuna continuità aerve salvare, come;.al solito. Far le cosei in grande, spostarsi, attendere ed attirare il processo reale con una macchina che ora dobbiamo mettere ·a punto. ' i1TORNIRO U.~C.C.IAIO A/traverso, Bologna /978 ,a.-a "''~ (A. Rimba\Ad) emotive del pubblico alla recitazione poetica arrivando a parlare di «spettatore ditirambico»; con aggiunto il riferimento. abbastanza carico di acume, a una sorta di rivoluzione psicologica che starebbe alla base di questi testi orali. diretta non tanto contro il potere economico sulla scia del marxismo, quanto «contro le ansietà del privilegio». Aggiornato agli anni Ottanta e riportato al contesto italiano, tale discorso richiede alcuni ritocchi, quelli che la Storia stessa ha portato nel frattempo alla vita degli uomini e quindi anche della poesia. Lascerei da parte lo stretto nesso fra testo orale poetico e problematica sociale o politica del momento perché ciò non è specifico delle recite di poesia d'oggi, scarsa- • • LL \'.plli4• D6L.L'f.C. mente pragmatiche nel loro complesso e poco dardeggiate dal politico, salvo casi particolari che costituiscono eccezione. Come pure _seJ)!lTereili(enomeno della lettura di testi poetici precedentemente - scntndalla ìmprovvisazione o quasi-improvvisazione, che oggi ha luogo in un settore ben distinto e con sue norme, quello della poesia sonora o della drammatizzazione spontanea, dove si ha una situazione enunciativa volutamente immersa nell'ibridismo delle varie codificazioni di più sistemi segnici: gesti, suoni, parole. intrecciati, il tutto come contrapposizione a un sistema semiotico che tradizionalmente separa le pertinenze e i ruoli dei vari codici comunicativi (lingua, gestualità, musica, colore, rumore ecc.). 11 fenomeno sociale della oralità su cui conto fermarmi, perché più vistoso e perché su esso la stampa quotidiana o periodica ha espresso, a parer mio, alcuni giudizi imprecisi e fuorvianti, è quello delle recite o letture pubbliche di poesia da parte dei poeti stessi. vagantes come antichi clerici. ma senza subirne i pericoli o gustarne le avventure, per grandi città e popolose periferie e teatri di quartiere e piccoli centri di provincia. In questo ambito si ha a che fare con oralità applicata a testi precedentemente scritti, per cui gli aspetti interessanti diventano due: 1) qual è lo specifico di tale oralità, o meglio: che cosa fa di un testo orale un altro testo, cioè qualcosa di diverso dal testo scritto di partenza? 2) Quale nuovo circuito comunicativo si instaura fra poeta recitante e pubblico, fra emittente orale e destinatario? Quanto al primo punto, nella lettura pubblica ha luogo una esecuzione del testopoetico,unamessainoperache è già di per sé un modo di distanziare il testo orale dallo scritto. Tale affermazione sembra tautologica, ma non lo è, perché l'esecuzione prova che non è l'intera realtà del testo poetico a precedere la performance; come dire che vi è una funzione creativa. un'inventiva supplementare che si attua solo nell'esecuzione, cioè nella resa orale delle strutture formali del testo. Il linguista Philippe Martin nel saggio Questions de dominance des faits
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