Alfabeta - anno II - n. 13 - maggio 1980

La posizione dei grandi quotidiani "indipendenti" Corriere della Sera. Il più diffuso e auterevole quotidiano d'Italia appare singolarmente cauto. Sul dissidio euroamericano pubblica un solo articolo di commento (La crisi atlantica, 16 aprile) nella rubricadi Alberto Cavallari, in seconda pagina. Cavai/ari si limita a respingere come «superficiali e sommarie» le due reazioni attribuite ali' «opinione pubblica»: il compiacimento per l'autonomia europea e l'indignazione per il «tradimento» verso gli Usa. La crisi atlantica «certamente esiste-scrive Cavallari - ma non supera (né può superare) i soliti limiti». I legami militari ed eronomici tra Europa ed Usa impedirebbero comunque l'esplodere della crisi; il problema vero è un altro, è quello di una politica verso un Terzo Mondo «in ebollizione». Il sottrarsi del Terzo Mondo al contro1lo delle superpotenze è il vero leitmotiv dei commenti del Corriere. Ne scrive Vittorio Zucconi (L'impotenza delle superpotenz.e, I O aprile), ne scrive Alberto Ronchey in Prepararsi a Reagan? ( 13 aprile) e in Dov'è Sarajevo? (19 aprile). t vero che per Ronchey «impotenti» sono soprallutto gli americani, incapaci di opporsi all'espansionismo sovietico e al fanatismo islamico. Ciò tuttavia non lo spinge a condividere la linea di Carter: le sanzioni economiche verso l'Iran sono vane, mentre ogni intervento nel Golfo Persico sarebbe solo pericoloso. Nessuna condanna quindi per l'atteggiamento europeo, la sola conclusione è il pessimismo. Lo scenario rimane lo stesso nell'articolo di Alberoni Le due superpotenze non vogliono disturbatori ( 17 aprile). Qui viene esplicitato un sospetto chesi intravvede anche nei commenti di Ronchey e Zucconi: che le due superpotenze stiano giocando in Iran e in Afghanistan una partita tendente alla restaurazione dell'equilibrio bipolare, alla «spartizione del piallo». Scrive Alberoni: «Oggi una banda di ribelli afghani insidia l'immagine dell'Urss, un prete islamico quella degli Usa. (...) La Russia invade l'Afghanistan, penetra in Iran e l'America risponde duramente. Poi ad un certopunto tratteran- - no direttamentefra di loro. Questa con ogni probabilità è la logica che Carter sta seguendo forse senza neppure saperlo, che Kissinger persegue probabilmente conoscendola benissimo. t proteggere Mussolini stesso, come sarebbe stato giudicato un ipotetico sequestro di diplomatici americani per ottenere Mussolini o almeno un processo internazionale? È comprensibile che per la stragrande maggioranza degli iraniani il deposto Scià non sia molto diverso da Mussolini. Nonostante questo, la nostra stampa continua a martellare sul tema del <fanatismo» e della <irrazionalità» degli iraniani. Vorremmo chiarire che quanto abbiamo detto ha carattere di metodo; il giudizio sulla situazione politica interna dell'Iran, su Khomeini e su11e forze islamiche non è necessariamente collegato. Marie-France Toinet ha condotto uno studio della stampa francese in rapporto all'Iran, pubblicato da Le Monde Diplomatique (Quelques semaines de la rèvolution iranienne - Crisedans le tiers-monde, information in Occident). In particolare, lo studio riguarda l'uso di categorie come <fanatismo» e <irrazionalità» a proposito dei dirigenti e/o delle masse iraniane; l'autrice dimostra con ampie citazioni dei giornali francesi come, attraverso i medesimi criteri di uso, sia altrettanto facile applicare queste categorie a diversi atti della politica estera americana. Gustoso è l'elenco di titoli che, in una continua altalena, annunciano e smentivano nello scorso novembre l'intervento di forze militari Usa in Iran. Sarebbe altrettanto facile ripetere l'analisi sui quotidiani italiani, dove termini come e:fanatismo» e <irrazionale» sono il meno che capiti di leggere, in questo periodo, a proposito dell'Iran. Uno studio di questo tipo mostra entro quali contorni ideologici operi la libertà di stampa in Occidente sul terreno internazionale. È da notare che in questo uso di stereotipi descrittivo-ideologici le differenze tra giornale e giornale sono molto meno sensibili di quanto accada in sede di analisi/ commento dei problemi politici in senso stretto. <Fanatismo» è un termine che si ritrova negli editoriali di Scalfari come in quelli di Montanelli. È su questo sfondo che bisogna co11ocare la questa immagine di restauratoprestigio che affascina l'opinione pubblica !1mericana. Il Giornale. Gli strani amletismi del Corriere sembrano banditi dalle pagine montanelliane. Lo stessoMontanelli si è prodollo in due articoli di fondo poco equivocabili. In Se scrivessi a Carter ( 14 aprile) così si esprime, in una immaginaria leuera al Presidente: «Non meritiamo i riguardi che lei ci usa. Non siamo soltanto degli ingrati... siamo anche dei cialtroncelli che credono di fare della grande diplomazia facendo solo del piccolo mercato giocando sugli equivoci e spacciando per indipendenza nazionale la loro codardia». Ma persino nel più ferreo filoamericanismo si insinua una nota stonata. All'immagine consueta del «sentimento di impotenza» che pervaderebbe il popolo americano, giustificando i mezzi forti, si sovrappongono altre immagini. In un articolo di fondo di Rosario Romeo, Le comparse europee ( 17 aprile) si legge: «In taluni casi è sembrato che intervenisse una precisa volontà americana di perpetuare il proprio predominio sugli alleatipiù deboli». Gli alleatihanno sì raggiunto «livelli economici elevatissimi ma senza che alla crescila economica si accompagnasse una crescitaparallelasul terreno militare e politico». Ciò porta a una «deresponsabilizzai.ione»e « rischia di provocare lo sfaldamento della periferia occidentale». Ma è nel fondo di Enzo Bettiza del I3 aprile, intitolato D peggio seguirebbe, che emerge, come nel Corriere, il sospello che gli Stati Uniti stiano giocando una colossale partita alle spalle degli europei. « Come non vi è stata una terza guerra mondiale per Kabul, non vi sarebbeneppure se gli amèricani tentassero un'azione di forza per liberare gli ostaggi di Teheran. Vi sarebbe, invece, un'altra cosa non meno pericolosa per gli europei: una nuova Yalta. Se prova di forza dovrà esserci, essa non potrà passare che a/traverso una consultazione preventiva fra Washington e Mosca. Avremo allora, con ogni probabilitàJuna riaffermatione tacitadella vecchiapolitica del cinquanta per cento: a me l'Afghanistan, a te l'Iran. E la spartizione si compirebbe sulla testa degli europei, abbandonati alle loro scarsità e la povertà analitica delle informazioni che ci pervengono sulla situazione sociale in Iran. La Toinet fa giustamente notare che la stampa occidentale descrive alternativamente la situazione politica iraniana come una dittatura monolitica di Khomeini e come un groviglio quasi inestricabile di correnti e di gruppi sull'orlo del caos. In effetti, ciò che - salvo rare eccezioni - manca totalmente è un'analisi sia pure approssimativa dei rapporti fra rappresentanti politici e classi sociali in una società arretrata ed etnicamente differenziata come quella iraniana. Ancora oggi non sappiamo quasi nulla del ruolo che hanno avuto nella rivoluzione le masse contadine, il sottoproletariato urbano, la classe operaia, la borghesia. Nell'eccitazione generale è quasi sfuggito (figura solo in un titolo dell'Avanti!, del 9 aprile) che, all'indomani della decisione americana di rompere le relazioni diplomatiche, il Consiglio de11a Rivoluzione ha decretato il blocco dei salari e la restrizione dei consumi. Questo fatto, unito alla liquidazione dei gruppi di sinistra nelle Università attraverso mezzi violenti, lascerebbe supporre che la classe dirigente islamica sta compiendo, sotto la copertura de11abattaglia <antimperialista», un serio sforzo per emarginare l'opposizione politica di sinistra e per strappare alla classe operaia i poteri conquistati durante la rivoluzione (in passato sono filtrate diverse informazioni su appelli dei dirigenti perché cessassçro scioperi e occupazioni di fabbriche). Questi elementi, che fornirebbero una chiave di interpretazione decisiva del comportamento delle autorità iraniane sulla questione degli ostaggi, sono stati quasi totalmente trascurati a favore delle ipotesi più fantasiose. L'altro pilastro delle interpretazioni correnti sui rapporti Usa-Europa-Iran è costituito dalla <frustrazione» e dal desiderio di rivincita che animerebbe una imprecisata <opinione pubblica americana» (come corollari fioriscono gli articoli sull' e impotenza della superPotenza» ); questo fattore spieghedebolezze e astuzie. Il peggio seguirebbe». Il Giorno. La cautela tradizionale del giornale del/'Eni, da qualche anno a questaparte, trova conferma anche in questa occasione. Un solo articolo di fondo, un editoriale non firmato, E se ci trovassimo nella bufera?, pubblicato il 13 aprile. L'articolo riconosce salomonicamente le ragionidegli americani e degli europei. Ma anche questa cautela «ufficiosa» è significativa. Il Giorno riconosce agli Usa il «dirillo morale di o/lenere ciò che chiedono agli alleati», ma insiste sulla necessitàper/' Europa, e in particolare per la Germania di Schmidt, di non pregiudicare la distensione verso l' Urss e di evitare «gravi pericoli» per la pace. t in sostanza una posizione «europea», che rifiuta un puro appiallimento sulla linea di Carter. La Repubblica. Siamo al polo più filo-europeo della grande stampa indipendente. Un editoriale del/'11 aprile, significativamente intitolato Due uomini in lotta contro il tempo, si limita a constatare pessimisticamente che Carter e Bani Sadr, premuti dalle rispettive situazioni politico-elellorali, hanno dovuto abbandonare il negoziato e imboccare una via pericolosa. Quanto agli europei, «recalcitranti» di fronte alle richieste americane di ritorsione economica, il giudizio è dubitativo: « t probabile che una piena solidarietà europea alle decisioni di Carter darebbe al presidente americano una maggiore autorità e credibilità verso i suoi elettori e quindi potrebbe servire a fargli guadagnare quel tempo- di cui ha bisogno Bani Sadr ma di cui Carternon dispone più. Può darsi, ma non è così sicuro». ' Il 19 aprile un articolo di fondo di Eugenio Scalfari - D primo errore_fu quello di Carter... -rompe con i dubbi a favore di una tesimolto nella. li punto di partenza è ancora una volta l' «opinione pubblica americana sempre più desiderosa di una rivir.,citapsicologica prima ancora che politica» (è questa una delle costanti interpretative di tu/la la stampa italiana). Da essa, secondo Scalfari, venne la spinta per iT «primo errore» di Carter: «comincia - questa catena di drammatici sbagli - dalla decisione imposta dalla Casa Bianca agli rebbe gran parte dell'atteggiamento di Carter e persino la sua agenda politica, cadenzata dalle date delle primarie. Il solo elemento che suffraga tutto ciò è costituito dai sondaggi di opinione che in aprile hanno per la prima volta indicato una maggioranza favorevole ad un intervento di forza sulla questione degli ostaggi. Per contro, si potrebbe dire che la rimonta di Kennedy è avvenuta proprio nel periodo in cui Carter moltiplicava i suoi moniti bellicosi (come è noto la posizione di Kennedy sulla questione iraniana è sempre stata più «morbida» di quella di Carter). Ma anche queste osservazioni sarebbero vacue se non tenessero conto del fatto che dall'inizio di novembre la popolazione americana subisce un bombardamento informativo sugli ostaggi, sulla inferiorità militare nei confronti dell'Unione Sovietica, ecc. Su una rivista specializzata, Relazioni Internazionali, leggiamo che «l'americano della strada esercita forti pressioni per un atteggiamento di fermezza e un rafforzamento dell'apparato bellico»; subito dopo si aggiunge però: «La stampa è in gran parte orientata nella stessa direzione, mentre le reti televisive alimentano l'emotività mandando in onda ogni giorno speciali informazioni sugli ostaggi di Teheran e indicando sul video il numero progressivo dei giorni di detenzione (l'opinione pubblica americana come nessun'altra al mondo, dipende dal video)» (Tempi lunghi per il «disegno» americano 12 aprile). Lo stesso articolo riferisce che l'establishment americano è concorde nel ritenere che la nuova politica estera Usa nasce da cause profonde e costituisce una tendenza di lungo periodo, non una fiammata elettorale. Poiché non si può credere che sia la televisione a dettare la politica estera americana, bisognerebbe analizzare quali sono gli interessi che vanno orientando i mass-media e l'opinione pubblica in una certa direzione .. Una serie di corrispondenze di Brancoli per La Repubblica spiccano alleatidella Nato di acce/lare 'costiquel che costi' la produzione e l'istallazione dei nuovi missili a medio raggio». Da quella decisione si determinò l'accrescersi della tensione internazionale; il punto di aggancio del ragionamento di Scalfari è il cosidde110 «piano Schmidt» (cfr. cronologia) che prevede appunto di reintrodurre una moratoria sull'istallazione degli euromissili. Qui Scalfari ricorda la cosiddetta «clausola dissolvente» che la Repubblica, e il Pci, sostennero alla fine del '79 e che oggi Schmidt recupera con «amare riflessioni sul/'errore commesso». L'articolo conclude ironizzando sui «maestri» che «oggi formulano diagnosi disperate» sulla situazione iranianae che «non si rassegnanoa dire la sola veritàche andrebbe detta, e cioè che ben diversasarebbe lasituazione se fosse in piedi un negoziato sul disarmo nucleare in Europa, se il Sa/1 2 fosse stato ratificato, se gli alleati europei avessero mostrato di possedere un margine visibile di autonomia». Non diverso appare l'atteggiamento dei commenti di Antonio Gambino (I 5 aprile) e di Sandro Viola (22 aprile), così come quello che trasparenelle corrispondenze di Brancoli e della Spinelli. Appare abbastanza evidente l'aggancio della Repubblica al Pci da una parte e a Schmidt dall'altra. Ciò che appare meno chiara è la diagnosi della politica americana, allribuitaa «imprecisate nevrosi eleuorali carteriane» e all'ancor più vago «mood» cui sarebbe in preda «l'opinione pubblica americana». La Stampa. La cautelae l'imbarazzo del quotidiano della FUll si rispecchiano sia nelle corrispondenze, sia nello scarso numero di commenti, sia nel loro contenuto. La posizione esplicita della Stampa si riduce a due articoli di Arrigo Levi. Nel primo, Due volte deboli, pubblicato il 9 aprile, Levi si limita a battere l'eterno tasto delle« frustrazioni della superpotenza americana» e ad approvare caldamente la «pazienza» di Cartere le sanzioni decise contro l'Iran. Semmai è interessantenotare che, sotto un grosso titolo di testa a sei colonne, L'America è pronta a misure militari, Levi scrive: « L"opzione' militare non soltanto non servirebbe a ridare la libertà e a salvare la vita dei cinquanta ostaggi, ma avrebbe l'effe/lo di geuare nel panorama della stampa italiana proprio perché mettono in rilievo che l'orientamento della politica Usa verso una nuova fase di «guerra fredda» (il termine è qui puramente indicativo) precede nettamente i fatti di Kabul e di Teheran. Al centro delle preoccupazioni degli interessi strategici ed economici americani vi sarebbe soprattutto il controllo dei paesi in via di sviluppo. a cominciare da quelli dell'area petrolifera mediorientale. È questa la tesi di Michael Klare, autore del libro War Without End: American Planning for the Next Vietnams (Guerra senza fine: la Pianificazione Americana per i prossimi Vietnam) apparso nel I 972. In un articolo su Le Monde Diplomatique di aprile, Une stratégie d'intervention sur mesure pour le tiers-monde, Klare documenta come la preparazione di una «forza di pronto intervento» da impiegare nel Terzo Mondo sia ben precedente gli avvenimenti iraniani. A noi sembra che in questo contesto. più che nelle paturnie revansciste dell'opinione pubblica e in quelle elettoralistiche di Carter, dovrebbero essere considerati i rapporti triangolari fra Stati Uniti, loro alleati e Terzo Mondo. Si legga nella scheda sulle posizioni dei «grandi» quotidiani ciò che ha scritto Arrigo Levi sulla Stampa a proposito della «nuova alleanza trilaterale» in corso di elaborazione fra Stati Uniti, Giappone ed Europa. In realtà, questa «nuova alleanza» è vecchia di quasi 8 anni, poiché fu proprio nel 1972 che David Rockefeller e Zbigniew Brzezinski, attuale consigliere di Carter per la sicurezza, promossero l'idea di una Commissione Trilaterale per rafforzare i legami tra gli alleati, compromessi dalla politica imperiale di Nixon-Kissinger. Non a caso la Commissione riunisce i più bei nomi della finanza, della politica, dei media e del sindacalismo del «trilatero», non a caso lo stesso Carter e quasi tutto lo staff dell'Amministrazionè provengono dalle file della Commissione, non a caso l'attuale direttore è precisamente quel Henry Kissinger di l'Iran nelle braccia dell'Unione Sovietica. (...) t perciò interessede/l'amministrazione Carter... di (enere ancora e sempre aperta la strada al negoziato». li secondo articolo, apparso il 12 . aprile, quando il dissidio eurq-americano si è ormai accentuato, è più carico di motivi inconsueti. Pubblicato sotto il titolo sibillino, Una nuo-va alleanza, inizia con toni quasi trionfali: «Nel corso di questo inverno 1980, tra incontri, scontri e malintesi, la grande alleanza trilaterale - America, Europa, Giappone - ha incominciato a definire una nuova strategia politico-militare per fronteggiare le sfide degli anni Ottanta. Un fitto dialogo si è intrecciato tra i 'partners': in esso sono coinvolti i governi, le forze politiche, i centri di studio e di ricerca... A quali fatti nuovi reagiscano le forze politiche del/'Occidente è a tulli evidente. Reagiscono alla loro presa di coscienza improvvisa e tardiva - come risultato della rivoluzione iraniana e dell'invasione sovietica dell'Afghanistan - dell'esistenza di nuove minacce ali'equilibrio mondiale, che emergono soprallullo da due fenomeni: dall'instabilità e frammentazione del Terzo Mondo, preso nel travaglio della modernizzazione; e dalla globalizz_azionedella sfida militare sovietica». Segue una serie di citazioni di «punti di accordo» raggiunti in seno alla «nuova alleanza trilaterale» e di discorsi pronunciati in un « recente convegno trilaterale» (Levi non cita mai per nome la Trilatera/Commission -vedi testo introduttivo -né si degna di fornire informazioni precise ai suoi lettori). La sostanza dellanuova «dourina» è che gli alleati dell'America debbono «assumere parte di quelle responsabilità che essa non può più sostenere». Grande è perciò lo sconcerto di Levi nel constatare che «ognuno agisce per conto proprio» e che l'America «cf!iede solidarietà solo dopo aver preso autonomamente delle decisioni, senza previe consultazioni e coordinamento». Levi finisce perciò, inaspellatamente, su toni pessimistici alla Ronchey. Siamo alle prime prove della «nuova alleanza» -scrive Levi - «per ora l'Occidente la sta affrontando male... la discussione finisce per accrescere il rischio che crisi come quella iranianadegenerino e conducano a veri e propri conj/illi». cui si sente parlare ·sempre più spesso sulla stampa ... Le dottrine di Kissinger tendenti a restaurare un patto leonino con l'Urss e a sostenere per questa via le dittature filo-americane nel Terzo Mondo (Kissinger ha più volte dichiarato di preferire Pinochet ad Allende e di ritenere che Carter abbia fatto un errore imperdonabile abbandonando lo Scià alla sua sorte) trovano sempre più udienza nei circoli dirigenti americani e occidentali. Ciò corrisponderebbe a un diverso orientamento verso ilTerzo Mondo e gli alleati nippo-europei, richiesto dagli interessi economici americani. Ma per compiere a fondo questa analisi, e dare cosi concretezza ad una rappresentazione del mondo dominata dai «fanatismi» e dalle «frustrazioni» delle turbe, occorrerebbe un'informazione più precisa di quanto si va elaborando nei centri di studio e di consultazione di cui parla Arrigo Levi, a cominciare dalla stessa Commissione Trilaterale. Ciò non accade. Quando alla fine di marzo 150 membri della Trilaterale si sono riuniti a Londra, la stampa italiana ha quasi completamente ignorato l'avvenimento. Cosa tanto più strana in quanto vi partecipavano personaggi come George Bali, Giovanni Agnelli, Margaret Thatcher, il Nobel profeta del neo-liberismo economico Milton Friedman; due articoletti, rispettivamente sulla Repubblica del 26 marzo e sul Giornale del 25, è lo striminzito parto della stampa italiana su questo «conclave semi-segreto dei personaggi 'che contano' nel mondo della politica, della finanza» (La Repubblica). All'ordine del giorno precisamente «i contrasti sorti tra America, Europa e Giappone dopo il 'colpo di Kabul'». A quanto pare la Trilaterale ha po- ~ o fare ben poco per avvicinare le sizioni americane a quelle degli alle ti. Ma, appunto, queste rimangono de uzioni di un lettore tenuto all'oscuro delle riunioni «che contano»: la stampa è occupata altrove.

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