Alfabeta - anno II - n. 13 - maggio 1980

Gilles Deleuze. Oaire Pamet Con'l'ersazioni Milano, Feltrinelli (di imminente pubblicazione) Giinter Grass D tamburo di latta Milano, Feltrinelli, 1980 (1959) pp. 591, lire 5.000 D tam.baro di latta regia di V. Schlondorff, Rft 1979 I l bambino è da sempre anomalo. Non sta dentro il normale metro concettuale: non c'è vestito, si potrebbe dire io metafora, che abbia la taglia giusta per lui, o va stretto o va largo. Anzi è il bambino che si stringe e si allarga, che è in difetto o in eccesso. U sembra risiedere la sua specificità: il bambino è difetto ed eccesso. Poiché esso ha questa strana proprietà, di essere in un modo e contemporaneamente nel modo opposto, senza che ciò faccia problema, possiamo usare la parola blocco, come diciamo un blocco di pietra, un blocco di fogli. L'anomalia del bambino spiega anche il motivo per il quale esso è sempre stato un oggetto preferenziale di rappresentazione. È raro che nel rappresentare il bambino l'atteggiamento ricorrente non sia quello che con un termine brutale chiamerei «ortopedico». L'intenzione è sempre edificante, pensiamo a Pinocchio: quel piccolo, ancorché mariuolo. sarà la nostra miniatura innocente, superficie sensibile sulla quale potremo far rimbalzare un appello ai sentimenti che sarebbe un po' comico e di cattivo gusto se noi ci assumessimo in proprio. Guarda quell'uomo, sembra una donnicciola. Il cattivo gusto di un uomo che piange, come io certi filmoni russi degli anni sessanta. La donna è già diversa, sta a mezza via. Ma il bambino è perfetto: può piangere e far piangere, essere stupidamente buono e stupidamente cattivo, oltre che innocentemente stupido. È il «pongo» che ci permette di impastare i nostri buoni e stupidi sentimenti. Però continuiamo a rappresentarlo. Infatti l'intenzione ortopedica, di per sé priva di interesse, lavora su una materia che non le corrisponde mai. Il fascino di un bambino rappresentato (letteratura, teatro, cinema, fino alla pubblicità) consiste in questo fondo raramente esplicito: nello scarto, qui sta la molla. tra il normale delle intenzioni e l'anomalo di chi dovrebbe sorreggerle. Se insistiamo a rappresentarlo, è perché quel margine che impedisce che i nostri calcoli funzionino ci prende in contropiede, funzionando alla stregua di un'intenzione meno consapevole (o per nulla consapevole), ma non certo, per questo, meno vera. Ciò per cui il bambino è diverso da noi: ecco cosa ci interessa alla fine, cosa rende interessante e perfino possibile la rappresentazione infantile. L'eccesso e il difetto. che saremo pronti a distribuire su tavoli diversi, appunto come estremo diversivo. Su un tavolo, il bambino che spontaneamente ci sopravanza in positivo: sull'altro tavolo, il bambino che per sua natura rappresenta il difetto. Doti eccessive e • deformi deficienze: il bambino Gesù a fianco di un nano per di più gobbo. L'uno sarà leggero e, perché no? potrà volare come Peter Pan: una meravigliosa magia accompagna, nel corpo, un'anima trasparente. L'altro sarà pesante: non crescerà, potrà sprigionare un fascino perverso, come di un meccanismo imperfetto, qualcosa di venuto male. Il doppio aspetto dell'animale. che può farci struggere di tenerezza e di colpo terrorizzarci, gli si attaglia. e non per caso. A lcuoi film recenti si spingono in tale territorio: qua e là si registra la voglia di vederci più chiaro in una questione. quella del bambino, che viene sfumatamente percepita per un'intensità particolare che la caratterizza rispetto al nostro presente. Il bambino. soggetto tradizionalmente comodo per la rappresentazione. è oltrepassato verso ciò che esso è sempre stato ma che mai. come ora. chiede di essere detto: abbiamo bisogno di far dire a questa rappresentazione il proprio segreto. il fondo di significazione. Cosi Ferreri in Chiedo Asilo mira direttamente al bersaglio. e lo fallisce poiché. in realtà. pretende che il bambino resti oggetto della rappresentazione. La modificazione di questa rappresentazione è però un sintomo rilevante: approssimazione al mondo collettivo dei bambini. scoperta della diversità. Tutto ciò è mostrato in modo parziale e abbondantemente artificiale. Il punto di vista. voglio dire. resta inchiodato alla sua parte. e più di tanto non può estendersi. Ne risulta una • debole esteriorizzazione: un bambino «già» diverso. una f!lscinazione (dell'adulto) sociologicamente controllata. un cambiar luogo troppo realistico per essere vero. una buona intenzione che riemerge al livello della terapia, e. naturalmente. alla fine del film, un grosso e facile punto interrogativo. C'eravamo quasi riusciti. seguendolo. a recuperarlo, ma chissà. l'handicap dei bambini. di questo bambino come rappresentante degli altri, non potremo mai afferrarlo. Diversamente Bellocchio, nel Salto nel vuoto, proprio perché non si propone una distanza e non tiene l'occhio sul bersaglio. vi si avvicina. Nel filmc'è un centro: la crisi di una coppia anomala. sorella e fratello, con i loro doppi e loro proiezioni nel mondo esterno. Ma vi è un margine. poco evidenziato: la danza quasi onirica dei bambini nell'appartamento devastato. Bambinigruppo (di contro alla coppia anomala) leggerezza del ballo. cancellazione gioiosa del reale. carqbiameoto di registro. Non è molto più di un flash. un passaggio rapido di immagini. ma si vede che per Bellocchio questo poco è un molto potenziale, una chiave di lettura. Per quel che può valere. ne trovo conferma io una sua intervista: «C'è poi nel film la necessità di ritrovare quel bambino psichico che esisteva dentro ognuno di noi e che poi durante la nostra vita è stato annullato. e senza il quale non si può combinare quella cosa indispensabile che è il rifiuto della istituzione, il rifiuto quindi prima di tutto del padre. e della madre, quando è istituzione» (Lotta Continua. 2/4/ 1980). Perché psichico? Perché «esisteva»? Inoltre, la questione non è il rifiuto delle istituzioni, ma come si cambia di scena. si spostano dei termini. Il bambino. nel film, è anche. io un'altra sequenza, il pietoso infermiere di un famigliare ammattito: uso violento di un innocente. il quale però è l'unico a saper tenere quella comunicazione. Dalla parte opposta Kramer contro Kramer di Benton, un film che definirei «osceno» nel senso marcusiano del termine. Il festival dei buoni sentimenti ha come primo premio un oggetto assai poco misterioso, tanto esso è una specie di duplicazione video di papà e mamma. Resta qui solo il misero sintomo del bambino-protagonista che il pubblico dovrà bagnare di lacrime. ,Ricordo di passaggio anche questo film solo perché mi pare il punto più basso e ottuso di un arco di rappresentazioni. al cui estremo opposto e positivo sta Il tamburo di latta di Schl6ndorff. Schl6ndorff dà immagini al romanzo di Giinter Grasse il filmci riporta al libro, uscito nel 1959: vent'anni che servono al regista più a precisare, nel romanzo, la s(oria di un bambino che la storia della Germania attraverso un bambino. Ci ricorda che nel romanzo tutto si gioca in alcuni tratti dell'infanzia di Oskar: ce lo indica soprattutto Pier Aldo Rovai/i attraverso una scena. e poi, in negativo. con l'appiattimento progressivo della rappresentazione nel corso del film. U n valzer da bambini. A tre anni Oskar decide di non crescere più: per sfida verso il triangolo dei famigliari, una madre e ben «due» padri, ma anche per furbizia. Come ce Io fa vedere Schlondorff. non è davvero bello. il contrario del piccolo biondo e caro figlio dei Kramer: con un'aria strana. chiusa. misteriosa. inquietante perché ambigua. È la scelta migliore del film. Quello che diremmo un bambino «disturbato». Con segni di Kandeggina Gang. Milano /980 stramberia: il tamburo di latta sempre al collo. un ossessivo dar di bacchetta. Linus con la coperta. imitato da tutti i nostri figli. ne è il prototipo soft di ogni giorno. I ragazzetti del cortile lo prendono in giro e anche di peggio: ma staranno a vedere quando lui. come chi mostra l'oggetto che solo possiede, «tu non ce l'hai». produrrà un gridosuono (un ultrasuono?) con effetto deflagrante, e il bicchiere sul La volo ma anche. se vorrà. le vetrate di un edificio. cadranno in pezzi. Il ba~tito del tamburo e questo sibilo inimitabile. davvero eccessivo, fanno coppia: sono di una stessa stoffa. mostruosità e meraviglia di quella strana cosa che è un bambino. La scena cui alludo è quella della manifestazione, al Campo di Maggio, di domenica. per il nuovo regime. C'è una tribuna preparata e ora zeppa di gente composta. pronta al rituale, organizzata. con uniforme e bandierine: Oskar ci va dal di dietro. «Avete mai visto una tribuna dal di dietro?», dice il bambino-narratore nel romanzo di Grass. Oskar guadagna il centro, avanzando carponi sotto i piedi della gente (stivali della festa, di regime): è lì e lancia la sfida, tamburo di latta contro fanfara. Il piccolo ritmo si insinua, come è riuscito ad infiltrarsi il piccolo ritmatore. e vince spezzando lo zum zum solenne e cialtrone. C'è, si direbbe. un ammaliamento: le fragili battute del valzer suonato al tamburino entrano come nelle ossa e nelle bocche di ciascuno. Per un momento, il regista fa andare la folla simile a una macchinetta impazzita. La gente prende a ballare, mentre le gambe dei militi sbattono da sole in un modo assai buffo. Lo stacco giustamente non è insistito: un acquazzone che il romanzo non contempla. serve al regista per chiudere con un secondo taglio. La gente ora scappa per non inzupparsi. La cerimonia è rovinata. Ma il bambino non è un nanerottolo ghignante, un inciampo cattivo. È lui anzi che ha inventato. al posto della cerimonia, la festa. che ha fatto ballare la gente. Non è un guastatore. ma uri costruttore. Leggiamo Grass. per convincercene: «Già avevo il tamburo nella giusta posizione. Con eterea lievità feci giocare le bacchette nelle mani e, con un'infinita delicatezza nelle articolazioni delle dita. trassi dalla mia latta un sapiente. gaio ritmo di valzer, al quale, evocando Vienna e il Danubio, diedi un graduale crescendo; finché, sopra, il primo e il secondo tamburo dei lanzichenecchi cominciarono a trovarci gusto ... io volevo imporre il mio ritmo di tre quarti che piace tanto alla gente». Se l'avessero poi pescato, quel piccolo provocatore (comunista?), le SS e le SA forse l'avrebbero spellato vivo. ma per quanto si dessero da fare, dice Grass. non lo trovarono: «non trovarono Oskar poiché non erano al1'altezza di Oskar». E non è solo una constatazione che ci fa sorridere per il suo semplice realismo (infatti era lì sotto. e siccome era piccolo non potevano vederlo). Ma lui, «il tre volte furbo». era davvero a un'altra altezza: più su o più giù rispetto allo sguardo poliziesco. difettoso o eccessivo, anomalo. Anche il suono del tamburo e il suono-grido che sa emettere sono a un'altra altezza: hanno a che vedere con l'eterea lievità e l'infinita delicatezza che il bambino possiede quando si impegna, là sotto, a realizzare ciò che vuole («la musica ormai era quale io la volevo»). Intensità di vibrazioni per creare una «distanza» dal mondo degli adulti. singolare distanza però questa che egli crea mediante un «ammaliamento». Ritmo che riconduce significativamente al mondo degli animali: nel romanzo, il momento della nascita. Il cozzare di una farfalla contro la lampadina che illumina la scena: «oggi Oskar dice semplicemente: la falena suonava il tamburo. Ho sentito suonare il tamburo conigli, volpi e ghiri. Sul tamburo le rane ti addensano un temporale. Del picchio si dice che battendo il tamburo faccia uscire i vermi dai loro buchi ...». 11 divenir bambino. «Ci sono dei tipi di divenire che operano in modo pressoché impercettibile», esordisce il filosofo Gilles Deleuze in Conversazioni (è la traduzione di Dialogues. scritto nel 1978 con Claire Parnet. una sorta di sintesi teorica e autobiografia intellettuale). «Si pensa troppo in termini di storia, sia essa personale o universale. Mentre i tipi di divenire fanno parte della geografia, sono degli orientamenti, delle direzioni. delle entrate e delle uscite». Direi: dei blocchi di esperienza, segmenti di soggettività. Deleuze non ama quest'ultimo termine, e si può capire. Ma chi «diviene». dentro i concatenamenti. gli allacciamenti, le prensioni molteplici di cui è fatta la realtà, se non dei soggetti? Il divenire è una «presa» tra livelli di esperienza e. al tempo stesso, è un modo di deviare, scostarsi, «filare», uscire: quella che viene detta una «linea di fuga». Nella stessa esperienza si congiungono elementi diversi (Deleuze insiste sull'esempio della vespa e dell'orchidea, sulla loro «doppia cattura»). ma il risultato, il «divenire». non è eguagliamento. un questo eguale a quello. una riduzione a ciò che già c'è e si conosce: è, invece, una produzione per disgiunzione, una produzione che avviene per il fatto stesso che entrano in rapporto elementi e livelli diversi. In questo testo, come nei precedenti. la sottolineatura riguarda due tipi di «divenire»: il divenir animale e il divenir bambino. Per il primo occorre riandare alla interpretazione del racconto di Kafka. La metamorfosi che si trova nel saggio di qualche anno fa. Kafka. Per una letteratura minore. Quanto al secondo, leggjamo in Conversazioni: «Non si riproducono dei ricordi infantili, si producono, insieme a blocchi d'infanzia sempre attuali, 'blocchi di divenire-bambino». Dunque. per Deleuze. l'infanzia è un blocco «sempre attuale» e bambini «si diviene». Il bambino e l'animale (si veda Co-ire.Album sistematico dell'infanzia di Schérer e Hocquenghem) si lasciano prendere. a loro volta, in una doppia cattura: due dislocamenti che rivelano i loro tratti analogici, e che si combinano. L'esperienza si allarga perché subisce, rispetto alla «normalità». una torsione. quasi una deformazione: essa può apparire dolcissima, ma può anche. quasi di colpo, mostrare la sua faccia di deformità. Solo così riusciamo a rappresentarcela: un suono di tamburo (il tintinnìo della farfal- ~ la che sbatte sulla lampadina), una "' espressione soavemente eccessiva; ma -5 ~ subito. come un brusco ritorno a casa, i5., la deformità di un bambino che ha de- e:, ciso di non crescere. ~ È. per ciascuno di noi, la vertigine ..., della scoperta che, è vero, il blocco di -9 infanzia è qui, attuale, e la possibilità ~ del divenir bambino, aperta. Che non E solo desideriamo, ma potremmo per :=:; davvero infilarci sotto le tribune e far ballare la gente, come il piccolo Oskar.

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