A vent'anni dalla fondazione del Teatr Laboratorium e a dieci dalla sua clamorosa «uscita» dal teatro, siamo oggi certameme in grado di va/Ulllrecon distacco storico l'importanza del lavoro di Jerzy Grotowski come uno dei pochissimi momenti centrali del rinnovamento novecentesco della definizione e della pratica del teatro. ll nome di Grotowski si può associare ad altri che esprimono esperienze e teorie divergenti e magari contraddittorie (Brecht e Artaud, Stanislawskij e le avanguardie storiche, Pirandello e Beckett) nel merilo di aver trasformato il teatro - tuno il teatro, anche quello nobile e «di tradizione» - in un'altra cosa rispetto alla pratica di secoli di palcoscenico e alle teorie diderottiane e degli altri teorici «borghesi»: arte della rappresentazione. Oggi il circuito che va dalla scrittura dialogica di una vicenda verosimile all'imitazione scenica della realtà, attraverso l'impersonificazione nei corpi e nelle voci degli attori, è profondamente sconvolta. Non si scrive più letteratura drammatica (almeno a livello «d'arte»), la verosimiglianza e la credibililà realisticasono spariti da lungo tempo fra i requisiti del lavoro registicoe degli allori, la definizione stessa del teatro è cambiata non solo per gli «sperimemali» ma anche fra i conservatori. E la differenza più fondamentale fra questi due alleggiamenti non è estetica, di mode; ma sta nel fatto che i primi si rendono conto della caduta di una definizione di teatro e della necessità urgente di trovarne delle altre, mentre i secondi si ostinano apensare che il loro oggettosia sempre lo stesso, nonos1ante la loro stessa pratica lo smentisce. Fra i ricercatori di ima definizione de/l'essenza del teatro Grotowski è stato per w1 decennio ilpiù lucido, radicale, innovatore. La direzione di questa JerzyGrof!)VSki, oggi ricercagrotowskia11aè assainota: il teatro è nuda interre/azione fra qualcuno che agisce e gli altri che assistono, per garantire la quale sono necessarie una serie di condizioni. Condizioni interne che riguardano il gruppo produttore e in particolare l'attore, la sua preparazione, la sua «moralità», il suo rapporto con leazioni che compie. Condizioni esterne che riguardano la composizione dello spettacolo, lo spazio scenico, le dimensioni del pubblico. Tutte queste condizioni, soddisfatte nellamaniera più rigorosa, costituiscono quello che secondo una definizione molto riduttiva è stato chiamato «teatro povero». In realtà il teatro povero è stato, tanto per Grotowski che altrove, più un ideale regolativo che uno «stile» di rappresentazione. Nella grande disseminazione delleparole d'ordine e delle esperienze «alternative» che si sono ispirate al gruppo polacco, la «pover1à»è diventata un elemento secondario ma caratteristicodi un diverso bisogno teatrale, centrato soprattutto sul senso sociale che assumeva il collettivo produttore. Per Grotowski invece l'accento è sempre statoposto prevalentemente sull'itinerario della ricerca piuttosto che sulla realizzazione. Non si trattava insomma di fare sempre meglio un «teatro povero», ma di indagare sempre più a fondo sulle condizioni che rendevano possibile (e «pura») la situazione teatrale. E cosi i grandi spettacoli di Grotowski hanno tutti avuto vita piuttosto breve e 111multuosac, on molti rifacimenti intervallati a lunghe fasi più di studio «astratto» che di prove. Faeccezione a questo discorso /'«ultimo spettacolo», Apocalypsis cum figuris, che appartiene in qualche modo già alla fase «non teatrale» del regista polacco. Così il gruppo di Grotowski non si è mai definito solamente «teatro», ma «istitwo di ricerca», ponendosi addirittura come modello le grandi istituzioni internazionali di fisica teorica. Così soprattutto nel momento della grande affermazione internazionale il gruppo non è entrato nel gioco dei festival e del mercato dell'avanguardia, come molti, né si è sciolto come altri, né ha cercato una leadership «politica» dell'alternativa teatraleper conservarsi una funzione di rottura, come ha fatto Eugenio Barba, l'allievo «che ha tradito meglio Grotowski», secondo leparole di quest'ultimo. Ha invece continuato sulla strada di una ricerca radicale, rimettendosi continuamente in discussione in funzione di questo «estremismo» testardamente praticato. Ha cioè «abbandonato il teatro», conservando uno spettacolo come «cartadi identità», mantenendo la propria composizione originaria, ma inventando una nuova strada di lavoro, che solo ora, dopo dieci anni, appare sufficientemente chiara e definita per poter essereanalizzata in maniera indipendente. Se cioè il Grotowski «teatrale» fa parte della storia del teatro da quando vi si è imposto con leprime apparizioni intemazio11ali dei suoi sconvolgenti spettacoli, l'altro Grotowski, quello «parateatrale», vi entra solo oggi, con una seriedi dibattiti e convegni internazionali e di analisi oggettive (come il seminario internazionale di studio promosso dal Crt a Milano in due fasi nel '79 e la documentazione raccolta dal primo numero della serie di Sipario). Ed è significativoche questo avvengaproprio mentre Grotowski stesso sta lavorando a una «terzafase» del suo lavoro i11 direzione di «un'ecologia della mente», di cui è ancora difficile dire qualcosa di preci.so. Quel che è importa/I/e sottolineare è che anche il Grotowski «fuori dal teatro» rientra in realtà in una ricerca teatra/e, sia pur portala alle sue conseguenze più estreme, secondo un legame di continuità che egli stesso suggerisce ne/l'intervista pubblicata in queste pagine. E questa è una linea d'analisi importante che si contrappone alle annessioni spiritualistiche verso un rifluente «ritorno dell'anima». Le attività parateatrali del Teatr Laboratorium si sono sviluppate ampiamente anche in Italia negli ultimi anni, con decine di incontri (spesso definiti «seminari» o «laboratori», ma impropriamente, perché una delle premesse di questi lavori è proprio il rifiuto di una dimensione pedagogica, nel senso di trasmissione di tecniche professio[lali). Le testimonianze disponibili sono quindi molto ricche. Lo svolgimento variamolto, a seconda del <<progetto»cui appartengono i vari momenti e degli operatori che le guidano. In sostanza però queste attività hanno una definizione abbastanza costante. Un numero limitato di partecipanti (da una decina a una cinquantina) si isola in un luogo chiuso oppure in un ambie111neaturale non frequentato e «lavora» co11alcuni operatori del gruppo di Grotowski per un tempo che va da poche ore a qualche settimana. Il problema è ovviamente il contenuto di questi «lavori». Non si tratta, come si è detto, di apprendimento di tecniche, eneanche di attivitàespressive o psicodinamiche, in senso terapeutico. Piuttosto si può parlare di costruzione di momenti «alti» di interazione, di esperienzeoriginali nella direzione della rotturadegli stereotipi socioculturali. È legittimo però considerare questi lavori come forme estreme di attività tec.trale,dove l'interre/azione faccia a faccia è sviluppata al massimo grado, evitando ogni frattura fra attività epartecipazione, o se vogliamo fra attori e pubblico; dove il tempo è «reale» nel senso che la durata dell'evento è vissuta senza finzioni; dove è eliminata anche la distinzione fra drammatizzazione e vita reale, perché l'evento drammatico non si riferisce ad altro che a sé. Grotowski haparlato a questo proposito di una «drammaturgia de/l'evento», una definizione che si può completare con quella di «regia della realtà», che è il lavoro proprio degli operatori che guidano gli incontri. Esiste dunque una drammaturgia, una regia, una scenografia, una competenza d'attore o di operatore, all'interno del lavoro parateatrale. Tutti temi ancora da studiare, vincendo le legittime riservatezze dei partecipanti a queste attività, che difendono l'importante impegno psicologico che spesso vi si trova, e anche le altre meno giustificabili resistenze che derivano da schemi precostituiti e pigrizia mentale. È importante insisteresu questo livel- • lo di analisi «teatrale» dei lavori più recenti del gruppo di Grotowski, proprio in ragionedel fascino riccoediversificato che essi esercitano in Italia e in tutto il mondo soprattutto su strati di movimento giovanile. Rifiutarli per «misticismo» o addirittura «cattolicesimo», come spesso si è fatto da parte dellasinistra, oltrecheun errore difatto è anche una pessima scelta politica. Perché è certo che queste attività hanno un senso culturale profondo e innovativo, tentano una risposta empirica e costruttiva ai problemi del consumo cultura/epassivo dello spettacolo e della banalità dello «starebene assieme», che sono questioni di grande peso se non a livello della Cultura omologata certamente a quello della più vasta cultura (in senso antropologico, con la minuscola) i11 cui viviamo tutti immersi. Nientea, llora, è impossibile (Intervista a J. Grotowski di Ugo Volli) G rotowski, per dieci anni il suo testimonianza dell'essere umano. è divenwo via via pitì chiaro è stata q11alcosache apparteneva a noi come maniera completamente differente, con gruppo ha svolto una ricerca di «È chiaro che né in q11ell'epoca,né l'importanza de/l'attore e dello spetta- esseri umani, senza pensare veramente funzioni specifiche tanto per gli attori punta nel campo del teatro. Qua- oggi, né mai ho pensato che questa fos- tore come essereumano; ed' altrocanto allo spettacolo, anche se alla fine uno che per gli spettatori. Quando oggi si li sono stati i momenti fondamentali se la sola strada possibile. Esistono è emerso anche che era fondamenta/- spettacolo ne veniva fuori. li secondo parla di teatro d'ambiente, per esemdella vostra ricerca? 1empre molte strade e la cultura può meme quel che accadeva immediata- aspetto era dunque la scoperta della pio, è una cosa che 11opi ossiamo dire di «Vent'anni fa, nel 1959, è iniziata la esserefeconda solo se c·è una pluralità mente. Diciamo che la prova è diventa- ricchezza e de/l'intensità de/!'istante. li aver fatto, prima del suo momento. nostra avventura, nella piccola città di di punti di partenza. Se si limi/a questa ta molto più interessantedellospettaco- terzo aspetto era la liberazione dello «li quarto aspetto, che erai11fondo il Opole, e poi a Wroc/awa. Abbiamo pluralità, la cultura immediatamente lo. E durante le prove abbiamo anche spazio, il fatto di aver liquidato la divi- fondamentale, f11la scoperta che quel avuto due periodi, quello degli spetta- diviene stagnante. Ma questa erala no- spesso perso ogni coscienza di cercare sione fra la scena e lo spazio degli spet- che importava per noi non era di recitacolie quelloparateatraleo dellacultura stra strada. qualcosa per uno spettacolo; durante tatori. Voglio dire che per ogni spetta- re, ma al contrario di rinunciarea recialliva. Nel periodo degli speuacoli «Durante questo periodo quello che mesi e mesi di prove abbiamo cercato colo tutto lo spazio era costruito in tare. A lungo abbiamo studiato come (1959-1969) la nostra evoluzione ha recitare. Abbiamo esplorato allora i avuto diversi aspetti. Da un lato ab- segni, le maschere facciali, la coscienza biamo cercato di sapere che cos'è il dell'espressione e tutte queste cose. Ma nocciolo o l'assoluto della situazione è arrivato il momento, in rapporto a drammatica, qual'è il suo germe, il una ricerca umana più che estetica, in seme. Abbiamo proceduto allora per cui ci siamo resi conto che si recitamo/- eliminazione. Abbiamo eliminato le to di più nella vitache a teatro,perché a scenografie, abbiamo eliminato la divi- teatro l'attore abitualmente recita una sione della sala fra spettatori e scena, parte, un ruolo solo. Nella vita invece abbiamo eliminato la musica esterna noi recitiamo molte parti, passando atal/o spettacolo, abbiamo eliminato il traverso delle rollure, e anche mescogioco delle luci; a un certo punto ab- /ando leparti. Io recitou11aparte quanbiamo eliminato anche la composizio- do sono a casa mia, un'altra quando ne dei costumi. Abbiamo tolto tutto sono coi miei amici, un'altra se mi troquello che in apparenza ci erapossibile vo tra nemici, un'altra ancora in circotogliere. Che cos'è rimasto? L'uomo in stanze ufficiali, eccetera eccetera. /mozione (come vuol dire etimologica- maginiamoci una situazione in cui ci mente attore: actor è l'uomo in azione) troviamo contemporaneame111ein pree l'uomo in con11essione,spettatore o senza di nostro padre, nostra moglie, i partecipante, colui che è di fronte. nostri amici, i nostri nemici, del lavoro, «Ma allora abbiamo ritrovato tutte le magari in una circostanza ufficiale. cose che avevamo eliminato, souo un Arriva allora una specie di nevrosi, per altro aspetto. Abbiamo scoperto che il l'impossibilità di recitare tutte le parti ritmo dei passi può essere come quello contemporaneamente. del tamburo, abbiamo scoperto che se «Abbiamo scoperto in sostanza che ci si lasciapqrtare dal processo profon- si recitatroppo e ci siamo messi a cercado che ingloba tutta la natura, il movi- re come rinunciare a recitare. Questo è mento diventa un fenomeno di cui è stato un passo decisivo verso ilparateadifficilissimo capirese è danza, marcia, tro. Ma è possibile rinunciare a recitamovimento, qualcosa di assai comples- re? Mai del tutto. Ci sono dei passaggi, so. E la musica, che era stataeliminata dei momenti in cui si trova il modo di come qualcosa di estraneo, è riapparsa rompere la recitazione che si conosce; nelle voci degli allori; in realtà siamo ma poi subito si creadi nuovo una con- s:: passati a qualcosa come cantare e par- venzione. Questi momenti di passaggio ~ lare allo stesso tempo. Tutto ciò è riap- possono essere relativamente lunghi, .,:, parso e ci ha portato a una sorta di Marey, Profilografiadei movimentid'aria c_ontroun corpo solido (1900-1901) ma poi bisogna rompere anche questa <l:!. ._____________________________________________________________ ________________________ _.<i
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