Alfabeta - anno II - n. 11 - marzo 1980

cazione deUa realtà, che lo salva dal nichilismo. Da qualche tempo comunque, con le mutate condizioni createsi in seguito alla revisione delle categorie lukacsiane e l'estendersi del dibattito sul pensiero negativo, anche la critica su Musil va facendosi sempre più articolata. L'ultimo saggio di Qaudio Magris, uscito sul fascicolo doppio di Nuova Corrente recentemente dedicato all'Austria, evidenzia in Musi) la ricerca antropologica di nuove dimensioni umane, proiettate oltre i tradizionali confini dell'io umanistico (Dietro quest'infinito, in Nuova Corrente 79-80). Presto sarà in libreria anche uno studio di Aldo Venturelli (Progetto Musil, Roma, Bulzoni, 1980), dove questo nodo centrale del romanzo musiliano, la categoria di uomo senza qualità per l'appunto, viene analizzato soprattutto nel suo aspetto, solitamente meno visto, di razionalizzazione. Secondo Venturelli, Musi) giunge a nuove dimensioni dell'io attraverso un procedimento che sottopone a esperimento nient'altro che le principali tendenze di sviluppo dell'esistente mondo senza qualità, mondo la cui immagine si fluidifica nei processi sempre più ampi di comunicazione, socializzazione e razionalizzazione. In tale procedimento utopico (utopico nel senso dell'utopia musiliana che, come sottolinea giustamente Venturelli, piuttosto che prefigurare dimensioni del tutto alternative all'esistente, tenta di liberarne le potenzialità latenti, vivendo il sistema non come realtà ma come possibiiità), il sistema senza qualità viene sperimentalmente interiorizzato, non perché le strutture della coscienza vengano cosi inglobate nei processi di razionali~zione in atto ulteriormente reificandosi o semplicemente rifunzionalizzandosi ad essi, ma al contrario perché la coscienza si apra cosi a nuove dimensioni, liberando risposte possibilità dell'io, e perché la razionalizzazione stessa si liberi di ogni riduttività integrando dimensioni ad essa apparentemente assai lontane. E questo secondo un rapporto dinamico di razionalizzazione e liberazione, da Venturelli già sottolineato in Nietzsche (su Musil e Nietzsche Venturelli ha scritto anche uno specifico saggio: Die Kunst alsfrohliche Wissenschaft. Zum Verhiiltnis Musi[ zu Nietzsche, in Nietzsche Studien IX, 1980), che si dilata fino al rapporto musiliano di parola e silenzio, il quale porta, secondo Venturelli, piuttosto che a definire la visione di un mondo tutto-limitato, a spostare continuamente il «limite>, spogliandosi cosi di quelle connotazioni di Entsagung e di Angst, che gli aveva invece attribuito Massimo Cacciari in Crisis. Q uesto 1980 poi sarà anno di celebrazioni musiliane, ricorrendo il centenario della nascita, e già si prevede un certo movimento, che speriamo sia fertile oltre che vivace. È stata annunciata per quest'anno l'uscita di diverse opere critiche. Musi[ heute (Wien, Braumiiller Universitatverlag); inoltre tre libri della serie MusilStudien della casa editrice Fink (Miinchen-Salzburg): Philologie und Kririk. Klagenfurter Vortriige zu Roberr Musi/, a cura di Wolfang Freese; Dieter Fuder,Analogiedenken und anthropologische Differenz. Zu Form und Funktion der poetischen Logik in Robert Musils Roman, e Wolfang Freese, Roberr Musi/, Der Dichter und seine Epochen. Sono poi in programma un convegno a Berlino in autunno organizzato dalla Musil-Gesellschaft, e un'altro a Vienna in primavera. A Vienna un teatro ha messo in cartellone per l'occasione tutti e due i pezzi teatrali scritti da Musil, / fanatici e Vinzenz e l'amica degli uomini importanti, solitamente assai poco rappresentati. Ci saranno diverse mostre di materiale fotografico e bibliografico: una a Karlsruhe e un'altra itinerante per l'Europa, che toccherà in maggio Perugia. A Klagenfurt invece, la città natale, si inaugurerà a primavera un ampio Musil-Museum con tutto quanto è rimasto del Nostro, persino i vestiti. In Italia si prevede infine per il prossimo autunno un convegno italo-austriaco organizzato dall'Istituto Austriaco di Cultura a Roma, in gemellaggio ad un altro organizzato parallelamente a Vienna dall'Istituto Italiano di Cultura. Uscirà anche probabilmente un numero speciale della rivista Studi Germanici interamente dedicato a Musi!. Chissà poi se Giuliano Vasilicò manderà finalmente in scena quest'anno il suo Uomo senza qualità, libera teatralizzazione del romanzo da gran tempo annunciata? L'ha in preparazione da anni, ma chissà quando la finirà: ormai completamente mimetizzato col suo autore, anche Vasilicò lavora indefessamente e non conclude, ha annunciato lo spettacolo all'ultimo Festival di Spoleto e al recente carnevale di Venezia, ma non ritenendolo a punto, l'ha ritirato. Come questo spettacolo sarà, nessuno lo sa. Le prove che ho visto, ancora -essenzialissime prove di lavoro, comunque stupiscono. È incredibile come Vasilicò riesca a tradurre proprio Musil, scrittore così senza corpo, nel suo teatro tutto ritmi fisici, energie, espansioni e tensioni corporee, e a tradurlo fedelmente anche, perché i ritmi mentali di Musi), ancorché alchemicamente materializzati, si riconoscono tutti. E chissà mai se per questo anniversario ci offriranno anche qualcosa di meno ufficiale di conferenze e convegni, per esempio qualcosa come la «quattro giorni» di lettura libera e collettiva dell'Uomo senza qualità, che si è tenuta a Graz l'estate scorsa e dove un eterogeneo pubblico non specialistico si è letto e commentato, con grande andirivieni, per quattro ininterrotti giorni e notti, tutto quanto il romanzo. Pare che la cosa fosse oltre che vivace assai ricca di stimoli critici. Accade effettivamente che in testi cosi magmatici ed esplodenti di sensi ad ogni lettura, i nuovi possibili sensi siano attualizzati e catalizzati talvolta proprio dalla lettura non special-izzata, quella che non pretende di spiegare il testo, ma se ne serve tutt'al più per spiegar se stessa, quella casuale, forse scorretta, meno consapevole e meno precostituita. Come mi dicono sia accaduto a Graz, ma purtroppo non c'ero, perché ero nel Lussemburgo, dove proprio in quei giorni si teneva invece su Musi! un convegno di ipercorretti specialisti. Note (1) Edizione ricchissima, che comprende oltre alle novelle e ai drammi noti, liriche, brevi prose, frammenti di novelle inedite, . aforismi, e l'opera teorica (saggi, discorsi, articoli. recensioni etc.) quasi al completo, anche quella con frammenti inediti. Mancano le lettere, già annunciate in un prossimo volume, al quale Frisé sta ora lavorando. Unica inspiegabile pecca: manca la tesi di laurea su Mach, quella che ha invece suscitato interesse soprattutto in Italia, dove ne è stata fatta, a quanto mi consia, l'unica ristampa dopo quella originale del 1908 (R. Musil, Sulle teorie di Mach, Milano, Adelphi, 1973) e dove su di essa sono apparsi due saggi critici (S. Benassi, Mach, Musi/ e il regno della possibilità, in // Verri, dic. 1978 e C. Monti, Funzione e finzione, in Studi germanici, 1978/1 e 1978/2). (2) Gli stessi Kaiser-Wilkins sfumarono in seguito la loro posizione. Anche le parti della contesa poi si.conciliarono e i KaiserWilkins, che avevano continuato con indefessa dedizione il loro studio dei manoscritti. collaborarono per un certo tempo con Frisé al lunghissimo lavoro che sta a monte dell'attuale edizione. La culturdaell'estremism(o Il) Proseguiamo con questo intervento la riflessione sul tema «La cultura dell'estremismo> iniziata con uno scritto di F. Leooetti apparso sul o.10 diAlfabeta. 2 Pier Aldo Rovatti: O fantasma della Politica N el suo intervento sullo scorso numero di Alfabeta Francesco Leonetti ha saputo dire cose molto lucide a proposito di quella che forse potremmo chiamare la «deformazione militaristica» di una parte del movimento in questi anni. Condivido le risultanze analitiche alle quali arriva, e le trovo molto utili. Non condivido, tuttavia, il suo discorso, quando, prendendo spunto dai falli del '77, condanna in blocro quella fase come se si fosse trattato di un'insorgenza di istanze irrazionalistiche. Qui Leone/ti sembra condividere una posizione ripresa anche in aree politiche presumibilmente diverse dalla sua. Penso al dibaltito che si sta svolgendo sulla terza pagina dell'Unità: dibattito, per altro, ricco di spunti, dalla aperta testimonianza di Letizia Paolozzi, che riconosce di aver «scoperto la classe» militando in Potere Operaio (8 febbraio), alla preziosa puntualizzazione di Massimo Cacciari in merito alla differenza di sostanza politica tra Autonomia e terrorismo (18 gennaio). Ma penso, in particolare, all'intervento di Ferdinando Adornato (Ma sono figli della crisi?, 11 gennaio): questo intervento, che mi pare sufficientemente sintomatico, vuole contrapporsi a una più acriticae anche maggiormente condivisa posizione all'interno del Pci, secondo cui una «cultura>senza soluzioni di continuità avrebbe attraversato i vari luoghi della sinistra cosiddetta «estrema> Adornato, invece, associa le istanze militaristiche alla «crisi» del movimento e differenzia netlamente l'area della «insubordinazione sociale» che è stata capace di esprimere anche autonome istanze teoriche e che pone in primo luogo un problema di ordine politico alla sinistra ufficiale, e fin qui la sua analisi pare accettabile. Ma poi conclude cercando di individuare i filoni «cattivi>,e mette, accanto all'incontestabile veterocomunismo, componenti come .«un certo evangelismo» e, più genericamente, «un certo moderno nichilismo», o almeno alcune sue forme. Per quante suggestioni possa contenere, questa ricerca dei filoni «cat1ivi» tende a riprodurre uno schema vecchio che si direbbe continui a lavorare inconsciamente, lo schema che divide la cultura, ovviamente anche politica, in razionale e irrazionale. Uno schema che, una volta attivato, ha già dato per presupposte alcune cose fondamentali: che si sappia con precisione cosa è razionalismo e che sia possibile inferirne una linea di demarcazione precisa rispelto a ciò che non è razionalismo. So bene che quasi nessuno di coloro che si trovano a dover riattivare questo vecchio schema, lo accetterebbero esplicitamente. Anzi, proprio Adornato, è tra quelli che lo rifiutano come un'ideologia da battere. Ma si tratta di vedere che cosa è necessario fare per liberarsene effettivamente. È necessario, innanzi tutto, a mio parere, riconoscere che tra questa discussione «politica» e la discussione «teorica» a proposito della crisi della ragione il nesso èpiù sire/lo di quanto si creda. Non si può, evidentemente, da una parte, considerare la crisi delle «spiegazioni» razionali del sociale finora dominanti, e dall'altra servirsi di «spiegazioni» politiche, tracciare confini e discriminanti, mediante la stessa ragione. Né l'urgenza, che tutti avvertiamo, di produrre differenze e rassicurazioni è buon motivo per ritenere vuoto e accademico tulio quanto si va dicendo, non solo in Italia, sulla crisi della ragione, che altropoi non significa se non che la ragione tradizionale non riesce più a spiegare i fatti, o li spiega troppo poco. Ma dire «non è un buon motivo» è ancora un eufemismo: infalti è un rischio non da poco. È precisamente il pericolo che stiamo correndo di essere ricacciati indietro in modo molto pesante rispetlo ad acquisizioni che davamo già quasi per scontate, di trovarci intimiditi sul piano della riflessione teorica, fino al punto di dover continuamente fare i conti con una vera e propria autocensura: se dico quella parola o sviluppo quel pensiero, non si potrà poi dire che anch'io rientro in un «certo moderno nichilismo»? Quando in un'analisi arriviamo ad a!fermare che da un determinato punto le cose prendono una spinta irrazionalistica, questo nella maggioranza dei casi vuol dire che ci mettiamo una mano davanti agliocchi e che di lì inpoi rinunciamo a fare analisi. Non solo perché rischiamo di cacciare tulio in un buco, ma perché dire di 11nfenomeno che è irrazionale, oggi più che mai, significa dire nulla. Per quanto possa essere dura da acce/tare, la precisa impressione che ho è che per comprendere il fenomeno del terrorismo di oggi e insieme ad esso molti altri fenomeni che ci riguardano, non abbiamo altra via che quella di cercare di produrre nuovi strumenti di descrizione. Il marxismo è uno strumento che non basta: esso può continuare {I garantirci una «purezza» teorica, ma in fin dei conti è una «purezza» eticapiù che teorica, un meccanismo di rassicurazione. Messa alla prova del presente, la ragione marxista (posto che ne possiamo identificare una che valga come koiné per tutti) riescea spiegare i tra/li generalissimi della macchina economico-politica mondiale, ma ogni giorno leggiamo sui giornali di «fenomeni» anche non microjìsici che eludono il modello. Riusciamo a comprendere poco della macchina politica; il sociale, poi, ci si presenta come un «continente nero» di cui non sappiamo quasi nulla; per non parlare del «soggetto antagonistico», che non si salva moltiplicando e dislocando i soggetti, perché in Marx quel- ['«antagonistico» voleva dire una cosa ben precisa, e cioè che esso conteneva «oggettivamente» le ragioni di una trasformazione dell'intera società. È appunto questa la «ragione» che non riusciamo più a far tornare: l'ipotesi di una leggibilità complessiva dei fenomeni e quella, connessa, di un punto di vista teorico-pratico assumendo, occupando il quale il sapere possa diventare rivoluzione. Ipotesi dipendente dallapossibilità di rinvenire una catena causale taleper cui, mediante riduzioni, si possa arrivare a/l'identità economico-politica del singolo fatto e di qui risalire alla comprensione della totalità sociale. Se rileggiamo le pagine del Capitale ci accorgiamo che Marx si affida alla certezza di poter disegnare una anatomia della società e dunque garantisce ai soggetti una loro identità reale, un essere oggettivo che potrà raddoppiarsi in un esserepolitico. Della società attuale non possediamo più una simile anatomia, e nel momento stesso in cui parliamo di pluralità di linguaggi e pluralità di soggetti perdiamo anche la garanzia di un'identità certa dei soggetti. D'altronde, è difficile pensare che questa «pluralità» sia un effetto ideologico: le forme del potere e le fo.rme del sapere, come forme operanti, materiali, hanno questo carattere, funzionano esattamente dentro questa pluralizzazione. C'è, e ormai tutti lo riconoscono, un assetto post-moderno, se non postindustriale, che non si lascia riconoscere compiutamente da una ragione «centrata» (cioè con un centro cui riportare ogni aspetto), perché tende a funzionare in modo non centrato: e funziona così perché altrimenti non funzionerebbe e su di esso prevarrebbero I' entropia o /'auto-distruzione. Dall'altra parte, la sfera soggettiva sempre meno si riconosce in quella porzione che Marx aveva genialmente individuato come «forza-lavoro». Non solo perché la «vita» soggettiva non le corrisponde, ma perché altri aspetti della soggettività (quelli simbolici e comunicativi, o quelli emotivi e legati alla sfera della sensibilità) sono operanti e già presi nelle forme oggettive del potere-sapere. In questa direzione, per quanto a fatica, sono andate le cose migliori che, a livello del teorico e del culturale, la «sinistra» è riuscita ad esprimere in questi anni tormentati. Qui ritroviamo il senso buono della cosiddetta «teoria dei bisogni», l'interesse per Foucault e la sua analisi del potere, l'interesse per la psicanalisi, la rivalorizzazione, anche «teorica», del paradigma letterario (il sapere narrativo), l'interesse per le analisi microsociali e di microstoria, l'esigenza di vedere «altre» storie e «altre» ragioni accanto e oltre la ragione dominante antropologico-storicistica; e, ancora, la rilettura, fuori dello schema razionalismo/irrazionalismo, del pensiero negativo, la riconsiderazione di filoni ritenuti «borghesi» come quello che parte da Weber per arrivare a/l'attuale dibattito sullo Stato nella cultura teorica tedesca. L'elenco può essere continuato, e di ciascuna voce si può dar conto, scoprendo in questa cultura di ricerca una varietà di esigenze, (dalla pretesa di avere subito altri punti di riferimento al bisogno di far lavorare l'immaginazione sociale cortocircuitando oggetti e campi diversi), ma, al fondo, un comune denominatore: l'allargamento del- /' orizzonte di esperienza culturale, il bisogno di trovare le traccedi un'identità più con vincente e di procurarsi alcuni strumenti di orientamento in un sociale divenuto estraneo e quasi sconosciuto per le vecchie categorie. Non possiamo confondere niente di tutto ciò con un supposto «nichilismo»: qui, in questo lavoro disseminato che ha tentato e tenta strade, ma anche viottoli e sentieri accidentati, per spaccare almeno in qualche punto il ghiaccio di un ideologismo muto e inerte, non c'è nulla di distruttivo o di auto-distruttivo. Una quantità di «compagni» hanno in tal modo lasciato la «vecchia» politica, si sono eclissati, alcuni si sono resi «invisibili»: hanno scelto la piccola dimensione. Certo altri hanno «mollato», ma non tanto per assenza di «cultura» quanto per assenza di «realtà». E per tutta questa massa, cheproviene dal '68, la grande assenza, il grande rimando, in cambio di una faticosa ricerca personale, è la Politica, con fa p maiuscola. Perché non dire che è questo fantasma, della Politica appumo, che ha ossessionato molti altri «compagni» tirandosi dietro un b,agagliodi miti ricavati dal/'abc del marxismo? Non è facile dimenticare intere assemblee che si alzano di scatto e gridano: viva il compagno Giuseppe Stalin. Ma non facciamoci fuorviare da questo nome ormai esorcizzato. Egualmente poteva esseregridato Lenin, e Mao, e Marx, e anche Gramsci; e c'era chi urlava Brandirali. Veterocomunismo non dice tutto: perché vi è stato un modo nuovo di far funzionare il marxismo come mito, dando un valore magico a parole come «classe», «partito», «rivoluzione». Nessun nichilismo. Chi non ha un po' creduto a tale magia? Rinunciando a misurarsi con una realtà scabrosa, in rapido movimento, piena di inciampi e di contraddizioni: sostituendovi l'accelerazione politica, il potere suggestivo, e anche, la forza di massa dell'ideologia. Poca realtàe molti «valori» astratti (magari in quegli stessi che predicavano la fine dei valori): lungi dal nichilismo, ha agito sotto i nostri occhi una volontà «positiva» di rivolgimento, una astratta morale politica. . È stato un pessimo uso del marxismo, ridotto a slogans e a parole d'ordine autoritarie, ad atti di fede: ma è stato precisamente questo. Ed esattamente a/l'opposto hanno proceduto quei percorsi che hanno scavato nella determinatezza e nella differenza dei soggetti: percorsi che hanno cercato non di semplificare, bensì di complicare il quadro, imbattendosi in nuove contraddizioni, ponendosi dentro le esperienze il problema della crisi e anche dello scacco. A parte le grandi manovre culturali, Nietzsche per esempio è stato letto dai giovani entro una simile batteria di esigenze; lo stesso si può dire per il rapporto con certamusica, e perfino per l'interesse per l'oriente, che non è stato così sciocco e folcloristico come i media l'hanno presentato. Se allora si deve scorgere da qualche parte del misticismo, a me pare che lo si debba vedere piuttosto nell'incantesimo della Politica, nel miro della Organizzazione. E allora mi chiedo, sapendo quanto è scomoda e strumentalizzabile questa domanda: un tale «marxismo magico» non ha veramente niente a che fare con il marxismo buono di cui è la caricatura? Perché non aprire dentro l'area del marxismo buono un'indagine spietata che ci spieghi come hanno potuto certi aspetti di questa teoria sollevarsi da terrae diventare magici? • In altreparole: non possiamo, credo, limitarci, ancora una volta a contrapporre, alla deformazione, l'ortodossìa. La vicenda della deformazione, un fantasma con cui abbiamo convissuto, potrebbe insegnarci la debolezza della forma buona, indicarci l'urgenza di una riforma. Se lo scopo è quello di rimettere in piedi un'analisi materialistica, non astratta, della società in cui stiamo vivendo, non possiamo sottovalutare il lavoro sotterraneo che la sinistra, cosiddetta «estrema», ha già compiuto, muovendosi proprio ali'opposto di una semplificazione astrattae mistica della Politica. :::

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