Alfabeta - anno II - n. 11 - marzo 1980

Tendenze Tendenze unanuovacollana EditoriRiuniti Mario Tronti Il tempo della politica La linea, la teoria, l'organizzazione del movimento operaio alla prova della crisi capitalistica. pagine 144, Lire 3.000 Tendenze Filippo Battaglia L'aUergia al lavoro Tendenze Prefazione di Aris Accornero Disaffezione. assenteismo: di chi le responsabilità, quali i rimedi. pagine 208. Lire 3.600 Roger-Gérard Schwartzenberg Lo Stato spettacolo Prelazione di Tullio De Mauro. traduzione di Maria Jatosti Memmo Carter. Breinev. Giscard d'Estaing: attori e pubblico nel gran teatro della politica mondiale. pagine_436, Lire 6.500 ILfOGLIO NOTIZlt DI POESIAA (0URA 01:LLA SOCIETÀ DI POESIA l't-R INI/.IATI\'Al>J:lL0 t'DITOIU't,UANI)'°' 10 ANNI DI POESIA ITALIANA Giuseppe Pontiggia intervista Antonio Porta, curatore dell'antologia Poesia italiana degli anni sellanta. GLI EDITORI E LA POESIA Maurizio Cucchi, membro del comitato di lettura della "Società di poesia", risponde ad alcune domande. L'AUTORE Una poesia di Odisseo Elitis, premio Nobel 1979 RASSEGNA CRITICA E SEGNALAZIONI 30 recensioni di poesia italiana e straniera e indicazioni bibliografiche dei libri editi nel corso del 1979. I POETI IN LIBRERIA In collaborazione con i librai, la classifica dei volumi di poesia più richiesti nel 1979. In vendita in Lutte le librerie o direttamente presso: CLUB AMICI POESIA, Via Daniele0 Manin 13, ,Milano, telefoni 654.628 - 630.157 Una copia L. 500 stinto brusio come di marina. e finalmente scopre un enorme paradiso degli oggetti. dei «mobili nella valle», potremmo dire avvalendoci di una famosa serie di dipinti dechirichiani (ma eseguiti qualche anno dopo). Quel paradiso delle cose inanimate è posto più in alto del livello in cui si muovono le immagini dei comuni mortali. appunto per ribadire anche nella topologia un primato. un ordine gerarchico. Le pagine in cui è svolta la grandiosa epifania di mobili, suppellettili, pezzi di arredo e di toilette, costituiscono il più bell'equivalente letterario dei dipinti più alti di De Chirico e di Carrà. Anche se forse Bontempelli è sempre un po' troppo uomo di mestiere, portato a naturalizzare ogni sua «avventura», ovvero a ricostruire lo spazio e il tempo (come dirà nel famoso preambolo al primo quaderno di 900). E così, il più sottile equivalente romanzesco dell'impresa metafisica ce lo darà, ma soltanto nel '28, lo stesso De Chirico con Ebdomero, in quanto in esso i vari stampini, stereotipi, materiali prefabbricati vengono cuciti tra loro mediante passaggi avventurosi, salti d'orbita, associazioni a ruota libera, il che ricorda da vicino i meccanismi ingegnosi e deliranti cui si affidava Raymond Roussel. Mentre Bontempelli introduce le sue pur valide epifanie di manichini e di mobili attraverso un periplo troppo funzionale e limpido. Quanto a Savinio, cosl come è pungente, «peloso», fibrillare in pittura, tanto da non reggere le misure monumentali del fratello, allo stesso modo è irrequieto e mobile nelle sue prose d'arte; il che, se garantisce il buon livello delle sue prestazioni indi-' viduali, gli fa perdere però quanto a rappresentatività generale di situazione. Succede cosl che l'unicum romanzesco di De Chirico, il solitario Ebdomero, ma ben contesto e compatto pur nel mistero, nell'imprevedibilità dei passaggi, pesa di più che non tutti gli spunti disseminati a raggera nelle operine in cui il talentoso Savinio si è prodigato (e disperso). M a, al di là degli apprezzamenti qualitativi (che qui non ci interessano neanche tanto, e che mantengono un buon margine di opinabilità), ritorniamo ai tratti comuni tra i vari operatori. Basterà allora ricordare che anche Bontempelli pronuncia il solito inevitabile omaggio ai nostri grandi pittori del Quattrocento, considerandoli appunto come campioni di una solidità, interezza, plasticità di forme ove il massimo di effetto reale si concilia con forti dosi di mistero e di sacralità: evidenza, ma lontana, favolosa. È allora un recupero della tradizione? Sl e no. Bontempelli, esattamente come De Chirico, ha fortissima la consapevolezza del salto di varie caselle intermedie, dell'interruzione di una normale sequenza cronologica. C'è infatti un intero ciclo storico che bisogna cancellare: quello che si avvia con la classicità matura cinquecentesca, continua con il rutilante naturalismo secentesco, e infine dilaga, corrompendosi, nel verismo ottocentesco. Questo passato, questa tradizione sono abominevoli, e abominevoli soprattutto i loro esiti ultimi regionalisti, dialettali. Gli scritti di Bontempelli sono costellati di polemiche contro i «toscani». i più pervicaci sostenitori, in•quegli anni. della variante reg~onalista, sia in letteratura che in pittura (un personaggio divenuto reazionario in toto come Soffici sta a assicurare la chiave di volta tra i due settori). Stracittà contro Strapaese: scontro che, sempre nelle indicazioni del nostro autore, si precisa anche con estremo rigore e pertinenza per quanto riguarda (diremmo oggi) la narratologia. Bontempelli infatti propone di riaccreditare il «mito» nell'accezione originaria, aristotelica. intendendolo cioè come intreccio, nucleo d'azione che esige subito la presenza consistente di un eroe. Ma la narrativa post-rinascimentale ha appiattito la parte del mito per sviluppare piuttosto quella relativa ai costumi e all'analisi psicologica, su su fino al cultodeldocuroento:laconstatazione. il reperto, la registrazione hanno soffocato l'azione dell'eroe, schiacciandolo e riducendolo a una squallida rappr~sentatività sociologica. statistica. Siamo qui a un crocicchio co·ngestionato. ove si intersecano varie strade. due delle quali. diciamolo pure, abbastanza rare e minoritarie. Nel corso dei tempi. infatti. e soprattutto nella nostra letteratura. non hanno certo prevalso le due avanguardie. di segno più o di segno meno: l'antiromanzo «aperto>. o il romanzo «mitico>; è stata invece sempre in agguato. pronta a riprendersi il terreno perduto. la via della tradizione recente. della consecutio ininterrotta passante attraverso il regionalismo e il dialetto: qualche volta anch'essa accesa e sperimentale. altre volte. più frequente. corriva e stantia. Con estrema coerenza Bontempelli dice il suo no al grande caso di Céline. così come lo avrebbe pronunciato probabilmente anche nei confronti di Gadda. di Pavese, di Vittorini, se avessero avuto già ai suoi tempi il vasto credito conquistato successivamente. Ma nel complesso, nonostante le sue negazioni e condanne, oltre gli anni '30 è la linea di Strapaese che vince, riuscendo anche a scavalcare il limite della seconda guerra mondiale, prolungandosi e dilagando negli anni '50, anche perché le riesce di svincolarsi dai sospetti di collusione col fascismo, e di allearsi invece con i valori della Resistenza e della sinistra politica. Pensare che, al contrario, a cavallo del '30 è proprio dalle paludi del regiona1 ismo che parte la critica e la repressione del fascismo più becero, più retrivo. in opposizione al vasto respiro internazionale e alla funzionalità «mitica> di 900. Farinacci da una parte, dall'altro lo stesso Bontempelli, o per Alberto Salieni, Liguria (prima mostra del Novecento italiano, 1926). altro verso le opzioni divergenti, ma pur sempre di vasto respiro, di un Marinetti e di un Carlo Belli. M a ritorniamo ai «buoni> Anni Venti, e al largo spazio di manovra apprestato dalla vorace apertura mentale di Bontempelli. Conviene infatti equiparare a tutti gli effetti i due «Novecento>, quello letterario e quello artistico, ad onta delle perplessità che manifesta una valida e agguerrita specialista come Rossana Bossaglia, che certamente ha ragione sul filo del regesto: i «sette> di Milano (Sironi. Funi. Marussig, Oppi, Bucci, Dudreville, Malerba), che si uniscono tra il '22 e il '23, non hanno rapporti diretti con Bontempelli, così come questi non sa di loro (ma gli uni e l'altro sanno della Metafisica, che quindi si riconferma come la testa di serie di tutto quel ciclo di neg-avanguardia). Quanto alle convergenze, anche i «sette»sottoscriverebberoil saltotemporale. il rifarsi agli stampi lontani del Quattrocento, con la conseguente abiura ai valori dell'area postimpressionista. Tutti poi sono «mitici>, nel senso che intendono effettuare un recupero di motivi tematici e iconici: il quadro racconta, anche se a livello eroico; nello stesso tempo, la solennità è anche intattezza, limpidità di vocaboli. volontà quindi di essere vicini all'oggetto quotidiano. purché esso non scivoli nel folclore e nel piccolo verismo. Ma poi Novecento si allarga: la sua madrina. Margherita Sarfatti, è combattuta tra il proposito di non snaturarne i caratteri, di conservarne in particolar modo l'impronta «numinosa>, e quello opposto di fame invece un largo consorzio di tutti i migliori artisti operanti in Italia. conciliandoli al regime. Se da un lato essa ha il coraggio di polemizzare con la dissidenza «toscana> di Soffici e compagni, è invece meno risoluta nel distinguere e tenere ai margini il caso di Tosi: ottimo artista. ma rappresentante della linea postimpressiònista, postottocentesca, che non dovrebbe in nessun modo essere mescolata con il modello della neg-avanguardia. Tosi infatti può essere considerato come l'equivalente pittorico dei vari Pea e Cicognani, e assieme ad essi disegna le coordinate del fronte regionalista, vernacolare. Ma proseguiamo nell'esame di altre componenti del fenomeno Novecento, che la Bossaglia distingue con la solita esattezza sul filo del regesto. di cui tuttavia si può sostenere la convergenza finale nel quadro capiente di un modello generale. Ci starebbe dunque al terzo posto «lo stile di arredamento maturato attorno al 1930, come soluzione e adattamento del razionalismo a esigenze espressive di altra matrice, con abbondanti cascami déco> (p. 7). Ma questo stile è già presente nei dipinti dei novecentisti e nella scrittura di Bontempelli, miranti solidalmente ad assicurare una conciliazione tra i requisiti di intattezza, di funzionalità e integrità dell'oggetto, e una sua numinosità gratificante, decorativa. I «mobili nella valle> e il loro splendido mausoleo scoperto dal giovane esploratore della Scacchiera davanti allo specchio anticipano un tale gusto nell'arredo e nelle arti applicate. Infine, anche il quarto punto, «l'architettura neoclassica specialmente utilizzata nelle opere pubbliche del regime fascista>. è un altro modo di dire la medesima sintesi tra funzionalità e gratificazione estetica: «pareti lisce>, come diceva Bontempelli, ma non a scapito di un coefficiente «mitico> (la Sarfatti, per esempio, invocava cdi fronte al razionalismo iconoclasta ... il dono di un po' di bellezza>, cfr. Bossaglia, p. 29). Bontempelli e la migliore discendenza del «Novecento> pittorico (Sironi, Funi, Oppi) concordano perfino nell'auspicare un'impresa decorativa murale: basta col quadro da cavalletto, si aggrediscano le «pareti lisce>, il pittore ritrovi la misura cantica> del grande frescatore, i «miti> riprendano corpo. Naturalmente, su questa strada la neo-avanguardia, ilmodello implosivo e retrospettivo si urta col nascente astro di Carlo Belli, il quale a sua volta può essere considerato come un rilancio del modello esplosivo futurista, riportato a una calma e olimpica maturità. Si dà insomma il bisticcio tra il funzionalismo senza aggettivi del Belli e di Terragni, a loro volta eredi e continuatori del Movimento Moderno, e quello arricchito di cariche gratificanti di bellezza e di decorazione di un Muzio o di un Piacentini. Vecchie dispute, di cui ormai il tempo ha fatto giustizia, decretando il proprio favore a vantaggio dei primi contro i secondi? Sì e no. Forse non si possono difendere, e soprattutto contrapporre agli altri i casi specifici di Muzio e di Piacentini. Sta di fatto però che anche oggi «ritorna> un problema analogo: mantenere la funzione, ma arricchirla di estro, di connotati mitici e numinosi. Un idolo nelle nuove generazioni di critici e pratici dell'architettura è Aldo Rossi, con la cui immagine in copertina si inizia una nuova serie di Domus diretta da Alessandro Mendini. Una mostra-dibattito alla Galleria d'Arte moderna di Bologna (di cui solo di recente sono usciti gli atti) aveva già posto l'accento su questa progenie di nipotini di De Chirico; e anche la prossima sezione di architettura della Biennale veneziana punterà molte carte sull'area del cosiddetto post-modernismo. Anche oggi insomma, cinquant'anni dopo,si tornaaproclamarela finedelle avanguardie esplosive, proiettate in fuori a conquistare il futuro, ad esse si contrappone il viaggio nei paradisi stilistici del passato, proprio perché abbiamo la sensazione di vivere simultaneamente in molti tempi e storie parallele. Una schiera di giovani artisti visivi conferma le medesime indicazioni. Non c'è dubbio, siamo in pieno clima di déja vu.

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