Alfabeta - anno II - n. 9 - gennaio 1980

tenuta attraverso l'incontro, l'adesione o lo scontro con contenuti ideologici in essa presenti. Ma essa resta pur sempre parola semialtrui. n processo di appropriazione - che nei suoi concreti contesti comunicativi non è di appropriazione puramente grammaticale (fonologica, sintattica, semantica) nel senso della «competenza» chomskyana - non è mai completo, né sempre possibile: nella parola del parlante restano intenzioni a lui estranee, che non sempre riesce a padroneggiare, che non sempre coincidono con le proprie intenzioni: le parole «risuonano in modo estraneo sulle labbra del parlante... è come se, contro la volontà del parlante, si mettessero da sole fra virgolette» (ivi, p. 102). La considerazione della lingua, da parte della filosofia del linguaggio, della linguistica e della stilistica, come unitario sistema grammaticale di forme normative, astratto dalle concrete interpretazioni ideologiche che riempiono la lingua viva (!'«oggettivismo astratto» analizzato dal Volosinov 1929), si spiega, dice Bachtin, proprio in base alla spinta ideologica delle forze della centralizzazione linguisticoideologica. La categoria di lingua unitaria è «l'espressione teorica» di tali processi storici concreti ed è in funzione dei compiti di centralizzazione e unificazione delle lingue europee. Da una parte la filologia «con i suoi metodi di studio e di insegnamento delle lingue morte e, quindi, di fatto unitarie, come tutto ciò che è morto» (ivi, p. 71), dall'altra la tendenza unificatrice, nelle lingue europee, sotto l'impulso di particolari vicende storiche,hanno orientato le teorie linguistiche occidentali verso l'unità a scapito della molteplicità, verso gli aspetti stabili, univoci della parola, piuttosto che sulla plurivocità e mutevolezza costitutive. L a tendenza del monologismo, la pratica della parola diretta e della parola oggettivata univoca, si presenta, secondo Bachtin, essenzialmente nei grandi generi letterari classici, l'epopea, la tragedia, l'alta retorica, la lirica, e in un certo tipo di romanzo che si può indicare come appunto monologico e che ha le proprie radici nell'epica e nella retorica. Questi generi si sviluppano in situazioni di relativo monolinguismo, incui la lingua è sentita come isolata e chiusa, come totalità autosufficiente, che coincide pienamente con la propria coscienza, occupa interamente lo spazio del proprio mondo. Benché il monolinguismo non escluda mai il plurilinguismo e si realizzi sullo sfondo di un complesso processo di lotta delle lingue e dei dialetti· strutturalmente connesso con la lotta sociale e ideologica, esso prevale nel rapporto che l'autore ha con la lingua in questi generi seri, dalla cui coscienza creativa resta fuori il plurilinguismo esterno e interno della lingua. Vi sono forme di coesistenza statica fra le lingue, fra i diversi registri linguistici, fra i dialetti, che non comportano la formazione di una coscienza linguistica polilogica. Ciò avviene se le diverse lingue e i diversi linguaggi sono sentiti come contraddittori, sono confrontati dialogicamente. Perché all'interno della singola enunciazione si scontrino dialogicamente due voci, non è sufficiente la rappresentazione di determinati stili, di linguaggi, di dialetti sociali: è necessario che questi stili, questi dialetti, ecc. vengano percepiti ciascuno come una sorta di concezione del mondo, come espressione di punti di vista ideologici diversi. È sul piano ideologico e non immediatamente linguistico che si decide, secondo Bachtin, il carattere monologico o non monologico della parola. Di pari passo con la formazione dei Alighiero Boe/li (Foto di Giorgio Colombo) generi letterari monodici si formano i generi parodici, espressione di un plurilinguismo sottostante. 'è difficile trovare un genere serio che non abbia avuto la sua contre-partie comico-ironica. Un esempio è il cosiddetto quarto dramma o dramma satiresco, una contro-elaborazione parodistica del tema trattato dalla trilogia tragica. Bachtin rivolge particolare attenzione ai numerosi generi formatisi e sviluppatisi all'inizio dell'età classica e poi nell'età ellenistica, che gli antichi raggruppavano sotto il nome di onouooyÈÀmov,nel tipo cioè del «serio comico» contrapponendoli ai generi seri. n carattere dialogico del linguaggio Joseph Beuys (Foto di Giorgio Colombo) trova, nell'antichità, la sua maggiore espressione in due generi: il dialogo socratico e la menippea. Ed è soprattutto a questi due generi del campo del serio comico che bisogna risalire, secondo Bachtin, quando si voglia ricostruire la «preistoria della parola del romanzo», si vogliano ritrovare le radici del romanzo polifonico moderno (Dostoevskij) e delle sue anticipazioni (Rabelais, Cervantes, Swift, Balzac...) I generi del settore del «serio-comico» sono in stretta relazione con la comicità popolare, con il folclore carnevalesco. Essi trovano le loro radici nelle antiche forme della festa, del riso rituale, risentono dell'atmosfera di «gaia relatività» della visione carnevalesca del mondo. Nel genere, dice Bachtin, i suoi elementi costitutivi e originari si conservano solo grazie a un suo costante rinnovamento: il genere che è il deposito della memoria letteraria, un sistema specifico, relativo a un tipo di pratica significante, un modello del mondo, un modello ideologico, «è sempre questo e altro, è sempre nuovo e vecchio contemRoraneamente. Il genere rinasce e si rinnova a ogni nuova tappa di sviluppo della letteratura e in ogni opera individuale di quel genere dato» (Dostoevskij, p. 138). Cosi, la visione carnevalesca del mondo, presente nella memoria del genere romanzesco, condiziona il particolare modo in cui il romanzo rivive in Dostoevskij e gli conferisce quelle potenzialità che Dostoevskij - punto di incontro di questa memoria del genere con le condizioni storico-sociali della sua epoca- sviluppa in una visione e raffigurazione artistiche del mondo nuove e originali dando luogo al «romanzo polifonico». B achtin chiama «carnevalizzazione» della letteratura la trasposizione- nel linguaggio della letteratura - del linguaggio del carnevale, la sua specifica visione del mondo e le sue categorie: quella del rovesciamento (mondo alla rovescia, vita all'incontrario); dell'abolizione de/l'ordinamento gerarchico; della mescolanza dei valori, pensieri, fenomeni e cose (sacro e profano, sublime e infimo); della profanazione (sacrilegi carnevaleschi, parodie sacre, parodie dei miAntonio Tapies (Foto di Renate Pousold) steri, ecc.). La cultura comica popolare viene analizzata particolarmente nel Rabelais, dove il sistema delle immagini rabelesiane viene considerato come luogo di raccolta e di unificazione dei contenuti e delle forme dei riti e degli spettacoli di tipo comico diffusi in tutti i paesi dell'Europa medievale e del Rinascimento e particolarmente ricche nei paesi romanzi. Anche qui l'incontro è con una parola altra, con la sua particolare ideologia, diversa e contrapposta a quella «ufficiale». Si ritrova nel Rabelais l'analisi dei rapporti fra ideologia ufficiale e ideologia non ufficiale avviata in Freudismo, dove si interpreta l'inconscio freudiano in termini di «ideologia e linguaggio non ufficiali». Nello stadio della civiltà primitiva, osserva Bachtin, il comico e il serio sono strettamente uniti insieme: accanto ai culti seri vi sono culti comici (riso rituale), ed entrambi sono parte della cultura ufficiale. Con 1a formazione delle classi e dello stato diviene impossibile conferire diritti eguali ai due aspetti; per cui tutte le forme comiche - quali prima, quali dopo - assumono un aspetto non ufficiale. Bachtin esamina la dialettica fra ideologia della cultura comica popolare e ideologia della cultura seria ufficiale, individuando in momenti particolari della letteratura umanistico-rinascimentale stati di fusione di questa duplice visione del mondo. A mano a mano che il regime feudale e teocratico del Medioevo si va estinguendo, si assiste, inmomenti differenti nei diversi paesi dell'Europa, alla penetrazione della cultura non ufficiale nella letteratura ufficiale: il riso carnevalesco, conservatosi nella cultura popolare del medioevo, fa irruzione nella grande letteratura con Boccaccio, Erasmo (Elogio della pazzia), Rabelais, Cervantes, Shakespeare. Alla fusione e al mescolamento temporaneo della cultura ufficiale e di quella non ufficiale contribuisce particolarmente l'impiego, nella letteratura, delle lingue volgari, attraverso le quali passa nella letteratura anche l'ideologia della vita quotidiana popolare. In questa fusione di ufficiale e non ufficiale, nell'ambito della letteratura dell'umanesimo e del Rinascimento, avviene un duplice processo: la cultura comica popolare feconda e vivifica la letteratura ufficiale, e, al tempo stesso, questo passaggio dall'extra-ufficiale al livello dell'ufficiale comporta che la cultura comica popolare, con il suo radicalismo, la sua dialetticità, il suo materialismo, passi «da uno stadio di esistenza quasi spontanea a uno stato di coscienza artistica, di aspirazione a uno scopo preciso. In altri termini, il riso del Medioevo, al livello del Rinascimento, è divenuto l'espressione della coscienza nuova, libera, critica, storica, dell'epoca» (Rabelais, p. 81). Nei generi letterari folclorici e bassi. nei generi periodici. nella comicità Andy Warhol (Foto di Renate Pousold) popolare, nel riso carnevalesco sono da ricercare i punti di partenza dello sviluppo della parola romanzesca e in particolare della varietà della linea «carnevalesca» del romanzo che porta all'opera del Dostoevskij. Nel romanzo la parola altrui, la lingua altrui, lo stile, il modo di parlare degli altri sono oggetti principali di raffigurazione. La parola romanzesca ha avuto una lunga preistoria in quelle forme molteplici che, già nelle prime fasi della cultura letteraria, raffigurano, trasmettono, contraffanno la parola altrui, comprese le lingue dei generi letterari diretti (v. Estetica e romanzo, p. 416). A nche il romanzo polifonico è caratterizzato dal ruolo che vi sv<;>lge la parola altrui, dal modo in cui essa viene raffigurata. In esso si realizza una pluralità di voci e di coscienze separate e indipendenti rispetto alla parola dell'autore: gli eroi non sono, come nel romanzo omofonico, soltanto oggetti della parola dell'autore, ma anche soggetti della propria parola; la coscienza di ciascuno di essi è data come coscienza altra, estranea, mai una volta per tutte definita, che non si lascia ricondurre al punto di vista di un autore che oggettivi e riunisca i punti di vista, le parole e le coscienze rappresentate: il romanzo polifonico «non solo non offre alcuno stabile appoggio, fuori della rottura dialogica, ad una terza coscienza monologicamente comprensiva, ma, al contrario, tutto in esso è costruito in modo tale da rendere l'opposizione dialogica irrimediabile. Nessun momento dell'opera si crea dal punto di vista di un terzo non partecipe» (Dostoevskij, p. 28). In contrasto con Lukàcs, Bachtin . insiste sulla plasticità del genere romanzo contrapponendolo anche per questo all'epica, genere «compiuto» e «profondamente invecchiato» (la stes- •Saricerca di una preistoria della parola del romanzo in generi e forme espressive culturali diverse dall'epos e non meno antichi dell'epos, contrasta con il rapporto di successione che Lukàcs stabilisce fra epos e romanzo): il processo di divenire del romanzo non si è concluso. Esso entra ora in una nuova fase. Della nostra epoca sono caratteristici l'eccezionale complicarsi e approfondirsi del mondo, l'eccezionale crescita del rigore, della lucidità e del . criticismo umano. Questi tratti determineranno anche lo sviluppo del romanzo. Il «dialogismo», il «polilogismo», di Bachtin non coincide affatto con un «relativismo soggettivistico»: i diversi punti di vista e le diverse progettazioni ideologiche non sono collocate su uno stesso piano: esse hanno un valore diverso sia sul piano pratico, sia sul piano interpretativo, e sia che si tratti della interpretazione di ordine conoscitivo, sia della interpretazione, della raffigurazione in senso artistico. Come risulta dall'ultima frase citata, Bachtin Pier Paolo Calwlari (Foto di Giorgio Colombo) afferma il carattere di progressivo approfondimento del processo conoscitivo e della creazione artistica. Cosi, i diversi generi letterari, con il loro diverso modo di interpretazione artistica della realtà, non possono essere collocati su uno stesso piano quali modelli intercambiabili di espressione: il romanzo, per esempio, realizza un superamento della raffigurazione epica, cosi come il romanzo polifonico costituisce uno sviluppo delle possibilità espressive del romanzo, rispetto alle sue forme precedenti, ed anche uno sviluppo del pensiero artistico, rendendo penetrabili artisticamente aspetti della realtà umana impercettibili dal punto di vista di altri generi letterari: «la coscienza umana pensante e la sfera dialogica del suo essere, che non sono assimilabili artisticamente da posizioni monologiche» (Dostoevskij, p. 353). e ome si vede, la considerazione della dimensione linguistica ha un posto centrale nella teoria della letteratura di Bachtin, che anche da questo punto di vista, come per ciò che riguarda l'obiettivo della «specificazione», riprende la problematica dei formalisti. A differenza dei formalisti, però, Bachtin ritiene che gli aspetti linguistici che possono interessare in sede di teoria e di critica della letteratura stanno al di là dei limiti prospettici della linguistica istituzionale. Si può dire che l'intera opera di Bachtin, dai lavori della prima metà degli anni venti ai suoi scritti più recenti, è rivolta allo studio dei fenomeni artistico-linguistici che si collocano al di là della portata di determinazione delle categorie della linguistica e, in questo senso, sono da lui indicati come meta-linguistici. Che l'alterità della parola è un elemento essenziale in Bachtin può essere detto non solo per ciò che riguarda l'oggetto delle sue analisi. La parola stessa di Bachtin presenta una sua alterità: in primo luogo rispetto al suo tempo storico. Una parola che resta altra, negli anni venti, rispetto ai due poli del formalismo e del sociologismo marxista sul terreno del dibattito letterario in Urss; rispetto all'opposizione «individualismo soggettivistico» (Humboldt, Vossler, Croce, Potebnja) e «oggettivismo astratto» (Saussure 1916) sul terreno dello studio del linguaggio; e su questo stesso terreno, rispetto alla linguistica «marxista» di Marr e all'opposizione fra marrismo e antimarrismo del dibattito del '50 sulla Pravda; inoltre, per ciò che riguarda lo studio delle ideologie, rispetto all'idealismo e al materialismo meccanicista. Una parola «altra» anche, nell'ambito della psicologia, nei confronti delle teorie ufficiali che, cancellando il lavoro di Vygotskij, dominano nell'epoca staliniana; come pure riguardo alla presa di posizione che a partire dall'inizio degli anni trenta si afferma in Urss nei confronti della psicoanalisi (v. Volosinov 1927). Ciò può esser detto anche riguardo alla semiotica. Se si può considerare Bachtin come un precursore della semiotica, ciò non è da intendersi nel senso che la sua posizione sia riconducibile a questo o a quell'indirizzo semiotico, neppure a quello di coloro (Lotman, lvanov, ecc.: la cosiddetta scuola di Tartu) che a Bachtin si richiamano esplicitamente: anche qui c'è uno spessore di «alterità» che fa siche la teoria del segno sociale, del segno ideologico, e in particolare del segno verbale, di Bachtin costituisca più un termine di confronto, di verifica, di messa in discussione della semiotica ufficiale - sia occidentale che sovietica - e delle sue matrici saussuriane, peirciane, morrisiane, husserliane, ecc. che un elemento di conferma o di anticipazione. Giuseppe Chiari (Foto di Giorgio Colombo)

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