\. Benedetto Marzullo Letteratura greca (Bologna) Restò allibito il funzionario del1'Ambasciata americana, quando, chiestomi le ragioni del «visto» ed il mio mestiere, gli risposi che insegnavo «Letteratura greca» all'Università. «Un italiano? E non sarebbe meglio un professore greco?», ribattè ragionevolmente. Sulla differenza fra neogreco e quella pluralità di linguaggi (durano esattamente trenta secoli!) che vanno sotto il nome di «greco», non mi fu difficile convincerlo. A chiarirgli il senso di «letteratura», non riuscii: non per sua colpa, né per mia, ma per la ottocentesca, rettorica balordaggine di questa e consimili etichette. I nsegno dunque l'arcadica disciplina da un quarto di secolo, da una dozzina di anni nella Università di Bologna. Ne sono tanto inquieto, che nella medesima città mi sono trovato (in contraddittorie compagnie) ad inventa re il D.A.M.S. Tutt'altro che un diversivo. Nel più generale ambito delle «arti» mi chiedevo quali fossero le possibili delimitazioni disciplinari, quali soprattutto i metodi da applicare, escogitare, eventualmente unificare. La dimensione comunicativa è risultata sempre più evidente, la impertinente dominanza di Umberto Eco (da me imposto in tale Corso) era inevitabile. Altrettanto imprescindibile un metodo di lettura azzerato, attento alla natura formale e funzionale dei segni, prima che alle motivazioni o alle finalità che li producono. Di qui la impostazione semiologica del Corso, il fiorire di studi (e di giovanissimi studiosi). Eguale assillo mi affligeva sul mio terreno: né letteratura, né storia, e neppure filologia, nel senso formale o pragmatico della parola. Il mio primo libro, li problema omerico (Firenze 1952, Napoli-Milano 1970), rifiutava le tradizionali presunzioni, ricostruttive o valutative che fossero, evidenziava costanti strutturali e formali, ne indicava piuttosto che l'evolversi una pluralistica (ma non unitaria) fenomenologia. Costruiva sui segni, prevalentemente sui segnali, su eloquenti marche. Ne risultava una verità in negativo: insoddisfatta di pur articolate conclusioni, affidata a prospettive, non perentoriamente definibili, ma veritiere più di affabulanti ipotesi. Una presa di coscienza scientifica, dunque: non la elaborazione di un metodo, o di un supposto «antimetodo». Nulla è mutato da allora. I miei corsi universitari non sono né programmatici né conclusivi. Nascono dalla necessità di rivedere i fondamenti di alcune metodiche: modificando i criteri di osservazione, si modifica notoriamente lo stesso oggetto, il quadro contestuale. Si instaura un apprensivo processo di accertamento, una ricerca di «identità» formali: cui reciprocamente corrispondono «entità» non sostanziali, ma funzionali. In quest'opera di incessante revisione, di decostruzione, di conseguente demistificazione, appassionata è la risposta dei giovani, malgrado le perigliose procedure, le deduzioni provvisorie e spesso rinunciatarie (in realtà smitizzanti). Alcuni scolari sono in cattedra, altri incaricati, un gruppo di giovanissimi collabora nell'incomoda galassia dei «precari». I tempi di maturazione, bandite ubbie istituzionali o monografiche (ogni falsa coscienza pedagogica, voglio dire), sono rapidissimi. Buona parte di questi studiosi ha pubblicato, soprattutto in riviste straniere, e molto prima di laurearsi, inattesi contributi. Disponiamo di una Rivista, giunta al XIV volume: Museum criticum, il cui ultimo numero è di 530 pagine, contiene 87 .articoli. Museum è un omaggio alla tradizione, il sorridente fascino delle Muse non ci abbandona, ossessivo è il vaglio critico. Mi sono, né casualmente, occupato di teatro: il mio Aristofane ( 1968) costituisce una tappa, men che intermedia. La necessità di verificarne (e raddrizzarne le disastrate strutture drammaturgiche), ma anche di accertarne adeguate coordinate esterne, mi ha condotto alla rilettura della Poetica di Aristotele. Si rivela sempre più un umo roso pamphlet, in cui all'acutezza formalizzante si accompagna una filistea passione contro il nuovo (il teatro dell'«immagine», a lui contemporaneo), l'archeologico vagheggiamento di una restaurazione classicistica. La prima, e non meno deleteria, nella storia culturale dell'Occidente. Della Poetica si è smarrito il secondo libro: dedicato alla «commedia». Dalle comuni premesse generali, da precedenti vistosamente platonici (un rapporto edipico si direbbe, con il maestro), dalle trasparenze della commedia arcaica e di mezzo, nonché nuova (una aristotelica propaggine), da testimonianze indirette, dalla trattatistica tarda e soprattutto bizantina, molto è possibile recuperare. Una operazione non soltanto filologica o storico-ricostruttiva: del «comico» sapremmo di più, se potessimo confrontarci con il perduto ukase aristotelico, di sicuro pungente. Q uesto è il corso cui attento, con giovani di primo anno, ridottissimi ma attenti. Le cattedre liceali di latino e greco non esistono più: si studia filologia classica per passione, per vocazione. O forse per il fascino, mi si perdoni la presunzione, che sercitano oggetti privilegiati (a dispetto di ambigue strumentalizzazioni), metodiche sostanzialmente empiristiche, malgrado ottocentesche e· persistenti ambizioni, la sicumera di improvvisati lucumoni. Larga ·parte è dedicata, con lavoro a squadre, alla lessicografia antica, soprattutto ad Esichio. La rinnovata edizione del Latte (1953-1956) si è fermata non per la scomparsa del prestigioso autore, ma per il ribadito difetto di criterio funzionale. Non la verità di Esichio (o di qualsiasi altro testimone) a noi interessa, ma quella realtà che attraverso la casuale e disordinata compilazione, tuttavia traspare: la variegata realtà storica della sua documentazione. Puntiamo oltre Esichio, alla identificazione di questo «blueprint», col supporto di testi paralleli, con l'ausilio di ogni cognizione, culturale, linguistica, sostanziale. Esichio scompare, restano preziose cross-references, vagliate, restituite (non di rado per congettura), alla loro autenticità. L'esame, a che serve? Corso, dispense, opere del maestro? Nel migliore dei casi, disdicevole autogratificazione: incitazione alla idiozia. Otto libri di Omero, tre commedie di Aristofane, una di Menandro, due libri di Tucidide, la Poetica, e primordiali nozioni sono certo irrinunciabili. Ma non sufficienti. A ciascuno il suo, ritrovare il proprio interesse, in realtà il cardine di una personalità nascente, ma augurabilmente già destinata. Giorgio Prodi Oncologia (Bologna) Il corso di Oncologia è complementare del III anno alla Facoltà di Medicina. All'Università di Bologna è coperto da una cattedra di ruolo che afferisce all'Istituto di Cancerologia. 11 corso ha come scopo di approfondire la biologia dei tumori rispetto a quanto viene trattato nel corso di Patologia Generale. li corso è finalizzabile anche alle applicazioni cliniche che lo studente svilupperà nel secondo triennio. È in larga parte un insegnamento di biologia, perché le caratteristiche della cancerogenesi e della cellula neoplastica sono connesse a problemi biologici generali quali la regolazione mitotica, la differenziazione, la selezione di popolazioni eterogenee, la mutagenesi, ed implica conoscenze di biologia molecolare, di tecniche genetiche e di colture in vitro. È adatto a quegli studenti che: a) sono interessati all'oncologia medica nei vari aspetti, per la quale il corso costituisce una base propedeutica; b) sono interessati a sviluppare quei problemi generali di biologia cellulare e molecolare che trovano nella trasformazione neoplastica una sorta di esemplificazione; c) sono interessati a sviluppare la medicina preventiva. Il corso è composto di due parti: la prima riguarda la biologia dei tumori, la seconda la cancerogenesi. Il corso non è monografico. Tuttavia vengono svolte con maggior ampiezza la prima o la seconda parte ad anni alterni. La partecipazione degli studenti è limitata ma costante. Il corso è frequentato stabilmente da una cinquantina di studenti. Gli esami sostenuti annualmente sono circa I SO. A parte alcuni studenti che si presentano all'esame per ragioni assai contingenti (ad es. motivi di leva) e che hanno molto spesso una preparazione largamente insufficiente, il corso è generalmente seguito dagli studenti migliori, e quindi non vi sono difficoltà per quanto riguarda rendimento scolastico e prove d'esame. Viene usato come libro di testo Oncologia Sperimentale di G. Prodi, e il trattato La Biologia dei Tumori dello stesso autore per chi voglia ampliare l'argomento. Sono anche eseguite alcune esercitazioni-preparazioni volontarie, della durata ognuna di un giorno o due. Sarebbe impossibile ed inutile effettuare tali esercitazioni, piuttosto complesse, per tutti, ed è opportuno siano freFrank Stella (Foto di Renate Ponsold) quentate da chi è specificamente interessato. Il contatto maggiore con gli studenti è a livello di preparazione di tesi e di internato. Nell'istituto lavorano in media dodici studenti interni (metà della Facoltà di Medicina e metà di Scienze Biologiche). Sono necessari due anni di lavoro sperimentale. Non vengono accettate tesi compilative. L'Istituto è composto da quattro posti di ruolo, due assegnisti ministeriali e tre borsisti con borse di studio annuali non rinnovabili, un tecnico e un bidello. La carenza di personale tecnico e la mancanza di personale di segreteria (nonché la condizione di precariato di più della metà del personale di ricerca) costituiscono il fattore limitante dell'attività sperimentale. Un altro fattore critico è costituito dalla sede, del tutto insufficiente; tale problema sarà però risolto nel prossimo anno accademico, almeno parzialmente. Le attrezzature sono invece soddisfacenti. La ricerca è finanziata, oltre che dalla dotazione di Istituto (assai scarsa) e da qualche contributo del Ministero Louise Neve/son (Foto di Renate Ponsold) della P.I., dal CNR attraverso il Progetto Finalizzato «Controllo della Crescita Neoplastica». Le ricerche che si conducono nell'Istituto riguardano principalmente la interazione tra cancerogeni e DNA, l'azione mutagena dei cancerogeni e il loro metabolismo, il potenziamento della reazione immunologica, i recettori per gli ormoni steroidi nei tumori umani. L'Istituto di Cancerologia dell'Università promuove ogni anno un corso seminariale di Oncologia Clinica, che riscuote notevole consenso di studenti e di medici. Vengono affrontati, nei mesi di marzo e aprile, complessivamente quindici argomenti (uno per semfoario ), ognuno dei quali è trattato da cinque o più competenti diversi (epidemiologia, etiopatogenesi, diagnosi, ecc.). È in funzione la Scuola di Specializzazione di Oncologia, ad indirizzo applicativo (preventivo e clinico), a tempo pieno. La scuola e il corso seminariale intendono costituire un punto di incontro, non solo didattico, tra tutte le strutture (universitarie e non universitarie) che a Bologna si occupano di Cancerologia. Tali istituzioni sono numerose e con elevate potenzialità ed uo coordinamento può essere molto utile. Viene proposto un modello di organizzazione non basato sul monoblocco «Istituto Tumori» ma su di una struttura più articolata, già operante nelle sue varie unità. Lo scopo di tali iniziative è di mjgliorare la ricerca e la didattica nel campo della Oncologia. Mario Vegetti Storia della filosofia antica (Pavia) Insegno Storia della filosofia antica alla Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università di Pavia. L'organizzazione del corso di quest'anno ripete un'esperienza già varata l'anno scorso: la scelta di un tema centrale, e la lettura di un relativo testo di base, attorno a cui si articola una pluralità di attività seminariali coordinate ma autonome. L'anno scorso, il tema scelto era la teoria della verità, e il testo letto nel mio corso era la Metafisica di Aristotele; i seminari trattavano alcune «congiunzioni» di questo paradigma teorico (la classificazione degli animali, l'antropologia, il problema del femminile), e il suo rapporto con la retorica. 11 tema di quest'anno è invece «Il sapere della politica». Nell'ambito del corso disciplinare, io leggerò la Repubblica di Platone. L'analisi del testo platonico tenterà di mettere in luce le polarità sulle quali esso è costruito: la città e l'anima, il sapere e il potere, il nesso tormentato fra dialettica e scienze. Dal punto di vista storico, la Repubblica, verrà interpretata come l'estremo sforzo di interrogare una tradizione sapienziale, quella pitagorico-parmenidea, in funzione dei problemi posti dall'orizzonte politico della città, dalla «crisi di sovranità» nella quale essa si inscrive, dalle esigenze ideologiche di rifondazione del potere. Dal punto di vista teorico, la Repubblica verrà letta come l'ultimo luogo, nella tradizione occidentale, in cui gli elementi di un'ontologia, di un'epistemologia, di una psicologia, vengono tenuti esplicitamente insieme dalla comune subordinazione ad una soggettività politica, a un progetto di potere e di trasformazione del sociale. In questo quadro, un'attenzione particolare sarà dedicata alla figura platonica del filosofo, chiamato a garantire e insieme ad eccedere il contesto dell'ideologia della città; a regolare e governare la produzione della teoria scientifica, che deve «rendergli conto> del suo senso di fronte alle questioni etico-politiche. Questo tessuto unitario del discorso della Repubblica rivela tutto il suo arcaismo rispetto alla tradizione analitica che comincia con Aristotele; e tuttavia continua a riproporre domande che quella tradizione non può esorcizzare. Attorno al corso si articolano quattro seminari, condotti da un gruppo dj docenti (un assistente e cinque contrattisti) che fanno capo alla cattedra di Storia della filosofia antica. Il primo riguarda «La critica arist.otelica di Platone nel II libro della Politica»: verrà analizzata l'opposizione di Aristotele al progetto platonico di abolizione della proprietà privata e della famiglia, nel quadro della sua concezione della città come organismo «naturale» destinato alla riproduzione dei rapporti di potere (dove la famiglia gioca un ruolo centrale come garante della conservazione del comando sociale). Questo seminario verrà tenuto dalle doti. Silvia Campese e Silvia Gastaldi. Il secondo, condotto dalla dott. Francesca Calabi, verte sulla «Teoria delle costituzioni da Platone ad Aristotele»: un nodo centrale della riflessione politica antica intorno ai problemi della statica e della dinamica dei sistemi di potere e della desiderabilità delle costituzioni. Il terzo seminario, tenuto da me insieme con la dott. Paola ManuH, discuterà «La metafora politica nel discorso antropologico». Si analizzerà il ruolo che l'esperienza politica e le metafore che essa genera svolgono come formatori del discorso antropologico e biologico nel contesto della polis classica, fino alla complessa codificazione platonica: e si esamineranno i mutamenti intervenuti nel gioco metaforico in segujto all'avvento dei sistemi di potere regio ed imperiale, da Aristotele fino a Galeno. Un quarto seminario, infine, sarà destinato ai laureanili, e verrà svolto nell'ambito della Scuola di perfezionamento in Filosofia di Pavia. Il tema sarà «Cosmo, anima e natura: prospettive di analisi del Timeo platonico>. Vi prenderanno parte, oltre a me, il prof. G. A. Ferrari, che insegna Storia della scienza nella nostra Facoltà, il dott. F. Franco-Repellinj, e Heinz Wissman della Ècole des Hautes Ètudes di Parigi. Accanto a queste attività propriamente didattiche, ce ne sono altre più orientate alla ricerca: queste si svolgono nell'ambito di una collaborazione ormai tradizionale con gli studiosi facenti capo all'Istituto di Letteratura greca, diretto dal prof. Diego Lanza, e con quelli del Centre d'Ètudes comparées sur les sociétés anciennes di Parigi, in particolare Marce) Detienne. Gli studenti portano all'esame il testo su cui si svolge il corso, in questo caso appunto la Repubblica (non è possibile chiederne la lettura ingreco), qualche opera critica, e la parte generale studiata su un manuale per i licei (mi è sembrato necessario ristabilirne l'uso dopo qualche anno di abrogazione). Portano inoltre la valutazione di uno dei seminari, a loro scelta: questa valutazione viene data daj docenti che hanno condotto il seminario e «fa media» con il voto dell'esame sostenuto con me. Stando all'esperienza acquisita, si può dire che la partecipazione degli studenti è buona, soprattutto nelle discussioni seminariali, pur nell'ambito dell'esatta osservazione di Ginzburg circa il carattere necessariamente asimmetrico di qualsiasi pratica di insegnamento. Intendo dire che ci si muove pur sempre nella necessità- soprattutto in un campo dall'enorme spessore bibliografico e dall'alta sofisticazione critica come il nostro - di trasmettere in modo preponderante informazioni e interpretazioni cui gli studenti non possono arrivare da soli né contribuire ad elaborare; usando, come pure cerchiamo di fare nei seminari, metodi più cattivi», si rischia sempre di impostare ricerche finte, cioè di porre domande di cui si conoscono già le risposte. Per rimediare, in parte, a queste difficoltà, cerchiamo almeno - con qualche successo - di stimolare la discussione; e sono tornato a porre al centro dei corsi l'analisi diretta di un testo filosofico fondamentale (cercando di evitare l'oppressione filologica), in modo da offrire almeno il controllo immediato del discorso interpretativo, e l'esperienza della sua diversità radicale rispetto al discorso da interpretare. Per quanto riguarda il numero degli studenti e la loro frequenza, devo dire che a Pavia godiamo dj una situazione eccellente. Su un centinaio di studenti che sostengono ogni anno l'esame di Storia della Filosofia antica, più della metà frequentano regolarmente lezioni e seminari: un risultato che si deve al sistema dei collegi e alle dimensioni ragionevoli della città. C'è da dire, piuttosto, che le strutture istituzionali e qwndi l'organizzazione dell'insegnamento hanno ancora di mira un utente in via di obsolescenza, anche se da noi è più frequente che altrove: cioè lo studente a tempo pieno, che si dedica interamente all'Università e che appartiene alla fascia d'età classica, fra i 18 e i 22. Poco o niente si è riusciti a fare per rivolgersi ad altri tipi di interlocutori giovani o adulti, anche più interessanti socialmente e culturalmente: penso ai lavoratori/studenti, agli insegnanti, in generale a chi propone nel sociale una domanda di cultura cui l'Università, se vuole legittimare il suo ruolo, dovrebbe attrezzarsi a rispondere.
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