Seunanotted'inverno unnarratore Caro Angelo Guglielmi, «a questo punto farei a Calvino due domande», tu scrivi, ma in realtà sono parecchi gli interrogativi, espliciti o impliciti, che tu poni a proposito del mio Viaggiatore, nel tuo articolo su Alfabeta n. 6, intitolato appunto Domande per Italo Calvino. Cercherò, per quanto posso, di risponderti. Comincerò dalla parte del tuo articolo che non pone interrogativi, cioè in cui il tuo discorsocoincide col mio, per poi individuare i punti in cui i nostri sentieri si biforcano e cominciano ad allontanarsi. Tu descrivi molto fedelmente ilmio libro e soprattutto definisci con precisione i dieci tipi di romanw che vengono successivamente proposti al lettore: « ... In un romanzo la realtà è imprendibile come la nebbia; in un altro gli oggetti si presentano con caratteri fin troppo corposi e sensuali; in un terw è vincente l'approccio introspettivo; in un altro agisce una forte tensione esistenziale proiettata verso la storia, la politica e l'azione; in un altro ancora esplode la violenza più brutale; e poi in un altro cresce un sentimento insostenibiledi disagioe di angoscia. E poi c'è il romanzo erotico-perverso, quello tellurico-primordiale e infine il romanzo apocalittico». Mentre la maggior parte dei critici per definire questi dieci incipit ne ha cercato dei possibili modelli o fonti (e spesso da questi elenchi di autori saltano fuori nomi a cui io non avevo mai pensato, cosa che richiama l'attenzione su un campo finora poco esplorato: come funzionano le associazioni mentali tra testi diversi, per quali vie un testo nella nostra mente viene assimilato o affiancato a un altro) tu segui quello che è stato ilmio procedimento, cioè di propormi ogni volta un'impostazione stilistica e di rapporto col mondo (attorno alla quale poi lascio che naturahnente s'addensino echi di memoria di tanti libri letti), impostazione che tu definisci perfettamente in tutti e dieci i casi. In tutti e dieci i casi? Guardando meglio, m'accorgo che gli esempi che dai sono solo nove. C'è una lacuna, marcata dal punto fermo e dall'«E poi...» che corrisponde al racconto degli specchi (In una rete di linee che s'intersecano), cioè a un esempio di narrazione che tende a costruirsi come un'operazione logica o una figura geometrica o una partita a scacchi. Se vogliamo anche noi tentare l'approssimazione dei-nomi propri, potremmo rintracciare il padre più illustre di questo modo di raccontare in Poe e il punto d'arrivo più compiuto e attuale in Borges. Tra questi due nomi pur distanti possiamo situare quanti autori tendono a filtrare le emozioni più romanzesche in un clima mentale di rarefatta astrazione, guarnito spessodi qualche preziosismo erudito. In una rete di linee che s'intersecano è stato da altri critici messo molto in rilievo (forse troppo?) mentre è l'unico che tu dimentichi. Perché? Perché, dico io, se tu l'avessi tenuto presente, avresti dovuto tener conto che tra le forme letterarie che caratterizzano la nostra epoca c'è anche l'opera chiusa e calcolata in cui chiusura e calcolo sono scommesse paradossali che non fanno che indicare la verità opposta a quella rassicurante (di completezza e di tenuta) che la propria forma sembra significare, cioè comunicano il senso d'un mondo precario, in bilico, in frantumi. M a se tu a1mnetti questo, dovresti riconoscere che il libro del Viaggiatore tutt'intero risponde in qualche misura a questo modello (a cominciare dall'utilizzazione - caratteristica di questo genere - del vecchio topos romanzesco d'una cospirazione universale dagli incontrollabili poteri, - in chiave comico-allegorica, ahneno da Chesterton in poi - retta da un proteiforme deus-ex-machina; il personaggio del Gran Mistificatore che tu mi rimproveri come una trovata troppo semplice è in questo contesto un ingrediente quasi direi d'obbligo), modello in cui la prima regola del gioco è «far tornare i conti» (o meglio: far sembrare che i conti tomino mentre sappiamo che non tornano affatto). Il «far tornare i conti» per te è soltanto una soluzione di comodo, mentre può ben essere vista come un esercizio acrobatico per sfidare - e indicare - il vuoto sottostante. _ Insomma, se tu non avessi saltato{ o cancellato?) il «romanzo geometrico» dalla lista, una parte delle tue domande e obiezioni sarebbe venuta a cadere, a cominciare da quella sull'«inconcludibilità». (Ti scandalizzi perché io il minimo vitale il romanw della nebbia la ricerca della pienezza I I I Italo Calvino in letteratura che è un'altra cosa. Meglio dire che qui non si tratta del «non finito» ma del «finito interrotto», del «finito la cui fine è occultata o illeggibile», sia insenso letterale che in senso metaforico. (Mi pare che da qualche parte dico qualcosa come: «viviamo in un mondo di storie che cominciano e. non finiscono») 2) Sarà proprio vero che imiei incipit s'interrompono? Qualche critico (vedi Luce d'Eramo, // manifesto, 16 settembre) e qualche lettore di palato fino sostengono di no: trovano che sono dei racconti compiuti, che dicono tutto quello che dovevano dire e a cui non c'è nulla da aggiungere. Su questo punto io non mi pronuncio. Posso solo '- _d_eil_;_,::_:~_;_~_~_:n_i_za_.J erio corposa ~ rivolto rivolto verso il verso il ~:E;~~ fuolri interpretativo ,~----'·----,I la storia l'assurdo il romanzo politico-esistenziale 1-----'-----. l'identificazione il romanzo cinico-brutale l'estraneità I I che con Ludmilla Calvino, se pure inconsapevohnente, conduce un'opera di seduzione (di adulazione) verso il lettore medio, che poi è il vero lettore (e acquirente) del suo libro, prestandogli alcune delle straordinarie qualità della insuperabile Ludmilla?». Di questo discorso la cosa che non mi va giù è ilse pure inconsapevolmente. Come: inconsapevohnente? Se ho messo Lettore e Lettrice al centro del libro, sapevo quel che facevo. Né mi dimentico neanche per un minuto (dato che vivodi diritti d'autore) che il lettore è acquirente, che il libro è un oggetto che si vende sul mercato. Chi crede di poter prescindere dall'economicità dell'esistenza e da tutto ciò I . l'angoscia il romanzo dell'angoscia lo sguardo che scruta «concludo» e ti chiedi: «Che si tratti d'una disattenzione del Nostro?». No, ci ho fatto molta attenzione, invece, calcolando tutto in modo che il «lieto fine» più tradizionale-le nozzedell'eroe e dell'eroina - venisse a sigillare la cornice che abbraccia lo sconquasso generale). Quanto alla discussione sul «non finito»- tema sul quale dici cose molto giuste in un senso letterario generale - vorrei per prima cosa sgombrare il terreno da possibili equivoci. Due punti soprattutto vorrei fossero più chiari: 1) L'oggetto della lettura che è al centro del mio libro non è tanto «il letterario» quanto «il romanzesco», cioè una procedura letteraria determinata- propria della narrativa popolare e di consumo ma variamente adottata dalla letteratura colta - che si basa in primo luogo sulla capacità di costringere l'attenzione su un intreccio nella continua attesa di quel che sta per avvenire. Nel romanzo «romanzesco» l'interruzione è un trauma, ma può essere anche istituzionalizzata (l'interruzione delle puntate dei romanzi d'appendice al momento cuhninante; il taglio dei capitoli; il «facciamo un passo indietro»). L'aver fatto dell'interruzione dell'intreccio un motivo strutturale del mio libro ha questo senso preciso e circoscritto e non tocca la problematica del «non finito» in arte e I I la trasparenza I l'oscuro il romanzo logico-geometrico ,-.--~--~ nell'uomo nel mondo I il ro~anzo ~ della perversione I le origini il romanzo telluricoprimordiale I la fine del mondo I I dire che in partenza volevo fare dei romanzi interrotti, o meglio: rappresentare la lettura di romanzi che s'interrompono; poi in prevalenza mi sono venuti dei testi che avrei potuto anche pubblicare indipendentemente, come racconti. (Cosa abbastanza naturale, dato che sono sempre stato più un autore di racconti che un romanziere) 11 naturale destinatario e fruitore dèl «romanzesco» è il «lettore medio» che per questo ho voluto fosse il protagonista del Viaggiatore. Protagonista doppio, perché si scinde in un Lettore e in una Lettrice. Al primo non ho dato una caratterizzazione né dei gusti precisi: potrebb'essere un lettore occasionale ed eclettico. La seconda è una lettrice di vocazione, che sa spiegare le sue attese e i suoi rifiuti (formulati in termini il meno intellettualistici po55ibile, anche se - anzi, proprio perché- il linguaggio intellettuale va stingendo irreparabilmente sul parlato quotidiano), sublimazione della «lettrice media» ma ben fiera del suo ruolo socialedi lettrice per passione disinteressata. J:: un ruolo sociale cui credo, e che è il presupposto del mio lavoro, non solo di questo libro. J:: su questa destinazione al «lettore medio» che tu appunti il tuo a-fondo più categorico, quando chiedi: «Non è il mondo finisc.e il romanw apocalittico il mondo continua che essa comporta, non ha mai avuto il mio rispetto. Insomma, se mi dai del seduttore, passi; dell'adulatore, passi; del mercante in fiera, passi anche quello; ma se mi dai dell'inconsapevole, allora mi offendo! Se nel Viaggiatore ho voluto rappresentare (e allegorizzare) il coinvolgimento del lettore (del lettore comune) in un libro che non è mai quello che lui s'aspetta, non ho fatto che esplicitare quello che è stato ilmio intento cosciente e costante in tutti i miei libri precedenti. Qui si aprirebbe un discorso di sociologia della lettura (anzi, di politica della lettura) che ci porterebbe lontano dalla discussione sulla sostanza del libro in questione. M eglio tornare alle due domande principali intorno alle quali prende corpo la tua discussione: l) per il superamento dell'io si può puntare sulla moltiplicazione degli io?; 2) tutti gli autori possibili possono essere ridotti a dieci? (Sintetizzo così solo per pro-memoria, ma rispondendoti cerco di tener presente tutta l'argomentazione del tuo testo). Per il primo punto posso solo dire che l'inseguire la complessità attraverso un catalogo di possibilità linguistiche diverse è un procedimento che caratterizza tutta una fetta della letteratura di questo secolo, a cominciare dal romanw che racconta una giornata qualsiasi d'un tizio di Dublino in diciotto capitoli ognuno con una diversa impostazione stilistica. Questi illustri precedenti non escludono che mi piacerebbe raggiungere sempre quello «stato di disponibilità> di cui tu parli, «grazie al quale il rapporto col mondo possa svilupparsi non nei termini del riconoscimento ma nella forma delle ricerca>; però, almeno per la durata di questo libro, eia forma della ricerca> è stata ancora per me quella - in qualche modo canonica - d'una molteplicità che converge su (o s'irradia da) un'unità tematica di fondo. Niente di particolarmente nuovo, in questo senso: già nel 1947 Raymond Queneau pubblicava Exercises de style in cui un aneddoto di poche righe è trattato in 99 redazioni differenti. Io ho scelto, come situazione romanzesca tipica, uno schema che potrei enunciare cosl: un personaggio maschile che na"a in prima persona si trova a assumere un ruolo che non è il suo, in una situazione in cui l'attrazione esercitatada un personaggio femminile e l'incombere dell'oscura minaccia d'una colletlività di nemici lo coinvolgono senza scampo. Questo nucleo narrativo di base l'ho dichiarato in fondo al mio libro, sotto forma di storia apocrifa delle Mille e una natie, ma mi pare che nessun critico (per quanto molti abbiano sottolineato l'unità tematica del libro) l'abbia rilevata. Se vogliamo, la stessa situazione si può riconoscere nella cornice (in questo caso potremmo dire che la crisi d'identità del protagonista viene dal fatto di non avere identità, d'essere un «tu> in cui ognuno può identificare il suo «io>). Questa non è che una dellecontraintes o regole del gioco che mi sono imposto. Hai visto che in ogni capitolo della «cornice> il tipo di romanzo che seguirà viene enunciato sempre per bocca della Lettrice. Per di più ogni «romanzo> ha un titolo che risponde anche quello a una necessità, dato che tutti i titoli letti di seguito costituiranno anche loro un incipit. Essendo questo titolo sempre letteralmente pertinente al tema della narrazione, ogni «romanw> risulterà dall'incontro del titolo con l'attesa della Lettrice, quale è stata formulata da lei nel corso del capitolo precedente. Tutto questo per dirti che se guardi bene, al posto della «identificazione in altri io> trovi una griglia di percorsi obbligati che è la vera macchina generativa del libro, sul tipo delle allitterazioni che Raymond Roussel si proponeva come punto di partenza e punto d'arrivo delle sue operazioni romanzesche. Arriviamo cosl alla domando n. 2: perché proprio dieci romanzi? La risposta è ovvia e la dai tu stesso qualche capoverso più avanti: «si doveva pur fissare un limite convenzionale>; potevo anche sceglieredi scriverne dodici, o sette, o settantasette; quanto bastava per comunicare il senso della molteplicità.Ma tu subito scarti questa risposta: «Calvino individua con troppa sapienza le dieci possibilità per non scoprire i suoi intenti totalizzanti e la sua sostanziale indisponibilità a una partita più incerta>. I nterrogando me stesso su questo punto, mi viene da chiedermi: «In che pasticcio mi sono cacciato?>. Infatti, per l'idea di totalità ho sempre avuto una certa allergia; negli e intenti totalizzanti> non mi riconosço; eppure, carta canta: qui io parlo - o il mio personaggio Silas Flannery parla - proprio di «totalità>, di «tutti i libri possibili>. Il problema riguarda non solo i tutli ma i possibili; ed è lì che batte la tua obiezione, dato che la domanda n. 2 viene subito da te riformulata cosi: «crede proprio Calvino... che il possibile coincida con l'esistente?>. E molto suggestivamente mi ammonisci «che il possibile non si può
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