Alfabeta - anno I - n. 8- dicembre 1979

La i-iscossq:.dpeol itico O politico Voi. I: «Da Machiavelli a Cromwell» a cura di Mario Tronti Milano, Feltrinelli, 1979 pp. 569, lire 7.000 N. Bobbio - M. Bovero Società e Stato nena @osorm politica moderna Milano, U Saggiatore, 1979 pp. 201, lire 6.000 Ch. S. Maier Recasting Bourgeois Europe. Stabilization in France, Gennany aod Italy in the Decade after Wodd War I Princeton University Press, 1975 pp. 650, $ 11.50 (in corso di pubblica-. zione presso De Donato, trad. di Rossella Rossini, con una prefazione di Gian Enrico Rusconi) Giacomo Marramao O-politico e le trasfonnaziooi Bari, De Donato, 1979 pp. 267, lire 6.000 D a quando Bobbio e prima ancora, seppure in forma più sommessa, Tronti hanno lanciato il segnale, sulla tematica del politico è piovuto un vero e proprio diluvio di scritti, interventi, contributi. Allo «spazio politico» U Saggiatore ha dedicato addirittura una collana di volumi giunta oggi al suo decimo titolo. D'un tratto, tutti hanno scoperto la centralità del «politico». Non è il caso, tuttavia, di sottilizzare: il fatto è di per sé positivo, perché prelude ad una drastica ripulitura del ciarpame ideologico, delle vuote fraseologie di cui è intessuta la strumentazione politica della sinistra. Ma è bene non perdere di vista il filo conduttore di questa vicenda. Perché all'orgia dell'ceconomia» segue ora l'orgia del «politico»? Perché, dopo aver tentato per più di un decennio di decifrare le tendenze del sistema dei rapporti di forza, di leggere i percorsi possibili dell'azione politica a partire dall'analisi del gioco delle forze economiche, oggi la sinistra italiana, specialmente quella più attenta a scorgere e registrare l'emergere del nuovo, del problematico, scopre la centralità del «politico»? Perché gli sforzi teorico-analitici hanno cessato di appuntarsi sull'inflazione, sulla variabile salariale, sulla ristrutturazione, per volgersi ad indagare la tematica della transizione, le forme e i contenuti del potere, il ruolo dello Stato? Mi sembra sia questo l'interrogativo cruciale che è necessario porsi in via preliminare rispetto a qualsiasi tentativo di ragionare sui contenuti concreti di questo dibattito. A questo sostanziale spostamento di accento nel dibattito teorico più sensibile ai problemi di formazione della volontà politica, infatti, è sotteso un nodo problematico che aleggia come un fantasma di cui tutti avvertono la presenza, ma che pochi hanno il coraggio di nominare. Scoperta del «politico» significa, in primo luogo, scoperta di uno «strato» della realtà capitalistica (italiana) che si è rivelato impermeabile al dilagare della più grande offensiva operaia di questo dopoguerra. Siè scoperto, cioè. che un mutamento dei rapporti di forza nel territorio dell'ceconomico», il consolidamento di una posizione di dominio sulle forme di erogazione della forza lavoro e quindi di distribuzione del reddito non comportava «automaticamente» un mutamento nelle forme di dominio generale sulla società: in breve, una trasformazione delle forme del «politico». ...... Si è visto allora nel politico qualcosa di estraneo, di ostile, che si opponeva. e con successo, al potere antagonistico che avanzava sul terreno dei rapporti economici. Vi si è visto il connotato specifico del dominio borghese. Si è avvertito, insomma, che quel sistema di rapporti, di tecniche, di istituti, che costituisce l'area del politico configura una sorta di istanza suprema della società capitalistica in cui sono custodite le leve della sua permanenza e continuità. Quella che è definitivamente venuta meno, con la sua rozza ingenuità, è l'idea paleomarxista di una soggezione pressoché assoluta del politico alle regole e ai movimenti dell'economico. Come osserva giustamente Marramao, è entrata in crisi «la certezza che la critica dell'economia politica sia intrinsecamente capace di fungere da explanans della morfologia capitalistica contemporanea» (Il politico e le trasformazioni, p. 16) e sia possibile quindi «dedurre», ableiten come dicono i tedeschi, l'evoluzione della formaStato dall'analisi dei movimenti economici. La drastica riduzione delle funzioni statuali a semplici meccanismi di mediazione e di controllo delle emergenze critiche che il conflitto di classe continuamente innesca sul terreno della produzione immediata, ha avuto senza dubbio una funzione polemica positiva nel mettere a fuoco alcune fondamentali metamorfosi della forma-Stato in rapporto ai grandi cicli storici di ristrutturazione della produzione sociale (la crisi degli anni venti, l'inflazione permanente degli anni sessanta). Essa ha tuttavia cominciato a mostrare i suoi limiti e a deperire come schema interpretativo dello spazio politico nel capitalismo maturo allorché l'approssimarsi, presunto o reale, dello scontro di classe ad un suo punto critko ha posto l'esigenza di un'analisi «fine» delle sue variabili politiche. È a questo punto che si è prodotto quel cortocircuito fra l'inadeguatezza della rappresentazione teorica dei meccanismi politici ed il progressivo avvitarsi su se stessa della capacità d'impatto dell'insubordinazione operaia che ha praticamente paralizzato l'iniziativa delle forze organizzate della trasformazione. L'indagine sul politico, la rimessa in discussione della teoria marxista dello Stato e del partito, nasce dunque dall'esigenza di rimuovere un blocco, un blocco teorico e pratico che ha il suo fulcro nell'esperienza storica della rivoluzione mancata. Ora, per quanto paradossale possa sembrare l'affermazione, questa esperienza è comune a tutta la sinistra, sia quella cosiddetta riformista o revisionista sia quella sedicente rivoluzionaria. Maniac Prutluc1io11 Bologna, Galleria d'Arte Moderna, giugno 1978 Che l'ideologia collettiva degli interessati lo registri o meno, l'esperienza della rivoluzione mancata proietta la sua ombra lunga, seppure in forme diverse (e con esiti contrastanti), su tutto l'universo politico della sinistra. Rimuovere quel blocco significa dunque fare i conti, innanzitutto, con l'idea di rivoluzione e significa, probabilmente, fare i conti con quell'orizzonte di pensiero entro cui questa idea è nata e si è sviluppata. Ma questo è forse un compito ancora prematuro, di cui tuttavia l'indagine sul politico, sulle forme in cui la borghesia ha organiZZ<1tiol proprio dominio costituisce il prerequisito necessario. Tronti abbassa il tiro Il politico ha una storia borghese, dice Tronti, ed è una storia che va innanzitutto capita. Poi si vedrà: ci penserà la teoria. Ma la cosa importante, intanto, è cominciare a capire come ha funzionato concretamente, storicamente la macchina del potere nella costruzione e nella conservazione del modo di produzione capitalistico. Prima di tutto, però, che cos'è il politico. Dice ancora Tronti: «È tecnica più macchina, ceto politico più meccanismo di dominio, la politica più lo Stato. Ognuna di queste componenti ha una storia, ma la storia del politico le ricomprende tutte» (Il politico, pp. 3-4). Dunque: un insieme di tecniche e strumenti più il ceto professionale cui ne è deputato l'impiego. Si tratta di farne la storia, di metterne in luce il funzionamento, perché qui Il carro::011e. «Vedute di Porto Said•. Milano, Sala A::urra, awile /978 sta il segreto della stabilità e della riproducibilità del dominio borghese al di là delle forme concrete di governo che l'esercizio del potere assume. Qui, nel sancta sanctorum del dominio di classe della borghesia deve penetrare la scienza di parte operaia per appropriarsi delle tecniche di controllo del potere. Tronti sembra ritenere che questo salto nella coscienza teorica delle organizzazioni operaie possa essere operato, in via privilegiata, attraverso una «critica della politica», una lettura puntigliosa dei testi attraverso cui si è storicamente costituita la scienza e la pratica borghese del potere. Mi sembra una fiducia eccessivamente letteraria ed accademica. Sarebbe evidentemente scorretto azzardare un giudizio definitivo ed inferire una valutazione complessiva dal primo volume in due tomi di un'opera che si annuncia in cinque volumi e chissà quanti tomi. Un'osservazione, tuttavia, si impone fin dalla lettura di questa prima raccolta di testi commentati, da Machiavelli a Cromwell, che dovrebbe delineare una sorta di percorso teorico-pratico «dalla politica come tecnica del dominio ai problemi di gestione dello Stato» (p. 568). Se, infatti, il problema cui si vuol rispondere con questa monumentale fenomenologia storica del «politico» è quello di rendere teoricamente accessibile alle forze sociali antagonistiche un tipo di sapere, quello delle tecniche del controllo sociale, dell'amministrazione del potere, portando «l'iniziativa del movimento operaio ad un passaggio strategico sul politico» (p. 3), la prima impressione allora è che l'approccio prescelto sia perlomeno ingenuo, se non addirittura mistificatorio. Ingenuo, perché presume che ci si possa appropriare di una pratica del potere sedimentatasi e trasformatasi attraverso una lunga evoluzione storica semplicemente studiando le rappresentazioni ideologiche che di volta in volta ne hanno dato gli «intellettuali organici». Sarebbe come se oggi si volesse, ad esempio, apprendere qualcosa sulla gestione che il Pci fa del potere locale, compulsando i saggi sulla teoria del partito dei teorici comunisti. E anche mistificatorio, perché attraverso la tematizzazione dell'ambito del potere, dello Stato, come «macchina», che è un po' il leit-motiv che riassume l'impostazione di tutta la raccolta, si finisce con il rimanere ammaliati dall'uso «virtuoso» che gli esponenti della classe dominante ne fanno e si perviene a scoperte del tipo: «la politica la fa chi ha la forza (e la tecnica) per farla... e la forza politica di Cromwell era l'esercito» (p. 529), oppure: «è sempre la guerra civile sostenuta dai soldati che fa procedere le rivoluzioni, cosa che eventi successivi si sono incaricati di dimostrare» (p. 531). Per acquisire le quali, forse, non c'era bisogno di scomodare il grande Lord Protettore, bastava andarsi a leggere una qualsiasi risoluzione strategica delle Brigate Rosse. D'altro canto, se il potere è una macchina, si può tentare di decifrarne le istruzioni per l'uso codificate dalla pratica borghese, lasciando intendere che, una volta in mano a figure sociali diverse, questa macchina potrebbe anche «lavorare» soluzioni politiche diverse. L'insufficiente problematizzazione di questo tema che traspare dall'arsenale metodologico che sorregge l'impostazione e soprattutto le analisi inframezzate ai testi, anche se è lecito supporre che si attenui o addirittura venga meno nelle parti successive dell'opera, ruota intorno alla mancata identificazione di un asse privilegiato che a mio avviso decide del segno e della rilevanza di una ricerca sul politico. Tronti, cioè, non vede, o non vuol vedere, che il nodo problematico che pone l'urgenza di una ridefinizione del politico è lo stesso che ne determina il segno e deve essere quindi assunto esplicitamente nella formulazione del punto di vista che guida la ricerca. E questo nodo è costituito dall'emergere, seppure discontinuo, contraddittorio, precario, di un potere antagonistico che per la prima volta cerca e costruisce forme proprie, alternative, per la sua estrinsecazione, sovvertendo la tradizionale articolazione dicotomica fra società civile e Stato. Tronti, invece, dopo averci fatto intravvedere l'ampio orizzonte di una nuova epoca.del politico, abbassa notevolmente il tiro mirando su obiettivi assai più ravvicinati. La posta in gioco è la possibilità di ridefinire il decalogo del moderno Principe, il partito politico della classe operaia, o, se si preferisce, la linea di condotta pratica di quel ceto politico che aspira a legittimare la propria funzione di potere gestendo l'interesse operaio come interesse politico generale, all'interno della conduzione del potere di governo. Obsolescenza del modello marxiano Riguardo a queste tematiche mi sembra allora decisamente più stimolante un lavoro come quello di Bobbio/ Bovero che, pur presentandosi come un tradizionalissimo saggio di analisi concettuale, ha tuttavia il merito di far emergere con grande chiarezza ed efficacia le strutture profonde del nostro modo di affrontare il politico, quale si è affermato, nella sua intelaiatura concettuale, anche attraverso la mediazione del pensiero marxiano. Seppure in forma embrionale, per cosl dire in negativo, affiorano qui, mi sembra, gli elementi concettuali necessari per porre correttamente il problema del politico oggi. Specialmen\e il saggio di Bovero su Il modello hegelo-marxiano, ricostruendo, appunto in terminidi «modello»,la fondamentale omogeneità nella concettualizzazione del politico imperniata sulla dicotomia società civile-Stato cne è propria sia del sistema hegeliano che di quello marxiano, ci obbliga a prendere esatta coscienza dei termini di compatibilità, rispetto allo stesso schema marxiano entro cui matura la tematizzazione del comunismo come abolizione dello Stato in generale, delle forme di politicità immediata che fanno saltare la visione della «società civile» come luogo del "'> ......

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