Alfabeta - anno I - n. 7 - novembre 1979

onniesteso che i teorici della neoavanguardia avevano emesso. e che le prove di Sanguineti e di Porta avevano confermato da vicino. con l'aggiunta del caso autonomo ma convergente di Volponi. Quella stessa meta di abbassame.nto stilistico cui in precedenza Testori e Pasolini si erano avvicinati solo parziàlmente, limitandosi a registrare, con la grinta neofilologica rimproverata loro da Vittorini, qualche singola, esistente, documentaria parlata bassa, in luogo di inventarne una nuova, e di darla da gestire all'umanità ne_lsuo comelesso .. Come è noto, nella Trilogia i dialettalismi lombardi si mescolano a forme di un latinismo maccheronico e, se del caso, a francesismi e ad ogni altro prestito gergale, con ampio eclettismo e con piena disinvoltura rispetto ai lacci dell'ortografia (basti pensare, nell'Ambleto, al caso di Ofelia che diventa 'Lofelia', con anticipo su una prova dello sperimentalismo più recente, Lemigrante di Vincenzo Bonazza). :È l'ora, insomma, in cui sull'intero quadrante della ricerca mondiale si riscopre l'importanza primaria di Céline. Un simile fenomeno infatti riguarda pure le esperienze, a prima vista abissalmente lontane dai nostri autori per sofisticazione e intellettualismo, del capofila dello sperimentalismo francese, Philippe Sollers. Dovunque, nei settori della ricerca, si fa strada la coscienza che non è possibile neutralizzare i «significanti», ma che al contrario occorre renderli densi, opachi, gestuali. Per la precisione, si potrebbe cavillare che gli inserti in latino maccheronico, nella Trilogia testoriana, sono un residuo del separatismo tra intellettuali e popolo, un rifiutarsi di stabilire una coiné espressiva che valga per l'oggi, strumento di pronto impiego: un retrodatare la speranza di una soluzione felice, un chiudersi al presente-futuro e rifugiarsi ancora una volta nel passato, a differenza dell'esplosione céliniana, che ha un carattere di totale immanenza. Abbandonata la lingua comune, verrebbe voglia di dire, l'intellettuale riafferma una sua distanza dagli umili rifacendosi nel manzoniano «latinorum». Ma tutto ciò è anche consono. in modo non nocivo, al carattere di remake, di «letteratura al quadrato» che appartiene a queste opere. Con il vantaggio ulteriore che la solidità mitopoietica dei vecchi classici, per quanto in parte sbeffeggiata, demistificata dall'autore moderno, e comunque ridotta ai suoi fini particolari, riafferma pur sempre una sua dignità residua, e a sua volta lo guida per mano, gli evita cadute rovinose, gli dà fiato per estensioni in chiave universale. E infatti sempre nei tre drammi «in costume» che l'ideologia reazionaria testoriana (e lo stesso discorso vale per il Pasolini dei rifacimenti cinematografici) si afferma con più forza e compiutezza, sia teorica che espressiva, pur rimanendo malgrado tutto di sapore regressivo. Si disegna cosi, con grinta, bisogna riconoscerlo, a suo modo robusta e coerente, il motivo del rifiuto della genitalità: l'uomo nasce a una tale valle di lacrime, che proprio non è il caso di legittimare la notte di «effimeri piaceri» (e del resto meccanici, sbadati, come succede tra coppie eterosessuali) in cui ne avvenne il concepimento. Il maschilismo, e Ili connessa eterosessualità, sono violenza, imposizione, dominio, da cui conviene affrancarsi appunto coltivando il rapporto «omo» proprio perché più intenso, capace di sublimazione angelica, e tale da interrompere la catena fatale delle nascite. I celebri personaggi dei drammi shakespeariani vengono adeguatamente ritoccati, con umorismo tra il calcolato e l'involontario, per farsi portatori' dei contenuti ideologici appena elencati. Testori cade invece quando, subito dopo, riprende a muoversi in proprio. Nella Passio Laetitiae et Felicitatis ( del '75) è ancora all'opera l'impasto di dialetto e di latino maccheronico, ma già qui esso non ha più la legittimazionechevenivaneglialtricasidall'atmosfera del remake, dato che ora siamo di fronte a un semplice fatto di cronaca: una relazione al solito omosessuale tra una povera donna del popolo, costretta dalla miseria, dalla bruttezza, dalla carenza di doti fisiche, a farsi suora, e una collegiale a sua volta uscente da una famiglia ottusa e volgare. Dunque, un ritorno alla tematica neonaturalista dei Segreti di Milano, se non fosse che l'autore ha deciso di esaltare la pochezza cronachistica del fatto applicandogli appunto i fasti chiesastici del «latinorum». Dall'Inferno al Pa:adiso. Il limite della lingua troppo corretta e scoperta si ritrova anche nella produzione poetica testoriana, entro cui Nel 1110 sangue. del '73. è l'esatto corrispondente tematico delle opere appena esaminate. Anche sul versante della poesia continua a imporsi l'abbinamento con l'esperienza pasoliniana. Il comune intento reazionario si esplica. su questo fronte. nel rifiuto dei trucchi e dei lenocinii delle avanguardie tutte, e non si parla certo delle ultime. ma anche di quelle storiche, della linea Baudelaire-Rimbaud-Mallarmé, o di quella anglosassone Pound-Eliot, o dei nostri Ungaretti e Montale: poeti. tutti quelli, che proponevano un diabolico connubio con le malefiche forze del progresso. Ma a questo punto, però, occorre pur far scattare uno dei necessari criteri differenziali tra i due cui ci siamo impegnati: Pasolini. come poeta. è nettamente superiore. e proprio per quella più ampia apertura e curiosità mondana che gli abbiamo riconosciuto fin dall'inizio come tratto distintivo rispetto all'altro; e quindi, se il plafond stilistico è volutamente popolare, prosastico. d'altronde il poeta è mosso dalla civetteria di arrivare a dire, con esso. tutti i nostri drammi contemporanei. e di risultare insomma pienamente concorrenziale rispetto ai linguaggi più sofisticati e ad alto voltaggio sperimentale dei nostri giorni, il che pone i suoi versi in una fertile situazione di paradosso sistematico. di attrito tra il semplice e il complesso (è infatti nostra convinzione che nel linguaggio poetico, per essere tale, debbano sempre entrare in gioco i meccanismi del paradosso e dell'ambiguità). Laddove Testori punta tutto, velleitariamente. sul semplice, sul linearemonotono, tentando di ripetere una mossa stilistica sorpresa nei suoi amati pittori lombardi della Controriforma. che seguendo le ammonizioni del Cardinale Paleotti (se ne dovrà riparlare del caso del Moroni) vollero reagire alle macchine compositive mondane e peccaminose del primo Cinquecento ristabilendo un'iconografia .elementare e ingenua, neoquattrocentesca. arcaizzante. Ma almeno, ritornando alle poesie di Nel tuo sangue, se la forma è appunto arcaizzante e fuori del tempo. i temi sono ancora quelli aggrovigliati dell'inferno testoriano, la protesta contro un Dio colpevole di averci schiacciato sotto il peso del peccato. e la sfida a Cristo affinché voglia confessare di essere stato uomo come noi. e quindi di aver provato tutti i brividi e le tentazioni della carne. Purtroppo però negli ultimi anni si è verificata, nella carriera spirituale di Testori, l'evento infausto della conversione. cioé di un rientro nell'ortodossia, con la cancellazione del qinario parallelo e antagonista. che almeno, pur nella sua aberrazione. era saporito e chiaroscurato, «infernale», mentre sappiamo quanto sia opaco e senza presa qualsivoglia Paradiso, sul piano morale e ancor più su quello estetico. Se insomma in precedenza l'arroccarsi nel mondo degli umili. il chiudere porte e finestre a Ragione, Progresso, Tecnologia. il rifiutare il presente-futuro per il passato, avevano come compenso l'enorme epifania della Carne e del Peccato. l'esaltazione della sessualità in forme eterodosse e polimorfe, ora tutto questo è azzerato di colpo, e quindi resta ben poco sulla scena: un'accettazione passiva, tale e quale, delle miserie della vita quotidiana. un fervorino edificante a fare i bravi. a stare contenti al quia. E se prima i dibattiti e le angosce corporali erano esaltati per il fatto di stamparsi contro lo sfondo di una Notte non sempre indegna del precedente céliniano. ora purtroppo dietro di essa è pronta ad accendersi la luce slavata dell'al di là; o appunto del Paradiso, con quel suo solito ben noto ruolo dj compensazione e di risarcimento per tutto ciò che su questa terra non va comesi deve. Sul piano letterario, la «conversione» ha partorito i due componimenti della Conversazione con la morte del '78. e il recente Interrogatorio a Maria, ove si ripresenta quel medesimo intento controriformato di restaurare vecchi moduli comunicativi, piani e dimessi. già attestato dalle liriche di Nel tuo sangue Ma là, almeno, sussisteva imo sbattimento di temi, una conflittualità di posizioni, con i relativi risvolti retorici. Qui tutto è più «acqua e sapone» e «scorrivia». con quel tipico ricatto morale verificatosi molte volte in chi abbia preteso di imporci un Paradiso. che cioè l'eccellenza dei contenuti rende futile la preoccupazione delle forme. Ma si può rispondere che. da Dante a Eliot. molti poeti «paradisiaci» hanno compreso come. al contrario, una simile circostanza tematica imponesse di acuire la forza dei paradossi. l'ingegnosità delle trovate. C'è ancora di peggio, perché. come tutti sanno. questo Testori dopo-laconversione è diventato il corsivista di riguardo del Corriere della sera. attirandosi gli strali di tutta la cultura di sinistra. A tale proposito. conviene inserire due correttivi. Primo, sarebbe ingiusto ridurre tutta la carriera testoriana a questa sua infausta appendice, e il fatto che noi vi giungiamo dopo tante righe sta a dimostrarlo. Secondo, sarebbe del pari sbagliato insistere su un Testori che «prende il posto» di Pasolini. con deteriore epigonismo. Crediamo di aver mostrato a suo tempo come in realtà l'autore della Trilogia abbia addirittura preceduto Pasolini su alcuni temi clamorosi (quali il disprezzo per la coppia «etero:., per la sessualità genitale, e così via). Ma il fatto è che «questo» Testori ha rovesciato il messaggio precedentemente elaborato. ha eliminato l'Inferno dei sensi e del sesso, ·sostituendolo con un sermone untuoso e edificante, che fra l'altro non tiene conto di alcuni dei fermenti che pure scuotono, per chi ci crede. la Chiesa cattolica e la sua dottrina. Ben Vautier, Nice, 08.06.62 Ne viene una predicazione plumbea. monotona. di retorica uguale e iterativa. come si può vedere anche solo esaminandone alcuni campioni recenti: Le vacanze degli altri (22 luglio), ovvero la vita della donna intesa come sacrificio continuo verso il prossimo. rinuncia. esercizio paziente alla santità; Questo popolo (7 ottobre), titolo emblematico, perché ancora una volta. fa precipitare il popolo come corpo puro e sano che conviene preservare. con l'aiuto della religione, dai tentativi di corruttela esercitati su di lui da Potere, Cultura, intellettuali; Una legge per difendere le donne dalla violenza (26 agosto), a proposito del quale non si può fare a meno di svolgere qualche riflessione; sorprende infatti la diversità tra questa stereotipata difesa della donna e le aggressioni espiatorie e sacrificali contro di essa, se intesa come matrice procreante, teorizzate ed enfaticamente espresse, seppur ovviamente in via simbolica, nelle opere precedenti. Ancora una volta. ognuno ha il diritto di ricredersi, di mutare equilibri ideologici, ma una semplice norma deontologica dovrebbe suggerireal «peccatore» pentito, al reprobo normalizzato, di vietarsi per qualche tempo di salire in cattedra (o in pulpito). di imporsi un congruo periodo di silenzio. prima di ripartire in forze nella nuova direzione assunta. Così invece, l'attrito, il divario è troppo stridente, perché si possa evitare di notarlo. Critica d'Arte come pre-testo. Il ritratto di Testori non sarebbe completo. se si trascurasse di gettare un'occhiata all'ingente l!ttività di storico. di critico d'arte,' che ·anzicostituisce in lui l'impegno professionale prioritario. ed è per di più l'altro aspetto per cui è stato assunto in forze dal Corriere della sera ( oltre a quello di moralista e di commentatore di costume). Se come scrittore Testori è «nipotino dell'ingegnere». come critico d'arte è addirittura.figlio di Roberto Longhi, non senza la possibilità di concludere, sfruttando fino in fondo la similitudine delle parentele. che a loro volta Gadda e Longhi sono fratelli. o almeno cugini. Entrambi infatti convengono nella scelta a favore dei valori della natura, della «realtà». della effettualità delle cose. in nome di una serietà «padana» o «lombarda». L'Italia. ai loro occhi, è un paese sempre pronto a partire per la tangente. a subire il fascino di retoriche fumose, di culturalismi pretenziosi e vacui. Bisogna quindi metterla a dieta. portarla a fare i conti con l'unica rivoluzione che conti, quella positivista ottocentesca. che in pittura si esplica nell'asse francese Courbet-Impressionisti. Dopo, si aprono periodi incerti che ci allontanano dalla concretezza tangibile delle cose. con dubbie fiducie progressiste. Una piattaforma, diciamolo pure, già essa stessa per buona parte retrospettiva,-volta a bloccare il corso della storia, a puntare tutte le carte su un solo sistema di valori, quelli naturali. Senonché sia Gadda che Longhi sono anche grandi signori della cultura, capaci di scrollarsi di dosso, talora, il peso delle loro stesse ipotesi di partenza, o di alleviarle con scatti di ironia. di autocontestazione, con una rnpacità di presa spregiudicata anche ,ull'oggi: grandi stilisti e 'pasticheurs'. :'-Jelcaso di Longhi, c'è poi anche da ;1ggiungerea suo merito la circostanza che qualcuno doveva pur ricostruirla, la vicenda del naturalismo lombardo o padano. con abilità e tenacia da detec1 ive. anche se purtroppo tale ricostru1ione avvenne un po' in ritardo, sfasala rispetto ai tempi in cui sarebbe stato giusto effettuarla, ai tempi del Manzoni o quelli del Cattaneo, e quando invece altri sarebbero stati i traguardi da far raggiungere alla nostra cultura, vi- ,iva e no. Ma i figli e i nipotini, nell'arte come nella letteratura, sono più arcigni, chiusi. intolleranti che non i loro predecessori: puntellano e ribadiscono rnn caparbietà, con cipiglio teorico ,enza scampi e vie d'uscita le scelte che nei loro «maggiori» erano pur sempre praticate con un certo margine di agio e di disponibilità, come opzioni di massima, non prive di eccezioni e di compensi. • È lecito parlare al plurale, perché anche un Pasolini, proprio non ce lo immaginiamo capace di scrivere di Cézanne, o peggio, di Mondrian, di Klee, di Pollock; e poi perché non può sfuggire la solidarietà e compattezza globale dei rifiuti: come si respingono le diavolerie tecniche della poesia d'avanguardia, dai Simbolisti francesi ai nostri Ermetici, così è tassativo negare tutto lo sforzo e l'edificio delle avanguardie visive, da Cézanne in poi: sempre secondo quella che abbiamo definito una intuizione, giusta sul piano negativo, della perfetta omologia sussistente tra queste nuove forme della ricerca artistico-letteraria (nuove per modo di dire, dato che esistono ormai da un secolo abbondante) e il «progresso», vale a dire l'abbandono di una cultura contadina-artigianale a vantaggio delle varie fasi industriali. La molla in fondo resta sempre la stessa: il panico che tutto ciò allontani dal popolo, inteso a sua volta come la sola comunità capace di tutelare i valori della carne, del corpo, del sesso. Pasolini e Testori non hanno mai preso in esame reventualità che attraverso gli strumenti dello sviluppo tecnologico carne, corpo e sesso si possano redimere assai meglio di quanto non fosse lecito con le vecchie forme del naturalismo (basti pensare alle avanguardie recenti, dall'Informale alla Body Art). Cosicomedel resto non hanno mai capito che perfino la sessualità polimorfa e non genitale è garantita meglio da una società dell'abbondanza e della permissività, che non da quella del bisogno, dell'ignoranza, della promiscuità obbligata. Il discorso che Testori impartisce dalla cattedra di titolare della pagina d'arte del Corriere della sera non è critica,"e tanto meno storia: è semplicemente ossessione personale, o in termini più neutri, poetica privata, continuazione di un lavoro letterario in proprio. Anzi, dopo la svolta della conversione. si dà una specie di scambio delle parti: quelle compiacenze carnali. quelle fornicazioni coi corpi che la nuova veste di predicatore gli impone di reprimere, e che neppure il poeta edificante trova più lecito manifestare. si rifugiano nelle lunghe, insistite descrizioni di quadri é dipinti. Questi. soprattutto se sono opera degli amatissimi «lombardi» della linea ricostruita dal Longhi. funzionano da veri e propri pre-testi, nel senso letterale della parola: spunti, motivi d'avvio che consentono a Testori di inserire e svolgere il suo proprio testo, quasi l'unica possibilità che attualmente gli è offerta di continuare una vena rutilante ed e~ressionista. Per sua fortuna, alcune esposizioni recenti gli hanno fornito occasioni magnifiche e su misura. Il Settecento Emiliano gli ha gettato in pasto l'opera di Giuseppe Maria Crespi. Non importa che l'intera esposizione consista in una macchina assai complessa, articolata in diverse sedi e in decine e decine di presenze; né che per lo stesso Crespi i critici più cauti abbiano sentito il bisogno di versare acqua sul fuoco, indicando gli aspetti che anche in lui erano di ossequio alle esigenze del tempo; e che inoltre sisiano pur dovute segnalare le altre componenti di un secolo difficile, rappresentate da comprimari di tutto rispetto, come per esempio Donato Creti, esponente di ragioni anch'esse valide. Tutto questo non entra nell'interesse testoriano, che seleziona il solo motivo delle «carni, sangui, muscoli, umidità, artigli>, o delle «fette, tagli, squartamenti ...» (li bruciante cuore di Crespi; poi, tutti gli altri, 9 settembre). Gli sarebbe lecito comportarsi a questo modo, se stesse svolgendo un componimento letterario in proprio o se si ispirasse alla poetica recente della riscrittura, del remake. Solo che per nostra disgrazia, attualmente egli può disporre in un colpo solo di un intero paginone del «Corriere», cioé di uno strumento talmente diffuso e autorevole che gli dovrebbe imporre un maggiore rispetto verso la storia, l'arte, gli altri. Riflessioni simili si possono ripetere per il pezzo dedicato alla mostra di Giovan Battista Moroni (16 settembre), tuttora in corso a Bergamo, che in sostanza si riduce a una variante di Conversazione con la morte, dato che !'«umile verità>, la quotidianità, prosasticità, ecc., di cui il Moroni fu senza dubbio maestro, vengono poi subito proiettate verso la polvere, la cenere, la consunzione finale: che è un abuso rispetto al più largo e storico naturalismo longhiano (oltretutto di ispirazione rigorosamente laica). Ma sempre a proposito del Moroni scatta un'operazione, se possibile, ancor più pericolosa, stimolata da un problema di ordine filologico e valutativo molto specifico, in cui qui non è il caso di entrare direttamente: l'artista bergamasco, infatti, oltre ai magnifici ritratti della nobiltà locale, ci ha dato anche una copiosa serie di tele di tema religioso, su cui il Longhi per primo arricciava il naso. Oggi invece su questa parte della produzione moroniana si è innescato un gioco al recupero alquanto sottile, dato che l'ingenuità, l'arcaismo, la schematicità di quelle Crocefissioni e Assunzioni del nostro artista vengono visti come i primi influssi dei trattatisti della controriforma: segno sicuro che il Rinascimento è finito davvero, e che si delinea un «ritorno all'ordine>, del resto foriero di successive aperture, perché di là verrà addirittura il grande naturalismo (quello storico, con tutte le carte in regola) del primo Seicento, da Ludovico Carracci al Caravaggio. Ma è un recupero da condurre con prudenza. Testori invece vi calca la mano, ancora una volta per un'evidente sovrapposizione della sua poetica personale: l'arcaismo infatti, ovvero la possibilità di azzerare le conquiste stilistiche di un secolo di avanguardie resta il suo grandesogno,obiettivo,fine polemico, cui tenta di avvicinarsi sia nella pratica letteraria, sia nelle violente denunce contenute negli articoli d'arte. Nel prossimo numero Sperimentalismo e Pasolini di Francesco Leonetti.

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