Crisfiiscalec, rissiociale James O'Connor La crisi fisc:ale dello stato Torino, Einaudi, 1977 pp. 307, lire 5.400 Jan Gough cl.a spesa pubblica nel capitalismo avanzato,. in: D capitale e lo stato Verona, Bertani, 1979 pp. 157-226, lire 5.000 Oaus Offe dniziative popolari e riproduzione della forza-lavoro nel tardo-capitalismo,. in: Lo stato nel capitalismo maturo Milano, Etas Libri, 1977 pp. 205-219, lire 5.000 Oaus Offe dngovernabilitb. Lineamenti di una teoria conservatrice della crisi in: Fenomenologia e società n. 5 (1979), pp. 54-65 (trimestrale, solo in abbonamento, un anno lire 10.000). Antonio Negri cStato, spesa pubblica e fatiscenza del compromesso storico,. in: La forma stato Milano, Feltrinelli, 1977 pp. 223-272, lire 5.000 O gni stato capitalistico moderno spende assai di più di quanto realizzi, se limitiamo la validità di tale asserzione ai semplici consuntivi di bilancio. Perché, con quali conseguenze e quali vie d'uscita? Tale è in sintesi il tema di fondo su cui si interrogano James O'Connor e Oaus Offe, analizzando le funzioni economica e politico-sociale della spesa pubblica e le implicazioni contraddittorie del suo continuo aumento. cSpesa pubblica,. è infatti, come tale, un problema che non si riduce semplicemente ad economico in senso stretto, ma che assume immediatamente due aspetti: fiscale e sociale, quest'ultimo di ben più ampia portata. Entrambi si collegano al ruolo dello stato nelle moderne economie capitalistiche (o tardocapitalistiche, per usare un termine caro ad Offe). Un ruolo in sostanza duplice, di supporto strutturale all'accumulazione del capitale e di agente di legiltimazione del sistema e coesione delle sue componenti. La natura del concetto di spesa pubblica si rende manifesta proprio a partire da tale duplicità: lo stato spende per offrire servizi che indirettamente accrescono il capitale sociale complessivo e sono pur sempre investimenli (indirettamente produttivi). Spende tuttavia sicuramente di più per assicurare altri servizi, il cui scopo ultimo è la conservazione della pace sociale, che per loro stessa natura richiedono un esborso assolutamente improduttivo in termini di profitti. Tra i primi si possono annoverare i parchi industriali costruiti in base a finanziamenti statali, le assicurazioni socia)i che cmigliorano le capacità della forza-lavoro, diminuendo nel contempo i costi del lavoro,. (O'Connor, p. 11). Trasporti e spese per l'educazione possono in qualche modo rientrare nella medesima categoria. La pubblica assistenza, sviluppatasi enormemente ad esempio nei paesi anglosassoni, rientra invece nell'ambito delle spese improduttive, o spèse di leggittimazione. Lo stato si trova cosl doppiamente condizionato ad allocare esborsi: dal capitale monopolistico, il quale preme affinché gli vengano assicurati quei servizi che indirettamente accrescono il saggio di profitto; dalle spinte sociali che, forti di uno standard crescente e irreversibile di bisogni e di ccoscienza morale,., inducono un continuo aumento di spese per il controllo istituzionale di tali meccanismi. senza il quale il sistema complessivo non potrebbe reggersi. Ora, ogni bilancio che si voglia definire capitalisticamente cin pareggio,. richiede per definizione un volume di entrate perlomeno pari alle uscite. In ciò lo stato entra fiscalmente in crisi, poiché queste ultime aumentano più rapidamente dei mezzi atti a finanziarle. Essi derivano essenzialmente dalle forme di tassazione e dai meccanismi monetari con cui il potere politico tenta di assicurarsi, direttamente o meno, un determinato volume di introiti statali. Nel lungo periodo tuttavia la crisi fiscale si approfondisce, anziché risolversi. Quanto alla tassazione è ovvio, nonostante l'efficacia di alcune misure ideologiche al riguardo, che una politica fiscale troppo esosa debba alla fine fare i conti con la sua stessa legittimità. Le manovre monetarie e inflazionistiche. almeno dopo il '70/71, sono causa ulteriore di crisi fiscale. Incidendo sul gettito tributario, esse provocano una stretta sul bilancio delle entrate oltre che contrazione di domanda aggregata e conseguente aumento di disoccupazione e sottoccupazione. Altro; per reperire risorse, lo stato del capitale 'sociale' non può fare: gli è di fatto impedito di comportarsi coerentemente come capitalista tout court, cioè di realizzare direttamente profitto con industrie proprie, poiché in tal modo farebbe concorrenza al capitale monopolistico. Esso si trova inoltre impossibilitato ad effettuare tagli proprio in quelle voci del bilancio che gli consentirebbero in qualche modo di pareggiare il prezzo crescente della.legittimazione. Si tende cosi, all'interno del sistema economico complessivo, a una socializzazione sempre maggiore dei costi di capitale, proprio in virtù del ruolo di mediazione dello stato, e ad una creazione di surplus, che resta pur sempre oggetto di appropriazione privatistica. In ciò la crisi è sociale. poiché lo stato, a causa dei costi sociali che il bilancio stesso impone, non sembra essere più in grado di assicurare l'armonia necessaria alla riproduzione allargata del rapporto di capitale. Spesa pubblica, crisi fiscale, crisi sociale. La dialettica, appena abbozzata, è in realtà assai complessa. Stato, cittadino-forza-lavoro, capitale monopolistico e concorrenziale ne costituiscono gli agenti. La riproduzione della forza lavorativa sociale e del rapporto capitalistico di produzione il campo. La modalità con cui uscire dalla «crisi della gestione capitalistica della crisi» la posta in gioco. U11u liii/ti, /Jra1111.1dm·,•1g, I (1. I .!.hY. O'Connor: Verso un «complesso sociale-industriale»... «Un libro importante, che rappresenta il primo tentativo sistematico di parte marxistadi dar contoall'esplosione della spesa pubblica dopo la seconda guerra mondiale». Cosi è stato definito da Jan Gough La crisi fiscale dello stato di James O'Connor. L'autore. applicando categorie marxiane desunte soprattutto dal secondo libro del Capitale. riesce a scomporre il concetto di spesa pubblica in una serie di forme. ognuna con effetti diversi e contraddittori sulla riproduzione complessiva del rapporto di capitale. Danieie Comboni Spesa pubblica è per lui capitale sociale. che assume sia la forma di investimento sociale (capitale costante sociale) sia di consumo sociale (capitale variabile sociale). e spesa sociale. Il primo è produttivo. sia pure indirettamente. La seconda. riferita a ciò che più sopra si definiva prezzo della legittimazione. al contrario non lo è. Se considerata da questo punto di vista, la spesa pubblica perde già l'aspetto di un tutto indifferenziato, mentre cominciano a definirsi anche i problemi che possono emergere al riguardo. Ad esempio la funzione di duplice rapporto, indispensabile e reciproco, tra l'aumento degli esborsi statali e lo sviluppo del capitale monopolistico (rapporto che peraltro rende insostenibile la tesi secondo cui il settore statale si sarebbe sviluppato solo a spese di quello privato); la contraddizione funzionale all'interno dello sviluppo tra settore monopolistico e concorrenziale; il rapporto diverso con lo stato tra cittadino-forza-lavoro e sua espressione sindacale. nei tre differenti ambiti: monopolistico, concorrenziale e statale; la funzione di disturbo di una politica troppo smascheratamente antipopolare e la conseguente 'necessità' di far fronte ad una continua domanda di servizi sociali, con continue allocazioni di natura improduttiva. Con l'aumento della spesa sociale e dei costi salariali statali in misura più che proporzionale a una produttività in termini di profitti estremamente scarsa, risulta quindi sempre più problematico per lo stato ricorrere per autofinanziarsi a ciò che O'Connor chiama «dividendo dello sviluppo>, generato indirettamente dagli investimenti in capitale costante e variabile sociali. Ancora dunque, e più profondamente. crisi fiscale. Soluzione? Per O'Connor, in linea di principio, soltanto il socialismo. Pur rimanendo alternativa presente lungo tutto lo svolgersi del discorso, esso è comunque considerato logica esterna allo sviluppo, sempre in prospettiva. Soluzione interna e possibile, anche se non automatica. è invece il «complesso socialeindustriale», modello di integrazione economica e soprattutto sociale, che potrebbe essere l'unica via per rovesciare la tendenza alla crisi fiscale dall'interno di uno schema capitalistico di riproduzione del sistema. Le spinte verso una soluzione di questo tipo come pure le difficoltà della sua realizzazione sono manifeste già fin d'ora nella società tardocapitalistica. Presupposto fondamentale rimane comunque l'integrazione, pur sempre, avvertita come prius ineludibile per qualsiasi politica di tipo deflazionistico. Il complesso sociale-industriale consisterebbe di fatto -in un'alleanza ancor più marcata tra stato e grandi monopoli, per stimolare un aumento di produttività in entrambi i settori e frenare costi e prezzi. Ciò implicherebbe tuttavia una redistribuzione delle priorità di bilancio attualmente a vantaggio del settore monopolistico, con un maggiore sforzo di integrazione dei settori concorrenziali della forzalavoro e della coscienza sociale che essi esprimono. La creazione di posti di lavoro per disoccupati e sottoccupati avrebbe inoltre lo scopo di ridurne gli effetti destrutturanti. In altre parole: un progetto di integrazione ulteriore rispetto al momento attuale della forza-lavoro complessiva, mediato dallo stato. con un recupero 'dal basso' alla causa dell'accumulazione di profitto monopolistico di quegli strati legati a forme concorrenziali o liminali di produzione di capitale. con un indebolimento dei relativi gruppi di pressione o di potere (ad esempio, negli USA, il Congresso). li problema irrisolto è quello da cui eravamo partiti: fine ultimo del complesso sociale-industriale è pur sempre sciogliere la contraddizione tra funzioni di accumulazione e di legittimazione nello stato, indotta dai bisogni di riproduzione, individuale e sociale, della forza-lavoro complessiva. Offe: in0azione delle pretese e riproduzione collettiva «Inflazione delle pretese» è un termine di Offe, assai appropriato per definire i meccanismi che provocano una dicotomia tra attese-rivendicazioni della società civile e capacità degli organismi del potere costituito di esercitare direzione politico-amministrativa. La cosiddetta ingovernabilità deriva proprio dal fatto che il potere, con gli strumenti tradizionali a sua disposizione, ha perso il controllo sulla riproduzione: le pretese nel sociale superano di molto le sue possibilità fiscali e politiche. Offe problematizza i nessi tra spesa sociale e riproduzione della forza lavorativa, tra ingovernabilità e accumulazione. estendendo l'analisi dal piano della crisi fiscale a quello della crisi sociale. Analizzando le recenti teorie della crisi di ispirazione conservatrice, egli evidenzia come tutte riconoscano nella difficoltà di istituzionalizzare i conflitti di classe (più che di eliminarli) la radice del problema e come tendano ad una soluzione perlopiù pragmatica, per diminuire il sovraccarico di responsabilità dello stato ed elevarne le capacità direzionali. L'effetto può essere ottenuto in due modi. spesso complementari: o riducendo le esigenze' altre' nel sociale con meccanismi politici di 'filtraggio' che decidano, in base a una scala di valori non fissa ed ideologizzata ma prettamente pragmatica, l'irrazionalità o meno di certe spinte; oppure mediante l'elevazione della percentuale statale nel prodotto nazionale lordo per mettere in grado lo stato. con un'adeguata strategia amministrativa, di superare la crisi fiscale. Si insiste sull'ingovernabilità come impossibilità di canalizzare il sociale e sullo svuotamento di programma di partiti politici e sindacati, tendenti a garantire una generica «affezione al lavoro del tutto spoliticizzata». Ciò a fronte di meccanismi che vanno ben oltre la semplice riproduzione della forza-lavoro in quanto tale. Per l'accumulazione sono infatti necessarie riproduzione semplice della forza lavorativa e riproduzione allargata del rapporto di capitale, contemporaneamente. Ma per mantenere anche soltanto la stessa forza-lavoro, sia in termini di servizi (bisogno erescente di educazione, formazione. riqualificazione individuale e sociale. comunicazione e riposo). sia in termini di predisposizione dell'atteggiamento ideologico affinché essa si possa riprodurre in base alle esigenze di valorizzazione del capitale, si pagano costi sempre crescenti. Essi sono tra l'altro accentuati dal fatto che il capitale sociale e il suo stato tenderebbero a riprodurre soltanto forza lavorativa come tale e non quelle forze che, non rapportandosi immediatamente al mercato del lavoro istituzionalizzato, costituiscono un ulteriore elemento di disturbo sociale e fiscale. Il problema si complica ulteriormente con il sorgere delle cosiddette «iniziative popolari». cioè quelle pratiche per migliorare i «settori in cui la forza-lavoro e l'esistenza non vengono riprodotte attraverso atti d'acquisto individuali (salari) ma collettivamente (l'abitazione, il trasporto delle persone e il traffico, l'educazione, la salute, il tempo libero, ecc.)» (Offe, Lo stato nel capitalismo maturo, p. 212), Alla lotta sul salario, che segue perlopiù canali istituzionali o facilmente istituzionalizzabili, si affianca un accumulo di pretese anche da parte dei settori «garantiti», ch'é- influenzano enormemente la domanda di servizi. È la lotta per·il salario sociale sul piano della riproduzione collettiva della forza-lavoro. contro «il soddisfacimento dei bisogni individuali stabilito istituzionalmente» (p. 216). «Salario sociale contro lo stato»? Come muoversi dentro la crisi e quale atteggiamento assumere per fondare un discorso teorico che risolva le contraddizioni e le superi in termini di classe? La risposta più ovvia sarebbe: porre l'accento sulle emergenze nel sociale, organizzarle, approfondirne la separatezza. Rendere manifeste con la pratica crisi fiscale, ingovernabilità, contraddizioni in seno alla spesa pubblica. per accelerarne la tendenza. Con Negri (La forma stato, p. 265): «salario sociale contro lo stato», ovvero «esasperare le contraddizioni che su quel terreno la direzione capitalistica prova» (p. 266). E ancora: «Last but not least: a partire dalla considerazione della spesa pubblica, si possono dunque cominciare ad unificare indicazioni tattiche e linee di strategia di lotta, ma soprattutto si può cominciare a rilanciare un'analisi della composizione politica della classe, con particolare attenzione agli strati nuovi che insieme vengono investiti dalla socializzazione del modo di produzione e dalla proletarizzazione delle loro condizioni di vita e di lotta» (pp. 268-9). Last but noi least, tuttavia! Se infatti ingovernabilità e crisi fiscale derivano dal conflitto tra la pretesa di riproduzione politica della forza-lavoro complessiva, in contràsto con la riproduzione privata del capitale, cioè dal conflitto di classe tra lavoro salariato e capitale nella sua accezione più ampia, non sembra ancora emergere chiaramente neppure a questo punto la soluzione del problema di fondo. Offe è molto chiaro su questo. La crisi stimola infatti sia opposizione radicale, con l'insorgenza di bisogni antagonistici, sia d'altra parte integrazione e adattamento. Cosa che del resto sembra altrettanto dimostrata. Ciò che rimane è quindi un 'ulteriore serie di domande. A fronte di un irreversibile approfondimento delle contraddizioni n senoallaspesapubblica e al ruolo dello stato, fino a che punto l'acutizzarsi dell'inflazione delle pretese può bloccare seriamente il meccanismo complessivo dell'accumulazione? È legittima l'automaticità di una risposta del tipo «salario soc\ale contro lo stato» quando è pur sempre questo contro ad essere un problema? In altre parole: quale valore d'uso sociale non è anche e sempre, per il capitale, valore di scambio sociale?
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