P. Tu vuoi che faccia dei nomi di quelli che mi interessano, fra i più giovani. Certo si parla dell'arte povera e dell'arte concettuale anche presso i critici americani. E di Pistoletto, di Paolini, di Merz, di Boetti, dei postconcettuali ... ota teorica e nota informativa Per essere precisi: se assumiamo la differenza, riproposta di recente nell'avanguardia artistica, fra «quadro» (con una presentazione di realtà) e «pittura» (come operazione anche mentale del dipingere, riflessiva piuttosto che referenziale), va detto che in questa mostra emerge qualche altra indicazione. Se ne può infatti ricavare un'idea di spazio come apertura attiva, non solo disponibile al lettore; e ne viene un impulso di tensione globale, non strettamente relativa allo specifi- {Appunti di Emilio lsgrò, Concetto Pozzati, Emilio Tadini, con una nota di Francesco Leonetti). F ra i problemi che si pongono nel lavoro artistico, anche in un rimbalzo dal lavoro critico artistico, c'è oggi quello di un ritardo -a me pare -che rende mancante un'impostazione inizialmente co"etta e condivisa del rapporto fra comunicazione e arte (mentre è così svolta lasemiologia «letteraria»). Con che cosa ci troviamo, infatti? Il libro assai pregevole di Filiberto Menna per una «linea analitica» (in edizione Einaudi di alcuni anni fa) ha avuto una gran fortuna: utilizza tutte le indicazioni magistrali, da Jakobson e Hielmslev a Prieto, riscontra cosa sono le icone e le figure, connette queste ultime con gli elementi primi della storia teorica interna delle avanguardie artistiche, poi mette capo all'arte concettuale come terminale recente (ora esaurito) ... E se faremo mai, senza dispetto, un registro in Italia del lavoro della rivista francese Tel quel, centrale nonostante tutto in un ventennio, per l'arte più di Pleynet prenderà rilievo il tipo di accertamenti classici che vi faceva Jean Louis Schefer, avendo a maestro teorico Derrida... Si legga Gombrich. Da noi il re antico su questo campo è Argan. L'altro campo teorico, prestigiosissimo, presuntuoso, stilcritico e attribuzionistico, con l'ascendente di Toesca, ha ora certe connessioni colla «storiasociale dell'arte»: e a stare ai volumi della mole in corso della storia o archivio storico di edizione Einaudi, perverrebbe alla stimolante e strana dissoluzione di ogni specificità de/l'arte astrattamente intesa, per farne la mappa tutta dentro il processo storico totale. Ora c'è per queste eper altre ragioni, fra le quali la concorrenza contestuale tra Roma e Milano, tra Firenze e Milano, uno stato di insoddisfazione e di contraddittorietà secca, specialmente nel corso complicato recente del/'avanguardia artistica residuale. Si è per esempio tenuto nel giugno '79 a Bologna un convegno sulla «autonomia critica dell'artista». Cercando ora qui un primo approccio, fra altri, per far entrare artisti e critici e teorici dell'arte nel lavoro elaborativo che Alfabeta compie, con intrecci sempre bidirezionali, raccolgo gli scritti di alcuni artisti che ho incontrati per strada a Brera. Non intendo riferire del convegno, ma dei loro atteggiamenti riflessivi: per indurre essi ed altri a intervenire con scritti col taglio del giornale, leggibile e non divulgazionato. Sul convegno mi limito a riportare una richiesta di Pozzati che è esperto anche di educazione artistica (una vecchia lotta di Roberto Longhi, ricordo: perché s'imparasse nella scuola media italiana anche a vedere). Pozzati sa come si impara nelle accademie d'arte, oggi... E lui dice ai critici tutti di volere «criticispecialisti che gestiscano co"ettamente l'opera e rigestendo/a compino un lavoro autentico e intuitivo (vedi organizzazione e conduzione di codi arte e letteratura, che per se stesso può sempre ridursi a ciò che una volta Sartre criticava come misticoevasivo o i tedeschi come escapista (e a tratti ora torna con siMili caratteri). Tale idea di spazio e tale impulso di tensione globale valgono, con esigenza di salto percettivo e anche intellettivo, ad arricchire e complicare la schematica dicotomia che è invalsa da tanto tempo fra rappresentazione (coi diversi problemi interni inerenti al «realismo» e al figurativo e al neo-classico) e auto-riflessione (coi problemi dell'avanguardia e della consapevolezza del linguaggio). Dagli anni '50 a oggi questo schema è stato posto, nei casi migliori, in una duplice ascendenza: da una parte Bally e Spitzer, la Stilistica, dove la letteratura e arte è espressione affettiva deviante, con qualche regressione romantica e un forte consolidamento; dall'altra parte, Saussure (e cioè Saussure senza lo spostamento di Bally). con la nuova connessione talora ardua con la comunicazione linguistica. rendendo la letteratura e arte un modo cumunicazionale non normalizzato. Spesso o sempre lo schema. o gli interçssi relativi alle posizioni di metodo, hanno dato il via a un «contrasto di tendenza» in senso assoluto invece che stimolante. con disastrosi effetti; e devo dire che sono a ciò particolarmente avverso perché io prèferisco e svolgo elaborazioni di frontiera. Mi pare che Alfabeto non univoca redazionalmente ma come tale avente una qualche funzione di rottura in questa fase, verso il culturalismo e verso le macro-strutture. potrà progettare di superare lo schema con indicazioni ulteriori ... (E io stesso ci devo tornare sopra, poco oltre, con recensione delle recensioni di Pasolini, e di quelle di Benjamin. riferendomi anche a Fortini). F. L. Detto questo, traduciamo per cura informativa, dalla prefazione della Rotwell alla mostra. che è costituita di oggetti costruiti di piccole dimensioni con vari materiali, due pezzi brevi: sul senso della mostra stessa, indicando il rapporto di riferimento a Picasso svolto da David Smith, grande scultore americano operante nel '50, che presenta masse sculturali con un principio di non stabilità (I); e sui materiali dei costruttivisti in URSS (II). I. «La dimensione 'planare' è la dimensione del pittore. Tuttavia, per la generazione cresciuta nel .'60 e '70, planare è sinonimo con scultura, e scultura planare è sinonimo con un aspetto di modernismo. Da questo avvio, l'uso della dimensione planare nella scultura è percepito come un peculiare sviluppo formale americano, paragonabile all'Espressionismo astratto in pittura. (...) Gli scultori che hanno seguito David Smith oggi possono essere considerati debitori alle invenzioni formali di Picasso e di Gonzalez. È un problema di storia il motivo per il quale le costruzioni di Picasso, inventate più di sessantacinque anni fa, pur ispirando alcuni successori immediati, abLavoraortistico un museo, ideazione e installazione critica di una mostra, gestione di nuovi strumenti di comuncazione, ecc.». Agli artisti dice di opporsi al potere del critico e di rompere la sua mediazione; e dunque, contro Croce sempre vivo e ritornante, esercitare non l'intuizione pura ma la ragione critica nell'opera e nella critica degli istituti e dei partiti e del mercato universale... Qui sotto riproduco brevi pezzi dei tre scritti, con titoli e scelte strettamente mie (gli scritti interi appariranno certamellle altrove). Isgrò, con interessi complessivi, vuol dire limpidamente come e perché oggi c'è un utilizzo stretto delle operazioni di avanguardia artistica, che eglipure esercitacercando gli interstizi eproblematizzando lapropria identità. Pozzati, attraversando ogni illusione, evidenzia la funzione critica dell'arte, e ci fa sentire forse nella sua proposta anche certeconversazioni con teorici attivi a Bologna, tardo-marxisti e classisti eccentrici come me ... Tadini indagando sul «simbolico» rovescia i quesiti: il visivo è fondante; e ridà un alveo di silenzio, entro l'abisso di parole. Tadini quindi ci presenta un concetto che ora è chiave di lavoro artistico sulle figure e gli strumenti umani. F.L. Emilio lsgrò sulla situazione dell'avanguardia artistica. «La penuria di carburante che colpisce la California, e con la California tuni gli Stati Uniti e tutto l'Occidente, questa crisi che non si sa bene chi l'abbia voluta e chi l'abbia direttae speculata, non colpisce soltanto il parco auto della società capitalistica-borghese. Colpisce pure, ed è quel che conta, un'idea del mondo e della cultura: l'idea, se possibile, che ci sia un progresso illimitato e che questo progresso debba correre necessariamente su una linea retta [... ]». «Possiamo parlare di avanguardia forse fino alla Pop Art, che svolge, sia pure ambiguamente e parzialmente, ancora un ruolo di critica all'interno della società americana, anche se questa non rappresenta in totale la società occidentale. È da allora, secondo noi, che accade l'irreparabile: e I' avanguardia, da arma della critica, si trasforma in arma del consenso per una borghesia (radical-borghesia io l'ho sempre chiamata, purché non si confonda questo termine con la radical-chiccheria oggi di moda) che si è fatta meno timorosa e ha scoperto nell'avanguardia la sovrastruttura ideologica più adatta a coprire e asublimare i propri intrighi e i propri interessi. L'avanguardismo diventa così il 'realismo socialista' dei paesi occidentali, coi suoi piccolissimi Zdanov che ne custodiscono l'etichetta per i musei e ne preservano le fortune commerciali. Solo che l'operazione è meno rozza, e meno indolore all'apparenza, di quanto lo siastata nell'Unione sovietica». « Perprimo, l'ideologia: che è quella, legittima ma sospetta in certi frangenti, della neutralità dell'arte. Per secondo, l'apparato mercantile: che non è per niente neutrale e raccoglie a man bassa i frutti di una politica accorta e a suo modo lungimirante. Si comincia a predicare, come sempre in questi casi, che l'arte è impotente nei riguardi del mondo, e Joseph Kossuth, ignaro delle perfidie della linguistica e della semiologia, nonostante i ripe1utie vani tentativi di sedersi sulla parola sedia, afferma con molto candore che lui crede nell'«arte come idea», arte as idea, nell'originale inglese. A!ferma pure (e non è il solo, naturalmente, perché molti critici, mercanti e borghesi compradores gli fanno coro entusiasti) che la tautologia è il solo destino possibile del linguaggio. Ali' arte, sostengono altri, non resta che parlare dell'arte, e cosl abbiamo certapittura e certiprocessi generalizzati di desemantizzazione che una volta innescati appaiono inarrestabili: tanto che si arriva alla mostra di New York clamorosamente intitolata Art about Art [... ]». «L'arte, come ci hanno insegnato, vive di deviazioni e di scambi, di mascherature e di smascheramenti, di avvistamenti e di svisature linguistiche. Vive dove non è e dove è non vive. Ma è certo che oggi vive soprattutto per se stessa e per i suoi fedelissimi. Ed è su questa linea che dovrà scattare la grande sorpresa e prendere corpo un'idea dell'arte meno condizionata da quei gruppi della società che la tengono ferma al suo posto, docile e mite, come il pechinese che si busca il raffreddore appena mette il naso fuori di casa». «[...] L'immaginazione non ha l'obbligo di andare al potere, se non ce la fa, almeno per ora; ma non è detto che debba rifugiarsi ancora una volta nelle cantine e nelle galere. L'artista, questo parassitasociale, è colui cheper destino lavora quando nessuno più crede nel lavoro. In nessun lavoro, non soltanto in quello salariato. E su quella soglia estrema aspetta. Come il papa. Perché dominio dell'arte è la relatà, non i sogni: e noi non possiamo fare più arte perché nessuno fa più politica». («L'immaginazione seduta», relazione-estratti). Concetto Pozzati sulla criticità nell'opera d'arte. «L'artista da mostro sacro e signore delle forme è divenuto -a suo tempo - professionista (socialità, integrazione, rinunce a privilegi aristocratici). Poi si è identificato come intellettuale (prima uomo che artista, con uscitadallaspecificità e dalla separatezza); poi come produttore (e riproduttore di idee). E recentemente ha compiuto quel salto di qualità che gli permette di avere la spudoratezza di organizzare, ideare e gestire un convegno tutto teorico. li salto è diventare critico. critico dell'arte, e non d'arte che è tuua un'altra cosa. L'arte non solo è pratica; ma è anche contraddiuoriamente divenuta critica. Una criticità interna, costitutiva, intrinseca all'opera stessa. Vogliamo quindi riappropriarci del nostro ruolo di intellettuali/critici e non solo produttori indif ferenziati di oggetti che altri manipolano, scelgono, scartano, incasellano, accantonano, impongono, ecc.». « Fare arte significa dialetticamente criticare l'arte, interrogare l'arte, fare del/'arte un altro dell'arte. li 'merito' del/'arte è dunque essere altro, essere critica. La sua realtàè sempre 'maledettamente' dialeuicaperché'tende a negarelconfermare que/lo che c'è già (lapratica, /'esistente, ecc.). La critica è presa come un'opera - dice Lyotard - ma l'opera ha già la sua critica. Se la critica è intesa come 'lavoro', lo stesso lavoro avrà per contenuto la sua stessa critica. Anche il critico dovrà, per essere altro, compiere una recita autocritica (e non travestirsi da artista) e questa recita avràper contenuto lacriticadelproprio ruolo, delld stesso suo potere, della stessa professione di critico». « La criticadell'opera è critica 'scritta', è letteraturasu una letteratura, è un perché sul perché dell'opera. La critica può anche farsi opera ma come 'opera seconda', parallela, interpretativa, rispello alla 'prima'. L'opera seconda non può fare a meno dell'oggetto dell'arte anche se ha tutto il diritto a 'scriversi', a farsi, a leggersi. Ma sarà sempre una lingua su una già lingua, una letteratura diversa. L'opera d'arte ha bisogno della leueratura criticaperò ha già in sé la sua critica, anche se, spesso, non 'detta', non 'scritta' esplicitamente. L'opera vive in sé il suo 'doppio'. La critica dovrà svelare e 'raddoppiare' la stessa intrinseca criticità dell'opera. L'opera d'arte è si disponibile a farsi catturare e chi cattura la sua lettura interna opera senz'altro una ri-creazione attiva, parallela, ma mai sostitutiva e concorrenziale. L'opera 'seconda' non potrà esisteresenza l'opera prima. L'opera non produce o riproduce solo arte (arte su arte) ma è produzione di idee dell'arte». ·(«Critica dell'arte e arte della critica». relazione-estratti). Emilio Tadini sul rapporto fra immagine e parola: «Domande». «[... ] Andiamo avanti per contraddizioni. Non stiamo usando parole contro altre parole? Non stiamo cercando di dire cose che per natura si negano alla parola? E allora potremmo forse tentare di guardare verso quell'oscurità da cui provengono tutti i discorsi... da cui tutti i testi e tutte lefigure annaspano per uscire... senza poter illudersi di togliersene interamente... spostandone solo i limiti... La parola ci consente di parlare del vedere. Ma non può toglierlo di mezzo, non può definirlo: non può sostituirlo nel profondo. C'è una irriducibilità del vedere al gioco del linguaggio delle parole? Figure e suoni si sono alzati in origine nello stesso spazio... prima che potesse apparire come un'ombra la stessa idea della parola ... epoche interminabili prima della scritbiano dovuto attendere l'avvento di Smith per un consistente sviluppo della sintassi logica che in esse era implicita. Ciò avvenne perché le costruzioni di Picasso-estensioni della pittura a piano entro lo spazio di fronte alla parete-erano oggetti estremamente equivoci (con abbondanza di scelte possibili per susseguenti sviluppi formali)» (p. 8). li. «La tecnologia moderna rappresentava la nuova epoca e attraverso il suo uso l'artista poteva arricchire la dinamica di una società non classista. Era perciò"ideologicamente importante soppiantare la stabilità con l'instabilità, la forma statica con la forma dinamica, la massa solida con piani e linee strutturali trasparenti; e legno, tela e pittura con metallo a vetro. Ironicamente, tale tecnologia e i materiali relativi erano mancanti nella Russia post-rivoluzionaria. Cosi che questi ambiziosi progetti( ...) erano raramente portati oltre il tentativo in cartone, legno, lastre di metallo, fili di ferro e legacci. Per queste e altre ragioni molti di questi lavori sono scomparsi» (p. 30). tura... (Ogni individuo ripete nella sua infanzia questa esperienza della specie.. .). Adesso noi conosciamo - crediamo di conoscere - tutto quanto è prodotto dalla parola. Ma lo sguardo che vede, che cosaproduce? Soltanto la registrazione meccanica di una immagine? È soltanto 'passivo', lo sguardo? Si danno lapsus, nel vedere? Può lo sguardo produrre qualcosa che per analogia potremmo chiamare "teoria"? Lo sguardo va dall'occhio verso l'esterno e torna dentro il corpo carico di una immagine. Possiamo dire, allora, che la parola va dalla bocca verso l'esterno e torna anche ali'orecchio di chi parla? Di che cosa è carica, in qual punto? De/l'ascolto? Fa parlare, lo sguardo? E la parola, può far vedere? O trasguardo -figura -eparola, si apre un vuoto che neanche il simbolico tutto intero può colmare? È vero che "l'occhio esisteallo stato selvaggio"? Certo: solo domande e nient<:risposte. Forse, basta ascoltare le domande, in questa circostanza, in questo discorso». «L'anno scorso, mentre dipingevo un quadro chesi chiama L'occhio della pittura ho scritto un testo. Scrivendo, cercavo di capire, press'a poco, se non fosse nellaseparazione tra il bambino e la madre (non nella separazione della nascita,ma dopo, quando il bambino si stacca per la seconda volta dal corpo della madre e prende a· esistere come individuo) cercavodi capirese non fosse in quella separazione, e nello sguardo che la contempla, che materialmente si fondano coscienza e conoscenza, e che precipita tutto il simbolico». «li soggetto, non prende forse corpo (per ogni membro della specie, da sempre) proprio su quella scena originaria, sulla quale davanti agli occhi si mostra ciò che separandosi ha preso forma e figura? Sulla scena da cui hanno origine tulle le scene, e il senso stesso del rappresentare?li soggetto non si manifesta forse per laprima volta nell'atto di vedere ciò che si allontana mutato in figura, spalancandosi dietro lo spazio e il tempo? Nell'atto di inseguire con gli occhi qualcosa che va via: il grande corpo totale, che, frantumandosi, forma un nuovo sistema planetario in cui per ogni membro della specie tutto accade e sta in movimento fra separazione e attrazione, fra individuazione e totalità? (Il soggetto... i sensi... Non è come se i sensi fossero, in origine, ferite aperte?) [... ]». « E non è su quel vedere originario, proprio su quel primo sguardo, che si fonda il dipingere? [...] Allora, il rappresentare, e ogni linguaggio, non si fondono forse sull'atto del vedere... e poi sul tracciaredei segni che mostrino prima di tutto quel vedere come teoria e lamacchina stessadel simbolico come macchina per produrre l'immagine della totalità perduta e tutti gli strumenti? Le figure costituiscono. Per questo, nel sonno, noi possiamo sognare. E le parole, allora, non servono proprio a chiamare quelle figure che continuano ad allontanarsi?». -- . .
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