to che è fatto soprattutto di un confronto continuo. scoperto ma non per questo meno godibile. tra ieri ed oggi: la politica del connubio e quella del «compromesso storico>. il Cavour di ieri e I'Andreotti di oggi (con un implicito riconoscimento al primo di una maggiore e superiore grandezza politica e abilità di manovra). i generali piemontesi degli anni Sessanta e quelli che ci regala oggi la lotta al terrorismo. Se si vuole. il paradigma non è complicato. la morale della storia è scoperta. l'interpretazione è opinabile. Ma non si dica che gli studi anche recenti sull'unificazione nazionale sono asettici. se1m1paradigmi. senza morale da impartire al lettore. Si può addirittura aggiungere che gli studi migliori. più importanti dal punto di vi'stascientifico. presentano con maggiore chiarezza l'esistenza di un paradigma che ha delle parentele con il presente: la politica del connubio. il centro-sinistra (o sinistro. come si disse) di Cavour è al centro di discussioni storiografiche che richiamano scopertamente il problema dei modi in cui la borghesia ha esercitato oppure no la sua egemonia nell'Italia postunitaria. Chiappori porta alle estreme conseguenze. quelle della satira politica (e in questo caso «storica> per cosi dire). le contraddizioni e le caratteristiche della fondazione dello stato nazionale. A Pio lX fa dire. dopo acconcia spiegazione. l'irresistibile battuta: «mi sento cosi infallibile>; come a Garibaldi. dopo la spedizione dei Mille e l'incontro di Teano: di compromesso storico l'ho inventato io>. Ma la forza del racconto è costituito dal raffronto preciso. minuto. attendibile che Chiappori instaura con le fonti storiche. come dimostra il dialogo con Candeloro: dietro la semplificazione della battuta fulminante. c'è un'accorta utilizzazione di documenti e testimonianze che sarebbe bello trovare in molti testi scolastici che vanno per la maggiore. Satira. fumetto. storia: in Chiappori la fusione è quasi sempre riuscita. Qui. curiosamente. ci troviamo di fronte a uno strumento di critica e di discussione piuttosto che a un esperimento didattico. D iverso è il caso della storia d'Italia della Ottaviano cui hanno dato inizio giovani disegnatori e autori come Antonio Mangiafico. Carlo Cagni. Renato Ferraro. Gianni Peg. Cinzia Giugliano. Marco Tomatis. li piano è articolato in tre serie: la prima è dedicata a una ricostruzione del processo di formazione dello stato. la seconda a quella che viene definita la «colonizzazione» del Sud. la terza ai grandi «fatti storici» del Novecento. I volumi usciti finora fanno parte della prima e della seconda serie. li linguaggio adoperato è complesso. tratto da documenti del tempo. canzoni. testimonianze di varia provenienza. Il testo scritto è copioso. forse eccessivo rispetto al disegno. Quest'ultimo ondeggia fra la satira e il realismo. adopera stereotipi scoperti rispetto ai soggetti sociali che mette in scena: il carabiniere e il soldato viene percepito inevitabilmente come il singolo che rappresenta e definisce il ceto o la categoria di cui fa parte. L'intento didattico. per certi aspetti propagandistico. è centrale ma il tessuto di cui si compone è tutt'altro che ingenuo o sprovveduto: tradisce letture attente di opere storiche. ricerche accurate di fonti. un tentativo complesso di documentare in ogni particolare la tesi di fondo che si vuole sostenere. Una tesi. a ben vedere. d'una disarmante schematicità: da una parte. le masse. i lavoratori; dall'altra. i padroni di sempre. La storia d'Italia come scontro tra le une e gli altri con un esito costante e per certi versi scontato. Ma sbaglierebbe chi pensasse che questa schematicità di fondo diventasse poi nelle storie narrate semplicismo. pressappochismo. falsificazione. No. questo non potrei dirlo proprio. Semmai piuttosto il fatto che il linguaggio adoperato accentua le unilateralità di una tesi che pure ha cosi innegabile fondamento nella nostra storia nazionale. almeno riguardo a temi come la questione meridionale. l'emigrazione. il brigantaggio. Che diventa impossibile nell'arco di una storia a strisce soffermarsi su contraddizioni. complessità. distinzioni che sono proprie d'ogni società. in ogni tempo. Per scrupolo. sono andato a leggermi qualche manuale di storia per vedere se analoga schematicità non invadesse anche le pagine di quegli strumenti. Ne ho trovata molta. da ogni punto di vista. Con la differenza che si può constatare tra parola e immagine; questa quasi sempre più immediata ed efficace nel trasmettere stereotipi e caratterizzazioni rigide Ji fatti e personaggi. Quel che nella serie dell'Ottaviano si impone al lettore è l'attenzione alla storia sociale ed economica e mi sembra una novità del genere. difficile da riscontrare. Pagine e pagine son dedicate in forma assai chiara e convincente alle condizioni dei contadini e del proletariato. alle differenze di classe e alle conseguenze che ne derivano nella vita quotidiana. alle sofferenze che nascono dall'oppressione economica e sociale. La donna. in un simile conteUn biglietto diArtiasino Caro Sassi, non è che il souoscriuo «si senta in dovere di rivelare il proprio istinto di conservazione», come osservi in Alfabeta n. 5. li solloscriuo si limita ad osservare che questa estate, a Roma, riscoprendo i Circensesche non sono in questa cillà cosa nuova - e tanto meno se adoperati per distrarre le masse dai temi eproblemi più gravi -i giovani che contestano le famiglie conformiste borghesi e vegliarde con le chitarre e i sacchi a pelo e gli spinelli e tulio il resto accorrono a Massenzio per applaudire gli stessi film (Le quattro piume, Sangue blu, Pane amore e fantasia, Casa Ricordi) già applauditi molti anni fa, prima della televisione, al cinema 'Roma' di Voghera, dal mio papà e dalla mia mamma e dalle mie zie, tu/li ormai morti dagran tempo. Sarà dunque questo istinto di conservazione? riflusso? manovra dello S/M? Lo so, lo so, che chi descrive un fenomeno viene biasimato, perché se si ha una brulla faccia la colpa è dello specchio, e se si ha la febbre la colpa è del termometro, però probabilmente non è il caso nemmeno di auribuire significati portentosi alle folle che affollano questa o quella manifestazione. Sono affollati, infatti, i concerti, ma anche i treni, le autostrade, le spiagge, le pensioni, le trattorie, e l'isola d'Elba. È la sovrapopolazione, fenomeno al quale bisogna pure abituarsi senza stupirsene ogni volta con attribuzione di significazioni particolari. Molti saluti sto. acquista un rilievo centrale. è protagonista accanto al contadino e al brigante di tutte le fasi della lotta e della sconfitta. Autori e disegnatori oscillano spesso tra l'esigenza di offrire un testo comprensivo e articolato e l'uso del disegno senza trovare sempre una soluzione in tutto adeguata al mezzo di espressione che hanno scelto. Ma !"esperimento è vivo nella sua contraddittorietà. nei suoi evidenti difetti. E risalta tanto più di fronte alla traduzione fedele ma senza sorprese che la storia d'Italia firmata da Enzo Biagi compie della manualistica tradizionale sul Medioevo (il primo volume uscito arriva fino alla scoperta dell'America). Qui i caratteri tipici di quella manualistica (preponderanza degli avvenimenti politico-militari. centralità degli eroi. trasmissione delle ideologie dominanti di tempo in tempo) risaltano enfatizzati nel linguaggio dei fumetti senza novità particolari ma con una indubbia efficacia nel segno e nel colore. Il fumetto diventa un manuale perfettamente omologo a quelli esistenti. almeno ai più diffusi. Non c'è né satira né tentativo di rovesciamento dei paradigmi imperanti. Ed è questo. a ben guardare. il rischio maggiore che corre la storia attraverso i fumetti. Quello di accettare la tradizionale divisione cui accennavo all'inizio tra ricerca e divulgazione che fa di quest'ultima. nei manuali scolastici e spesso nei giornali. la stanza ripetitrice delle formule invecchiate. delle metodologie che i ricercatori più attenti hanno già messo da parte. Non si può tentare di rovesciare proprio qui la vecchia scissione che rispunta fatalmente? Contrapporre alle interpretazioni rituali della storiografia moderata tesi d'opposto segno politico è stato finora l'obbiettivo centrale dei disegnatori di punta (da Chiappori agli autori della serie edita da Ottaviano). È qualcosa ma non basta. Il salto di qualità necessario consiste in altro. nell'abbandono di una concezione della storia che. sia pure con segno opposto. privilegia i grandi personaggi di sempre. il dibattito ideologico. la lotta politica nell'accezione più tradizionale. L'alternativa è quella di sostituire a quella concezione un modo di leggere il passato che recepisca e «traduca», nelle formule espressive proprie del fumetto. le esplorazioni e i contenuti propri della nuova storia sociale che sta penetrando anche in Italia sulla scorta delle esperienze anglosassoni e francesi. Temi come quelli che attengono alla famiglia. alla donna. alla sessualità; analisi che esaminano strati sociali a lungo trascurati e problemi di solito ignorati (pensiamo alla storia delle mentalità. alle istituzioni repressive. alle manifestazioni della sociabilità in tutte le sue versioni); ricostruzioni che recuperano dimensioni inedite della vita associata eppure così significative (dalla struttura urbana al paesaggio. a tutti quegli aspetti che si compendiano nel termine di «cultura materiale»). Non tento. come il lettore immagina. un inventario per ora impossibile dei contenuti e dei soggetti nuovi che irrompono in una storia attenta alle continuità non meno che alle rotture. al lungo periodo quanto all'episodio che assurge a simbolo ed esemplificazione del mutamento. Né mi sento di suggerire in poche battute attraverso quali adattamenti possa avvenire la traduzione nei fumetti d'una storia fatta di quotidianità. di processi che si svolgono lentamente e durano nel tempo. Ma credo che sia questa l'indicazione (certo da precisare e articolare. utilizzando competenze diverse) capace di sottrarre il genere a una vecchiaia precoce e di farne uno strumento di informazione critica accessibile ai più e legata ai punti più avanzati della ricerca storica. C'è da chiedersi. a questo punto. se al di là delle differenze profonde di impostazione e di intenti che caratterizzano i nuovi esperimenti. emergono dei tratti comuni della contaminatio cui accennavo all'inizio. Direi di sì da questa prima lettura. Intanto. un'incertezza più o meno accentuata a dare al disegno la preponderanza cui ha diritto rispetto al testo scritto. come se. trattandosi di storia. si avesse particolarmente paura di affidare il messaggio al linguaggio della battuta o delle scene che si rappresentano. Si è visto che Chiappori ha introdotto addirittura l'espediente. peraltro riuscito. del dialogo con lo storico e gli altri più o meno abbondano nelle didascalie e nei testi infilati nel disegno. A volte con risultati discutibili giacché rendono complicata e poco scorrevole la narrazione. Poi. la tendenza più o meno inarrestabile a porre in primo piano il momento delle rotture rispetto a quello delle continuità. degli eventi decisivi rispetto ai fattori di lungo periodo che scavano un poco ogni giorno. Il cinema in fondo è riuscito a rappresentare processi che durano molto nel tempo. i fumetti per ora assai meno. Ma sarebbe abbastanza ingeneroso fermarsi a sottolineare ancora limiti e lacune dell'esperimento. Che di per sé è. in questo nostro tempo. utile e perché no. divertente. L'innovazioQtetcnologica Harry Braverrnan Lavoro e Capitale Monopolistico Torino. Einaudi. 1978 pp. 465. lire 7.500 David S. Landes Prometeo liberato Torino. Einaudi. 1978 pp. 751. lire 18.000 athan Rosenberg Perspectives on Technology Cambridge. University Press. 1976 pp. 353. sterline 3.30 Temia e cultura a cura di Tomàs Maldonado Milano. Feltrinelli. 1979 pp. 309. lire 8.000 Massimo Cacciari Walther Rathenau e il suo ambiente Bari. De Donato. 1979 pp. 197. lire 3.500 11 libro di Braverman costituisce la miglioreargomentazioneanalitica della tesi secondo la quale l'introduzione sistematica ed incessante di nuove tecnologie ha prodotto un'altrettanto sistematica distruzione della qualificazione professionale degli operai. Dal punto di vista della produzione di merci la sostituzione di nuove tecnologie alle vecchie assume sempre raspetto di un aumento della produttività. « essun livello di produttività è giudicato sufficiente[ ...]. La spinta ad un progressivo aumento della produttività è pr<;>priadi ogni azienda capitalistica> (pp. 205-6). Mentre «[...] in tutte le innovazioni fin qui descritte la caratteristica che le unifica è sempre [...] la progressiva eliminazione delle funzioni direttive dell'operaio fin dove è possibile ed il loro trasferimento ad un congegno controllato dalla direzione[ ...]> (p. 212). Inoltre «conseguenza necessaria del management e della tecnologia è una riduzione della domanda di lavoro» (p. 235). Il contesto economico. in cui si svolgono questi diversi fili di un unico processo storico che trova origine nella matassa dei problemi produttivi e politici delle nostre società industriali. è quello della formazione del capitale monopolistico. Il testo viene presentato infatti dall'autore come una articolazione del libro I del Capitale sotto l'influenza di Sweezy ed anche come una confutazione della tesi secondo la quale la differenza tra le classi dominanti e subalterne si andrebbe colmando. Ebbe a dire giustamente Cesare Caseschequestolibromanifesta ncora la vitalità del marxismo. nonostante la sua crisi negli aggettivi e nelle desinenze. Ne rafforza senza dubbio l'ala (purtroppo ancora minoritaria e utopica) che critica la divisione del lavoro contro quella che si limita alla conquista dei mezzi di produzione. senza cambiarli. Ma a me interessa soprattutto come punto di partenza per una storia delle scienze e delle tecnologie che sia critica dell"esistente. RisuÌta illuminante vedere nei dettagli ed in alcuni casi particolari come le innovazioni tecnologiche siano. non già il prodotto lineare ed univoco di un problema di costruzione di oggetti d'uso (questa tecnica è l'unica adatta per ottenere questo oggetto). ma il risultato di un gioco di variabili economiche teso a risparmiare lavoro. minimizzando il costo di quello residuo. Se si dividono tecnicamente le mansioni che richiedono più esperienza (il tornio) da quelle che non ne richiedono quasi nulla (avvitare bulloni in linea) si può pagare di meno le seconde e cercare con ogni mezzo di diminuire le prime. Va da sé che. distinguibile solo linguisticamente dall'economico. accanto si situa il vantaggio politico della sottrazione del pr<;>priolavoro al controllo dell'operaio rendendo il processo produttivo il più indipendente possibile dalla soggettività delle classi subalterne. Qual'è stata allora la reazione spontanea o istituzionale all'innovazione tecnologica di queste ultime? Dal lancio dei sabot contro le macchine agli accordi tra industriali e sindacati sull'aumento della produttività. questo aspetto essenziale non si trova nel Braverman. È un suo limite dichiarato che qualche storia dell'«altro movimento operaio» o degli Industriai Workers of the World non è ancora stato in grado di colmare pienamente ed analiticamente. Un altro limite va individuato nell'uso del termine scienza. vista talvolta come indipendente dalle tecnologie e dall'organizzazione del lavoro. per cui. secondo Braverman lo scientific management non sarebbe veramente scientifico (p. 86). Questa lettura (più engelsiana e leninista che marxiana) mi sembra meno scusabile rispetto al •problema che ci occupa qui perché l'evoluzione tecnologica non sarebbe stata possibile senza una adeguata evoluzione delle scienze. E ' per capire meglio questa questione- gli scambi storici tra le scienze e le tecnologie in un contesto economico e sociale preciso - che risulta utile passare ad occuparci del Landes e del Rosenberg. Ma già nello stesso Braverman si trova l'intuizione che ci guiderà. Fino alla seconda metà del1'800 la tecnica motiva ed ispira anche le scienze che sembrano più astratte come la fisica e la matematica. cronologicamente essa le precede (prima la macchina a vapore di Newcomen e Watt poi la termodinamica di Camot e Joule); nel '900 invece si è realizzata pienamente l'inversione (prima l'elettromagnetismo di Maxwell e Hertz poi la radio di Marconi. prima l'equivalenza massa energia e la meccanica quantistica poi la bomba atomica e la fissione nucleare). Se il Braverman è felicemente singolare tra ilgrigiore accademico dei marxisti anche il Landes ed il Rosenberg appaiono testi rari tra gli economisti. Infatti non esistono ancora delle storie delle tecnologie che affrontino la questione dell'invenzione dei dispositivi e dell'introduzione delle invenzioni nel processo produttivo cercando di analizzare quale dinamica delle variabili economiche ha prodotto il mutamento e la scelta fra le alternative. Anche se non ci si lamentasse (con Marx) della mancanza di una storia critica bisognerebbe constatare che il vecchio trattato a cura di Singer ancorché disorganico è puramente descrittivo. Per il resto fin di recente si trova solo qualche capitolo nelle storie economiche (lo stesso testo di Landes per metà è già contenuto nella Storia Economica Cambridge) o qualche frammento parziale come Usher sulla meccanica. Habakkuk sulle tecnologie inglesi ed americane dell'800. la storia del ferro di Beck e qualcosa d'altro. Nathan Rosenberg per spiegare questa relativa trascuratezza di un ·settore di indagine tanto decisivo per lo sviluppo capitalistico attribuisce la colpa ai neoclassici. cosl prigionieri delle loro relazioni formali e statiche tra grandezze economiche astratte. da disi~teressarsi della dinamica della produzione reale e delle sue ragioni. Accusa che non è difficile estendere anche a recenti dibattiti tra economisti marxisti italiani tutti tesi a discettare se dalla legge del valore lavoro derivano o no i prezzi. Se la tecnologia fosse una variabile casuale e autonoma non avrebbe senso farne la storia in relazione alle altre grandezze economiche. Ma anche il pensarla come· completamente determinata dalla sfera dell'e- :::
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