Alfabeta - anno I - n. 2 - giugno 1979

lettere Risposta a R. Barilli di Pier Vincenzo Mengaldo I.Alti ren·11,1011c che .,i ri.,p<~llipuò essere o un ·011esllelsposizione delf"opera recensita o un contributo personale a sviluppo o correzione di questa; diversamente, nellamigliore delle ipotesi è inutile, nella peggiore disonesta. Quella di R. Bari/li ai miei Poeti italiani del ovecento sul primo numero di questa rivista rit!scead essere assieme inutile e disonesta. Inutile perché non fornisce alcuna informazione né. dalla parte dell'oggetto, riducendo il mio libro a quauro formulette polemiche di comodo anziché. esporne con qualche obiettivifà i contenuti; né almeno dalla pane del soggeuo, cioè il recensore medesimo, in quanto il suo succo e la sua unica ragion d'essere sono precisamente quelli che ci aspettavamo da Bari/li Renato, vale a dire l'ennesima difesa d'ufficio, dopo quelle di Sanguineti, Giuliani e soci, delle posizioni della neo-avanguardia: veramente piove sul bagnato. Disonesta perché i miei punti di vistasono scientemente e fraudolentemente distoni, in modo sistematico. Ma prima di tutto è insopportabile, di questa recensione, il tono, oscillante tra la volgarità becera e la sufficienza del maestrino che monta [n canedra: mi dispiace per la rivista che l'ha ospitata. Tralascio qui le questioni sulle quali ho già dello o ripetuto la mia in una risposta, che usciràsulla stessa rivista, alla recensione di R. Luperini in Belfagor di marzo: benché oradebba riconoscere che, di fronte a questo del Bari/li, l'intervento di Luperini è un capolavoro di civiltà e di peninenza. Il recensore di Alfabeta crede che la mia antologia volesse presentarsi come "sbiadita e neutra." Poiché. non ho mai affermato o insinUlllonulla di simile (altro è il rifiuto di fare il ponavoce di questa o quella corrente), devo dedurre che si traua solo di un wishful think.ing dello stesso Bari/li, al quale avrebbe fallo comodo che cosi fosse. Correggendo il tiro, egli precisa comunque che l'antologia viene a occupare "lo spazio della restaurazione" (e nel titolo lavora addirittura, che onore, di antonomasia: "L'antologia della restaurazione"), tra l'altro a causa del suo "partito preso anti-avanguardistico." Bene, qui finalmente lapoco originale accusa di restaurazione si rivela nudamente per quello che è. Per le mosche cocchiere della neoavanguardia restauratore è chiunque, cosciente della varietà e complessità delle forze in gioco, si rifiuti di pensare che la neoavanguardia stessa è il non plus ultra della poesia recente e l'unico /eginimo, predestinato punto d'arrivo della vicenda poetica novecentesca (come nell'antologia di Sanguineti di buona memoria). Del resto il panito preso ce lo vede lui: dei cinque "novissimi" ne ho inclusi tre, rendendo a un quano (Balestrini) l'onore delle armi. Non è poco. Ma questa difesa d'ufficio del Bari/li non è solo superflua, è anche fuori tempo massimo. È da tempo che alcuni dei rappresentanti di punta del movimento, a cominciare da Sanguineti stesso, battono strade alquanto diverse dallo sperimentalismo deflagratorio dei loro anni ruggenti, con ciò mostrando ai loro altardati suiveursla praticabilità di percorsi non soltanto diversi, ma affini a quelli già allora frequentati da altri. Usando con la stessa rozzezza del Bari/li l'antinomia avanguardia-restaurazione, .uno potrebbe sostenere che restauratore, prima del Mengaldo, è il Sanguineti medesimo in re, con la sua recente maniera discorsiva e neo-crepuscolare (pregiata dal Bari/li), in cui s'arriva tranquillamente ariciclare il morettiano "non ho niente da dire." Non si vede perché. quello che oggi è concesso a Sanguineti non si potesse concedere it!ri,che so, a Giudici. O forse il teologo Bari/li crede che ci siano tempi in cui è obbligatorio essereavanguardisti ed altri in cui è concesso o raccomandabile non esserlo più? Temo di sì, dato che proclama, terroristicamente, "l'obbligo [corsivo mio~-- di mutare criteri e strumenti di elaborazione col mutare delle varie situazioni." Il [ano è poi che il Bari/li, come mostrano i suoi tentativi di eversione di Saba o di Gioiti, non sa uscire dalla nozione grossolana e a senso unico di sperimentalismo propria degli avanguardisti sprovveduti, e neppure sospetta che anche qui le vie del Signore sono infinite, e che accanto a uno sperimentalismo che opera sopra il rigo delle convenzioni poetiche dominanti, ce ne può essere benissimo uno che lavora sotto il rigo. I/ Bari/- li trova anche nella mia prosa "l'aria di chi non vuole scendere scopenamente in campo, non accetta polemiche, ma si attiene semplicemente a criteri neutri, di solido buon senso." Ci vuole una bella faccia tosta a dire che nella mia introduzione io non scendo scopenamente in campo e non sollecito polemiche: ma l'ha lena? Quanto al "solido buon senso" (o "senso comune'') cui io mi appellerei invito il mio inventivo recensore a trovare una sola riga in cui io mi rifugi dietro di esso. Ogni affermazione e posizione del mio libro è interamente ed esplicitamente assunta sulla mia personale responsabilità, firmata e controfirmata: si appella al senso mio che, se il Bari/li permette, non coincide col senso comune. Qui, e in altro che dirò, siamo alla vera e propria falsificazione fraudolenta del mio pensiero: e mentre non mi meraviglio affano che un Bari/li abbia potuto perpetrar/a, mi meraviglio abbastanza che i direttori di Alfabeta - alcuni dei quali conoscono ceno il mio lavoro - gliel'abbiano lasciata passare. Viene poi un'altra accusaoriginale, quella di crocianesimo. Ma veramente un aspello originale c'è, ed è nella trovata secondo cui il mio metodo sarebbe un composto di crocianesimo e positivismo, quest'ultimo fatto coincidere coi miei supposti "culto degli individui" e "timore che ogni generalizzazione sia indebita, fittizia, sovrastrutturale." Può darsi che nel mio metodo ci siano tratti "positivistici" (e perché no?), ma certo non consistono in ciò che dice il Bari/li. Immagino che la conoscenza della storia della critica rientri nei suoi doveri accademici e professionali: ma c'è da dubitare che vi ottemperi leggendo questa stupefacente teoria dei positivisti come cultori dell'individuo e nemici delle classificazioni. E in nessun luogo, naturalmeme, io sottoscrivo o pratico la concezione crociana della poesia come "dono, qualità, nucleo ineffabile" attribuitami dal Bari/li: i miei cappelli, tutti, stanno lì a dimostrare, al contrario, una nozione del giudizio sulla poesia che tende a scioglier/o il più possibile, discorsivamente, nella descrizione dei rapporti via via instaurati col suo contesrostorico, culturale, linguistico; "poe• Liche"e "correnti'' comprese, che non tra• scuro affatto in sede di caratterizzazione, come il Bari/li vuole far credere, ma mi limito a non utilizzare come criteri classificatori, dato che credo nella complessità delle situazioni e delle individuazioni. Qui un recensore che avesse fatto il suo dovere aveva I' obbligo, non di dichiarare dogmaticamente che io prescindo da poetiche e raggruppamenti (chiamati molto impropriamente "I proseguimento" della poesia), ma di mostrare che i miei tentativi di smussare la rigidità e il nominalismo consueti nell'uso di queste categorie, di articolarle distinguendo meglio al loro interno, ecc., sono errati nel concreto. lo ho indicato per esempio I' esistenza di un'osmosi fra crepuscolarismo e futurismo e I' opponunità di differenziare tendenze "regionali" ne/l'ambito del primo; l'insufficienza della categoria di "espressionismo vociano" a spiegare Pianissimo di Sbarbaro; l'assurdità di un'etichetta come "lirici nuovi" che comprende assieme i diversissimi Saba, Ungaretti e Montale; l'eccessiva estensione del concetto usuale di "ermetismo;" e così via. Al Bari/li, e ai miei obiettori in genere, il compito di dimostrare che le cose non vanno a questo modo. li recensore non si perita invece di scrivere: "Crepuscolarismo, futurismo, ermetismo escono di scena; al loro posto subentra uno sbricio/io atomico di presenze irrelate [... }" Questa è una rappresentazione della mia antologia che può dare chi ne abbia letto solo l'indice, e non anche i cappelli, leggermente più qualificanti, e l'introduzione stessa. Né.io ho mai affermato che "scorgere dei movimenti, delle tendenze, sarebbe come abbandonarsi ad un imperdonabile intervento soggettivo, legato all'arbitrio del critico o del curatore:" ho solo mostrato, e previamente distinguendo gradi di legittimità storica di quelle categorie, che una loro utilizzazione poco duttile e scolastica coarta la varietà, la complessità e talora la natura stessa dei fenomeni cui intende applicarle: per cui la mia "epistemologia ben rozza [... ] che [... ] pretende ancora di distinguere tra io soggettivo el'oggettivo" è un'invenzione de/ mio critico che evidentemente, lui sì, è ancora capace di pensarla. Tanto è vero che poco oltre mi invita a posteriori a "spingermi al limite estremo," doè a un ordinamento se• condo le date di nascita, "forse uno dei pochi criteri di quasi assoluta oggettività," mentre col mio ordinamento secondo la cronologia delle opere aumenterebbe il "tasso di soggettività." Ma non si tratta di oggettività e soggettività; bensì di funzionalità e pertinenza storica. Anche in questo caso: io ho [ano alcuni esempi, come Sereni (ne avrei potuti fare molti altri), in cui non la data di nascita, ma quella de~'opera di esordio è informativa della reale collocazione storica de~'autore: il recensore doveva, se poteva, mostrare che così non è. Una volta adottato, ponderatamente, un criterio, non si può poi abbandonarlo tutte le volte chepiaccia o faccia comodo. Viceversa il Bari/li trova "Protervo, e perfino comico per scopena animosilà" l'inserimento, ri• chiesto da quel criterio, di Pierro tra la diade Sanguine/i-Porta: la protervia e l'animosità non c'entrano né.tanto né.poco, e comico è solo il buon senso o[feso del Bari/li, quasi che i lettori non fossero capaci (anche aiutati dai rispettivi miei cappelli) di stabilire da sé le connessioni fra Sanguineti e Porta. li mio interlocwore ha invece perfettamente ragione quando osserva che, in generale, io mi sono "voluto assumere il compito di rimescolare le cane del mazzo, o di spezzare i cambi, come si dice in gergo ciclistico." Certamente: non so se tale fosse la proterva intenzione, ma i risultati sono questi, nel che ho dato prova io di mens avanguardistica, avendo messo un po' di caos nel/'ordine. E /"'ordine", lo ricordo per chi non l'avesse ben presente, è per esempio quello militaresco de/l'antologia di Sanguineti, dove prima vengono, tutti compatti, i crepuscolari con un'avanguardia "tra Liberty e Crepuscolarismo," poi i futuristi, indi i "vociani" e via via i "lirici nuovi,'' gli ermetici, lo "speri• mentalismo realistico" e, dulcis in fondo, la nuova avanguardia. Spiacente per i critici panc>ramiciad alla quota, ma le cose non stanno affatto così. La storia delle culture non consiste solo in "superamenti" in blocco (hegelismo di terz'ordine e versione diacronica dell'elementare polarità innovazione-tradizione cara a questi critici), ma anche e sopra/lutto di alternative e possibilità divergenti che coesistono in sincronia: una "cultura" è sempre un rapporto e una ten• sione di molte culture. Quindi benissimo se Pierro è andato a infilarsi fra Sanguineti e Porta: ciò semplicemente fotografa la situazione reale, in cui alla rispettabile linea avanguardistica si affianca, fra le altre, un'altrettanta rispettabile alternativa dialettale. li carattere restaurativo della mia antologia sarebbe anche dimostrato da molti cappelli. E anzitutto dalla valwazione, ovviameme molto alta, di Saba. Non sto a discutere il diverso giudizio di valore del Bari/li: se non intende lagrandezza di Saba, peggio per lui. Ma le motivazioni sono incredibili. In primo luogo tocca leggere che alcune caratteristiche basilari della "lirica comemporanea," dalle quali Saba a mio (e non solo mio) avviso si diffi,renzia profondameme, sarebbero "quasi i sine qua non per essere alllentici testimoni del nostro tempo." li dogmatismo terroristico de/l'avanguardista Bari/li si dispiega qui trionfalmeme: è chiaro che per lui esiste un modo, ed uno solo, di "testimoniare il proprio tempo," come se questo fosse un monolito e tutti dovessero nuotare secondo la corrente. In secondo luogo è falso che io celebri Saba "in funzione anti-Novecemo," facendone mie - insinua il recensore - le posizioni e attraverso queste svalutando quelle opposte dei "novecentisti": non lo faccio intanto per la buona ragione che non credo, a differenza del Bari/li, a un indiscriminato "Novecentismo," e poi perché. la mia è solo una caratterizzazione differenzia/e di Saba, non una contrapposizione della sua "positività" alla "negatività" altrui. E falsissimo, fino al ridicolo, è il terzo argomento, cioè che io presenterei Saba come "Scoppiante salute e normalità:" tutto, ma proprio tutto, il mio cappello tende al contrario a interpretarne il vitalismo, umanismo, ecc., come l'altra faccia e il compenso di una immedicabile malattia e lacerazione psicologica. I casi sono due: o il mio recensore non ha imparato a leggere o fabbrica deliberatamente un falso. E vorrei anche sapere quando e come io, per esaltare Saba, darei "qualche colpetto riduttivo" a Ungaretti e Montale. Dove è buffo, per non dir altro, l'assunto stesso: "ridurre" Tizio per esaltare Caio rientra certamente nelle abitudini delle mosche cocchiere di qualche "corrente," ma non in quelle dei critici cJ:,e cercano di fare seriamente il loro mestiere. È proprio la recensione bari/liana a costituire un be/l'esempio, come subito vedremo per Zanzotto, di questa critica sartorale. Comunque tutto è relativo: nel caso di Ungaretti, una certa tendenza al ridimensionamemo rispetto alle apologie indiscriminate di un tempo è oggi abbastanza (a mio avviso troppo) diffusa, e non sono dunque solo io a incarnar/a per i miei oscuri disegni: anzi, rispetto a critici a me a[fini come Fortini o Raboni, il mio giudizio è senz'altro più caloroso, tra l'altro con una difesa del Sentimento del Tempo in genere molto limitato dagli anti-ungarettiani. Quanto a Montale. Il Bari/li opina che, non potendo limitarlo perché "troppo sugli scudi" oggi (che volgarità: si legga invece la mia riserva sulle ultime raccolte) e perché avrebbe raggiunto anche lui la "salute" (e anche qui io dico pressappoco il contrario), me la rifarei con gli Ossi di seppia Ma il fatto è che nel mio giudizio sugli Ossi come opera "genialmente provinciale," l'aggettivo pertiene alla caratterizzazione culturale, l'avverbio alla qualità dei risultati, sulla cui grandezza non lascio alcun dubbio. E la distinzione fra il post-simbolismo della prima raccolta e l'oggettivismo delle Occasioni e oltre né è una mia invenzione persona/e né comporta una limitazione forzosa del primo sul piano del valore poetico, come pensa il Bari/li evidentemente abituato a questi allegri scambi tra valutazione storico-culturale e valutazione poetica. Se infine a proposito dell'oggettivismo momaliano non rimando ad Anceschi ("con pudica ritrosia," postilla con la consueta cortesia il Bari/li) èperché Anceschi ha certamente il gran merito di aver individuato tutta una linea della "poesia degli oggetti," ma per le Occasioni non l'ha propriamente inventata lui solo (v. Contini, Bo ...). li forzato rilievo del Bari/li, però, è anche qui al servizio di un 'insinuazione, valea dire che io preferirei Anceschi in quanto "avversario da confutare" (e anche in questo il Bari/li correper una scuderia): non so lui, ma io ho l'abitudine di scegliermi gli "avversari" tra i coetanei; i praedecessores li storicizzo. Il successivo bersaglio delle ire bari/lian,· è, attraverso la mia persona, Zanzotto. Bisogna riconoscergli il coraggio di non scegliersi idoli polemici facili. Ma è il coraggio dell'improntitudine. Del poeta solighese si afferma infatti, nientemeno, che è "un altro appuntamento d'obbligo dei moderati e dei benpensanti." Inutile chiedere il perché. e percome al Bari/li, che non si degna mai di fornire elementi di prova o almeno indizi delle sue diagnosi categoriche. Ma la spiegazione del suo livore è semplicissima. Zanzotto, per evidenti ragioni, è stato ed è il concorrente più pericoloso e ingombrante della neoavanguardia e adiacenze: Sanguine/i si era limitato a rimuoverlo, come aeregrasso, dalla sua antologia; il Bari/li, meno delicato, passa senz'a/ro a/l'insulto. Per parte mia comunque non ho mai affermato che in Zanzotto si trasformi in buono "ciò che per altri è dato come cattivo, per non dire scellerato, vale a dire l'impegno sperimentale." Mi indichi per cortesia il Bari/li lapagina o il rigo in cui avrei condannato tout courtl'impegno sperimenta/e, anziché. graduare, implicitamente o meno, i risultati concreti di tale impegno. Tanto meno ho sostenuto che "un 'dotato' come Zanzotto riuscirà amuta• re in oro quanto nelle mani di un Sanguine/i o di un Balestrini resterà sempre a livello escrementizio," se non altro per il buon motivo che lo sperimentalismo di Zanzotto non t_ .,..\,11.:!,1,~ \.. \~ • Jh~,)~ ~~ .,1 ),HJ\òU\_lh alfabeta n. 2, giugno /'979 pagina 21 è dello stesso tipo: e l'aggettivo che chiude in cursus questa tirata appartiene al vocabolario bari/liana, non al mio. Il recensore mi rimprovera anche, ulteriore prova dei miei spiriti riduttivi, di osservare troppo incidentalmente nell'ultimo Sanguineti "curiose coincidenze con l'ultimo Montale," anziché battere più fortemente l'accemo su questo incomro storico. li chemi avrebbe permesso di "costituire una discendenza montaliana assai più consistente di quella dirotta/li su Zanzotto": peccato che io per Zanzotto abbia parlato di discendenza ungarettiana, piuttosto che monta/iana. Ma ecco come si configura per il Bari/li l'incontro: Montale •·a contatto con Sanguineti" perde "gli ultimi arricciamenti post•simbolisti" ancora frequenti nelle stesse Occasioni, "divenendo ancora più prosaico e 'occasionale,• mentre l'altro modera l'estremismo col/agistico e diviene più conversevole." Non si sa da che parte prendere queste mirabolami affermazioni. Secondo la letteradella confusa esposizione già ali'altezza della Bufera il distacco montaliano dal simbolismo sarebbe dovuto al benefico contatto di Sanguineti. Ma senza essere così fiscale, e supponendo che ci si riferisca al nuovo Montale che inizia con Satura, ricorderò al/'anti-cronologico Bari/- li alcune date. Wirwarr ( I 972) di Sanguine/i consta di una sezione, T.A.T. (date : '66-'68) ancora appartenente in buona sostanza alla "vecchia" maniera sanguinetiana, e di una seconda, Reisebilderche apre la nuova maniera conversevole, con testi scritti fra giugno e ottobre del I 971. A quest'altezza Satura era già uscita in volume (finito di stampare, gennaio /971); non solo, ma a parte la Botta e risposta/, del '6I eda tempo pubblicata, gli Xeniaportano/edate '64-'67 e sono in gran parte editi sparsamente tra il '67 e il '68, i testi di Satura vera e propria appartengono al '68-'70 e anch'essi sono in parte anticipati su giornali, riviste, ecc., nel medesimo biennio (v. la Bibliografia della Barile); la stessa prima parte del Diario del '71 e del '72 esce a sé già alla fine del '71. E allora? Il rapporto va sostanzialmente invertito. Senza dire che sia Montale che Sanguineti possono essere, e saranno, debitori verso un'ampia zona di poesia post-bellica per la quale viene ancora buono il nome di Giudici, in cui l'incursione ironica nei linguaggi della conversazione, tecnologico, pubblicitario, ecc., era già avvenuta da tempo, e con ottimi risultati. Ancora una volta il Bari/li non sa letteralmente quel che dice. Per ultimo, egli qualifica di "intento restaurativo" (vorrei sapere perché) anche il mio interesse per i dialettali, accusandomi "di non tracciare linee, di non distinguere." Ma tracciare linee e distinguere tra l'uno e l'altro poeta in dialetto è precisamente quanto io faccio con ostinazione, implicitamente nei cappelli, esplicitamente nellepagine apposite (LXVII ss.) de/l'introduzione. Di nuovo: incapacità di leggere o malafede? Distinguere non sa il Bari/li stesso, quando inserisce nella "linea Saba" Giotti e Marine, si badi bene, Noventa: solo chi non abbia mai letto una riga di quest'ultimo può pensarsi di aggregarlo a Saba. E beninteso, solo chi non abbia la minima sensibilità per lapoesia può liquidare in questo modo un poeta del valore e dell'originalità di Gioiti. Ma già per il Bari/li costoro sarebbero autori di "flebili esercitazioni liriche, che, se svolte in lingua, mostrerebbero allo scoperto i loro limiti e quindi la /pro insostenibilità:" dove emerge una divertente concezione naive del linguaggio come veste arbitraria e intercambiabile di un contenuto dato a priori. Anzi sarebbero "quasi altrettanti Saba voltati in dialetto e di conseguenza [corsivo mio), se possibile, ancor più dimessi epiani." A parte che Saba si rivolterà giustamente nella tomba a sentirsi così definito, è evidente che secondo il Bari/li il mezzo dialettale importa naturaliter stile dimessissimo e pianissimo, quando proprio l'intellettualistico e incapsulato Giotti sta a dimostrare luminosamente la possibilità del contrario, anche al difuori di un uso 'espressionistico' del dialetto. Il mio critico continua a parlare di cose che non conosce affatto. Ma a me .non interessava tanto indicare nella sua recensione un esempio di scarsa competenza scientifica quanto, assai più gravemente, un e.rempioflagrante di malco.\·twne intl'llcttu,lit'. Risposta a P. V. Mengaldo di Renato Barilli l'111re1 nl,111011ri· 11 mia ,·olta la palla e asst•rin•che anchl' una replica come quella di Mengaldo è ""inutilee disonesta." Inutile, perché. una volta emersa la grande distanza tra le nostre rispettive posizioni, tanto valeva lasciar decidere al lettore, senza aggiungere nuove battute a uno scontro già abbastanza netto e chiaroscurato. Ma anche disonesta, la replica, perché.è disonesto accusare qualcuno di essere disonesto, trasferendo sul piano morale un dibattito che vorrebbe essere di natura teorica, estetica, letteraria, e che tale rimaneva nelle m,ie consideraziqni. Ma, una volta espletata questa scara111uccia polemica d'obbligo, veniamo alla sostanza della cosa. Credo di poter rispon·dere rapidamente alle difese e alle controaccuse di Mengaldo, dimostrando che, semmai, certe contraddizioni e incoerenze erano già nel suo discorso, e che la mia recensione si limitava a metterle allo scoperto. Per comodità del lettore cercherò di essere molto schematico. Punto I. Mengaldo dice che non si proponeva di essere "neutro," e quindi il fatto di avere dichiarato tali le sue intenzioni sarebbe stato un mio pio desiderit1.No, io mi sono limitato a prendere atto di una sua asserzione iniziale (in fondo alla prima pagina dell'Introduzione): "Ciò che a mio avviso va il più possibile evitato, o conte,iuto, è il modo di procedere tipico delle-antologiepiù èaratterizzate da pretese "storicistiche," specie se contemporaneamente allestite in funzione di un punto di vista 'di parte'. Evitare di essere di parte vuol dire optare per l'imparzialità, vale a dire per la neutralità (che mi sembra un sinonimo lecito). Se ora Mengaldo af ferma che al contrario anche lui ha inteso _ essere parziale e polemico, alla buon'ora, questo era proprio il succo del mio ,ragionamento, che si è sempre di parte, anche quando si pretende di nbn esserlo. Punto 2. Crocianesino o no. Invito ancora a rileggere frasi decisive come la seguente (sempre da/1'/ntrod. p. 15): "Gli scopi di una crestomazia non coincidono con quelli di una storia della poesia ... Ma è veramente possibile fare storia della poesia ... in quanto tale?". Asserzioni che si saldano prontamente con un'altra, svolta in chiusura a tito· lo riassuntivo (p. 65), ove l'Autore ribadisce di aver inteso "assolutamente evitare di mettere l'accento su questa o quest'altra linea o tendenza ... Gli accenti battono sempre sugli individui e sui testi." Ora, una posizione crociana, in estetica e in critica letteraria, si rivela appunto nella pretesa di isolare l'individualità della poesia e nella condizione della sua refrattarietà a far corpo con elementi intersoggettivi. Che poi il crocianesimo preterintenzionale di Mengaldo non si accompagni a un'adesione ortodossa alla circolarità delle forme dello Spirito, al nesso dei distinti, ecc., questo lo posso ammettere; ma >evidentementea me interessava constatare una coincidenza di funzionamento dei due tipi di criticanel solo e ristretto ambito letterario. Quanto al/'inef [abilità degli individui, dei singoli atti poetici, anche se Mengaldo non usa la parola, ne dà però degli equivalenti abbastanza vicini, allorché la fa consistere (p. 17) "nella sua essenzapiù propria" nell"'affabu/azione del vissuto individuale." Punto 3, l'aspetto positivista e la sua convergenza con quello crociano. A questo proposito, Mengaldo fa dell'ironia sulla mia insipienza filoso fica, ricordando che lamentalità positivista credeva fortemente nelle classificazioni, e quindi non può essere accostata all'abito idealista-crociano di difesa degli individui. Sì, ma in entrambi i casi resta vero che classificazioni, tendenze, movimenti ecc. nascono post rem, sono cioè formazioni secondarie e derivate, puri schemi di comodo. Anche il crocianesimo si affrettava a riammettere scuole, tecniche, generi, pur• ché venissero assunti come strumenti accessori e utilitari. Tanto per stare alle formule filosofiche, la posizione da me seguita crede in vece che le poetiche siano in re, che cioè le idee, le tecniche, le assunzioni culturali facciano corpo con l'individuo poetico, con il testo, e non agiscano quindi in alcun modo da pre-testi, o da post-testi. Questo il punto che ci separa radicalmente. Punto 4, la glorificazione di Zanzotto. Per espressa dichiarazione, il mio discorso in proposito si al/argav, fino a prender dentro la notissima prefazi.;ne di Contini a Galateo in bosco, che ha contribuito a fissare una discendenza ufficiale e un trapasso dei poteri da Montale a/ poeta di Soligo. Le frasi di elogio e i riconoscimenti di un critico solitamente così parco come Contini hanno dato il la a una campagna di glorificazione sfrenata di questo poeta, svoltasi in decine di recensioni entusiastiche. Naturalmente, hanno fatto eccezione quelle di parte "avanguardista," il che conferma la giustezza del mio discorso rivolto a fare di Zanzotto una pietra di paragone per opposti schieramenti di parte. Punto 5, i rapporti Montale-Sanguineti. Qui Mengaldo cade in una inesatteza filologica. La svolta stilistica sanguinetiana, dal collagismo terroristico e ossessivo di Laborintus verso un tono che ho definito più conversevole e che poi mi sembra aver dato qualche spunto al Montale di Satura, avviene con Purgatorio de l'Inferno, già edito nel '64 (Triperuno ), e dunque di composizione anteriore (le poesie hanno tempi lunghi di formazione e di uscita). Andare a leggere per credere. Naturalmente, questo non intende portare a una limitazione de/l'ultimo Montale (appunto da Satura in poi), di cui al contrario personalmente faccio il massimo conto. Inoltre è bello e entusiasmante vedere che i grandi vecchi sanno trarre spunti dai giovani, e ben inteso esiste anche il reciproco. Ho definito infatti questo possibile scambio incrociato come un episodio "misterioso," o comunque molto fertile e suggestivo. Punto ultimo, la poesia dialettale. /I problema di stabilire se ci siano o no affinità di aura tra Saba, Gioiti e Noventa è ovviamente in buona misura relativo ai parametri che si assumono, come ogni questione che riguarda lasomiglianza o la dissimiglianza tra due oggetti. Al limite, chi vuole operare con un metodo dissociante può dimostrare che anche due gemelli sono diversissimi tra loro. Mengaldo, per il quale esistono solo individui, e che professa con orgoglio una specie di cecità verso la generalizzazioni, può ben sostenere che tra l'uno e l'altro di questi tre poeti si aprono appunto abissi di diversità. lo invece vi colgo un'affinità di tono, di tematica, di soluzioni stilistiche, ribadisco che essi costituiscono una tendenza, o almeno una polarità, e che rientra nello spirito di parte del discorso mengaldiano incoraggiare, sostenere, incrementare tale linea. Quanto al ruolo del dialetto, non credo di essere il solo a ritenere che esso costituisca molte volte, anche se non sempre, una carta regressiva, per continuare a fare cose che non si potrebbero più fare in lingua, o che, se fatte in essa, rivelerebbero meglio certi limiti. ...

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