CJ è il problema. anzitutto. dell"uovoe della gallina. Che cos'è venuto prima. il nostro abbandono del Divino o l'abbandono da parte di Dio? E la percezione del Numinoso segue o precede la scoperta dei fenomeni naturali. la formulazione del Mito? Nel suo saggio Sulle Fiabe ( 1938). Tolkien analizza il rapporto fra Dio e Natura. fra alta e bassa mitologia. partendo dal caso del dio norreno Thòrr (Tuono). raffigurato come un agricoltore barbuto e irascibile; e sostiene che non avrebbe senso chiedersi che cosa sia venuto prima. l'allegoria personalizzata del tuono o l'aneddoto su un agricoltore vendicativo. Thòrr abbassato a immagine dell'uomo o il contadino ingigantito a proporzioni sovrumane: "è più ragionevole supporre che l'agricoltore sia saltato fuori nel momento stesso in cui Tuono ebbe una voce e un volto; che ci fosse un lontano brontolio di tuono tra le colline ogniqualvolta un narratore udiva un agricoltore preda dell'ira." Tolkien. è chiaro, sta cercando di ricondurre a una stessa matrice mito e religione. in polemica con il positivismo degli studiosi che. come Andrew Lang. si erano preoccupati di separarli; allo stesso modo in cui. in una precedente lecture, aveva ridato diritto di cittadinanza nella filologia germanica al Male e ali' Inverosimile (es. i mostri di Beowulf) validamente combattuti da W. P. Ker e da altri. Ma è evidente che per capire il Tolkien del Silmarillion (e. retrospettivamente. tutto Tolkien) occorre rovesciare i concetti di "prima" e di "dopo." di "salita" e di "discesa." Per questo. curiosamente. può aiutarci Pavel Florenskij (18821943?). filosofo. matematico. fisico e poeta, scomparso in un lager staliniano. il cui studio sulla pittura delle icone. Le porte regali, parte di un'incompiuta Filosofia del culto (1922). è apparso in Italia. anche questa volta, grazie a Elémire Zolla. Secondo quest'ultimo. Florenskij è il solo in tutta la filosofia europea a saper formulare "con la precisione dei metafisici dell'Iran" la natura del "mondo intermedio." che sarebbe poi l'immagine: ma la definizione non spiacerebbe al Tolkien annalista della "middangeard" o "middle-earth." Finestra sull'invisibile. segno o trascrizione materiale di una visione celeste, l'icona si situa al confine. come il sogno che sta al "valico fra ilsonno e la veglia." ed è tributaria di entrambe le sponde: simbolo di lassù se siamo noi a vederla, di quaggiù se vista con ottica extraumana; e va da sé che si contrappone a tutto lo sviluppo della pittura dal Rinascimento in poi. Ma come il tempo reale nei sogni si rovescia e si capovolge. procedendo incontro al presente. verso un "culmine" che è anche l'evento reale che l'ha originato. cosi nella creazione artistica l'autore non deve proporci la propria salita o ascesi. intrisa di scaglie dell'esistenza diurna; dovrà invece cogliere per noi "il cristallizzarsi sul confine dei mondi della vita mistica," e cioè la discesa. i "sogni antelucani." "portati dal refrigerio dell'azzurro eterno". La Caduta. in questo senso, sarà solo l'accelerarsi di un movimento inevitabile, e riprodurla equivarrà a un atto di fede: ché la caduta come corruzione si unisce, paradossale e luminosa, alla caduta-rivelazione; e diviene il solo modo a nostra disposizione per liberarci delle scaglie e dei detriti. Certo, al posto delle icone per Tolkien non dovremo mettere le immagini, la materializzazione grafica o colorata della luce della fiaba: al contrario, come chiarisce una nota di Albero e foglia, le illustrazioni risultano sempre riduttive e arbitrarie nei confronti della fantasia; e forse è un bene che lo scrittore non abbia fatto in tempo a vedere il film d'animazione che Ralph Bakshi, quello di Fritz il gatto, ha ricavato dal Signore degli anelli. All'icona corrisponde il Nome, la pura evocazione e definizione immediata della Divinità {del resto, anche per Florenskij le più perfette fra le icone, a esempio quelle del grande Andrej Rublev celebrato da Tarkovskij, sono una sorta di trascrizionea coloridelNomediDio;non "pittura" ma "rimozione" di tutto ciò che di quel Nome-Volto ci velava la luce): dunque, quanto, ci occorre sapere è Thòrr-Tuono, che contiene il lontano brontolio e il volto del contadino che lo incarna; tutto il resto, qualificativi o predicati, sarebbe aggiunta irrilevante e pericolosa. È vero che nel Silmarillion l'onomastica pone notevoli problemi, specie a chi non sia esperto di Alto Elfico Quenya o di suoni Sildarin con le relative modificazioni e varianti: non è facile. si lamentava· R.M. Adams. "tener distinti Elende da Elendir figlio di Amandil . ed entrambi da Elendur figlio di lsildur. mentre Elrond. Elros. Eluréd ed Elurin fanno capolino ogni tanto qua e là." Ma è colpa nostra. e nostra l'incapacità a servirci di questa "gruccia spirituale." come la chiamerebbe Florenskij: dopo tutto. il Nome è la nota originaria. quella da cui (con le cautele del caso) si possono poi. in un secondo tempo. far derivare le melodie. e rinunciava al Quadro; ma ricorre pur sempre a suoni e colori inguaribilmente sensuali. di un cattolicesimo latino e poco ascetico: dopo tutto. non era proprio il suono dell'organo il suo massimo esempio di purezza. quando l'intellettuale Steiner eseguiva a piedi pedali la Toccata e fuga in re minore nella chiesa della Dolce vita [ I960]?) Più coerente. Tolkien esclude connotazioni spurie. ambigue o compromesse: e questo dopo aver teorizzato. nel saggio sulle fiabe. il valore seminale dell'aggettivo {"la mente che pensò leggero, pesante, grigio, giallo, immobile, veloce, concepì anche la magia atta a rendere le cose leggere e atte a volare. a trasformare il grigio piombo in giallo oro[ ...]"). Del resto. nei suoi primi romanzi Tolkien sceglie i qualificativi in modo piatto e scontato. del genere che Osip Brik chiamerebbe "epiteto indifferente": la notte è cupa. le pendici scoscese. il pasto frugale. il brivido gelido. l'ombra di Aragorn vigile e silente; davvero nessun grande scrittore si è mai comportato in modo cosi banale. a meno che non abbia ragione l'autore americano di fantasy Peter S. Beagle. che ammette di averlo imitato ma lo considera "uno scrittore di genio. e non un grande scrittore." (6) Comunque sia. nel Silmarillion ci muoviamo. timidi e silenziosi come hobbit dai piedi felpati. in un terreno tura. e la luce bianca decomposta." "Nel quel caso non è più bianca." dissi. "E colui che rompe un oggetto per scoprire cos'è ha abbandonato il sentiero della saggezza." Lungo la via opposta. quella del Peccato e della notte. troveremo allora la Scrittura. evidentemente uno di quei doni ingombranti non solo scomodi ma pericolosi: come l'Anello che Bilbo sottrae a Gollum e che risulta prezioso per il successo della Riconquista del Tesoro. mentre poi per Frodo. nel ciclo sucessivo. si trasforma in una patata bollente di cui ci si deve liberare al più presto. pena la sinistra trasparenza di certe parti del corpo e la definitiva schiavitù dell'anima alle tenebre di Mordor. O come i Silmaril. che conservano. unici. il fulgore dei Due Alberi di Valinor. ma che bruciano la mano che li tocca. e inducono Feanor e i suoi sette figli a nefasti giuramenti e guerre disastrose. È significativo che nella maggior parte delle fiabe l'intrinseca pericolosità del mezzo fatato. o la moralità discutibile del donatore. non impediscano che l'eroe ne tragga pieno vantaggio: anche nel Flauto magico (un esempio ovvio) la tardiva scoperta che la Regina della Notte e le sue emissarie sono dalla parte del torto non sconsiglia a Tamino di ricorrere al flauto donatogli dalle tre S i comincia già nello Hobbit, a esempio quando Bilbo. mandato in avanscoperta dai Nani. incontra i temibili Troll (Uomini Neri nell'edizione italiana): delle loro abitudini né noi né Bilbo. presumibilmente. sappiamo gran che. ma alla fine (provvidenziale) dell'episodio veniamo avvertiti che. essendosi troppo attardati. iTroll impietriscono e rimangono di sasso. finché un uccello non si posi su di loro: "perché. come probabilmente saprete, gli Uomini Neri devono trovarsi sottoterra prima dell'alba." Certo. è più o meno quanto ci accade al momento in cui iniziamo a leggere un libro qualsiasi: venendo informati che la marchesa esce alle cinque o che un giovanotto dall'alto di una collina sta guardando un ponte vicino a Segovia. siamo già preparati a non stupirci. a fingere di aver sempre saputo che la marchesa va a trovare l'amante a quell'ora o che il giovanotto è un volontario americano nella guerra di Spagna giunto da Madrid con l'incarico di far saltare quel ponte. Ma in un libro fantastico un procedimento del genere. nonostante le apparenze. rischia di sostituire all'esitazione teorizzata da Todorov una specie di falsa certezza. o comunque di regola generale: non appena sappiamo qualcosa di un troll. di un elfo. di un nano o di uno hobbit veniamo informati che tale è il comportamento abituale dell'intera categoria. e ogni messaggio si salda. per cosi dire. a una funzione codificante. ogni atto di parola alla langue che lo sottende. (Ne deriva. fra parentesi. e anche nel Signore degli anelli dove i contorni sono meno netti. la possibilità aprioristica di dividere buoni e cattivi in modo manicheo. con procedimento che piace molto a Zolla e suscita amichevoli perplessità in W.H. Auden.) (5) // Silmarillion. poi. ci conduce a un universo pre-cronologico. al di là delle "porte regali." dove le Presenze sono contenute nel loro nome (o nei loro nomi: a peggiorare le cose per i lettori come Adams. personaggi. spade. popoli. cavalli e regioni vengono ribattezzati di continuo a seconda del loro comportamento o degli umori altrui); e quel che probabilmente sapremo. o dovremmo sapere. aumenta in modo vertigino o senza nemmeno che il beffardo inciso venga a ricordarcelo. Esistono solo l'Uno e i suoi Ainur. ma si parla dei "Figli di llùvatar." che non sono affatto i secondi. come si scoprirà tre o quattro pagine più avanti; lo stesso llùvatar a pagina 43 promette mari e monti ai Quendi e agli Atani, che noi non conosciamo: sono appunto i suoi figli. e ben diversi gli uni dagli altri. come sapremo a pagina 53. Queste anticipazioni professionalmente e narratologicamente scorrette ci spingono ad andare avanti (magari fino alla fine del libro e al mai abbastanza lodato glossario di Christopher Tolkien) mentre in realtà si riferiscono a una conoscenza che avremmo dovuto avere più addietro, in una fase precedente della nostra discesa o caduta: quando la pagina di Tolkien. priva anche di nomi e del Nome di Ilùvatar. era completamente bianca. Mario Mieli, "Kracatoa." Attori: Adsona e Mario Mieli U n eccesso di chiarimenti e di specificazioni sarebbe un modo troppo pericoloso di sottolineare la Caduta. di divenirne corresponsabili; o forse un tentativo di sostituire alla perfezione originaria allettamenti frivolie profani.come i coloria olioo i suoni dell'organo, che per Florenskij sono cosi grassi e cattolici e sensuosi. cosi lontani comunque dalla purezza astratta della vera visione. (Di qui, fra l'altro. le contraddizioni di Fellini; che in Prova d'orchestra condanna, sì, la "bella confusione" e la dissonanza, ribadisce a tutte lettere la Musica originaria. fornendo una sorta di palinodia di quel suo cinema precedente e conciliante che. come Otto e mezzo. [1962]. si accontentava del frammento diverso rispetto a quella genialità o a quella grandezza. così ricche di felici risultati sul piano della densità e dell'intensità narrative: siamo in un mondo di Nomi e di essenze, di spazi vuoti e di pietre lisce e di "parole concise senza canto," dove la bianchezza immacolata dei Valar e dei primogeniti di llùvatar non tollererebbe ombre né suoni né colori. immediato indice di sospetto tradimento. Vi fanno capolino. d'accordo, dei nani concepiti troppo presto. e nascosti sottoterra, degli Uomini che in rari casi possono vedere il fulgore degli Elfi o mescolarsi a essi: ma tutto ciò è parte della caduta, condizionenecessariaperchè il processo di discesa possa continuare giù giù fino a noi. Anche nel Signore degli anelli, a ben pensarci. lo stregone Gandalf narra di aver cominciato a sospettare di Saruman quando scopre che le sue vesti non erano più bianche, ma "tessute di tutti i colori": "Preferivo il bianco." dissi. "Bianco!." sogghignò. "Serve come base. Il tessuto bianco può essere tinto. La pagina bianca ricoperta di scrit- ,,., i.· ' alfabeto n. 2, giugno 1979 pagina 12 dame per ammansire le belve, o a Papageno di servirsi del suo Glockenspiel, di analoga provenienza; mentre nel Diavolo nella bottiglia, per citare ancora un autore non troppo amato da Tolkien, il marinaio hawaiano Keawe, prima di liberarsi del suo terribile acquisto di San Francisco, lo impiega per costruirsi una bella casa in collina, trovare moglie e guarire dalla lebbra. Evidentemente Mozart, Schikaneder e lo stesso Stevenson potevano ancora contare su un certo ottimismo pragmatico che a Tolkien, invece, fa difetto; o che ai nostri giorni non si trova più tanto facilmente. Non si tratta di pure e sempliciremorereligiose,ché lamitologia personale di Tolkien, pur essendo in definitiva di segno opposto rispetto a quella di un Blake o di un Nietzsche (non foss'altro perché, nota soddisfatto Zolla, pone Eros come alleato di Thanatos e nemico della salvezza dell'uomo) contiene alla fin fine una buona venatura blasfema: non è bestemmia questa "subcreazione" disposta a competere con la Creazione tout court, o comunque a raddoppiarla ipotizzando un suo alfabeto originario. un principio del Tempo. una Fonte primaria di tutte le fonti? Forse le paure sono d'altro tipo (le tenebre. ie tentazioni. il Femminile. il Rimosso): e questa Grande Avventura dalla morale così poco eroica non ha altro correlativo ideale o "positivo" che una buona serata fra amici dotti e saggi, accanto al caminetto. fumando l'erbapipa. su uno sfondo che assomiglia terribilmente a quello di un college oxfordiano (a un Faculty Meeting. più che a elfi o a hobbit. si pensa irresistibilmente nella Comagnia dell'Anello quando. la sera prima del Consiglio di Elrond. Frodo si attarda a chiacchierare con un Bilbo ormai invecchiato e in pensione. finché Sam bussa rispettoso: "Chiedo scusa ... Signore. c'è un consiglio domattina presto. e voi oggi vi siete alzato per la prima volta"). Fondamentalmente masochistica come tutte le favole di paura. la fantasy in versione Tolkien è un viaggio immaginario che ci espone a ombre e inquietudini ben riconoscibili. forse per aiutarci a esorcizzarle: e lo Specchio di Galadriel rivela l'Occhio di Sauron. quasi a ricordarci che guardare può significare anche essere guardati (o, nel concerto fellin;ano. ascoltare equivale a essere ascoltati). Questo Occhio malvagio e terribile, come la gigantesca palla di cemento che compare nel finale del film di Fellini. è una tipica fantasia autopunitiva; è anche. senza dubbio. la definitiva incarnazione del Numinoso. molto più credibile di quell'Eru-Uno-Ilùvatar che troppo presto esce dal quadro e sparisce ammantato dalla sua superiorità e dalla sua infinita potenza dopo aver scatenato tanti guai. Non per questo dobbiamo rassegnarci a uscire dal Nobile Castello. lasciando Tolkien alla sua eletta compagnia: c'è da sospettare. piuttosto. che i veri reazionari siano proprio quelli che dimenticano ogni risvolto notturno e angoscioso, e c'invitano a gloriosi "superamenti"; mentre Tolkien - come probabilmente saprete - ha parlato. in definitiva. per tutti noi. ( 1) Per l'interpretazione "religiosa" del film di Fellini, sono indebitato con un saggio inedito di Piero Crovetto. ( 2) Ho scelto Richard M. Adams (the Hobbit Habit, New Tork Review of Boolcs, XXIV, 19, 24 novembre 1977) come rappresentante qualificato di una tendenza (moderatamente) anti-Tolkien, che com'è noto ha il suo leader, o meglio lo aveva, in Edmund Wilson. Della sterminata schiera degli studiosi apologetici, mi riferisco a Randal Helms, Tolkien's World, London, Thames & Hudson, 1974 (un libro eccellente), e a Paul H. Kocher, Master of MiddkEarth, The Achievmienr of J.R.R. Tolkien, London, Thames& Hudson, 1972: in particolare, per le differenze fra Hobbil e lord oftM Rings, rispettivamentea p. 62 e a p.26 (ma il primo dedica ampi capitoli alle somiglianze apparenti, e alle "ripetizioni differenti" fra i due libri). (3) La fase è nella "lecture" On Fairystories (I 938), ora in Treeand Leaf(l 955). Per comodità del lettore, tutte le frasi di Tolkien che ho qui citato provengono da edizioni italiane, e precisamente: lo hobbit (Milano, Adelphi, 1973, trad. Elena Jeronimidis Conte); Albero e foglia (Milano, Rusconi, 1976, trad, Francesco Saba Sardi); li Signoredeglianelli (Milano, Rusconi, 1977, trad. Vicky Alliata di Villafranca: le osservazioni di Elfmire Zolla cui si fa riferimento derivano dall'introduzione a questa edizione); e naturalmente li Silmarillion, per cui vedi in testa all'articolo. ( 4) li brano di Helms è nel volume citato alla nota 2, pp. 60-61; quello di Hugh T. Keenan, "The Appeal of The lord of tM Rings: a Struggle for Life" è in Tollden ami the crilics, a cura di N. D. lsaacs e R. A. Zimbardo. Notre Dame U.P., 1971. (') li saggio di Auden ("Good and Evil in The lord of the Rings"), è in Crilica/ QUJirterly, voi. 1 O, n. 1/2, primavera-estate 1968. ( 6) Peter S. Beagle, autore di The lAsr Unicom (1968), e cioè di un romanzo di fantasy mollo più "americano" e "femminile," è anche lo sceneggiatore di The Lord of the Rings, il film di Bakshi (1978). La frase riportata è in una conversazione del 1978 con Franco La Polla, d'imminente pubblicazione sulla rivista Paragone.
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