parole. dello slittamento del senso. Che tale opzione avvenga in generale non attraverso un 'estasi o uno scatenamento. attraverso ciò che fa identificazione totale ma ciò che residua. che testimonia l'eterogeneità, credo sia un tratto da assumere come abbastanza distintivo e base sufficiente per qualche analisi. Se valgono le teorie. una teoria del residuo potrebbe venire applicata con utilità anche nell'ideale laboratorio costituito dagli autori conglobati in antologia di gruppo comeLa parola innamorata e Il pubblico della poesia o nelle edizioni Geiger. ma anche nei Quaderni della Fenice e in certi numeri dell'Almanacco dello Specchio. Q ualcosa cambia. sta cambiando. di coscienza e di politica nell'attività poetica. Fare l'esame di coscienza degli scrittori è abbastanza fatuo. almeno quanto chiedergli di mostrare la lingua per accertarsi della loro buona salute. Ma ecco che poi questi scrittori mostrano davvero la lingua e anche la coscienza: tanto meglio se la lingua è entravée. trasversale. piegata all'indietro. se è cattiva come la cattiva coscienza. Questa coscienza si enuncia pressappoco così: che il linguaggio fa tutt'uno con quel corpo a pezzi. quel corpo frantumato in zone erogene. in carichi pulsionali, che Freud ha iscritto irrimediabilmente sotto il Monumento del Linguaggio. Per tale corrispondenza biunivoca. il testo. qualunque testo. non simboleggia semplicemente ma è quel corpo quadrigliato contemporaneamente dal senso e dal non-senso. Ogni pulsione. nominata. è difatti un senso. tende a conferire un senso al corpo (e sarà il senso dell'isterico. dell'ossesso, del fobico. ecc.). ma le loro vicissitudini. il loro gioco reciproco capovolgono i sensi. li mescolano, ne producono dei nuovi. È la scrittura che identifica questi tragitti. L'immagine del linguaggio come istituzione ossia monumento (la langue) rinvia al ben noto sogno citato da Freud nella Traumdeutung, quello del «non vixit», il cui meccanismo mette a profitto una sentenza incisa appunto sul monumento dell'imperatore Giuseppe a Vienna - in effetti con una svista. Freud ha letto bene l'iscrizione ma l'ha usata male nel sogno, se si dà retta alla lingua-istituto. Però s~può sostenere esattamente il contrario: è la scrittura del sogno, come la scrittura della poesia, che estrae dal linguaggiomonumento il linguaggio pulsionale. il linguaggio-evento o realtà. Brutalmente condensando. un processo di tale genere è leggibile nel modo di fare poesia di Cesare Viviani (l'ostrabismo o cara. Piumana). che è uno dei nuovi che propone soluzioni veramente nuove. Piumana. ad esempio. è una combinazione leggera e insieme assai coerente e necessaria. di apparati ottici. fonici. di articolazioni e destrutturazioni. L'istituto linguistico non vi è violentemente denegato o fatto esplodere ma sciolto. direi con l'ironia. con la dolcezza e perfino con la distrazione propria di chi sa ciò che vuole. Per una serie di aperture e chiusure di circuiti. la lingua «convenzionale» si scopre diversa. si ascolta e si fa . ascoltare come diversa. aliena. passata a un'altro sistema: con effetti gravemente turbativi e straordinariamente gratificanti. La pratica perversa di Viviani (rottura della parola in segmenti. riaggregazione aberrante dei segmenti. congiunzione di desinenze «legali» a un radicale eslege. ecc.: cioè un lavoro «endopolarizzato») non basta a rendere ragione della eccezionale fluidità e leggibilità alternativa di questa poesia. se non ci si convinca finalmente che la sua retorica agisce sul bordo stesso conscio-inconscio; retorica del lapsus. dell'atto mancato. Che Viviani sia in grado di scavalcare il proprio stesso meccanismo. lo provano i versi recentissimi comparsi in Spirali sotto il titolosoave Maria: dove lo scorrimento dei sintagmi non l'uno dopo l'altro. ma l'uno dentro e fuori dall'altro. è talmente nitido. così lubrificato da depistare a prima vista ogni tentativo di cogliere il punto dove si formano condensazioni e spostamenti. Quel punto è davvero onirico; e un linguaggio erotico sembra finalmente raggiunto. che oltretutto apre larghe promesse per l'avvenire. Il volume ancora fresco della Minusgrafie ha il merito di presentare certi risultati radicali dell'attività di Cesare Ruffato (se ci si rifà agli anteriori Cuorema. Caro ibrido amore). Non basta l'accenno al ricorso ad un linguaggio specialistico. nel caso medico. biologico. più pertinente in Ruffato per ovvia qualità professionale; né la sospensione. dentro un linguaggio violentemente denotato fino alla coazione fonica. al paragramma. ecc.. di lembi. lacerti della parlata quotidiana. giornalistica o no; né il dominio della frase nominale. Ciò che compare in queste pagine è una sorta di ostinata prevalenza del sintagmatico sul paradigmatico. Voglio dire: in Minusgrafie la selezione dei linguaggi. delle coalescenze verbali. delle condensazioni figurali sembra già pregressa. acquisita: è sugli accostamenti lungo il tapis roulant del discorso. che ha ormai saltato la frase. che viene a ricadere ogni possibile intenzionalità; posto che la sola legittima sia proprio uno slittare fuori. un deporsi di microdifferenze. Anche la sintassi «normale» sta ormai alle spalle di questa poesia: le «secrezioni del linguaggio». liberando spazi come un corpo libera energia o calore. e impadronendosene. ipotizzano una topologia metasintattica. ancora tutta da verificare. D al decoupage al ricollegamento, lavorano molti degli autori assemblati in un'antologia di gruppo come La parola innamorata: tuttavia non li si dichiarerà tutti bigi soltanto perché gli enunciati teoretici introduttivi al volume minacciano di sfociare nell'indistinto di un «principio di piacere» che non scavalca semplicemente il linguistico. il simbolico, il semiotico (dico nel particolare valore kristeviano). ma si propone come ultima spiaggia l'identificazione. non già con le cose. ma di tutto il soggetto con tutto il gusto o piacere del suo enunciato. La danza. come la suggerisce Giuseppe Conte. sarà la metafora d'ogni metafora. non il Significante primario ma il Godimento primario di una confusione autoerotica? Ma. se è lecito essere rozzi. la poesia sembra poi soprattutto una differenza. un residuo del linguaggio nel linguaggio; e il soggetto si regge proprio sulla sua scissura. La conversione della metafora in metamorfosi è l'enunciato teorico, o modo teorico. sottoscritto a tutto un gruppo di testi: si rimanda. per vederci più chiaro. a quel capitolo affascinante che sta in Massa e potere di Elias Canetti. La figura è lo «stato ultimo della Waher M11rclre11i metamorfosi»: essa arresta per un momento la fluidità metamorfica ma senza distruggerla. esprimendo al tempo stesso il processo di trasformazione e il suo risultato. In Angelo Maugeri (Mappa migratoria e Verbale di slcomparsa) il lettore può notare una coerenza di lavoro in questa direzione e soprattutto risultati molto positivi. Mi riferisco in particolare alla raccolta / sensi meravigliosi uscita ora in uno dei Quaderni della Fenice. Se uno dei sintomi espressivi di Maugeri era stata la messa fra parentesi della lettera di una parola. così che in quel punto. cancellato eppure essenziale. potessero incrociarsi. nell'ambiguità di due o più vocali. differenti catene significanti. che pertanto spostavano. trasformavano nonché il sintagma. l'intera poesia; nei Sensi meravigliosi tale pratica. che in qualche modo corrisponde all'economia del feticcio. cioè al compromesso fra una percezione e la sua cancellazione. si allarga· a una finalità di costruzione. sintattica. Intere sequenze si collocano dentro quelle parentesi e il loro rapporto con le altre zone del testo non è di separazione o opposizione, bensì di continuità. di prolungamento. La figura non coagula più il momento della metamorfosi: rovesciata sulla sintassi, anche la più semplice. per asindeto, essa fugge continuamente («col cuore in gola per un tempo troppo lungo / nel cuore della notte con l'acqua alla gola/ e il braccio fatalmente il sinistro/ formicola s'intorpidisce (...]»). Allargando la rassegna. occorrerebbe fermarsi anche sul movimento non stop della macrofrase di Angelo Lumelli; o sul contagio intrafrastico. l'ironica accelerazione dei minimi elementi linguistici di Enrico Casaccia; sugli esperimenti di Tomaso Kemeny. La suggestione di Nanni Cagnone è una freddezza folgorante: una post-razionalità che ha saccheggiato tutte (sembra) le risorse del linguaggio. mette a piè di muro -au pied de la lettre?- l'utente. Su altri versanti. onestà e debito personale di lettore obbligano almeno a citare, giustificandosene con la loro già ampia notorietà, Adriano Spatola e Giulia Niccolai (di cui si può delibare sull'ultimo Verri, n. 9. un eccellente estratto di romanzo). Come capita ad ogni discorso troppo largo. anche questo si restringe alla fine. fa rigagnolo o meglio treccia. «Treccia» è dopotutto metafora conveniente, se è vero che le voci degli autori citati (e anche non citati: secondo momentaneo gusto dell'estensore e sua labilità mnemonica) s'intricano, si combinano, danno luogo a una tessitura o a un «campo di tensione». Anche questo ragguaglio piuttosto corsivo e limitato in tanto avrà qualche valore in quanto si unisca. come minimo elemento. a quel campo. Come rispetto o dispetto del testo: nel quale - per saccheggiare ancora Maria Corti - «tutto si mette a interagire. ogni elemento ubbidisce a qualcosa d'altro (...) e tutti gli elementi sono importanti· [...)» (Il viaggio testuale. Torino. Einaudi. 1978. p.8). alfabeto n.l, maggio 1979, pagina 13
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