l'antologiade~I.r~e;staurazione Pier Vincenzo Mengaldo Poeti italiani del ovecento Milano. Mondadori. 1978 pp. 1096, lire 15.000 L a misura dell'antologia è altamente congeniale alla vita della poesia. fino a fare con essa una specie di corpo unico. Se ripercorriamo la storia delle ricerche poetiche del nostro secolo. constatiamo appunto che le tappe principali vi sono segnate da altrettante antologie. Basterà ricordare. alla rinfusa. i Lirici nuovi e poi Lirica del Novecento, Quarta generazione, Linea lombarda, i Novissimi. le imprese di Contini e di Sanguineti, e infine La parola innamorata. O. detto inversamente. quasi mai un'antologia di poesia è rimasta al livello di strumento inerte. puramente di comodo, fatto solo per veicolare notizie e informazioni. Le esigenze interne e costitutive obbligano infatti il curatore a effettuare inclusioni ed esclusioni. a dichiarare criteri, regole del gioco; potrà tentare di farlo in punta di piedi e sottovoce, ma anche cosi. l'adozione di un tale modo di comportarsi diventa significativa ed equivale alla scelta di una strategia. sorretta dai suoi buoni motivi. L'antologia di Pier Vincenzo Mengaldo non fa certo eccezione a questa specie di legge. e quindi da sbiadita e neutra quale voleva propor.;i, è assurta invece a un ruolo polemico e a una diretta assunzione di responsabilità, individuando per sé uno spazio preciso da occupare: lo spazio della restaurazione. di cui tanto si parla. in molti casi anche a sproposito. ma che almeno questa volta si concretizza come meglio non potrebbe. risolvendosi anche in un partito preso anti-avanguardistico. Se a Mengaldo bisogna riconoscere un merito di lucidità. questo sta appunto nell'aver decrittato con acume tutti i punti-forza su cui regge una letteratura che si voglia sperimentale. di ricerca. di laboratorio. e di aver tentato di distruggerli. o quanto meno di azzerarli. E questo con l'aria di chi non vuole scendere scopertamente in campo. non accetta polemiche. ma si attiene semplicemente a criteri neutri. di solido buon senso. Solo che. su questo punto oggi dovremmo essere tutti ben avvertiti. non esiste la neutralità. o meglio. essa è sempre «ideologica>. nasconde dei partiti presi peggiori di quelli che vengono dichiarati con grinta polemica. Non c'è nulla di più viziato e pregiudicato dell'appellarsi al buon senso. al senso comune. Vedremo invece che Mengaldo cumula simultaneamente due delle peggiori forme di buon senso reperibili nella cultura contemporanea: da un lato. il crocianesimo. vale a dire la poesia come dono. qualità. nucleo ineffabile; e molti forse ricorderanno che il Breviario di estetica si apre proprio con la dichiarazione falso-innocente «l'arte è ciò che tutti sanno che cosa sia>. Dall"altro lato. un certo positivismo. vecchio e nuovo. vale a dire il culto degli individui. e il timore che ogni generalizzazione sia indebita. fittizia. sovrastrutturale. Crocianesimo e positivismo sembrano opposti. ma in realtà si alimentano reciprocamente. concordano nella rigida spartizione tra poesia e non poesia. e nella convinzione che tra l'una e l'altra non siano possibili mediazioni. Lo «spirito delle avanguardie> è invece tutto l'opposto: esso nasce quando ci si propone di andare a vedere che cosa ci sia dentro la poesia. partendo dall'assunto che questa non corrisponde affatto a un misterioso stato di grazia. ma si fa assumendo ipotesi. programmi di lavoro; che insomma essa si deve costruire come ogni altro oggetto culturale. e che l'atto del costruirla appartiene alla storia. ne è imbevuto. con l'obbligo connesso di mutare criteri e strumenti di elaborazione col mutare delle varie situazioni. A ciò va aggiunta la convinzione. anch'essa propria delle avanguardie letterarie e artistiche. circa il carattere super-individuale della ricerca: le idee non hanno una proprietà unica e strettamente personale: ci potranno sì essere declinazioni personali. ma a partire da punti di aggregazione comuni. tanto più forti e incisivi quanto più capaci di fare proseliti e di venire ripresi e applicati da altri. Contro tutto ciò. Mengaldo si arma di una specie di bisturi onde recidere la continuità tra i «valori poetici obiettivamente realizzati>. (p. 14; la «poesia>. si sarebbe detto ai tempi di Croce) e ogni suo possibile prolungamento: la poetica. le idee. il tessuto connettivo. Una paura insomma. anch'essa molto crociana. di cadere nel tipico. tanto da dichiarare di voler scegliere di ogni poeta i momenti atipici. meno riconoscibili. li taglio più vistoso e cruento è quello che pretende di scindere il nucleo antologico propriamente detto. nel suo senso etimologico (la raccolta dei fiori) dalla possibilità che ciò obblighi a fare storia della poesia. A questo proposito Mengaldo si lascia sfuggire un interrogativo che sembra ricalcato pari pari da qualche passo del Breviario o dell'Estetica: «è possibile fare storia della poesia [...] in quanto tale?> (p. 17). Ma siccome quel che è troppo è troppo, egli procura successivamente di imbrogliare le piste. Croce, si sa, continua a godere di cattiva stampa, la restaurazione non è ancora giunta a rilanciarlo. e infatti Mengaldo chiude attentamente verso di lui, non se ne lascia mai scappare il nome: meritandosi a questo proposito una tirata di giacca da parte di un ammiratore inopportuno. il compianto Ferdinando Giannessi. che recensendo quest'opera sul Giorno. rimproverava appunto l'antologista di reticenza. o di rimozione verso"il pur incombente e risucchiante modello crociano. Fatto sta che Mengaldo si affretta a sostenere la dichiarata impossibilità di storicizzare la poesia con criteri di altra natura: non più qualitativi. al modo crociano (poesia e storia sarebbero incompatibili per natura). bensì quantitativi (sono tali e tante le connessioni richieste per storicizzare la poesia. per aprirla a un contesto internazionale e collegarla a fattori di ordine filosofico. sociologico. politico-economico. ecc.). che è meglio rinunciare in partenza. attenendosi saggiamente agli individui. gli unici certi e indubitabili; ecco quindi profilarsi il criterio positivista che. come notavamo sopra. si aggiunge a quello idealista. in una sostanziale collusione. I risultati. li conoscono già tutti: ciò implica la clamorosa sconfessione degli «ismi>. dei raggruppamenti. di ogni spinta verso il super-individuale e il collettivo. Crepuscolarismo. futurismo. ermetismo escono di scena; al loro posto subentra uno sbriciolio atomico di presenze irrelate: è come disciogliere ogni collante. recidere barbe e rizomi. impedire flussi di simpatia o di antipatia. spegnere il campo elettromagnetico e i suoi moti di attrazione-repulsione. L'antologista tenta di giustificare questa sua idiosincrasia per la dimensione generale-collettiva invocando il solito criterio di neutralità oggettiva: scorgere dei movimenti. delle tendenze. sarebbe come abbandonarsi ad un imperdonabile intervento soggettivo. legato all'arbitrio del critico o del curatore. Ma è un'epistemologia ben rozza. quella che al giorno d'oggi pretende ancora di distinguere tra il soggettivo e l'oggettivo: come se non sapessimo che l'uno è impastato dell'altro. che l'oggettività pura è un mito inverificabile. una «falsa coscienza>. un paravento ideologico per nascondere altri giochi. Qui. come ormai si è visto. si tratta in realtà di respingere l'aborrito criterio generalizzante. bollandolo con l'accusa di soggettività. Come se non fossero a ugual titolo soggettive le scelte cui bene o male deve pur giungere lo stesso Mengaldo. Bisogna infatti assegnare un ordine ai propri materiali. Giustizia e onestà avrebbero voluto che egli si spingesse al limite estremo. ordinando i poeti del nostro Novecento secondo le pure e semplici date di nascita. for.;euno dei pochi criteri di quasi assoluta oggettività. Ma questa gli sarebbe sembrata. evidentemente. una soluzione povera. troppo poco «firmata». e allora egli ha preferito imboccarne un'altra. ove tuttavia il tasso di soggettività aumenta inesorabilmente con l'aumento stesso del quoziente di complicazione. Gli autori infatti sono dati nell'ordine cronologico di uscita delle «opere prime» che fossero già abbastanza significativedel loro valore: ma in ciò è implicato evidentemente il criterio soggettivo di decidere quale sia stata. per ogni autore. l'opera già compiutamente significativa e rivelatrice. Inoltre si aggiunge la circostanza filologica che non sempre la data di stampa di una raccolta coincide con la data di effettiva stesura dei testi. In realtà. quello che premeva a Mengaldo era di sconvolgere un ordine di lettura condotto per gruppi e tendenze. per nuclei storici e non per individui: tutto l'impianto tracciato. per esempio. dalle due antologie di Anceschi (Lirici Nuovi e Lirica del Novecento). ove veniva assicurata la conversione reciproca. la giusta calibratura tra le singole personalità e le idee. tra la poesia e le poetiche. Mengaldo invece si è voluto assumere il compito di rimescolare le carte del mazzo. o di spezzare i camhi. come si [),•111<•trit1 Straw., dice in gergo ciclistico. quando un corridore di altra squadra si insinua a interrompere la buona armonia tra due co-équipiers (un esempio? Si consideri il protervo. e perfino comico per scoperta animosità. inserimento di Albino Pierro a interrompere il nesso. altrimenti così logico e spontaneo. tra Sanguineti e Porta). Q uesto quanto risulta dall'esame del lungo saggio introduttivo premesso all'antologia; ma naturalmente la linea di restaurazione trova consistenti conferme anche nei singoli «cappelli» stesi per ogni autore. Basterà vederne alcuni dei più caratterizzanti. Intanto. si continua qui. e anzi forse giunge a un punto parossistico. la celebrazione di Saba in funzione antiNovecento. abbozzata già altrove da molti critici. È vero che Mengaldo sembra mettere le mani avanti. esorcizzare apertis verbis il rischio di fare dell'autore triestino un «poeta realista. popolare. anti-decadente». Ma è esattamente la tentazione cui. pur con qualche gioco perifrastico e in modo più cauto. egli stesso poi cede. Leggiamo infatti poco oltre (p. 193) che in Saba «lacerazioni e ambivalenze dell'io lungi dall'impedire provocano la solidarietà con il reale inteso come profonda totalità vivente»; e poi ancora apprendiamo che sempre l'autore del Canzoniere «[...] oppone alla discontinuità e intermittenza degli altri "moderni" il senso della vita come flusso unitario». E dire che credevamo che proprio nelle ambivalenze della coscienza. nelle intermittenze del cuore. nei salti e nelle discontinuità temporali stessero alcune delle caratteristiche di fondo dell'età contemporanea. alcuni dei suoi pilastri epistemologici. quasi i sine qua non per essere autentici testimoni del nostro tempo. Mengaldo invece fa di tutto per stuccare le crepe. le «aperture» coscienziali, per restituirci l'immagine di un Saba tutto d\111pezzo. scoppiante salute e n.ormalità.Ma sono proprio questi tentativi di erigerlo come contraltare alla «malattia» degli altri che finiscono per farcelo odiare. o almeno per imporci di considerarlo con un più che legittimo sospetto. Aggiungiamo magari un altro sospetto. questa volta di natura più tecnica. che cioè anche la classicità miracolosamente ritrovata dal triestino a livello linguistico. non sia poi così miracolosa e spontanea. bensì al contrario voluta e costruita pezzo a pezzo. Ci autorizza in questo senso lo stesso Mengaldo. quando in un «cappello» successivodedicato al tanto più schietto. univoco. disarmato. e quindi accettabile Penna. si lascia cappare il giusto riconoscimento che «quella fusione e neutralizzazione dell'aulico e del quotidiano e viceversa, che Saba cerca faticosamente. è raggiunta d'acchito, con la più spontanea naturalezza» (p. 73). La deificazione di Saba deve accompagnarsi. per coerenza di disegno. a qualche colpetto riduttivo nei confronti della sacra bina Ungaretti-Montale (quanto a Campana. sl. ammettiamolo. questo è il punto debole della «tradizione del nuovo». della storia della poesia filtrata secondo il punto di vista delle avanguardie. e quindi non staremo a farcene i difensori d'ufficio). Per Ungaretti. basterà un tocco limitativo distribuito quasi en passant, appena l'osservazione che, nei suoi confronti, «l'entusiasmo si è alquanto attenuato nella generazione dei quarantenni». Diversa la tattica verso Montale, dato che questi, oggi come oggi, è troppo sugli scudi per poterlo limitare in modo scoperto e palese; e del resto, perché limitarlo. visto che è andato sempre più avvicinandosi a una misura di «salute» quasi altrettanto piena e intatta come quella da attribuirsi a Saba? Mengaldo riprende a questo scopo la sua tecnica «in togliere», il riduzionismo in chiave crociana, o positivista. a nostro piacere. Si può, per esempio. cominciare a staccare gli Ossi dal corpo centrale del poeta attribuendo loro «un conservatorismo formale [...] che si lascia alle spalle (respiro di sollievo) ogni tentazione avanguardistica». co l da concludere in un'opera «genialmente provinciale» (p. 522). Senonché subito dopo viene ammesso che gli Ossi appaiono imbevuti «[...] di contingentismo di Boutroux» e di «posizioni preesistenzialistiche», il che. lo si ammetterà, non è male del tutto, per un'opera provinciale degli anni '20. Comunque è sempre possibile coniare un «post» per respingere indietro un arco di esperienza. Quello degli Ossi sarà dunque un post-simbolismo. e occorrerà pertanto distinguerlo dalla «poesia degli oggetti» che comincia con le Occasioni. Ma siccome la linea degli oggetti appartiene all'avversario da confutare, ad Anceschi. sarà meglio non fare il nome di quest'ultimo, con pudica ritrosia. mentre a ogni piè sospinto vengono nominati rispettosamente gli autori di altre antologie e profili storici compulsati con piena simpatia e adesione (Fortini. ovviamente. è tra i più presenti). U n altro appuntamento d'obbligo dei moderati e dei benpensanti sta divenendo Zanzotto. Purtroppo ci si è messo di recente anche il Contini. con la nota prefazione al Galateo in bosco. prefazione che. ahimé. viene a far corpo idealmente con le intenzioni restaurative di Mengaldo. Quello che stupisce, nell'uno e nell'altro caso. è il gioco di prestigio con cui si trasforma in buono. per Zanzotto, ciò che per altri invece è dato come cattivo. per non dire scellerato, vale a dire l'impegno sperimentale. Sono i miracoli che riescono a fare la qualità e il dono. per cui un «dotato» come Zanzotto riuscirà a mutare in oro quanto nelle mani di un Sanguineti o di un Balestrini resterà sempre a livello escrementizio. Che Zanzotto. ai suoi inizi «epigono fuori tempo dell'ermetismo». sia andato intensificando il tormento verbale, è un dato di fatto ovvio. incontestabile, tanto che in proposito Mengaldo sente di doversi valere della precisa chiosa di Stefano Agosti. dove appunto si osserva che in lui. a partire da un certo momento. «[...] il significante non è più collegato a un significato[ ...] ma si istituisce esso
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