Acpol notizie - Anno II - n. 9 e 10 - Luglio-Agosto 1970

nizzazioni far sì che la televisione da mezzo di manipolazione del consenso diventi strumento di formazione e di informazione a servizio della crescita culturale-politica del popolo e cioè a servizio degli interessi collettivi. . A nostro giudizio, il processo di effettiva democratizzazione del paese non può necessariamente non investire anche la Radio Televisione, la cui gestione non è certo un fatto secondario, ma investe problemi essenziali come quelli del la Iibertà del l'informazione, della sua autonomia, della libertà di opinione, di critica, di dissenso, in una parola di quella che ho definito crescita culturale e politica dei lavoratori. In Italia la classe politica dorr.inante, la Democrazia Cristiana prima, gli altri partiti di centro-sinistra poi, ·dopo essersi assicurati il controllo della televisione attraverso tutta una serie di compromessi e di accordi di vertice, ne hanno fatto un loro feudo riservato, un pulpito privilegiato e sottratto ai rischi del confronto delle idee e delle posizioni, al di fuori e al riparo non soltanto del controllo delle forze sociali-culturali e degli utenti, ma anche del Parlamento, tant'è che la responsabilità politica effettiva della Rai-Tv fa capo al l'Esecutivo. Così, la televisione in tutti questi anni è stata il luogo dove si sono scontrate le ambizioni e gli interessi delle correnti e dei gruppi di potere aIl'interno dei partiti della maggioranza, in perenne lotta fra di loro per instaurare il proprio dominio e per meglio strumentalizzare il mezzo televisivo secondo le proprie particolari finalità. Quando una classe politica non è in grado di egemonizzare per altre vie il paese e di crearsi - in modi nuovi e faticosi - una base di consenso sufficientemente ampia e radicata nelle coscienze, allora essa è costretta ad imporre il suo "consenso" attraverso l'autoritarismo e la violenza aperta e segreta, e in questo senso i mezzi di comunicazione di massa e la tele'tisione in particolare servono egregiamente allo scopo · e diventano gli strumenti più idonei per raggiungerlo. E' quanto è avvenuto in Italia in questi anni. Lé forze che hanno gestito la televisione ne hanno fatto l'espressione dell'autoritarismo e dell'ideologia della classe dominante, escludendo ogni apporto e ogni partecipazione delle classi popolari e della cultura da esse espresse. L'ambigua natura, privatistica e insieme pubblica, del l'azienda, ha poi favorito il massiccio inserimento in essadi "uomini di fiducia" a tutti i livelli che, combinandosi variamente con la classe dirigente già insediatasi attraverso un complesso gioco di equi libri e di interessi, ha creato all'interno dell'azienda gruppi clientelari, saldamente legati ai partiti di governo, i quali hanno condotto e tuttora conducono- una sistematica politica di conservazione, negando nei fatti, se non con le parole, B1bliotecaGino Bianco ogni approfondita riflessione intorno al problema della libertà della comunicazione. Si è impedita, anche così, una reale crescita politica e civile del paese attraverso la formazione - nel dibattito pub.- blico e aperto a tutti - di un autonomo e responsabile giudizio intorno alla realtà politica, sociale e culturale del nostro paese. Nel complesso, il sistema ha finito per creare una Tv passiva, capace solo di funzionare come strumento di integrazione e di condizionamento culturale e politico; essa non è mai stata lo specchio fedele della vita reale del Paesecon i suoi contrasti, le sue lotte, le sue lacerazioni; ma lo specchio deformato, ufficiale, e quindi mistificato di questa realtà. In questo senso la Rai-Tv riflette le storture e le insufficienze più gravi della società italiana, di una società ancora sostanzialmente verticistica ed autoritaria, tale da rendere possibile che il funzionamento di un settore fondamentale della vita del paese resti affidato alle combinazioni e agli spostamenti nei rapporti di forza fra ristrette fazioni o gruppi di potere. Oggi però i tempi sono cambiati. Dal paesemonta una nuova volontà politica, domanda di libertà e di partecipazione, di nuovi e più giusti rapporti di potere, di una nuova unità di obiettivi e di lotta da parte dei lavoratori, che richiede una risposta politica nuova, non più basata sui tradizionali intrighi di ve_rticee sui soliti compromessi. Questa volontà politica si è espressa nel corso delle lotte operaie dell'autunno ed ha indicato che la classe operaia oggi, nella sua ritrovata combattività ed unità, intende essere presente come forza di pressione e di cambiamento e contribuire in prima persona ed autonomamente - senza concedere deleghe a nessuno - ad affrontare e risolvere i nodi strutturali esistenti nella nostra società, i problemi che si trascinano da tanto tempo senza ricevere una adeguata soluzione. Fra di essi c'è anche il controllo sociale, l'autonomia politica e culturale, la riforma della Rai-Tv. Una riforma che va intesa come momento assai importante del la strategia per la trasformazione del la società e che deve tendere soprattutto a rivalutare la cultura popolare, intesa come cultura alternativa, che sia premessa e sostegno dell'iniziativa politica del movimento operaio. Oggi tutti ne parlano e sono d'accordo nel ritenere necessaria una riforma dell'ente televisivo. Ma quale riforma? Non certo la riforma di chi vuole creare nel nostro paese un circuito televisivo privato che serva meglio della attuale televisione di Stato a diffondere l'ideologia del sistema neocapitalistico e i miti della 2ocietà del benessere e che faccia della televisione un

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==