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Leo Valiani

Nicola Chiaromonte cittadino del mondo

L'Umanità, 1983


L'intellettuale ricordato recentemente a Roma -25 gennaio 1983. A dieci anni dalla morte dell'insigne studioso di cultura anglosassone, la rivista inglese "Survey" gli ha dedicato un numero speciale. Mercoledì 19 in un albergo di Roma è stato presentato il fascicolo speciale che la rivista inglese 'Survey' ha dedicato recentemente a Nicola Chiaromonte. La serata è stata organizzata dalla «Fondazione Turati». Giacomo Ascheri, a nome delia Fondazione, ha brevemente illustrato la figura e l'opera dello studioso che fu lungamente legato alla cultura inglese. Il fascicolo -edito a 10 anni dalla morte- raccoglie un ritratto critico di Enzo Bettiza intitolato «Cittadino del mondo», la storia dell'amicizia tra Chiaromonte e Andrea Caffi ricostruita da Gino Bianco e una scelta degli scritti di Chiaromonte tra cui un ritratto di Silone. Il fascicolo ospita anche un ricordo scritto dallo scrittore marsicano dopo la morte del condirettore di «Tempo Presente». Alla serata ha dato il suo contributo Francois Bondy che ha ricordato la radice fondamentalmente europea della cultura di Chiaromonte e il suo essere «naturalmente» immesso nel filone più vivo ed attuale di quell'impegno critico, in politica, che lo trova accomunato a Orwell, Malraux, Boll, Camus e Silone. Paolo Milano ha ricordato anche Simone Weil e l'attenzione che in Polonia e Cecoslovacchia si è dato al pensiero politico di Chiaromonte. Milano è giunto ad affermare che questo pensiero ha anticipato «Solidarietà». Pubblichiamo inoltre il messaggio che Aldo Garosci, impossibilitato ad intervenire, ha voluto scrivere in ricordo dell'amicizia che lo legò a Chiaromonte. L'articolo di Leo Valiani è tratto dalla introduzione agli Scritti politici e civili editi da Bompiani. (Paolo Cucchiarelli)

Chiaromonte non aveva nulla del Don Chisciotte, anche se Cervantes figurava fra gli scrittori che leggeva e rileggeva. I suoi autori andavano da Platone a Proudhon e a Ortega y Gasset. La mia formazione era, se così si può dire, più convenzionale: io avevo abbracciato, giovanissimo ancora, la linea Hegel-Marx-Croce-Gramsci e l'avevo appena integrata con la riflessione sulle critiche di Carlo Rosselli. Non ci trovavamo dunque facilmente d'accordo, nelle appassionate discussioni di Casablanca. Ci univa maggiormente il monito salveminiano. Chiaromonte, che alla dialettica hegeliano-marxista opponeva il rigore lineare dell'idealismo antico, apprezzava moltissimo, tuttavia, il coerente empirismo, oltre alla straordinaria purezza morale, di Salvernini. Negli Stati Uniti, durante e dopo la guerra, collaborò poi, politicamente, con Salvemini.
La lettura o rilettura degli scritti di Chiaromonte rivela come egli fosse precocemente pensoso sin da prima di lasciare l'Italia. Se nel 1925, a vent'anni, aveva già pubblicato qualche cosa sul Mondo di Giovani Amendola, gli articoli, che dal I932 al 1934 invio' ai Quaderni di Giustizia e Libertà di Carlo Rosselli, si distinguono per un'impostazione obbiettiva che precorre alcuni elementi del dibattito storiografico di quest'ultimi anni.
Chiaromonte non aveva dubbi circa la mediocrità spirituale del fascismo e la sua rozzezza morale. Ma avvertiva l'errore di tanti antifascisti che, per eccesso di disprezzo del nemico, finivano col perdere, specie in esilio, il senso delle difficoltà reali dell'opposizione e non si accorgevano dei propri errori.
Questi problemi, secondo il convincimento di Chiaromonte, andavano affrontati con spirito socialista e libertario e sul piano non nazionale, ma perlomeno europeo: europeo non nel senso che possano essere risolti dalle cancellerie dei paesi del vecchio continente (e neppure, aggiungeva, da quella americana) sibbene nel senso del sorgere d'una coscienza europea, supernazionale, fra i popoli, e per cominciare fra gli uomini che, mettendosi alla loro avanguardia, se ne vogliono fare banditori.
E' facile constatare, retrospettivamente, che Chiaromonte, nel mentre prevedeva, sin dal 1933, in uno degli scritti che abbiamo citato, le future capitolazioni delle diplomazie francese e britannica davanti alle dittature aggressive del fascismo e del nazismo, sottovalutava l'urgenza della lotta politica volta ad indurre, attraverso l'agitazione e la propaganda fra le pubbliche opinioni, almeno qualcuno fra i governi democratici (che saranno, in definitiva, l'inglese e l'americano) a resistere con le armi alle immancabili aggressioni belliche già che la guerra sarebbe tornata e che bisognava prepararsi a farne la tomba del fascismo e del nazismo, anche se per intanto occorreva auspicare non la guerra stessa, bensì la coalizione delle forze di pace.
I dissensi che nel 1935 divideranno Chiaromonte da «Giustizia e Libertà» sono stati precisati da Garosci, nella sua Vita di Carlo Rosselli. Essi riflettevano anche la diversità dei temperamenti; prevaleva in Rosselli l'esigenza dell'azione e della lotta politica, e quella della meditazione in Chiaromonte.
Chiaromonte stesso aderiva, peraltro, alla concezione dell'antifascismo, che caratterizzava proprio Rosselli, scrivendo che occorreva farne «una questione analoga a quella che Mazzini riuscì a fare dell'unità italiana, una questione interessante tutti i valori dell'uomo, tutti i modi della vita, la cultura, l'economia, la politica, l'arte, sollevare contro il fascismo il senso della modernità così vivo (e così spesso traviato ad ammirare il più' recente) nelle generazioni di giovani di tutti i paesi, rivoltare contro la tirannia tutti i valori delle rispettive tradizioni nazionali...»
Non si riuscì a farlo, se non in misura insufficiente. Il fascismo e il nazismo furono sconfitti, in guerra e in politica, ma la democrazia non si rinnovò radicalmente, nelle sue idealità e nella sua prassi. Ne vennero il successo, transeunte se si vuole, ma non, perciò, meno gravido di conseguenze, dello ''stalinismo' e la diffusione del conformismo. Chiaromonte avversò coraggiosamente, instancabilmente, questo e quello, sfidando, in certi momenti, un isolamento più pesante di quello che gli antifascisti avevano dovuto sfidare durante il ventennio.
L'opposizione al diffondersi dello stalinismo fra gli intellettuali ebbe le sue più alte coscienze critiche in Ignazio Silone, Nicola Chiaromonte, Aldo Garosci e Mario Pannunzio. Fu un'opposizione in nome della libertà e non nel segno della «guerra fredda» che imperversava indubbiamente, da una parte all'altra, ma dalla quale non bisognava lasciarsi strumentalizzare. Le annate del Mondo di Pannunzio e di Tempo presente, la rivista diretta da Silone e Chiaromonte, documentano la nobiltà della loro battaglia. Commisero anch'essi, come accade a tutti, qualche errore di valutazione, ma rimasero costantemente fedeli al vero e devoti agli autentici ideali della democrazia minacciata da vecchi e nuovi totalitarismi. Ancora sotto la dittatura fascista, Chiaromonte era stato fra coloro che sottolineavano come il totalitarismo in Italia fosse un lascito della Chiesa uscita dalla Controriforma; al clericalismo dilagante nel nostro paese nel 1948 e negli anni successivi, egli non fece alcuna concessione. Ma le falsificazioni staliniane diffondevano un oscurantismo che non era migliore, e che nell'URSS, e nei paesi ad essa soggetti, rappresentava l'accompagnamento di processi macabri e mostruosi e d'un regime di terrore, che s'abbatteva su milioni di persone. Può sembrare incredibile oggi che tanti intellettuali abbiano prestato fede ai grotteschi e orrendi falsi staliniani.
Ciò è accaduto, tuttavia, per lunghi anni, in paesi democratici, nei quali chiunque poteva accertare la verità, solo che volesse accertarla. Forse più che altrove, è accaduto proprio nell'Italia repubblicana, benché alcuni comunisti italiani, particolarmente colti ed avvertiti, lasciassero trapelare dei dubbi o delle esitazioni. Il ventesimo e il ventesimosecondo congresso del partito comunista dell'Unione sovietica, con le clamorose rivelazioni di Kruscev, dimostrarono che la verità non poteva essere nascosta indefinitamente. Gli uomini come Chiaromonte, che in difesa d'essa s'erano battuti, fra l'ostilità o l'indifferenza di molti, vedevano confermate le loro ragioni dal pulpito stesso dell'avversario.
«Gettate anche me su questo rogo, che io quelle storie le conosco a memoria», esclamò un romano antico, al veder dati in fiamme, per ordine del tiranno, i manoscritti d'un cronista. Ai nostri tempi, non tutti quelli che conoscevano la veridica storia di generazioni sepolte vive nell'URSS e altrove, han potuto essere sterminati. Dai loro ricordi è scaturita la primavera di Praga del 1968. Il suo soffocamento prova che la lotta non è ancora finita. Chiaromonte l'ha condotta fino all'estremo respiro della sua vita.
Morì com'era vissuto, senza aver mai ambito ricchezze od onori. Morì sul lavoro. «Povera e nuda tu vai, o filosofia», diceva il poeta. La filosofia di Chiaromonte, il convincimento della validità intima della Ragione, l'ha animato fino all'ultimo. «Dalla caverna», scriveva nel 1956, parafrasando Platone, «non si esce in massa, ma solo uno per uno, aiutandosi l'un l'altro».
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