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Francesco Egidi

Il problema della scuola

Relazione al XVIII Congresso del Partito Repubblicano
Tratto da «La Critica Politica», anno VIII, n. 1-2, gennaio-febbraio 1946

Un’approfondita discussione sull’importantissima questione scolastica è forse pel momento prematura.
Fissi come siamo ad un passato che non riusciamo ad eliminare, non è facile avere una visione chiara del futuro. Dobbiamo molto discutere, molto studiare, molto pensare per saper costruire al momento opportuno, e cioè quando la Costituente fisserà gli ordinamenti dello Stato italiano, la nuova scuola che in essi si dovrà inquadrare.
Oggi è bene non toccar nulla ed aspettare quel momento; oggi una cosa sola sarebbe da fare e sarebbe urgente fare: dare alla generazione nuova un’educazione morale e civile. Per questo occorrerebbe tutta l’abnegazione dei docenti attuali e la creazione d’un agguerrito esercito dì maestri valenti, coscienziosi, onesti, compresi della propria missione, capaci di aprire le menti ed i cuori verso una concezione etica da porre a base della società futura e di infondere insieme quella coscienza civile senza la quale non può prosperare nessuna vera democrazia.
Questo esercito dovrebbe combattere l’analfabetismo che, mai del tutto vinto, sta ora dilagando paurosamente, e dovrebbe richiamare la gioventù ad una visione normale della vita, dopo le evasioni scomposte verso l’ignoranza, la delinquenza, la perversione, l’affarismo.

Ma oggi non si fa che discutere di scuola unica o differenziata, e sembra che tutto il problema scolastico stia qui. Su questo argomento si discute in Italia da 50 anni, e si posson registrare esperienze positive, poiché durante lo stesso periodo fascista entrambe le soluzioni furono adottate. È da sperare che il pubblico, cioè la gran massa dei genitori, sappia ormai orizzontarsi e possa giudicare se è meglio scegliere per i figli a 10 anni tra Ginnasio, Istituto tecnico, magistrale, artistico, industriale, oppure se non sia da preferire la scuola media unica che appunto oggi vige, istituita da Bottai nel 1939, che ritarda la scelta fino ai 13 anni.
Né si deve fare della scuola unica una questione politica, quasi che essa sola possa mettere alla pari ricchi e poveri, operai e capitalisti, ecc., poiché non è certo con la scuola media unica tipo Bottai o con altra celebrata da alcuni autorevoli personaggi del mondo filosofico e politico, che si potrà mai riuscire a mandare alla stessa scuola i figli, ad esempio, dei pecorai dispersi sulle balze appenniniche od alpine e non dirò i figli dei principi romani o dei baroni napoletani o dei...«Delfini» dei potenti, ma neppure i figli degli operai.
La scuola o è unica davvero, e questa non può essere che quella elementare, o deve accogliere i giovani che vogliono e sanno studiare, i quali a qualsiasi ceto appartengano debbono, appena possono, aver la libertà di scegliere la scuola loro più confacente; e quanti, meritevoli, non ne hanno i mezzi, debbono in essa esser completamente mantenuti.

Ma al di fuori di questo dibattito, se vogliamo volger lo sguardo alla scuola quale auspichiamo e prepararci alla soluzione futura dei problemi scolastici dobbiamo richiamarci ad alcuni principi politici e sociali. Primo quello della libertà.
Il problema della libertà della scuola non è stato posto con chiarezza neppure dagli uomini più illuminati del nostro risorgimento, pei quali la libertà fu appunto aspirazione prima e necessità assoluta della rinascita nazionale. A turbare le logiche deduzioni del principio nella sua applicazione alla scuola sorgeva il timore del clericalismo, cioè di qualcosa che appariva appunto agli antipodi della libertà.
La scuola di Stato e la sua preminenza fu perciò caldeggiata in Italia prima del fascismo da una grande maggioranza, persuasa che lo Stato non avesse, anzi non potesse e dovesse avere alcuna religione, né alcuna filosofia particolare. Illusione, perché lo Stato non è un’astrazione e, nella realtà, la sua opera si estrinseca a mezzo di persone, le quali hanno le loro idee e le loro dottrine e non possono -s’ha anzi da dire che non debbono, se si vuole che il loro insegnamento sia efficace- nasconderle.
Durante il fascismo poi lo Stato divenne -come tutti sanno- cattolico e l’insegnamento religioso fu introdotto in quel tempio della scuola nel quale avrebbe dovuto dominare la morale a base puramente scientifica, «svelando al giovinetto le vaste armonie dell’essere, infondendogli per tempo il concetto giusto e serio della legge morale scaturente dalle leggi medesime della vita».
La neutralità dello Stato fu utopia e falsità prima del fascismo e, nel periodo fascista, l’insegnamento religioso e l’asservimento ad una determinata concezione politica furono nettamente in opposizione a quella libertà che prima di tutto importa rispettare.
Lo Stato repubblicano deve volere la libertà della scuola: libertà per i cattolici e libertà per gli altri: tutti. Ci saranno le scuole cattoliche, ma, accanto, le protestanti, le ebraiche, le laiche, le massoniche, ecc., e ci saranno le nostre: mazziniane, per nobiltà ed altezza morale ineguagliabili.
Il principio della libertà di apprendere e di insegnare è del resto chiaramente espresso nelle principali costituzioni moderne del mondo.
Se escludiamo lo statuto albertino che tace sull’argomento, troviamo codesta libertà sancita nella costituzione belga del 1830 e nel Trattato di Versailles del 1919 che la poneva come condizione di pace alla Polonia, all’Austria, alla Turchia, alla Bulgaria. Essa vige in tutte le repubbliche americane e negli Stati Uniti, dove la costituzione non consente al governo federale nessun intervento negli ordinamenti scolastici: solo gli Stati federali hanno il compito di provvedere alla legislazione scolastica alla luce del principio fondamentale della libertà d’insegnamento. Particolarmente significative sono la costituzione irlandese del 1937 e la polacca e persino la tedesca, la quale diceva, tra l’altro (art. 142): Su domanda di coloro che hanno il diritto di educare saranno create nei comuni delle scuole popolari della loro religione o corrispondenti alla loro concezione filosofica, a condizione che da ciò non derivi pregiudizio al funzionamento ordinato del sistema scolastico ... ecc.
Ma a che cercar conferme negli Stati del mondo? Noi repubblicani abbiamo un modello meraviglioso nella Costituzione della Repubblica Romana dei 1849: «L’insegnamento è libero. Le condizioni di moralità e capacità per chi intenda professarlo sono determinate dalla legge».
E la legge della futura repubblica italiana, dopo aver riesumato quel principio esattamente in quella precisa sua scultorea formulazione, determinerà anche in che cosa deve consistere la garanzia pubblica sulle libere scuole: controllo dei titoli dei docenti, delle loro condizioni economiche, dell’igiene e dell’onestà, esami di Stato.
Ed è naturale che da quel principio derivino ineluttabilmente l’affrancamento della scuola da una legge e norma unica, centrale, uguale dovunque, la sua conformazione diversa, specie in alcuni settori, a seconda delle necessità regionali, e soprattutto l’autonomia ed autogoverno delle singole scuole.

Ma, oltre questo punto di vista particolarmente politico, sarà da considerare il problema scolastico sotto il punto di vista politico-sociale. Mi sembra che sotto questo aspetto la legislazione repubblicana dovrebbe tener presenti questi punti fondamentali:
I. Non vi deve essere cittadino alcuno che giunto ai suoi 15 anni non abbia già gratuitamente ricevuto l’istruzione necessaria per orizzontarsi nella vita politica del paese e non sia in grado di compiere il suo dovere e il suo diritto in piena coscienza e ben sapendo ciò che fa;
II. Bisogna impedire che la scuola, la quale apre la via alle professioni liberali, sia riservata ad una casta, ad un ceto sociale, ma sia viceversa aperta solo alle intelligenze vere, alle volontà ferme dei giovani senza distinzioni sociali;
III. Si deve impedire un soverchio adeguamento della cultura e dell’istruzione pubblica su un piano di bassa e conforme mediocrità, la qual cosa sarebbe in opposizione alle magnifiche tradizioni nazionali, per le quali l’Italia ha avuto sempre importanza nel mondo per merito di alcuni eletti ed eccelsi, balzati fuori dalla massa in virtù di quella cultura classica che, nella sua apparente inefficacia pratica, dà modo agli ingegni, che di essa si sono nutriti, di rifulgere in ogni campo; nelle arti, nelle scienze, nelle lettere.

In conseguenza di questi princìpi la soluzione del problema tecnico-didattico nel futuro Stato repubblicano può essere, nelle grandi linee, così precisata:
1. Scuola elementare. Deve essere essenzialmente popolare; e perciò è sì anche da considerare come strumento di preparazione ad altre scuole, ma ad essa soprattutto si deve affidare il compito di impartire ai figli del popolo le nozioni necessarie perché rechino nella vita pratica quel corredo di cultura generale e di attitudini tecniche, desiderabile ed indispensabile ad un popolo moderno. Dividendo il corso elementare in due periodi (uno elementare e l’altro post-elementare), il primo dovrebbe essere di preparazione, mentre dal secondo dovrebbe essere assolto il compito principale.
La scuola elementare, dal 6° al 14° anno d’età gratuita ed obbligatoria deve esser funzione precipua dello Stato o della regione e da essi direttamente vigilata; ma anch’essa dovrebbe essere opportunamente decentrata per quel che riguarda la scelta dei maestri, il calendario, gli orari, i locali, le organizzazioni complementari (colonie delle vacanze, doposcuola, divertimenti sportivi, corsi complementari per coloro che desiderino passare ad altro ordine di scuole, ecc.).
2. Scuole medie. La scuola media che si inizia dopo il primo periodo della scuola elementare sarà gratuita soltanto per i ragazzi meritevoli. Quelli che iscrittisi alla scuola media non intendessero più in essa proseguire, saranno tenuti a seguire fino a tutto il 14° anno d’età il corso post-elementare. Sarà questa l’unica limitazione della libertà individuale, imposta dalla necessità della libertà sociale. Nella vera democrazia che -come dice il Mazzini- è «il progresso di tutti sotto la guida dei migliori» occorre infatti saper esercitare la facoltà di scegliere liberamente e consapevolmente i capi che dovranno essere effettivamente i migliori ed ai quali tutti sono poi obbligati ad ubbidire.
La scuola media ideale non si concepisce se non differenziata al massimo possibile. Altrove, come in Isvizzera, si sono «compresi gli inconvenienti dell’insegnamento uniforme ed è stata constatata la necessità di collocare un ragazzo di una data complessione in quella data trafila scolastica che più gli conviene. Tale abbondanza rappresenta in Isvizzera una superiorità indiscutibile».
E poiché la scuola deve fin dal primo momento avviare il ragazzo per una determinata via, non è punto opportuno obbligarlo a ritardare la sua scelta che è logico negare possa esser fatta a 13 piuttosto che a 10 anni. Anche a 10 anni il fanciullo deve aver la libertà di scegliere quel che vuol studiare e deve aver la possibilità di modificare la sua scelta ad ogni momento e con il minimo sforzo (in qualche scuola svizzera si adotta a questo scopo un sistema di classi mobili, facilmente applicabile in libere scuole).
Le scuole medie debbono preparare:
a) operai specializzati;
b) tecnici industriali, agrari, commerciali, nautici, ragionieri, geometri;
c) musicisti ed artisti;
d) alunni pronti a più alti studi, ivi compresi quelli che vorranno diventare maestri elementari.
Esse si concluderanno quindi o con diplomi o con accurati, seri e rigidi esami di ammissione alle scuole dell’ordine superiore.
Quanto agli esami, perché le scuole possano esser libere e libera possa essere la scelta del discente per una od altra materia e quella del docente per uno od altro programma, l’esame di ammissione non verterà su determinati, precisi programmi, ma dovrà con ampi e prolungati esperimenti stabilire l’attitudine e la preparazione del giovane per la scuola alla quale aspira, specie nell’ammissione alle varie facoltà universitarie.
Le scuole d’arte debbono essere particolarmente curate e favorite, dall’umile media, che prepara l’artigiano, al liceo artistico e a quello musicale, ne’ quali si addestrano i giovani ad una produzione nella quale forse più che in altre si appuntano le speranze dell’Italia futura.
Nell’organizzazione delle scuole professionali, che saranno numerosissime, si riveleranno le vitali iniziative dello spirito regionale, in relazione ai bisogni locali.
L’insegnamento del latino deve esser promosso e diffuso quanto più è possibile, ma (richiesto come indispensabile per la preparazione ad alcune determinate professioni) non deve essere imposto a tutti, bensì lasciato alla libera scelta dei discenti.
Le scuole medie debbono essere sorvegliate, vigilate dallo Stato (o dalla regione), ma lasciate alla libertà dei privati, agevolando le esperienze nuove e le iniziative particolari.
Lo Stato (o la regione) potrà avere le scuole medie riservate in particolare agli alunni meritevoli che abbiano il diritto di seguire gli studi gratuitamente. Solo qualora la scuola dello Stato (o della regione) non esistesse, lo Stato (o la regione) dovrebbe esser tenuto a sussidiare le scuole private in relazione agli alunni aventi diritto ai corsi gratuiti che esse accolgono per volontà e libera scelta degli alunni stessi.
Ogni scuola media è retta dal Consiglio dei professori, che ha libertà di stabilire orari, programmi e metodi didattici.
Soltanto allo Stato spetta il diritto di rilasciare diplomi e abilitazioni, in seguito a severi esami di Stato.
3. Le Università e gli Istituti superiori liberamente provvedono:
a) alla creazione di professionisti preparando i giovani agli esami di Stato che solo dopo serie e severe prove autorizzeranno l’esercizio professionale;
b) a tener viva l’alta cultura e la ricerca scientifica in quell’atmosfera intellettuale che è necessaria alla creazione di studiosi, seri, profondi, colti e geniali. La laurea segnerà il coronamento di questo particolare ordine di studi.
4. Per favorire l’accesso alle scuole medie e la permanenza in esse fino all’Università compresa, debbono intervenire organizzazioni che si allargano oltre la breve cerchia del comune: quelle dei collegi. I collegi sono una orribile cosa se si conservano quali furono e quali in gran parte sono ancora oggi; ma modernizzati e condotti con larghezza di vedute, saranno soggiorni ideali per quanto riguarda gli studi, il gioco, l’igiene. In essi i ragazzi si abitueranno alla vita in comune; in essi le più geniali esperienze saranno possibili per sviluppare lo spirito di iniziativa, l’interesse alla ricerca, l’attitudine organizzativa, la solidarietà, la pratica della vita sociale, e quindi l’amore stesso allo studio. In essi infine dovranno poter gratuitamente vivere quanti si mostrano particolarmente adatti a seguire gli studi.
5. Lo Stato repubblicano deve finalmente assicurare a quanti si dedicano all’insegnamento, dal maestro elementare al professore universitario, quella dignità di condizioni che corrisponda alla missione loro affidata e che li liberi da ogni preoccupazione materiale, che possa distoglierli dal loro altissimo compito e obbligarli all’affannosa ricerca d’altre vie di guadagno.
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