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Per una scuola nell'agro romano

L’Unità, anno III, n. 23, 5 giugno 1914

Le scuole dell’Agro romano, di cui si parla ogni tanto -e anche noi ce ne siamo più volte occupati- sono pochissimo conosciute, causa le difficoltà d’accesso in plaghe senza strade e causa l’inerzia fìsica degl’italiani (gli sportivi non vi troverebbero né premi né applausi). Esse lavorano nell’oscurità, come il nostro popolo nella patria sua e nelle altrui, e solo dopo anni se ne avverte la somma di lavoro compiuto.
Ma la seminagione che un gruppo di animosi ha sparso per l’Agro romano e per le Paludi pontine, comincia già a mostrare i primi frutti. Poiché lo scopo dei fondatori non era soltanto di dare ai contadini più miseri e più oppressi d’Italia il fondamentale strumento della vita civile ch’è l’alfabeto. Troppo piccolo frutto sarebbe un certificato di proscioglimento dall’obbligo scolastico per le fatiche morali e fisiche che devono sostenere i maestri dell’Agro, questi esploratori e colonizzatori di cervelli e di coscienze.
E altro i contadini stessi domandano alla scuola. O tutto o nulla. O il maestro riuscirà a conquistar la loro fiducia e diventar il loro sindaco e curato e medico o tutore; o se ne vada! O la scuola porterà loro anno per anno una piccola conquista, dentro e fuori di loro stessi, o se ne disinteressano e la diserteranno.
Se non che le domande e i diritti dei contadini coincidono di rado cogl’interessi immediati dei proprietari di corta veduta; quasi mai cogli interessi degli affittuarii sospinti a cavare rapidamente tutto quel che possono dalla terra e dall’uomo durante i soli nove anni d’affitto; mai con quelli del caporale, l’arruolatore dei guitti, che li tiene schiavi senza contratto scritto, cogli anticipi e coi debiti. Ecco perché l’opera del maestro dell’Agro così lentamente raggiunge il suo programma completo e deve contentarsi del certificato di proscioglimento, già difficile esso stesso a causa dello spostamento continuo e il dissolvimento delle scolaresche. Ma quando lo raggiunge, si ha l’opera bellissima del villaggio di Concordia.
La fondazione di questo villaggio intorno alla scuola è uno dei fatti più belli e notevoli della vita nazionale contemporanea. (La cronaca dei giornali della Grande Italia non ne ha parlato, perché aveva da illustrare gli scandali dei processi passionali).
Si tratta di una scuola -il primo fabbricato scolastico rurale in provincia di Roma, costruito col denaro dei contadini e con gli aiuti dei generosi di tutta Italia; e intorno alla scuola, come una volta intorno alla chiesa, si sono raccolte le case dei lavoratori, è sorto un nuovo centro stabile in una vasta zona dove impera tuttora il nomadismo dell’alto medioevo- e anche questo, senza aiuti dello Stato, senza il bisogno di quelle leggi speciali che servono così bene a turlupinare il prossimo.
E a designare la pace avvenuta, ad opera della scuola, fra gli abitanti del vecchio comune e i nuovi venuti, fino a ieri trattati come forestieri, al villaggio fu dato nome Concordia. Piccolo fatto anche questo. Ma ne risentiremo parlare, scommettiamo, quando i nostri grossi soggetti di cronaca saranno esauriti e dimenticati, e ne parleranno probabilmente i nostri nepoti.
Frattanto ne parla sommessamente ai pochi uomini desiderosi di bene e pensosi dell’avvenire, che conta tuttora l’Italia, la seguente circolare che abbiamo letta con grande commozione e che teniamo ad onore della nostra piccola Unità di potere far circolare in un pubblico un po’ largo.

Egregio Signore,
Or son due anni ci rivolgemmo agli amici delle Scuole per i Contadini allo scopo di potere col loro aiuto costruire un locale scolastico in muratura in un villaggio di capanne, per il quale gli abitanti avevano messo insieme con grande sforzo una modesta somma. Una parte del progetto fu subito attuata grazie al generoso concorso di privati e di enti pubblici e la prima aula della scuola di Colle di fuori (territorio di Rocca Priora) -il primo edifizio scolastico rurale nella Campagna di Roma- fu inaugurata il 15 giugno 1912. Da quel giorno la scuola funzionò regolarmente per gli alunni maschi del villaggio.
Il modesto edificio aveva nelle intenzioni dei promotori un grande significato. Gli abitanti del villaggio, oriundi tutti di un paesello collocato a oltre 900 m. sui monti prenestini, Capranica, furono i primi e i soli che si fissassero in modo stabile -da oltre mezzo secolo- sul latifondo laziale. Il suolo dov’essi risiedono venne, or son 14 anni, in possesso del Comune di Rocca Priora. Una certa animosità si manifestò contro di loro da parte dell’Amministrazione, che pure riscuoteva da essi abbondanti tasse e corrisposte per i terreni. Durante la lunga controversia, la scuola in muratura ha dato al villaggio di capanne, che riteneva fino a ieri -come tanti altri simili villaggi dell’Agro- figura nomade e provvisoria, la consacrazione di nuovo centro stabile. Ora i contadini di Colle di fuori -dissipati gli equivoci fra essi e il Comune- sono cittadini elettori di Rocca Priora e utenti della locale Università agraria.
Il pericolo superato da questo villaggio incombe su altri gruppi di oriundi Capranicotti, stabilitisi in identiche condizioni nei dintorni su terreni appartenenti a proprietari privati, in numero di circa duemila.
Chi osservi una carta dei monti Albani, scorgerà come il versante orientale appaia tanto disabitato, quanto è denso di paesi il versante opposto, su cui sorgono i famosi Castelli romani. È l’antica immensa Macchia della Fajola, regno di briganti leggendari. In queste terre fredde e sterili scesero i Capranicotti a sterpare il macchione spinoso e improduttivo, creando prati e campi nelle valli, rimboscando il monte con regolari e molto redditizi boschi di castagni. Compiuta quest’opera di vera e propria bonifica montana, i proprietari e gli affittuari dei luoghi tentano con tutti i mezzi di cacciarli. Sono circa duemila contadini che dovrebbero, con donne e figli, tornare nomadi e raminghi per le campagne, o emigrare, spopolando una regione già così scarsa di abitanti.
A tutti questi poveri e forti lavoratori l’esempio e il successo dei loro fratelli, di Colle di fuori, i quali in grazia della scuola rimangono sulla terra da essi bonificata, dà conforto e fiducia. Perciò, formare di questo villaggio un centro sicuro e civile è cosa della massima importanza per il bene di quelle popolazioni e per l’avvenire di tutta una zona della provincia romana.
In questi due anni si è lavorato assai a Colle di fuori. Le prime forme di previdenza e di assistenza si sono iniziate per domanda degli stessi contadini. Da un anno funziona la Società di Mutuo soccorso: fra poco si fabbricherà un forno cooperativo e la cooperazione vuole anche dedicarsi a sostituire con modeste casette le fumose e pericolose capanne di scopiglio.
Coperte le spese della prima aula (poco oltre duemila lire) s’iniziò lo scorso ottobre il compimento del progetto. Ora le due aule (artisticamente decorate da Duilio Cambellotti) sono finite: accanto alla prima è una cameretta per il maestro, accanto alla seconda una camera comoda e luminosa per l’ambulatorio medico, che il Comitato per le Scuole ha fondato e che funziona già da un anno. Due volte la settimana un medico vi cura gli ammalati del villaggio e dei dintorni.
Resta ora da pagare il debito contratto per la nuova ala del fabbricato, che costa circa L. 2400. Di queste, 700 già sono state raccolte e i promotori si rivolgono agli amici delle Scuole nella fiducia di avere presto di che estinguere il debito.
Giovanni Cena, Alessandro Marcucci, Antonio Scacco, contadino, Presidente della Soc. di M. S.
[...]

Che avverrà dei poveri Capranicotti, sfrattati dai proprietari? È una questione complessa, molto caratteristica per la lotta degli usi civici che si combatte nel Lazio. E ne riparleremo.
I proprietari non amano la scuola. Inviato di pace, il maestro riesce bensì a sedare le violenze, a impedire fra i contadini le rivolte che hanno insanguinato testé due paesi della provincia romana; ma tali esplosioni, se danno inquietudine al governo, sono forse temute dai feudatari latifondisti? Esse lasciano il tempo che trovano, dopo aver seminato qualche cadavere sulla piazza del municipio, gettato qualche innocente e incosciente in carcere e delle famiglie nella miseria. Molto più temibile è la rivendicazione giudiziaria di diritti usurpati, la discussione e il rifiuto di patti esosi. Intanto non sarebbe meglio l’emigrazione, che interrompe tali diritti, che dà ai ritornati un peculio col quale comprano a prezzi d’usura qualche pezzo di terra, di cui in parte sono proprietari per condominio? Perciò li sfrattano.
I proprietari li hanno anche diffamati, questi poveri contadini. Ottusi, indolenti, aggrappati a poche pratiche agricole primitive, essi devono essere eliminati da un’agricoltura progredita. Ma li hanno messi mai in condizione di mostrare il loro ingegno, la loro iniziativa ? Nelle Americhe non fanno essi uso di risorse miracolose adattandosi alle condizioni di lavoro più avanzate ?
Ed essi accorrono alla scuola. Durante sette mesi sessanta scuole dell’Agro romano e delle Paludi pontine raccolgono i nomadi delle Marche, dell’Umbria, dell’Abruzzo e della Campania, uomini e donne di tutte le età, in vagoni ferroviari, in baracche, in capanne, dopo aver faticato tutta la giornata a guadagnarsi da 20 a 30 soldi. Mentre il villaggio di capanne giace intorno nella tenebra, una lampada arde e sotto di essa i padri accanto ai figli guidano la penna sulla carta bianca a formare la parola a compitare il pensiero che li farà liberi.
Noi invidiamo gli uomini che creano quest’azione. Azione sicura, perché individuale e profonda e insieme coesiva; azione immediata che non esclude nessun programma massimo, opera nazionale e insieme largamente umana; opera unitaria. Noi li invidiamo; ed esortiamo tutti i nostri amici che possono, a contribuirvi coll’aiuto e col lavoro.
Già l’ Unità contribuì, due anni or sono, con una sottoscrizione fra gli amici alle prime spese per la scuola di Colle di fuori. Ora occorre ripetere l’aiuto. Gli amici nostri non saranno sordi all’appello.
Noi, anzi, osiamo lanciare fra essi una audace speranza. Vorremmo che la massima parte del denaro necessario a compier l’opera fosse raccolto fra gli amici dell’Unità, in modo che alla prima scuola in muratura dell’Agro romano rimanesse legato il ricordo del nostro piccolo giornale.
L’Unità 10 Lire

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