La Repubblica romana del 1849

J J rROPAGAIIOA ll'1s:r.u1tONE BIBLIOTECA DEL POPOLO Centesimi 15 il Volume I!-A REPUBBLICA ROMAN del 1849 Ogni volumetto consta di 64 pagine di fitta composizione, edizione stereotipa, e contiene un completo trattatello elementare di scienza pratica, di coi;nizioni utili cd indispensabili, dettato in forma popolare, succinta, chiara, alla portat.i !l'o;;ui iutolligcnza. ]Y.[l:LANO SOCIET A EDITRICE SONZOGNO 14 - Via Pasqulrolo- 14 -__:_~--';r~ I ~::: ~ :SS'\,,-__:-=-~~~ r-,;_~~- -~",,!&Cc...=:. - - - - - .. ·-:..,;_,_ • j-. lJ ;3iffii.._,ò /

INDICE II. - La Costituente e la Repubblic:1 III. - Il triumvirato IV. - L'intervento . V. - La battaglia del 30 aprile VI. - Generosità repubblicana . • VII. - L'estrema difesa VIII. - Contro le calunnie CONCLUSIONE Bib: oteca G, 10 3tdr>','> . Pag. 3 7 21 27 30 35 38 47 59

La~epubbliGa ~omana del 1849 CAPITOLO PRIMO. Il 1848, è, e resterà nella storia come l'anno più me• morabile non solo del risorgimento italiano, ma della riscossa di quasi tutti i popoli europei; Francia, Prussia, Austria, Danimarca, Inghilterra, lo segnano quale una data storica incancellabile. Ecco per sommi capi gli avvenimenti straordinari di quell'anno, che fu l'anno classico dell' insurrezioni; l'anno dei terremoti politici: 12 gennajo 1848, insurrezione di Palermo contro il re di Napoli, e Governo provvisorio in Sicilia. 28 gennajo, promessa di una Costituzione liberale, pub• blicata da Federico re di Danimarca. 29 gennajo, promessa pubblica di una Costituzione da Ferdinando re di Napoli. 8 febbrajo, promessa pubblica di una Costituzione fatta da Carlo Alberto, re di Sard'egna. n febbrajo, promessa di una Costituzione da Leopoldo granduca di Toscana. 24 febbrajo, il re di Napoli giura la Costituzione. Il gio~no stesso, 24 febbrajo, dopo tre giorni di comB b. oteca Gi'lo Bianco

4 La Rep11bbhca Ro111a11dael 1849 battimento per le vie, la Repubblica viene proclamata a Parigi e il re Luigi Filippo prende la via dell'esilio. Il 14 marzo Pio IX firma la Costituzione. Il 15 marzo scoppia la rivoluzione a Vienna. Gli ungheresi insorgono e si dichiarano indipendenti. Il 18 marzo scoppi~ la rivoluzione a Berlino; altre rivoluzioni nei piccoli Stati germanici, e specialmente un'insurrezione repubblicana nel granducato di Baden. Nello stesso giorno della rivoluzione di Prussia, 18 marzo, Milano inizia la prima delle sue gloriose cinque giornate. Il 22 marzo R?-detzky è posto in fuga e in quel medesimo giorno scoppia e trionfa la rivoluzione a Venezia. Daniele Manin, dalle carceri in cui si trovava, viene portato in trionfo e creato presidente della Repubblica di Venezia. Scacciati gli austriaci da Milano e da Venezia fu una gara generosa in tutte le provincie d'Italia ad accorrere alla guerra santa. Ma ben presto, il papa ed il Borbone, i quali si accorsero che il popolo faceva davvero, get· tarono su quei bollenti entusiasmi la doccia fredda della loro riprovazione. Il primo coll'allocuzione del 29 aprile nella quale dichiarava di non volere la guerra con· tro l'Austria; e il secondo col richiamo delle truppe na• poletane già arrivate a Bologna, sotto il comando del generale Guglielmo Pepe. In quel frattempo l'esercito regolare piemontese era all'assedio di Peschiera; i toscani erano a Curtatone presso Mantova. Radetzky che dopo la batosta di Milano aveva ricevuto dei rinforzi da Vienna, piombava con tutto il suo esercito' presso Curtatone e Montanara, dove cinquemila giovani toscani con sei piccoli pezzi di can• none si difesero vigorosamente resistendo a ben trenta• mila austriaei. Alla fine i toscani dovettero cedere. L'indomani i-I generale austriaco attaccava i piemontesi Bib' oteca Gi ,o Bianco

La Repubblica Romana del 1849 5 a Goito, ma ne aveva la peggio; se non che, Carlo Alberto, sempre indeciso, non sapeva profittare della vitto• ria. Radetzky, non molestato assaliva Durand che si era chiuso in Vicenza e dopo due soli giorni aveva ragione della città, malgrado la vigorosa difesa. Cosl battuti ad uno per uno i piccoli nuclei dei com• battenti italiani, Radetzky potè convergere tutte le sue forze contro il piccolo esercito piemontese che rimase completamente disfatto a Custoza. Carlo Alberto si ritirò a Milano e patteggiò un armistizio coll'Austria il 9 di agosto 1848. Ultimo a deporre le armi in quella breve e disgraziata campagna fu il generale Garibaldi, il quale dopo un brillante fatto d'arme a Luino condusse in salvo i suoi volontari nel Canton Ticino. Finita così la guerra regia, Radetzky mandò Welden contro Bologna. W elden, così, per divertimento, durante la marcia, bruciò Sermide e lanciò un manifesto in cui si leggeva: " Le mie truppe sono dirette contro le bande che si chiamano crociati, e contro i faziosi. Guai a co. loro che oseranno far resistenza! Volgete lo sguardo ai fumanti avanzi di Sermide. Il paese restò distrutto perchè gli abitanti fecero fuoco sui miei soldati. " All'arrivo degli austriaci, la plebe di Bologna • la santa canaglia " come la chiamava Giosuè Carducci, prima di divenire commendatore, prese le armi e il giorno 8 di agosto, dopo un memorando e glorioso combattimento, cacciò Welden per le vie di Ferrara e di Modena. Intanto a Mamiami, presidente del ministero costituzionale di Pio IX era successo Pellegrino Rossi, scienziato di fama, ma di idee politiche retrograde. Il 15 di novembre egli si recava in Parlamento, per leg• gcre il discorso inaugurale, in nome del Pontefice regnante, quando veniva colpito a morte dal pugnale di un congiurato. L'uccisore di Pellegrino Rossi rimase scoBib, oteca Gi'10 Bianco

6 La Repubblica Ro111a11a del 1849 nosciuto fino ai giorni nostri, e soltanto oggi si sa che chi ha vibrato il colpo mortale è stato il figlio di Ciceruacchio, fucilato più tardi dagli austriaci, insieme al padre, nelle paludi di Comacchio. Il domani il popolo di Roma tentò un assalto in piena regola al Quirinale, e Pio IX il quale, oramai in cuor suo, secondo la mite espressione manzoniana, dopo aver benedetta l'Italia, la mandava a farsi benedire, non nascose più i suoi sentimenti reazionari. Non posso, non debbo, non voglio, egli disse, e fuggl da Roma, di notte, nella carrozza della contessa di Spaur rifugiandosi a Gaeta sotto la protezione di Ferdinando II di Borbone. La commozione di Roma per quella fuga che ricordava quella di Luigi XVI, non fu grande. L'avvocato Sterbini l'annunziava ai romani da un balcone del Corso: " Cittadini, Pio IX è fuggito; la sua fuga è un insulto per noi; ma di lunga mano Roma conosce questi andari dei papi. Pio IX è fuggito; una bieca diplomazia si affretterà a dire che aveva soggiorno infido fra di noi; dirà forse che gli era insidiata la vita. E la scellerata calunnia farà il giro del mondo. Ma non vi caglia nè di essa nè di lui. Roma è risorta e terrà fede alla sua nuova bandiera. In essa si vince più che nel labaro di Costantino, di nefasta ricordanza. Teniamoci stretti e ordinati; percorriamo sereni la via in cui ci ponemmo. Le porte dell'inferno non prevarranno contro di noi. Teniamoci serrati come quei legionari antichi avanti a cui sparivano ostacoli e _impedimenti. Roma risponda col silenzio alla fuga del principe; non contumelie, non rimpianti. Il silenzio dei popoli è la lezione dei re. Pio IX è fuggito. Roma accoglie soltanto nel suo seno un uomo di meno. ,, In Trastevere, come racconta nelle sue memorie il conte Carlo Rusconi, che fu testimonio degli avvenimenti, le cose si passavano con altrettanta calma. Ci• Bib1 oteca Gi'1o Bic1nc')

La Rep11bbl1caRomana del 1849 7 ceruacchio arringava il popolo, ma più che un discorso il suo era un dialogo: " Umbè, padron Angelo, che ce dite? " Er papa ha svignato. " Er papa s'è squajato. " E che vo' di? Che non ce stava contento in Roma1 " I hanno arruffato er capaccio. " E mo' che famo? " Er governo ce pensa e gnente pavura. Starno di bona concordia, starno; e er papa vada dove je pare Volemo l'Italia; l'Italia volemo. Semo romani e li ro mani so' sempre quelli d'un tempo. 11 Viva padron Angelo. " Viva l'Italia. Trastevere saprà murl per l'Italia. Si ce se provano a volerce tornà sotto li preti... " Volemo Roma e l'Italia. " Viva padron Angelo I Tale, nelle sue grandi linee, questo memorabile anno 1848, in cui si può dire tutti i popoli d'Europa si ribel larono: la Sicilia contro il Borbone, la Toscana contro il Granduca, Milano e Venezia contro gli austriaci, Romi, contro i preti, Vienna contro gli A'!3burgo, il Piemonte e l'Ungheria contro l'Austria, Berlino contro il suo re Parigi contro Luigi Filippo. CAPITOLO SECO~DO. La Costituente e la Repubblica. Dopo la fuga di Pio IX, là Camera fu sciolta. Subentrò ad essa una Costituente eletta a suffragio universale, la quale nella notte dall'8 al 9 febbrajo 184! accettando il dilemma posto da Terenzio Mamiani: " o il papa o Col!l da Rienzi ,, proclamò la Repubblica, Bibl cteca Girio Biarc.o

8 La Repubblica Romana del 1849 Un decreto ~ella Costituente fissava il 21 gennajo la data della convocazione dei collegi elettorali; e quella del 9 febbrajo per l'apertura dell'Assemblea. Il numero dei rappresentanti doveva essere 200. Elettori tutti i cittadini dello Stato dell'età di 21 anni e civilmente abili; eleggibili tutti i cittadini dell'età di 25. I deputati erano retribuiti con due scudi al gjorno. Nelle provincie i reazionart lavoravano attivamente per indurre gli elettori all'astensione, ma invano, Nella sola provincia di Bologna, che et a quella più specialmente presa di mira dai preti, ben 20 ooo elettori accorsero alle urne. Ad Albano i sanfedisti apparecchiavano tumulti per il giorno della votazione, ma anche questi erano sventati. Ma non tutti i preti erano reazionari. Il vescovo di Rieti in persona, andò egli stesso ad aprire la votazione. È vero che poco dopo il vescovo morl e si dubita fortemente che sia stato avvelenato dai sanfedisti. Il èoncorso degli elettori fu numeroso molto più che oggi non avvenga. In Roma sopra· 35 ooo elettori, vota• rono 25 ooo. L'avvocato Sturbinetti raccolse il massimo numero dei st1ffragi, ossia 16 153; l'avvocato Armellini 13 175; P. Sterbini II 718; monsignor C. L. Muzzarelli 11 555; G. Galletti II 277; F. Sci fon i 9859; P. di Campello 93n; P. De Rossi 77o6; A. Calandrelli 7697; G. Gabussi 7095; L. Mariani 6777; Carlo Bonaparte principe di Canino 6449. Basta paragonare queste cifre a quelle delle votazioni odierne, colla popolazione di Roma quasi triplicata, per capire quanto entusiasmo doveva esservi in quei giorni, in quella lotta santa per la libertà e per la patria. Nè con minore entusiasmo votarono le provincie, Abbiamo già detto che a Bologna accorsero alle urne, malgrado la scomunica del papa, 20 ooo elettori; a FerBib: oteca Gi,o Bianc.o

La Repubblica Romana del 1849 9 rara i votanti furono 27 ooo; e cosl proporzionalmente in tutti gli allri capoluoghi. " Mirabile attività - scrive il Saffi - spiegò l' Ar·· mellini in tutte queste bisogna delle elezioni; e le sue circolari ai presidi, le sue provvidenze, le sue cure per prevenire i raggiri, facilitare il concorso dei votanti, francheggiare i suffragi da ogni impedimento o minac• eia; mantenere l'ordine e la dignità nell'esercizio di questo diritto; promuovere la virtù civica nelle cose pubbliche, rimangono alto documento di sapienza civile. E come il buon vecchio ottimamente comprendeva il pensiero patrio, al quale in principal modo dovevano essere volte le aspirazioni del moto di Roma, cosl, ac• cogliendo la proposta del Comitato dei Circoli Italiani, sancl in apposita legge il voto che intendeva fare della Costituente romana il primo anello della Italiana; e la vigilia delle elezioni, le città dello Stato ricevettero con plauso unanime il decreto pel quale, tra i 200 deputati romani, i 6o eletti a maggioranza di suffragi dovevano riguardarsi investiti del doppio mandato di rappresen• tanti del!'Assemblea dello Stato e di membri della Co• stituente nazionale, della quale Roma chiedeva agli altri governi italiani la pronta convocazione . ., Il giorno s febbrajo i deputati, ornati della fascia tri• colore, al suono delle bande civiche scendevano dal Campidoglio al palazzo della Cancelleria ed a mezzo. giorno entravano nella sala delle sedute. Le tribune erano gremite di pubblico, fra il quale, moltissime si• gnore. Armellini, salito al banco degli· oratori, lesse, tra un profondo silenzio il discorso di apertura. Cominciava dal render conto delle cose fatte dal go· verno provvisorio; riassumeva gli avvenimenti del regno di Pio IX, moslrava la conseguenza logica del sistema delle riforme da esso intraprese, la necessità di pro• 81b' oteca Gt 10 Bianco

La Rep11bbl1caRomana del 1849 gredire, l'innestarsi inevitabile della questione di libertà nello Stato Romano alla questione nazionale; l'inevita• bile dualismo fra il potere teocratico e il principio costituzionale. • Egli - diceva accennando a Pio IX - potè allora, in occasione della guerra coli'Austria, conoscere che questa era l'abolizione del trattato di Vienna: era lo scioglimento della diplomazia, della sacra lega; era insomma la proscrizione della teocrazia, la separazione del potere spirituale dal temporale. E questo era ciò a cui il popolo anelava; era la condizione alla quale non si potevano· rassegnare i consiglieri occulti e palesi, prossimi e lontani, la debolezza e i pregiudizi del prin· cipe-sacerdote. Il pontefice, circondato dalle insidie dei tristi, persuadevasi dello scisma tra il principio funesto ai popoli, di mantenere neutrale lo Stato della Chiesa, e il dovere di trasmettere ai successori intatto il potere tradizionale. E siccome un principe costituzionale, non può seguire che i voleri del popolo, cosl vedeva nella Costituzione un ordinamento incompatibile coi doveri ai quali obbediva come capo della Chiesa. • Di qui l'enciclica del 29 aprile, la lotta fra il principio teocratico e il principio costituzionale, il tentativo di restaurare una politica di reazione, il ministero Rossi, l'assassinio del Rossi stesso, i moti del giorno 16, la fuga di Pio IX a Gaeta, ecc., ecc. • La rivoluzione - aggiungeva l'Armellini - esitò per molto tempo a spiegarsi, e non si rivelò aperta• mente, se non dopo che il principe sembrava non lasciare altra alternativa· fra l'antico regno dell'arbitrio assoluto e la completa emancipazione. ,, Allora si deliberò la Costituente e " tra il principe assente presso lo straniero che sembrava non ammet· tere mezzi di riconciliazione, e la Nazione che voleva fondare sopra una base stabile i propri destini, non Bibl oteca Gino Bianco

La Repubblica Rot11a11adel 1849 11 v'era da esitare. Il popolo era sovrano di diritto e di fatto: sì che la ragione dei principi e quella delle ne• cessità estrinsiche concorsero insieme a farci un dovere del decreto della Costituente. La perplessità della Ca• mera costituzionale e la dissoluzione della Giunta ci obbligarono a servir soli al debito che correva verso il paese; e trionfando di tutti gli ostacoli, provvedemmo, costituiti in Commissione Provvisoria di Governo, all'at• tuazione del pubblico voto. ·E ad un altro debito, più solenne verso l'intera Nazione, fu .per noi soddisfatto, col proclamare la Costituzione romana, nucleo della Italiana. ,, L'Armellini chiudeva il suo nobile discorso con queste parole: " Il nostro popolo, primo in Italia che si è trovato libero, vi ha chiamati sul Campidoglio a inaugurare una nuova èra alla Patria, a sottrarla dal giogo interno e straniero, a ricostituirla in una nazione, a purificarla dalla ·gravità dell'antica tirannide e dalle recenti men• zogne costituzionali. Voi siedete, o cittadini, fra i se• polcri di due grandi epoche. Dall'una parte vi stanno le rovine dell'Italia dei Papi. A voi tocca elevare un edificio che possa posare su quelle macerie, e l'opera della vita non sembri minore di quella della morte, e possa 'fiammeggiare degnamente, sul terreno ove dorme il fulmine dell'aquila romana e del Vaticano, la bandiera dell'Italia del Popolo. " Dopo ciò noi inaguriamo i vostri immortali lavori sotto gli auspici di queste due santissime parole: Italia e Popolo. H Il discorso dell' Armellini veniva accolto da grandi applausi. Si procedeva subito all'appello nominale e si constatava che 140 erano i deputati presenti. Alla chiamata del suo nome il deputato Carlo Bonaparte, principe di Canino, rispondeva col grido di Viva la Repubblica! Bib, oteca G1 o BiB-;lki

12 La Rep:1bblicaRomana del 1849 Prima della verifica dei poteri e della costituzione degli uffici, il deputato Garibaldi si alzava e richiedeva che l'assemblea proclamasse la Repubblica senza per• dere tempo nelle inutili formalità. Questa proposta era .rispettata e soltanto il giorno 8 di febbrajo si apriva la discussione fondamentale sulla forma di governo. Primo a salire tè tribuna fu il giovane deputato Savini di Bologna il quale disse che la Costituente sovrana non poteva gettare dietro le sue spalle il principio di libertà e d'avvenire dal quale aveva ricevuto la vita, per rifare il passato. Dovere la Costituente dichiarare decaduta di diritto la sovranità dei pontefici, poichè Pio IX spegnendo in sè per gli interessi mondani il carattere santo del suo ministero e abbandonando per viltà il seggio del suo potere temporale aveva aperta la strada all'in· staurazione del diritto popolare. Seguiva il Mamiani con un lungo discorso diligente• mente preparato, in cui diceva che a Roma non potevano regnare che i papi o Cola di Rienzo; e la decadenza di quelli conduceva di necessità ali' istituzione della Re• pubblica. Che egli conveniva con buona parte dei col• leghi suoi, che il governo del papa, quando non fosse temperato da guarentigie rappresentative, avrebbe con• tinuato ad essere un flagello per l'Italia e per la reli• gione; riconosceva che la Repubblica è il governo che meglio si confà alla dignità della nostra natura e tocca l'ideale della perfezione civile. Le sue objezioni si fon• davano quindi unicamente sull'essere dei fatti esteriori, sulle condizioni dell'opportunità. Affermava quindi che in Italia non si poteva contare sull'entusiasmo delle mol• titudini. Non credere egli a codesta marcia trionfale, che alcuni, vantando, preconizzavano, del vessillo repub• blicano per le terre d'Italia. Qualche mese fa, aggiungeva il Mamiani, era forse opportuna la Repubblica; ma non oggi che tutta Ji:uropa pende a reazione. Dalla Bibl oteca Gi'1o Bianco

La Rept1bblica Ro111a11a d,;t 1849 13 Francia, dove la libertà agonizza, dove è imminente un nuovo impero napoleonico, non c'è da sperare ajuto. " Quale consiglio rimane dunque da seguitare? Riapriremo noi trattati che non isperano venire ad alcun nobile frutto? Tenteremo accordi e conciliazioni fatte vane e impossibili? Chiederemo perdono di colpe che non abbiamo? La questione non istà tutta nel nostro arbitrio. Forniti di piene facoltà, quanto alla legislazione interna del paese, non lo siamo egualmente rispetto a quella parte che interessa l'Italia intera. Si deve dunque una tale questione riporre nelle mani della Costituente italiana e non la devono pregiudicare i diritti alla vigilia stessa della sua convocazione sul Campidoglio . ., In sostanza, il Mamiani predicava l'inerzia e la provvisorietà. Risposero al Mamiani, parecchi deputati. Masi, ac• cogliendo il dilemma dèl deputato per Pesaro, diceva, che, poichè il papa sarebbe sempre qual fu, un flagello per l'Italia, non rimaneva che disfarsene e sostituire il governo di popolo. Quirico Filopanti, rappresentante di Bologna, propo· neva un decreto per il quale l'Assemblea doveva dichiarare il papa decaduto di fatto e di diritto dal potere temporale e proclamare la Repubblicà romana. Alli, lettura di queste parole l'Assemblea prorompeva in applausi. Cesare Agostini, deputato di Foligno, così rispondeva al discorso di Mamiani: " La provvidenza pone oggi nelle nostre mani una questione intorno alla quale molti secoli lavorarono indarno. È debito nostro scioglierla degnamente. Le lagrime e il sangue lombardo, che il deputato di Pesaro ci mise sotto gli occhi, come ammonizione al nostro operare, ricadono forse sui popoli, o non piuttosto sul papa e sui re? Non ne fu in gran parte colpevole l'enBib' oteca Gi 10 Bianco

14 La Repttbbltca Ro111a11adel 1849 ciclica del 29 aprile? Il ricordare quel sangue e quelle lagrime a un solo pensiero può aprire la via: quello cioè di rimovere per sempre le cagioni che le ·fecero versare. Fu detto: in Roma, o papa, o Repubblica. E perchè la Repubblica si ritiene pericolosa, dovremo forse ritornare al papato? Cioè al più grande flagello d'Italia, secondo l'oratore medesimo che argomentò contro quella? ,, Il giovane oratore continuò affermando certo essere il danno della patria nel restituirla alla dominazione papale, perché questa contrasta di sua natura alla na· zionalità italiana; incerti, per l'opposto, i pericoli della Repubblica: probabile la riuscita, e immenso, in tal caso, il profitto. Combatté quindi una per una tutte le objezioni del Mamiani relative all'intervento del Pie· monte, della Toscana e della Francia (illudendosi grandemente intorno a quest'ultima) e poscia esclamò: " Si parla di Costituente italiana; ma si sa chiaramente che Piemonte e Napoli non la vogliono e non la vorranno mai; ed in ogni modo codesta Costituente non potrebbe farci una sorte contraria ai nostri voti di libertà e di nazionalità. E intanto innanzi a tal larva noi dovremmo restare nel provvisorio. Ma il provvisorio non dà forza e noi ne abbiamo supremo bisogno; il provvisorio fa supporre ua popolo che non abbia certa coscienza del proprio diritto, e a noi fa d'uopo ancor più di forza morale, forza che non ci può venire se non dalla fede nel nostro diritto. La giustizia della nostra causa e il modo regolare onde si è svolta la questione romana, sono incontestabili agli occhi di tutto il mondo; e noi siam posti in tale situazione che nessun governo può muovere contro di noi, senza varcare i limiti non solo della giustizia ma e_ziandio della verecondia. Noi fummo abbandonati dal potere che ci reggeva, e questo potere ha in sè stesso due titoli per essere abBibfoteca Gi'lò Bianco

La Repubblica Ro111a11adel 1849 15 lfattuto: l'uno è l'incompatibilità delle due funzioni che ~iunisce in sè; l'altro, il suo presente operare. La prel'rsa necessità di serbare al papa il potere temporale fa . cl\e il popolo romano sia condannato a rimanersi passivp innanzi alla causa d'Italia. Ma se un tale dominio è inconcilia~ile coi; nostri progressi civili e nazionali, chi potrà imporci una cosl crudele necessità? Perchè il papa è il nostro sovrano, dovrà dunque esserci vietato di perfezioi:iarci al pari degli altri popoli? E questo nel centro di una religione perfettrice? Se pertanto la confusione dei due poteri fa che il papa sia sempre la rovina nostra e della comune patria, chi potrà mai contrastarci il diritto di dire: noi non vogliamo un sì reo governo? E a parlar solo delle ultime opere della Corte pontificia, quanto inferiori non furono alle medesime le colpe che fecero cacciare dal trono Carlo X e Luigi Filippo? La qual Corte abbandonò il paese tentando suscitare la guerra civile; si rifugiò nelle braccia di un tiranno scelleratissimo; ci chiamò gli stranieri in casa; ci segregò, per motivi mondani, dal grembo della chiesa. La quistione di moralità e di giustizia era, senza alcun dubbio, decisa in nostro favore; nè v'aveva più sofisma nè considerazione di meschina prudenza che valessero a rattenere nelle menti e nei cuori quel pro• fondo bisogno che in essi era di sollevarsi contro una patente iniquità e d' inalzare al cospetto di Dio e degli uomini la parola del diritto e della redenzione morale e politica di Roma contro l'indegna servitù a cui la voleva soggetta. Parlò poi il Rusconi, deputato di Bologna, e fece osservare all'assemblea che la soluzione del quesito pendeva dal dichiarare l'incompatibilità del governo tem• porale dei papi col bene di Roma e dell'Italia; che, quando si proclamasse la decadenza della sovranità del papa, il deferire poi lo sviluppo di g_uesto antecedente B1b' oteca Gino Bian-:.o

16 La Repubblica Roma,ia del 1849 alla futura assemblea italiana sarebbe debolezza incon· siderata; che l'una cosa traeva necessariamente l'altra con sè. Doversi adunque unicamente riflettere se, dichia rando la decadenza dei papi, l'effetto necessario del reggimento popolare fosse conciliabile cogli interessi generali della causa italiana. Terminava invocando il sacrificio di qualunque convinzione al bene della causa dell'indipendenza, esclamando:" Tutto per l'Italia, tutto per la redenzione di questa sventurata patria nostra! ,, A questo punto molti deputati domandarono che• la seduta venisse rinviata al giorno seguente. Sterbini sostenne la proposta, ma l'assemblea decideva soltanto di sospendere per due ore la seduta. Alle otto di sera, i deputati della Costituente· romana rientravano nella sala. Rodolfo Audinot prese per il primo la parola, propugnando la sospensione di ogni deliberazione intorno alla forma di governo, pigliando argomento dall'autonomia e dalla sovranità collettiva della nazione, siccome quella alla quale solo competeva il decidere delle sorti delle particolari provincie. Concretava quindi il suo discorso cosl: decadenza de papi; governo provvisorio; convocazione della Costi tuente pel primo marzo, scorso il qual termine senza risposta dal resto d'Italia, Roma fosse in facoltà di prendere consiglio da sè stessa riguardo il proprio ordì· namento politico. Gli successe Io Sterbini con un discorso che parve sconclusionato e in cui esortava l'assemblea ad accontentarsi del fallo della Repubblica, passando sotto silenzio il nome; e cioè per non iscontentare la diplo· mazia! Dopo Io Sterbini parlò il deputato romano, Vinciguerra, additando la decadenza universale del principio monar• i:hico sul continente. Si dubita che proclamando la Re: B b .oteca Gho Biancò

La Repubblica Romm,a del 1849 17 pubblica si possa provocare l'intervento straniero, ma rivocando il papa non avevano con esso ogni generazione di barbari in casa, senza le forze per combatterli? E come riconciliarsi col papa mentre patteggia coll'Austria? Come affidare la ròcca minacciata a chi congiura coi nemici che la minacciano? Provammo il papato sotto forme liberali, e non fu meno austriaco per quelle: assurdo sofisma asserire che il poter temporale è necessario alla spirituale indipendenza del papa. Riepilo• gava quindi le sue proposte nella proclamazione della decadenza assoluta del papa dal potere temporale e della reintegrazione del popolo nel diritto e nel pieno esercizio della sua sovranità. Il deputato Gabussi confutava alla sua volta il discorso di Mamiani: confrontava lo stato presente dell'Europa con quello dell'ottantanove; mostrava i progressi dell~ democrazia; l'assenza o l'impotenza dei nemici interni; l'incapacità dei principi italiani a combattere la Repub• blica romana. I governi stranieri hanno troppo da pen• sare a sè stessi, per potersi occupare delle cose nostre; i re ci saranno nemici, ma se i re comandano le guerre, i popoli le fanno; e i popoli sono con noi. Tutta la questione si riduce ad aver guerra dall'Austria, la quale non potrebbe mandare contro Roma più di 20 ooo uomini. Terminava affèrmando che la Costituente italiana era un inganno e che la decadenza dei papi e la Repub• blica erano necessarie. Il deputato Savini, riassumendo la discussione, mo• strava come i discorsi pronunziati pro e contro si accordassero tutti in questi risultati: il papato incompatibile colle libertà civili e coi doveri delle nazionalità; i prin• cipi, infidi alla causa dell'indipendenza; unica salute ali' Italia futura la virtù dei popoli; inevitabile in Roma la democrazia di fatto. Riconosciuta la necessità del B b· oteca Gi o B1an~o

18 La Repubblic_aRomana del 1849 fatto, sarebbe ipocrisia, indegna di uomini liberi e investiti dalla sovranità popolare del mandato di decidere delle sorti del paese, il non proclamare le ragioni del diritto. Si tronchi dunque una discussione dramai su• perflua e si proceda a votare la morte politica del papa e la Repubblica. Parlò poi il Bonaparte principe di Canino, confutando il Mamiani coll'esempio dello stesso suo ministero che non potè comporre costituzionalmente i due poteri che si confondono nel regime pontificio. Accennando poi al tentativo conciliatore di Gioberti gridava: " Andate o conciliatori. Accingetevi a subire le vergognose condizioni pontificie I... Prima però spogliatevi del glorioso nome di italiani! •.• Non mi dilungo di più, il tempo stringe ... Ma non sentite voi il sacro suolo tremare sotto i vostri piedi? Sono le anime dei vostri antenati che fremono d'impazienza, e che vi gridano all'orecchio: Viva la Repubblica roma11a! ,, Parla va ancora per il partito monarchico, il deputato Cesari; ma gli rispondeva Vincenzo Caldesi: - Queste non sono discussioni, sono sermoni. E il Menghini di Ravenna compendiando alla sua volta la discussione: " Se mi è lecito restringere la discussione dei miei colleghi, mi pare che a soli tre si riducano i partiti da prendere: O papa, o governo prov• visorio, o repubblica. Del papa mi vergognerei di par• lare; il governo provvisorio non sarebbe che una pro· lungata agonia: dunque non rimane che la repubblica. ,, A questo punto per la prima volta scoppiarono gli applausi dalle tribune pubbliche, e grida altissime di Viva la Repubblica I Veniva poi messa ai voti per alzata e seduta la pro· posta di Mamiani, e respinta, Ugual sorte toccava alla proposta cli Audinot, · Bib' oteca Gi"lo Biarco

La Repubblica Romana del 1849 19 Venne da ultimo il decreto proposto da Filopanti: ArL 1. " Il papato è decaduto di fatto e di diritto dal governo temporale dello Stato romano. ,, Quest'articolo venne votato da tutti i deputati ad ec• cezione di cinque. Art. 2. " Il pontefice romano avrà tutte le guarentigie necessarie per l'indipendenza nell'esercizio della sua potestà spirituale. ,, Venne pure approvato. Art. 3- " La forma del governo dello Stato romano sarà la Democrazia pura, e prenderà il glorioso nome di Repubblica romana. ,, A quest'articolo i voti contrari furono trentadue. Un ultimo articolo proposto dal Filopanti venne respinto e sostituito con quest'altro: " La Repubblica romana avrà col resto d'Italia le relazioni che esige la nazionalità comune. ,, L'insieme della legge venne votato per appello nomi• nale, e crediamo non del tutto inutile trascrivere qui il nome dei votanti coll'indicazione del voto: · Gabussi, sì - Montecchi, sì - Ballanti Panfilo, n9 - Farticelli, si astiene - Sturbinetti, sì - A-rmellini, sì - Sterbini, sì - Muzzarelli, -sì - Salletti, sì - Scifoni, sì - Campello, sì - De Rossi, no - Calandrelli, si - Mariani Livio, sì - Bonaparte, sì - Agostini, si - Coccanari, sì - Benaducci, sì - Marini, sì - Cocéhi, sì - Bufalini, sì - Sediari, sì - Accursi, sì - Fabretti, sì - Salvatori Braccio, sì - Galeotti, sì - Cartoni, sì - Senesi, sì - Tantini, sì - Monti Coriolano, sì - Calai, è assente - Leggeri, sì - Diamanti, sì - Salvatori, sì - Frosinone, sì - Guglielmi, sì - Vinciguerra, sì - Turriziani, sì - Marrocci, sì - Kambo, sì - Angelini, sì - Caporioni, sì - Giannelli, sì - Pennacchi, sì - Cansacchi, sì - Coletti, sì - Sacripante, sì - Pileri, sì - Pontani, sì - Tronchet, è assent, - Zampi, sì - Bib' oteca Gi 10 Biaric,o

20 La Rep11bblicaRomana del 1849 Cerquetti, sì - Montanari, sì - Bosi, sì - Palmieri, sì - Santarelli, sì - Allé, sì - Cenni, è assente - Gari• baldi, sì - Govoni, sì - Masi, sì - Politi, sì - Guic• cioli, sì - Mordani, sì - Mattioli, è assente - Caldesi Vincenzo, sì - Manzoni, sì - Faella, sì - Lazzarini, è assente - Angeli, sì - Pasi, sì - Caldesi Lodovico, sì - Bertoni, sì - Monghini, sì - Camerata, sì - Pulini, si astiene - Baldini, si astiene - Tassetti, sì - Utili, sì - Onofri, si astiene - Mazzoleni, sì - Colocci, si astime - Cesari, si astiene - Berctta, si astiene - Ciani, sì - Sabatini, sì - Saffi, sì - Saragoni, sì - Zambianchi, sì - Allocatelli, sì - Ripa, sì - Ser• peri, sì - Gajani, sì - Beltrami, sì - Orsini, sì - Torricelli, sì - Ferrari, sì - Pianciani, sì - Mariani Antonio, sì - Mamiani, no - Froncini, sì - Marioni, sì - Ugolini, è assente - Donati, sì - Salvatori Antonio, si - Salvatori L. di Senigallia, sì - Corboli, è assente - Zacchi, sì - Paolinelli, sì - Cattabeni Andrea, è as• sente - Ravogli, si astiene - Bartolucci, sì - Cattabeni V., è assente - - Bernabei, sì - Rusconi, sì - Filopanti, sì - Berti Pichat, è assente - Audinot, no - Savelli, sì - Collina, sì - Berti, è assmte - Andreini, sì - Ercolani, no - Cassarini, è assente - Cristofori, 110 - Zambeccari, sì - Pianesi, sì - Brentazzoli, è as• smte - Carpi, si astiene - Rossi, è assente - Savini, sì - Pedrini, è assente - Giacomelli, è assente - Barili, sì - Bignami, è assente - Rusconi, sì - Bovi, è assente - Floridi, sì - Luciani, sì - Ferrajoli, sì - Baldini sì - Polidori, sì - Marini, sì - Battistini, sì - Vincentini, sì - Maffei, sì - Simeoni, è assente - Fasci, no - Novelli, è assente - Pascoli, sì - De Simoni, no - Tornaboni, sì - Laurentoni, si astiene - Salvatori G., si astiene - Minucci, sì - Gennari, sì - Monti B., è assente - Prosperi, è assente - Trevisani, no - Spada, sì - Mayer, è assente - Pironi, è assente - Pescantini, Bib1 oteca Gi,o B1an~o

La Repubblica, Romana del 1849 21 è assente - Bagiai, è assente - Anau, è assente - Costabili, è assente - Gherardi, è assente - Caroli, è assente - Cavalieri Ducati, sì - Grillenzoni, è assente - Tranquilli, no - Moretti, si astiene - Vecchi, sì. - Sforza, sì - Panicchi, è assente (1). CAPITOLO TERZO. Il triumvirato. In· seguito alla proclamazione della Repubblica, il potere supremo, per decreto della Costituente, veniva concentrato nelle mani di tre membri chiamati perciò. triumviri e questi furono: Armellini, Saliceti e Montecchi. Ad altri otto ministri competevano le ordinarie attribuzioni ministeriali. Ministro degli Interni era Aurelio Saffi. Nel primo mese della Repubblica, narra il Filopanti, l'influenza indiretta di Mazzini era potente. Egli trova vasi a Firenze dove consigliava la proclamazione di una Repubblica toscana ed una fusione colla Repubblica romana. Non ottenne nè l'uno nè l'altro scopo. Giunto a Roma, Mazzini, benchè non ancora depu• tato, fu, per un atto straordinario di stima verso di lui, ricevuto dall' Asse1nblea nel giorno 6 di marzo, ed invitato dal vice presidente Bonaparte, il quale in quel (r) Sopra 178 deputati legalmente eletti 34 mancavano alla se• ,1uta, Dei 144 presenti, 12 si astennero dal votar la Repubblica, consentendo però alla caduta del potere temporale; e 10 votarono per la proposta Mamiani; 8 soli votarono contro tutto; i 18 votarono per la Repubblica che venne proclamata solennemente nelle prime ore del 9 febbrajo al Campidoglio. B1b1 oteca Gì'lo Bianco

I 22 La Rep11bbl1caRomana del 1849 giorno presiedeva l'adunanza, ad assidersi al suo fianco. Mazzini parlò all'Assemblea, e disse che il nome di Roma consigliava ed imponeva cose grandi. Popo la Roma dei Cesari, e dei Papi, dovervi essere la Roma del Popolò. Pochi giorni dopo, Mazzini fu dagli elettori della Provincia romana nominato rappresentante del popolo, ossia deputato. Per potergli conferire quel più alto ufficio che tutti comprendevano convenirglisi, i triumviri abdicarono, e l'Assemblea nominò un novello triumvirato composto di Mazzini, Armellini e Saffi, nel giorno 20 di marzo. Chi ha letto tutti i documenti che si riferiscono alla Repubblica romana del 1849 non può essersi fatta altra convinzione di questa: che ci possono essere state nei tempi antichi, che ci possono essere anche nei tempi "nostri delle Repubbliche che rispondono più o meno alle tendenze filosofiche del secolo, alle esigenze della democrazia, al concetto che di un governo hanno coloro che amano di più il benessere di quell'ente collettivo che si chiama popolo, ma nessuno che nelle norme, nei criteri e nelle pratiche di governo abbia portato mag• gior contingente di sincerità, di serietà, di semplice ed austera dignità. Dovremmo ancora aggiungere che fu un governo dei più arditi, dei più rivoluzionari, nel vero senso scien• tifico della parola e nel medesimo tempo dei più nobili ed onesti che possa registrare la storia, · Notate i suoi primi atti. Il 24 febbrajo i membri della Montagna della Costituente francese scrissero un indirizzo di congratulazione fraterna alla Costituente romana. E l'assemblea romana rispondeva così : " ... Parole come le vostre ci compen• sano di molte calunnie, ci rassicurano contro molte in• sidie coperte. Noi sappiamo che voi illuminerete i vostri concittadini sul carattere della nostra rivoluzione, e che Biblioteca Gino Bianco

La Repubblica Romana del 1849 23 manterrete per noi quel dirillo alla vita nasienale che voi primi avete proclamato e conquistato, ,, Erano generose ma fatali illusioni. Quel dirillo alla vita nazionale che la Francia aveva a giusto titolo e a prezzo di molto sangue acquistato per sè, niegava a noi dopo poco tempo la Francia di Luigi Napoleone Bonaparte. Tuttavia, in quei primi giorni, la Repubblica non so• gnava neppure un intervento armato della Francia re• pubblicana. Il 29 marzo eletti al triumvirato, come abbiamo detto, Mazzini, Saffi, Armellini, la Repubblica concretava cosl il proprio programma: " Provvedere alla salute della Repubblica, tutelarla dai pericoli interni ed esterni, rap• presentarla degnamente nella guerra dell'indipendenza, questo è il mandato affidatoci. E questo mandato si• gnifica per noi non solamente venerazione a una forma, a un nome, ma al principio rappresentato da quel nome, da quella forma governativa; e quel principio è per noi un principio d'amore, di maggiore incivilimento, di pro• gresso fraterno con tutti e per tutti, di miglioramento morale, intellettuale, economico per l'universalità dei cittadini. La bandiera repubblicana inalzata in Roma dai rappresentanti del popolo, non esprime il trionfo di una frazione di cittadini sopra un'altra: esprime un trionfo comune, una vittoria riportata da molti, consen• tita dalla immensa maggiorità, del principio del bene su quell.> del male, del diritto comune sull'arbitrio dei pochi, della santa eguaglianza, che Dio decretava a tutte !'anime, sul_privilegio e sul dispotismo. Noi non possiamo essere repubblicani senza essere e dimostrarci migliori dei poteri rovesciati per sempre. ,, "Libertà e Virtù, Repubblica e Fratellanza devono es• sere irreparabilmente congiunte. E noi dobbiamo darne l'esempio ali' Europa. La Repubblica m Roma è uq B:b oteca G1:10 Bianco

24 La Repubblica Romana del 1849 programma italiano; una speranza, un avvenire pei ventisei milioni di uomini fratelli nostri. Si tratta di provare all'Italia e all'Europa che il nostro grido di Dio e il Popolo non è una menzogna - che l'opera no• stra è in sommo grado religiosa, educatrice, morale - che false sono le accuse di intolleranza, d'anarchia, di sommovimento avventate alla santa bandiera, e che noi procediamo, mercè il principio repubblicano, concordi come una famiglia di buoni, sot to il guardo di Dio e dietro alle aspirazioni dei migliori per genio e virtù, alla conquista dell'ordine vero, legge e forza associate. " Così intendiamo il nostro mandato. Così speriamo che tutti i cittadini lo intenderanno a poco a poco con noi. Noi non siamo governo di un partito; ma governo della nazione. La nazione è repubblicana. La nazione abbraccia quanti in oggi professano sinceri la fede repubblicana, compiange ed educa quanti non ne intendono la santità; schiaccia nella sua onnipotenza di so• vranità quanti tentassero violarla con ribellione aperta o mene segrete provocatrici di risse civili. " Nè intolleranza, nè debolezza. La Repubblica è con• eiliatrice ed energica. Il governo della repubblica è forte; quindi non teme; ha missione di conservare ir.- tatti i diritti e libero il compi mento dei doveri d'ognuno; quindi non s'inebria di una vana e colpevole securità. La nazione ha vinto: vinto per sempre. Il suo governo deve avere la calma generosa e serena e non deve co: noscere gli abusi della vittoria. Inesorabile quanto aprincipio, tollerante e imparziale cogli individui: nè col dardo n·è provocatore; tale deve essere un governo per ,, esser degno dell'istituzione repubblicana. " Economia negli impieghi; moralità nella scelta degli impiegati; capacità, accertata dovunque si può per con· corso, messa a capo d'ogni ufficio, nella sfera ammini· strativa. Bibl oteca Gi"lo Bianco

La Rep11bblica Roma-,,a del 1849 25 " Ordine e severità di verificazione e censura nella sfera finanziaria, limitazione di spese, guerra a ogni prodigalità, attribuzione d'ogni denaro deJ paese all'u• tile del paese, esigenza inviolabile d'ogni ·sacrificio ovunque le necessità del paese la impongono. " Non guerra di classi, non ostilità alle ricchezze acquistate, non violazioni improvvide o ingiuste di proprietà; ma tendenza continua al miglioramento materiale dei meno favoriti dalla fortuna, e volontà ferma di ristabilire il credito dello Stato, e freno a qualunque egoismo colpevole di monopolio, d'artificio o di resistenza passiva, dissolvente o procacciante alterarlo. " Poche e caute leggi; ma vigilanza decisa sull'esecuzione. " Forza e disciplina d'esercito regolare sacro alla di• fesa del paese, sacro alla guerra della nazione per l'in• dipendenza e per la libertà dell'Italia. " Sono queste le basi principali del nostro programma; programma che riceverà sviluppo più o meno rapido a seconda d·ei casi, ma che, intenzionalmente noi non violeremo giammai. " Recenti nel potere, circondati d'abusi spettanti al governo caduto, arrestati a ogni passo dagli effetti del• l'inerzia e delle incertezze altrui, noi abbiamo bisogno di tolleranza da tutti; bisogno sovra ogni cosa che nessuno ci giudichi fuorchè dalle opere nostre. Amici a quanti vogliono il bene della patria comune, puri di cuore se non potenti di m·ente, collocati nelle circostanze più gravi che siano mai toccate a un popolo e al suo governo, noi abbiamo bisogno del concorso attivo di tutti, del la~oro concorde, pacifico, fraterno di tutti. E speriamo d'averlo, Il paese non deve nè può retrocedere; non deve nè può cadere nell'anarchia, Ci secondino i buoni; Dio che ha decretato Roma risorta e l'Italia na• zione. ci seconderà ,,. Bib! oteca G110 Bian,;o

I 26 La Rep11bbl1ca Roma11a del 1849 Per dimostrarsi davvero migliore dei cessati governi, la Repubblica, pure avendo l'occhio alla difesa delle mura, si occupò subito del miglioramento delle classi più disagiate. E per cominciare, e fare opera alta di moralità re• pubblicana, destinò l'edificio che già serviva al Santo Ufficio ad abitazione di famiglie o di i_ndividui indigenti. Cosl, quelle tetre mura che sentirono i gemiti dei prigionieri e le grida stazianti dei torturati, per la prima volta risuonarono di benedizioni e ripercossero parole di affetto e di gioje famigliari. E questa metamorfosi la compieva la Repubblica. La quale, quindici giorni avanti all'assalto dei francesi, non desisteva dalle sue riforme pacifiche e civili, ma le affrontava e, sol che avesse avuto tempo, avrebbe ri• solto un problema che non ha ancora trovato oggi la sua soluzione, e che l'avrà soltanto nel secolo venturo; quello dell'emancipazione del suolo e di coloro che lo lavorano. Un decreto della Repubblica che porta la data del 15 aprile è così concepito: Art. 1. 0 - " Ogni famiglia povera, composta almeno di tre individui avrà a coltivazione una quantità di terra capace del lavoro di un pajo di buoi, corrispondente ad un buon rubbio romano, cioè due quadrati censuari, pari a metri quadrati 20,000. ,, Art. 2. 0 - " I vigneti saranno dati a coltura, ali' in• dividuo senza che sia richiesta la famiglia e verranno divisi in ragione della metà dell'indicata misura. Contemporaneamente, come scrive un autore non so• spetto di repubblicanismo - Giuseppe La Farina - veniva abolito il turpe appalto del sale, ed il suo prezzo scemato con gran beneficio dell'agricoltura, della pesca della pastorizia e della pubblica salute. B,b oteca G110 Biar~::>

La Rtpubblica Roma11a del 1849 27 E parlando delle finanze della Repubblica lo stesso moderato La Farina non esita di scrivere: " Le pubbliche finanze furono affidate ad una Commissione di probi e specchiati uomini, la quale mise un qualche ordine in quella matassa arruffata dalla ignoransa e ladroneria degli 11/ficialipontefici. CAPITOLO QUARTO. L'intervento. Mentre la Repubblica si occupava del benessere delle popolazioni e pensava a rendere un poco di giustizia ai diseredati del paradiso sociale; quattro eserciti, l'austriaco, il borbonico, lo spagnuolo e il francese, si apprestavano a •camminare su Roma e affilavano le armi che dovevano trafiggere tanto fiore di gioventù italiana, e fondevano le palle che dovevano attraversare il corpo di Mameli, di Masina, di Daverio, di Dandalo di Morosini. Il triumvirato lanciava un breve manifesto: Romani, " Un intervento straniero minaccia il territorio della Repubblica. Un nucleo di soldati francesi s'è presentato davanti a Civitavecchia. Qualunque ne sia l'intenzione la salvezza del principio liberamente consentito dal popolo, il diritto delle nazioni, l'onore del nome romano, comandano alla Repubblica di resistere. La Repubblica resisterà. È necessario che il popolo provi alla Francia e al mondo che non è popolo di fan• Bib 1oteca Gi'1o Bianco

28 La Repttbblica Ro111n11adel 1849 çmlli, ma popolo d'uomini, e d'uomini che un tempo diedero leggi e incivilimento all"Europa. E necessario che nessuno possa dire : i romani vollero, ma non seppero essere liberi. È necessario che la nazione francese impari, dalla nostra resistenza, dalle nostre dichiarazioni, dal nostro contegno, la ferma nostra decisione di non ritornare più mai sotto il governo abborrito che rovesciammo. Il popolo lo proverà. Chi pensa altrimenti, disonora il popolo e tradisce la patria. L'Assemblea è in permanenza. Il triumvirato adempirà, checchè avvenga, al proprio mandato. Ordine, calma solenne, energia concentrata. Il Governo vigila inesorabile su qualunque tentass~ di travolgere il paese coll'anarchia o d'operare a danno della Repubblica. Cittadini, ordinatevi, stringetevi intorno a noi. Dio e il Popolo, la Legge e la forza trionferanno. ,, Nel medesimo tempo Mazzini stendeva la. protesta da spedire al generale Oudinot, È un· documento storico della più alta importanza. " L'assemblea romana, commossa dalla minaccia d'invasione del-territorio della Répubblica,conscia che questa invasione, non provocata dalla condotta della Repubblica verso l'estero, non preceduta da comunicazione alcuna da p.arte del governo francese, eccitatrice di anarchia in un paese che, tranquillo e ordinato, riposa nella coscienza dei propri diritti e nella concordia dei cittadini, viola a un tempo il diritto delle genti, gli obblighi assunti dalla nazione francese nella sua costituzione e i vincoli di fratellanza che dovrebbero naturalmente annodare le due Repubbliche, protesta in nome di Dio e del Popolo contro l'inattesa invasione, dichiara il suo fermo proposito di resistere e rende mallevadrice la Francia di tutte le conseguenze. ,, Bib, oteca G,,o Bic1n~o

La Repubblica Uo111a11dael 1849 29 La mattina del 25 aprilè i francesi comandati da Oudinot sbarcavano a Civitavecchia. Dicevano di venire per impedire che Roma fosse occupata dagli austriaci che pure si avanzavano. La mattina del 27 Mazzini ordinò al ministro degli Esteri, Carlo Rusconi, di abboccarsi col generale Oudinot. Rusconi venne ricevuto dal generale francese, nonchè dal principe Latour-d' Auvergue che fu poi ministro e dal capitano Faber. Il generale Oudinot - narra il Rusconi - aveva l'a· spetto contrito e il parlare lungo e intralciato. " Invocò anzitutto la memoria del padre, duca di Reggio, che pure diceva aver amato grandemente l'Italia. Si mostrava addolorato che si fraintendesse tanto il significato della spedizione ch'esso guidava, e che prima di rav• visarvi un atto amichevole della Francia, si riputasse cosa ostile a noi, e vòlta a fini a tutti ripugnanti. Come poteva la Francia repubblicana fare il viso dell'arme a un governo di schietta democrazia? Poteva esserci nulla di più assurdo, coi frutti della civiltà che i tempi avevano maturati, quanto l' imaginare che si volesse restaurare un governo che non aveva più radice che in quel pazzo medioevo che era per sempre tramontato? Diversi, ben diversi i propositi della Francia; diverso l'objettivo al quale essa s'indirizzava. u Rusconi rispose che sugli intendimenti non poteva volgere la discussione; che i fatti soltanto erano da esa• minare. I francesi venivano, non chiamati, non invocati; era naturale che il senso nazionale ne fosse scosso. La tutela che si· proponevano di esercitare, era umiliante per Roma, la quale non avrebbe potuto adattarvisi. In Roma vi era un governo regolare, instaurato col libero suffragio; un'ingerenza straniera, fosse pure coi migliori propositi, non aveva diritti ed era in opposiBib: oteca Gi 10 Bianco

30 La Reptibblica Romana del 1849 zione con quei principi che la Francia aveva dichiarati sacri. La discussione fu lunga e si chiuse con quest'accordo: il capitano Faber andasse col Rusconi a Roma, e giudicasse egli stesso quale realmente fosse lo stato della pubblica opinione. · Il Faber fu a Roma, ci rimase un giorno, parlò con Mazzini, e il giorno appresso disse al ministro degli Esteri : " Signore, ho percorsa Roma, ho con.ferito con molte persone: conosco le rivoluzioni avendone vedute di molte a Parigi, e credo di non ingannarmi nel giudizio che soglio fare dei sentimenti dei popoli. Ebbene, signore, vi dico che Roma non resisterà; che la gran maggioranza dei cittadini desidera un mutamento d'ordine; che i francesi saranno accolti qui con piacere e non vi sarà un colpo di fucile contro di noi. - Ed è proprio questo - domandò il Rusconi - il giudizio che vi siete formato? - Questo - rispose - nè potrei mutarlo fino a prova contraria. Alcuni giorni dopo, alla battaglia del 30 aprile, il capitano Faber cadeva morto colpito da palla italiana. CAPITOLO QUINTO. La battaglia del 30 aprile. Il 30 aprile la sorte delle armi arrise alla Repubblica romana. Garibaldi, nelle sue Memorie cosl a~cenna a quella gloriosa giornata: " Era veramente disprezzante il modo di attaccare del generale nemico : Don Chisciotte all'as salto dei mulini a vento. B,bl.oteca G1 o Bianco

L• Repubblica Romana del 1849 31 ' Egli attaccò non in altra guisa che se non ci fossero Stati baluardi, o se questi fossero stati guerniti con bimbi. Veramente, il general~ Oudinot, virgulto d'un maresciallo del primo impero, rion aveva creduto necessario procu• r arsi una carta di Roma, ,, Il borioso generale Ondinot - narra la signora Mario - sbarcato a Civitavecchia il 25, trovasi a Palo il 28 e il 29 a Castel di Guido, e di quivi spedisce il proprio fratello e 15 cavalieri per una ricognizione, " Gli avamposti romani vegliavano al punto ove la via partesi in antica e nuova, e diedero " l'alto ,, agli stranieri domandando: 11 Che volete? ,, " Andare a Roma! ,, " Non si può. ,, " In nome della Repubblica francese vi andremo. ,, 11 In nome della Repubblica romana indietro I ,, • Fuoco ,, comandò il francese. E fuoco risposero i nostri e cadde il cavallo di un francese: il cavaliere ab• bandonato dai suoi, fu condotto prigioniero a Roma; forse colui çhe tratto al cospetto di Garibaldi mendicò piangendo la vita! All'alba d.,.J30, deposti i sacchi alla Maglianella, Oudinot accostassi a Roma. Giunti al bujo, i francesi presero la via di Porta Cavalleggeri, spingendo i volteggiatori a dritta in luoghi scoscesi e selvosi, e i cacciatori di Vincennes sulle alture a sinistra. Allo spuntare del nemico, Avezzana, dalla vedetta sulla Pupola di San Pietro fece suonare a stormo da tutti l campanili, e in un attimo i ripari, i bastioni, furono gremiti di popolo, il quale aveva ottenuto armi dal ministro della Guerra; e quelli che non le ottennero si acèOl'ltentarono di trasportare feriti e morti, di recare provvisioni da fuoco o da bocca; e le splendide donne del Trastevere incoraggiavano i mariti e i fratelli, e mand~ano i figli adolescenti al battesimo del fuoco. Bib' oteca G, 10 3ian ,o .

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