Il governo fascista nelle colonie

ASSOCIAZIONE ITALIANA 1 PER IL CONTROLLO DEMOCRATlCO PICCOLA , BIBLIOTECA DI STUDI POLITICI ~~~--~IV IL.GOVERNOFASCISTA NELLE COLON,I;E (SOMALIA - ERITREA - LIBIA) J ,f ' MCMXXV E n~1 =z ~1~o-:-:N=-=-1:---" e o R B A e e I o ',, MILANO - CORSO BUENOS AYRES, 69 - MILANO B.b1 okacaGho Branco

J Biblioteca Gino Bianco

--·-~···, ...... __ PROPRIETA' LETTERARIA RISERVATA B1bliot t; ne E:1 :1.1ro ,

IL GOVERNOFASCISTA N_EL LE COLON I E (SOMALIA - ERITREA -· LIBIA) MCMXXV EDIZIONI "CORBACCIO,, MILANO· 8 b oteca G1,o 81arico

PREAMBOLO « Ripristinando l'autorità effettiva dello Stato nelle Colonie»: questo gerundio, e nient'altro, dedicava i'ultimo discorso della Corona alla situazione delle nostre quattro colonie, Tripolitania, Cirenaica, Eritrea e Somalia. Su questo, come su altri gravissimi argomenti, il silepzio nel pa,ese è da due anni completo. Per chi conosce lo stile fasciata, è stato rivelatore anche il breve accenno che si è fatto porre in bocca alla Corona: altezzoso ma vago, pomposo ma sfuggente ogni precisione. Molti ne han concluso che anche là la situazione doveva esser molto men buona di quel che si vantava ai « buoni sudditi ». Stimiamo un dovere offrire all'attenzione degli italiani le pagine seguenti, che contengono dati della cui autenticità siamo sicuri: queste pagine sono, infatti, il succo di osservazioni e constatazioni compiute da due competentissimi che negli ultimi mesi han sui luoghi studiato la situazione. Controllo democratico non vuol dir solo divulgazione o teoriz.zazione di idee generali; deve dire, dovrebbe dire, in un paese libero, sorveglianza gelosa, da parte dei cittadini, anche dei singoli rami della pubblica amministrazione - sopratutto là ove si teB1bhoh.icdG no B a,co

6 IL GOVERNO FASCISTA NELLE COLONIE me che gli interessi della nazione possano venir compromessi. , . È questo dovere - più ancora che diritto - che l'Associazione Italiana del controllo Democratico comincia a adempiere colla presente pubblicazione, cui seguiranno, per altri rami della cosa pubblica, altre pubblicazioni non meno interessanti. Quando i nostri compatrioti sentiranno maggiormente questi doveri e questi diritti, vorrà dire che allora, ma allora solo, avran ragione di non più temere le vergognose sorprese di certe dittature. Bib oteca G,,o Bianco

I LA SOMALIA DI IERI. ... Se il segreto della politica coloniale, che meno di ogni altro è un problema di pura forza, può dirsi consista in un massimo di risultati con un minimo di sforzi, anche e sopratutto perch~ verte su un materiale umano che meno si tocca meno diventa ostile, sarà istruttivo cominciare la nostra disamina dalla Somalia. Perchè? Perchè, per modesto che sia il nostro impero coloniale, la Somalia era spesso citata a modello anche da francesi e inglesi come tipo felice di possedimento conquistato senza sangue, allargato senza sangue, fortificatosi nella fidente simpatia degli indigeni. LA FECONDA CONQUISTA Della feconda conquista va dato merito alla politica di attrazione, convincimento, moderazione seguita da tutti i governatori e reggenti che succedette• ro alla Compagnia Commerciale Milanese Filonardi, la quale ei era limitata alla occupazione della costa. Fra quei funzionari, uno dei rimasti più popolari - 81b ot ca G '10B1arco

8 IL GOVERNO FASCISTA NELLE COLONIE a parte, s'intende, il Ferrandi, ve_r~creatore del~a colonia - è il Gasperini, abù Spenm, come lo chiamano gli indigeni, attuale gov~rnatore dell'Eritrea. La lenta e tenace politica italia~a portò la nostra bandiera dalla costa agli attuali confini coll'Etiopia, occupando un vastissimo territorio che può esser redditizio, anche se non ha la fertilità che eccessivi entusiasmi gli vogliono attribuire. Come fu che l'elemento indigeno si lasciò attrarre nell'orbita della dominazione italiana, senza opporre troppe resistenze? Dimostrandogli semplicemente, con fatti positivi, che l'Italia non intendeva sfruttarlo nè con imposizioni fiscali, nè con lavoro obbligatorio; che voleva intervenire nelle secolari contese fra cabila e cabila solo come elemento pacificatore e moderatore, giudicando imparzialmente e rendendo sicuro il paese. Fu, insomma, come non fu mai sotto il teatrale imperialismo romaneggiante del fascismo, un tipico esempio di saggia conquista coloniale, al vecchio modo di Roma. · Le paurose leggende sulla ferocia del somalo e sulla impenetrabilità del paese, eco dell'eccidio del Cecchi, erano omai sfatate, e qualsiasi bianco, anche non appartenente al Sercal (Governo) poteva traversare in lungo e in largo la colonia senza timore di attacchi. I residenti svolgevano con tranquillità il loro programma, lontani dai centri, soli talvolta e senza apparati di forza. Si poterono aprire strade in regioni prima ignote e fra boscaglie pericolose, fondare dei centri a centinaia di chilolìletri dalla costa, attrarre lo scarso commercio locale, fissare tribù nomadi e guerriere, creando ovunque la convinzione che l'italiano non voleva ~o sterminio del nero, che voleva anzi il suo migliore interesse, B b oteca G110B1arico

LA SOMALIA DI IERI ... 9 LA SICUREZZA PER I BIANCHI Il merito fu di coloro che si recarono laggiù ·senza preconcetti e prevenzioni, che non sognarono gesta bellicose da eternare in pomposi bollettini, ma che si limitarono ad agire dopo studiato il carattere del nuovo ambiente, e procedendo poi per gradi. La Somalia non figurò nei bilanci per cifre fantastiche di milioni e di cadaveri; era gloria italiana la conquista pacifica di una intera colonia. Gli ex-schiavi, cioè gli abitatori della costa e delle rive del fiume, riconoscevano da noi la conquistata libertà, la proprietà del suolo che coltivavano e la eguaglianza assoluta dei loro diritti dinanzi alla legge; i liberi, cioè i nomadi pastori delle boscaglie, ci erano grati del nostro equo intervento nelle secolari contese di cabila, della sicurezza delle comunicazioni, della possibilità di scambiare senza pericolo e senza soverchia usura i loro prodotti coi generi provenienti dalle vie del mare. La Somalia era insomma la colonia ideale, dal lato della tranquillità e della sicurezza. Italiani e stranieri potevano addentrarsi nel più remoto retroterra, preparare culture e attrarre migliaia di lavoratori, con la stessa facilità che nelle regioni più progredite del mondo. L'azienda della S. A. I. S., che vanta come suo direttore il Duca degli Abruzzi, ha potuto tranquillamente iniziare il proprio programma di sfruttamento del terreno, in piena boscaglia, a oltre 60 chilometri da Mogadiscio, fra tribù :fisse e nomadi, senza ap• parati bellici, senza conquista, contrattando. direttamente coi nativi, importando anche masse di lavoB.b' oteca Gno Biarco

IO IL GOVERNO FASCISTA NELLE COLONIE ratori stranieri (abissini e arabi) senza provocare contrasti di razza o religione. L'ing. Natali di Novara ha potuto, a oltre 100 chilometri dalla costa, solo bianco fra migliaia di neri, e senza il menomo contorno di ascari armati, dissodare, con mano d'opera esclusivamente locale, centi• naia di ettari, abitando una fragile baracca di legno, rispettato e aiutato dai nativi. A tanto si era potuto arrivare per la fiducia ispirata dai nostri metodi di amministrazione! B bi otcca Gino Bianco

Il ....E LA SOMALIA D'OGGI Nel 1923 governava la Somalia, inviatovi sotto il ministero Giolitti, il Riveri, antico Direttore generale di Lavori pubblici. Amministratore sagace e probo, era l'uomo adatto per una carica che non comportava direttive di alta politica, ma solo una giudiziosa ed equa amministrazione promovente uno sviluppo di lavori pubblici già studiato e progettato sotto quel gabinetto. A questo governatore, che gover~ava con savia e serena modestia, lavorando indefessamente senza scomodare le trombe della fama, l'on. Federzoni sostituiva improvvisamente, nell'ottobre 1923, l'on. De Vecchi. Il Riveri rimpatriava, ottenendo di non aspettare il successore. Pel suo paterno governare gli indigeni sottoscrissero per un artistico dono che gli presentarono alla partenza, cosa che non avevano mai fatta per alcun altro bianco. Il primo cenno di vita che il nuovo governatore dette di sè a Mogadiscio fu il seguente telegramma da Napoli, al momento dell'imbarco: « Dispongo che intero palazzo governatoriale sia B1bl1otec Gino B a co

12 IL GOVERNOFASCISTA NELLE COLONIE immediatamente s«ombrato. Preparate cinque c11mere b 1 . da letto con mobilio nuovo e salotto per a signora. De Vecchi ». IL « GOVERNATORE SCIABOLA» Per capire quest'ordine è necessario sapere che, dal tempo della occupazione della colonia, gli uffici del Governo risiedettero sempre nel palazzo del Governatore, composto di 42 stanze; al pianterreno esso poi era abitato dal Duca degli Abruzzi. Mogadiscio difettando di case adatte per uffici, si dovette in fretta e furia trasportare uomini e carte in un caseggiato in costruzione, ad uso caserma. Il Duca degli Abruzzi sgomberò anch'es~o immediatamente e chiese ospitalità alla Radio. Il 6 dicembre - e si attendeva il piroscafo per l'otto - altro telegramma: <e Intendo essere ricevuto massima solennità e massimo numero popolazione. Indosserò alta uniforme e farò ingresso a cavallo, passando rivista truppe. Pomeriggio cabile renderanno omaggio. De Vecchi». Era la prima volta che un governatore personalmente indicasse il modo col quale doveva essere ricevuto, e imponesse tanta coreografia. La Somalia era una colonia modesta e semplicetta, e i vari governatori mai avevan voluto alterarne il felice carattere. La questione del cavallo preoccupò non poco i direttori di governo, dato che a Mogadiscio non vi sono che muli. Ad ogni modo il Residente, facendo appello alla buona volontà dei cittadini e lavorando notte e giorno, potè inscenare un ricevimento che soddisfece il Governatore, che era sbarcato con numeroso seguito familiare, e perfino con squadristi torinesi. Durante la sfilata delle cabile nel cortile del palazzo, il Governatore, che assisteva da Bib' oteca Gno Biarco

•••E LA SOMALIA D'OGGI 13 ,un balcone, si fè portare dal segretario una spada romana, che gli era stata regalata dal fascio di Torino alla partenza, e estraendo la lama luccicante, l'agitò sulle teste dei neri vocianti i loro saluti augurali. Tale atto, se fece sorridere i bianchi, impressionò sinistramente i neri, che ci videro una dichiarazione di guerra. E il De Vecchi fu subito sopranominato dai nativi « governatore sciabola ». DISCORSI STRAORDINARI Durante i ricevimenti aveva pronunciati molti discorsi. Ai funzionari aveva detto : « Voi vi sarete domandato perchè ho preteso tutta questa solennità. Perchè una nazione non è forte se non ha la forma, perchè questa nella vita dei popoli è tre quarti mentre la sostanza è un quarto. L'epoca vergognosa della democrazia e della modestia è finito, ed ora l'Italia vuole affermarsi anche con la pompa. Io sono il rappresentante dell'Italia nuova, nata dalla guerra, che diventa forte e temuta nel mondo e· che ha dei fini imperiali da raggiungere. Pretendo il massimo lavoro e disciplina. Occorre lavorare 24 ore su 24 e domandarsi se vi è ancora altro tempo ». Ai cittadini: « Io sono il rappresentante del gran• de capo Mussolini e sono qui per eseguire i suoi ordini. So governare perchè ho governato ed ho la ma• no dura. Non voglio commenti. Ciò che faccio, faccio bene. Questa colonia non è che una tappa delle vie imp~riali, che l'Italia si prepara a raggiungere ». Si era saputo intanto che aveva portato delle liste di proscrizione e che avrebbe immediatamente rim• patriato quelli che non gli andavano. A Porto-Sudan era sceso in gran tenuta e con seguito di squadristi, eccitando lo stupore e la meraviglia degli ing~i pre-- Bib' oteca Gno Biarco

------~~------~------, I 14. IL GOVERNO FASCISTA NELLE COL,NIE senti, e ad Aden aveva dato luogo ad un incidente, umiliante per gli italiani, sempre per via dei f,scisti armati. Piovvero le decisioni e le innovazioni locali. Fra molte di analogo misero carattere, ne citiamo 11nasola. A Mogadiscio si distribuiva, dietro modesto compenso per far fronte alle spese, ed esclusivamente ai funzionari, una certa acqua, per usi domestici, meno salmastra di quella degli ordinari pozzi della città. De Vecchi perentoriamente ordinò che solo il Governatore aveva diritto all'uso di tale acqua. Intanto i funzionari vecchi, che avevan assicurato la mirabile pace della colonia, erano rimpatriati un dopo l'altro. Gli addii di alcuni Residenti dai ~oro amministrati neri furono commoventi. Nessuno capiva perchè si distruggevano le migliori forze e tradizioni. PROPOSITI BELLICOSI I pochissimi che avevano contatto con il Governatore, che intanto eseguiva spese ingenti di ammohigliamento nel palazzo, che si circondava di ascari armati, che vietava l'accesso al palazzo a chi non fosse munito di un particolare gettone, sentivano da lui i più strani propositi. Egli voleva la guerra, il bollettino bellico, con morti e feriti. Ad un funzionario dichiarava: « Io sono un valorizzato dalla guerra e dalla lotta contro i socialisti. Non posso quindi continuare che a fare la guerra per andare sempre più in alto! ». Ad uno sportsman, venuto in Somalia per la caccia grossa e che gli raccontava di voler percorrere l'alto Uebi Sceheli per poi scendere lungo il Giuba, diceva: « Non vada, perchè se ora l'Uebi Sceheli è tranquillo io lo farò diventare pericoloso! ». E pensare B bi otcca Gino Bianco

••.E LA SOMALIA D'OGGI 15 che 'Proprio sull'alto Uebi si trovava l'azienda del Duca d~gli Abruzzi! lV.lOltidei servizi civili egli accentrava al comando trupi:e, e dall'Italia chiedeva cannoni di grosso calibro, nuove mitragliatrici e munizioni. Parlava di volerh finire col protettorato dei sultani di Obbia e di lhfun e di fare una spedizione contro di essi con un miµiaio di ascari e con cannoni. Vi fu infatti coi Sultani protetti una serie di incidenti che taciamo per dewro di patria. È ccnsuetudine in Somalia come nelle altre nostre colonie che i cittadini italiani, i funzionari e i capi indigeni si rechino dal Governatore il 1 ° gennaio per gli augurii di rito. La sera del 31 dicembre 1923 fu distribuito in Mogadiscio il seguente comunicato ufficiale: e Domani S. E. riceverà i cittadini italiani presenti ~ Mogadiscio, che han preso parte alle campagne di guerra 1915-18 ». Erano così esclusi dal ricevimento sia quelli che avevano fatto le campagne libiche e di Eritrea - di cui qualcuno decorato di medaglie d'argento - sia quanti, per circostanze indipendent: dalla loro volontà o per età, non avevan potuto prrnder parte alla gran guerra. Se l'ammirabile Ferrandi, il vero conquistatore della Somalia, magnifico tipo d'Italiano di cui in questo periodo di gesti da cinematografo nessuno parla, si fosse trovato quel giorno a Mogadiscio, non sarebbe dunque stato ricevuto da S. E. Gli ammessi alla presenza del, Governatore non superarono la quarantina, mentre a Mogadiscio gli italiani sono trecento.- Il Governatore li ricevè in abito di generale fascista e dopo un inno al fascismo escì in questa testuale apostrofe: « Voi che avete iniziato la grande opera fra il fango e il sangue delle trincee, voi siete i purissimi e i miei collaboratori. A voi chiederò aiuto nel mio travaglio. Ma a tutti coloro che 81b oteca G o B arco

16 IL GOVERNO FASCISTA NELLE coLJIE comunque non presero parte ~Ila .gran~e 1 guerra/4m_- porrò il duro lavoro, senza mISericordia. » Ac!n?o poi chiaramente al suo obiettivo militare: « L~ aha? terra d'impero, non può esser contenuta nei rev1 confini delle sue Alpi. Essa deve, come Roma mperiale dominare nuovamente i popoli. Per st rio destino' le fortune d'Italia nascono da un disas~ro L'impero di Roma partì da Canne, la terza Itaha a Custoza, la nuova da Caporetto, l'impero colon' le italiano nascerà da Adua ». Quale fu il risultato <li queste e altre ancor più chiare parole? Che l' 1'bissinia fece una forte concentrazione militare al tonfi.ne; che l'allarme fu grande e che i diplomatic' italiani dovettero aver il rossore di spiegare che si trattava di parole letterarie senza portata. 1 COMINCIANO ÌE vhLENZE I rapporti dell'on. De Vecchi col Duca depli Abruzzi non potevano che diventare tesi, perchè l'azienda del Duca per tirare avanti aveva bisogno d/ tranquillità e di pace, specie per profittare della scarsa mano d'opera indigena, che si andava penosamente organizzando. S. A. si tirò in disparte, ma si fissò nel centro delle sue aziende per parare ai nascenti pericoli. È noto a Mogadiscio che il Duca, il quale, quando dimorava colà era commensale quotidiano del Governatore scacciato dal Federzoni, non ha mai accettato uno dei tanti inviti dell'on. De Vecchi. Si racconta là che, alle sue insistenze, rispose un giorno sorridendo: « So che V. E. indossa abitualmente il frak · e siccome io qua non ho che lo smoking, così non pos: so accettare ». Il fatto d'armi sognato avvenne in Somalia nel marzo 1924. Le conseguenze le sentiremo purtroppo in avvenire. Bib' oteca Gno Biarco

•••E LA SOMALIA D'OGGI 17 Recatosi il governatore nel marzo 192-l a Mahaddei, sede di Commissariato, notò fra gli indigeni convenuti a rendergli omaggio vari con fucili. Ne seguì una violenta sgridata al commissario, maggiore Dall'Era, e l'ordine perentorio di imporre alla tribù dei Galgial, cui quelli indigeni appartenevano, di consegnare entro 24 ore i fucili. Invano gli fu fatto osservare che si trattava di vecchi catenacci, e che i governatori precedenti avevano a più riprese autorizzato i Galgial a tenerli, sia a titolo d'onore, sia per la cacc.ia ai coccodrilli. II De Vecchi fu furioso che gli si citasse il parere di passati Governatori e mantenne l'ordine. Gli indigeni pregarono, scongiurarono, mostrarono le vecchie carte di autorizzazione. Invano. Da Mogadi~cio erano già partiti 800 ascari al comando del colonnello (cioè il comandante stesso di tutte le no• stre forze) coll'ordine di ridurre all'obbedienza col ferro e col fuoco i e< ribelli». Le nostre truppe andarono, bruciarono (per ordine) le capanne che trovarono e uccisero una ventina di indigeni, senza incontrare resistenze: chè, anzi, i capi e i notabili, nella speranza di placare il Governatore, spontaneamente si consegnarono nelle mani del colonnello, il quale onestamente finì per riconoscere la perfetta innocuità di quella gente. II colonnello condusse seco a mani libere i capi, che si erano spontanei consegnati a lui e li portò dal Governatore. Questi emise violenti rimproveri perchè non erano stati incatenati, li percosse egli stesso con pugni e calci, e ordinò la loro immediata carcerazione, previo il loro passaggio, carichi di catene, traverso le vie della città. Un agente britannico ri(erendo al suo governo su tali fatti usò questa frase: « Si direbbe che non governano, ma che fanno delle fìlms per dei· cinematografi ». Bib' oteca Gno Biarco

18 IL GOVERNO FASCISTA NELLE COLONIE ERRORI ATROCI. Il terrore si impossessò degli indigeni tutti, che si gettarono alla boscaglia e purtroppo eseguirono anche una rappresaglia. Nei pressi di Mahaddei un distaccamento di ascari, comandato dal tenente Maramaldo, un valoroso che era sfuggito a mille rischi nella vera guerra, fu una sera assalito all' improvviso. Alcuni ascari furono uccisi e il povero tenente ebbe una coscia troncata da una pallottola. Finalmente il sangue, degli indigeni e degli italiani, era stato sparso! Non sparso per l'interesse della patria, ma per danneggiarla. Il governatore, però, dovette esser contento. Non aveva egli detto a Mogadiscio: « lo sono un valorizzato della guerra e debbo continuare a farla per andar sempre più in alto »? Dopo errori così atroci, che i funzionari del Mini,. stero delle colonie deplo1·avano profondamente, ma che non riuscivano a far deplorare nei dispacci che S. E. il Ministro avrebbe dovuto firmare, il De Vecchi continuà a rimanere senza controllo; con uomini di debole carattere volitivo come l'on. Federzoni ieri e l'on. Di Scalea oggi, il Ministero delle Colonie non può avere autorità su colui. La sua improntitudine non può anzi non esser cresciuta pel fatto che il Governo fascista ha incassato, senza osar replicare, le sue altezzose dichiarazioni quando, nominando il De Bono in Somalia, il De Vecchi significò che non intendeva partire. Intanto i funzionari della Colonia (e l'Italia era veramente riuscita ad avere un buon ruolo coloniale), i vecchi funzionari che si erano affezionati alla Somalia e avean cercato di porre argine alle gesticolaBib' oteca Gno Biarco

•••E LA SOMALIA D'OGGI 19 zioni del Governatore fascista, sono stati tutti ecacciati o ridotti ad un esautorato silenzio. Sono stati sostituiti con elementi, che anche quando hanno buon volere, sono incompetenti perchè troppo giovani ed inesperti, ma che spesso sono comicamente negativi. È del De Vecchi la nomina di un calzolaio a ViceResidente e di uno scritturale a Residente, a una carica, cioè, che ha anche delicate mansioni giudiziarie. La conseguenza fatale della nuova politica in Somalia si può sommare in questa semplice constatazione: che per andare all' interno occorre oggi a qualunque bianco una scorta armata, là dove, due anni fa, - caso di pace insuperata in Africa - chiunque viag• giava senza scorta alcuna, colla più completa sicu• rezza. Il bene di decenni è stato distrutto in pochi mesi di follìa: non si vede come si potrà tornare a far capire agli indigeni della Somalia ed ai Sultanati protetti che la vera faccia dell'Italia era l'antica. II sospetto, una volta sorto, si sradica difficilmente dall'animo degli orientali .... Bib' oteca Gno Biarco

6iblioteca Gino Bianco

Ili ERITREA . L' importanza dell'Eritrea è data sopratutto dal porto di Massaua, bensì decaduto dopo che il commercio del Sudan, sconfitto il Mahdi, ha ripreso le sue vie naturali, ma. sempre molto importante per essere il centro qel commercio dello J emen, i cui principali negozianti vivono a Massaua~ I precedenti governi, preoccupati di far risorgere il porto di Massaua, avevano affidato il governatorato dell'Eritrea all'amm. Cerrina, che molta parte della sua carriera aveva svolto in servizio nel Mar Rosso. Serio, onesto, ma poco energico, il Cerrina era rispet• toso della sua amministrazione, tutta in mano di una élite di funzionari, provenienti per lo più dall'eser• cito, ricchi di una esperienza e di uno zelo degni di ammirazione. Il terremoto che aveva distrutta buona parte di Massaua, una carestia ed altre sventure avevano intralciato il programma dei governi prima dell'avvento fascista. La rigidezza dell'amministrazione -del go• verno eritreo, che fu sempre esemplare, aveva tenuto in freno gli affaristi, gli elementi torbidi e indisciplinati, scesi in colonia in cerca di rapidi guadagni. Bib' oteca Gno Biarco

22 n. GOVERNO FASCISTA NELI,E COLONIE Dopo la « Marcia su Roma » tutti costoro divent~- rono ad un tratto fascisti. Trovarono strano appoggio nell'on. Federzoni, che mandò in loro rinforzo, contro il governatore, l'on. Capanni. Il Cerrina restò esa1~- torato, l'esaltazione fascista salì al colmo e si mam• festò con atteo-giamenti e discorsi così goffamente o ' « imperiali », che il governo etiopico se ne preoccupo seriamente. Il nostro Ministero degli Esteri girò la cosa all'on. Federzoni che, impressionato, spedì tosto in colonia il Sottosegretario Marchi. Le chiacchiere anti-etiopiche furono sospese (con dispiacere di chi già vedeva forniture belliche, perchè tale, e non altro, er.a il segreto dell' improvviso accesso imperialista), ma si volle almeno la testa del Cerrina, colpevole di aver impedito « buoni affari». E l'on. Marchi liquidò il povero Governatore. Ciò facendo il giovane Sottosegretario obbediva, probabilmente, ad istruzioni o ordini ricevuti. Chè il suo convincimento personale, confidenzialmente espresso, era che i metodi fascisti non erano buoni ... neppure in Eritrea. Al Cerrina venne sostituito il Ga3perini, buon funzionario, ma senza autorità per resistere a ordini nocivi, anche perchè, inviato da un ministro fascista, si sente debole di fronte alle intimazioni di avventurieri che, vestiti oggi da fascisti o da sanfedisti se cii, lor fosse utile, credono e fan credere tutto lecito nel regime da loro adottato ed esaltato. L'Eritrea non è minacciata ali' Asmara. Quel che accade là son dettagli di debole amministrazione. È minacciata, e gravemente, - anche se il pericolo non paia oggi imminente - a Roma e a Tripoli. Ci spieghiamo: in Libia si fa una politica di guerra; la guerra in Libia si fa cogli ascari eritrei. Ogni altro contingente è di pura apparenza, quando non sia nocivo. Tutti lo sanno. Sull'azione delle milizie fasciste in LiBib' oteca Gno Biarco

ERITREA 23 bia, la realtà - quale è conosciuta al nostro Ministero della Guerra - è deplorevole. E ciò non è vergognoso se non per chi quelle milizie mandò. Quel che è vero per gli inglesi nel Sudan e pei francesi nel snd Algerino, non è che naturale sia vero per dei giovanotti italiani mandati in Libia colla camicia nera. Divenendo sempre più difficile di trarre sufficenti ascari eritrei dalla ormai stremata colonia, se ne è arruolati in gran quantità, pei bisogni della politica fascista, oltre confine, cioè in Etiopia. CHI ARMA L'ETIOPIA? Il eh~ significa ·che dall'Etiopia noi preleviamo individui semi-selvaggi e che li rendiamo a getto continuo fior di soldati e di graduati, istruiti e disciplinati, addestrati all'uso delle armi più perfette. Stiamo facendo, in altri termini, gli istruttori_ militari di quella stessa Etiopia, che grava sui confini dell'Eritrea e della Somalia, dove noi apprestiamo continuamente fortificazioni, armi e armati per difenderle dall'unica minaccia che sovrasti alle due colonie. In realtà, non ultima delle ragioni che avevano reso i predecessori dell'on. Federzoni, solleciti a far cessare lo stato di guerra in Libia, d'accordo con alcuni dei nostri ministri degli Esteri, fu appunto la riluttanza a servirsi ancora e sempre di eritrei; senza dei quali la guerra in Libia non si fa. Ma se si fa la guerra in Libia, o, il che fa lo stesso, se ci sosteniamo in Libia con un regime di pura forza, ciò significa il dissanguamento e la spopolazione dell'Eritrea e la creazione, a nostra cura e nostre spese, dei quadri di quell'esercito abissino, che uno degli scopi della nostra politica estera fu sempre di evitare che sorgesse. B.b' oteca Gno Biarco

24 IL GOVERNO FASCISTA NELLE COLONIE Si aggiunga il paradosso seguente: che ~~ntre noi, sia pur nolenti, prepariamo ora la forza m1htare de~- 1' Abissinia, in pari tempo facciamo sorgere ad Adis Abeba sospetti tanto vivi quanto ingiustificati, colle pubbliche vanterie di conquiste etiopiche da p~rte del De Vecchi, vanterie che valsero sulla frontiera somalo-etiopica una vera e propria concentrazione militare abissina. Le cose si spiegarono poi ad Adi~ Abeba, ma ... fino ad un certo punto. I sospetti sorti dopo tanti discorsi imprudentissimi non sono stati tutti sopiti. E, siamo giusti! Come potevano i rappresentanti italiani, pur sì certi del nostro desiderio di pace, infondere questa fede, senza dire che le parole di politica estera del fascismo sono esercitazioni da caffè? Uno dei nostri ministri ad Adis Abeba, il Macchioro, aveva perfino in una allocuzione ufficiale alla Corte esaltato il sublime avvento fascista; come poteva un altro spiega1·e che proprio uno dei Quadrumviri della mirabile marcia non era se non un p~vero milcs gloriosus, le cui parole sono prive di qualsiasi importanza? Che la causa da difendere in Etiopia, fosse stata resa difficile, lo prova anche il fatto che l'on. Mussolini, dopo aver messo a riposo d'autorità un ministro plenipotenziario, reo, - rara avis, purtroppo - di essersi rifiutato di ricevere un fiduciario fascista all'estero colla fedina criminale sporca, lo ha poi pregato di rientrare in servizio per valersene col governo etiopico, presso cui è persona grata. ~er~o, la _P?litica f~scista ha 1·eso, senza saperlo, prez1os1 servigi alle diplomazie francese ed inrrlese in Adis Abeba. t:1 N~n per ~ulla Ra~ Tafari toccò prima, sì, l'Italia, m~ s1 gua;do ben~ d1 far a Roma la prima visita ufficiale. Prima ando dagli altri. Altra prova del « rinnovato t' · pres 1g10 ».... Bib' oteca Gno Biarco

ERITREA 25 I IL COLPo-DEI TERRENI Dobbiamo per ultimo toccare di un pericolo che è forse per ora potenziale, ma che diverrà gravido di serie crisi per l'Eritrea, se non si provvede a tempo. Intendiamo i tentativi di ripresa di una speculazione, che si vara sotto lo specioso titolo di colonizzazione italiana. È noto che la popolazione indigena occupa sia come pastori, sia come agricoltori, tutto il territorio migliore, non lasciando naturalmente disponibile pei colonizzatori che le terre meno fertili, nelle plaghe più disagiate e lontane. Tale stato di cose è, del resto, oggi comune a tutte le colonie del mondo. Per questo gli inglesi non colonizzano le Indie; vi commerciano i loro prodotti industriali, vi acqui• stano ciò che è necessario alle loro industrie, governa• no il paese e, governando, ne tirano rendite e stipencli pei loro funzionari, soldati per la loro politi.ca. Il colonizzare, nel senso che è ritenuto comune• mente da noi, non fa invece che porre in contrasto gli interessi degli indigeni con quelll dei nazionàli della madre patria, e raddoppia la difficoltà politica e militare del governo. Questo noi sperimentammo duramente in Eritrea al principio della nostra impresa. Ma la nostra amministrazione coloniale si formò assai presto una sana esperienza, e riuscì ad evitare il rinnovarsi <li incidenti come quello cui dette luogo il Martini che, governatore all'Asmara, volle un bel giorno concedere a coloni sopraggiunti ubertose terre tolte agli indigeni. Le popolazioni fecero allora una rispettòsa, ma eloquente dimostrazione. Si portarono in massa e senza armi all'Asmara, aggrupparono presso il palazzo Bib' oteca Gno Biarco

26 IL GOVERNO FASCISTA NELLE COLONIE del governatore i vecchi, le donne ed i bambini e dis• sero: - Pensate voi a questi miseri nostri cari, giacchè ci togliete le terre con cui li sostentiamo! L'amministrazione coloniale Eritrea, che è un corpo serio e competente, in cui abbondano vecchi ufficiali che, presi dal fascino del paese abissino, ama• no la loro missione, seppe resistere sempre, negli scorsi anni, alle pressioni dei desiderosi di arricchire fa. cilmente colle concessioni governative. Coll'avvento del fascismo tutti costoro si son messi di nuovo a sperare e purtroppo l'amministrazione eritrea non ha più trovato a Roma l'appoggio, che non le era mai mancato sotto i Bertolini, i Rossi, ecc. L'on. Federzoni era ad un tempo e troppo debole e troppo « caporale d'onore»; e come lui, meno il caporalato d'onore, è il suo successore Di Scalea. Nè l'uno nè l'altro capaci di resistere a certe raccomandazioni, sia che vengano dall'Olimpo fascista, sia dall'alto seggio di un'Assemblea vitalizia .... Bibl oteca Gno B1arco

IV TRIPOLIT ANIA Fino al giorno in cui l'on. Federzoni divenne ministro delle Colonie può con piena verità asserirsi che una volta sola l'autorità dello Stato italiano si sentì abbassata in Libia. Fu quando, nel 1915, essendo ministro l'on. Martini, oggi fascista, e presidente del Consiglio l'on. Salandra, sommo patrono del fa. sciamo, l'occupazione della Tripolitania, che il Bertolini aveva lasciata tranquilla fino al Fezzan, si ridusse in un batter d'occhio ai reticolati di Tripoli, Homs e Zuara. Il nazionalismo, che tanto ha declamato su delle pretese « rinunzie », non ha mai detto una parola di quella reale e spaventosa rinunzia che fu la volutà perdita della Tripolitania nel 1915. È chiaro che durante la guerra occorreva, per patriottismo, farvi sopra il silenzio : ma è strano che un governo, che per due anni infierì contro un Cadorna, non abbia .sentito il bisogno di alzare il velo sulle responsabilità politiche di quella ritirata, in cui bravura di soldati e saggia visione di generali furon rese vane dalla insensata e folle paura delle direttive imposte da Roma, direttive che furon sola causa del disastro. L'Italia ignorò così i disastri del 1915, come oggi ignòra gli scacchi subiti sotto il governo fascista in Bib' oteca Gno Biarco

28 IL GOVERNO FASCISTA NELLE COLONIE Libia. Ed ignorò e ignora ancora che le ritirate e le rinunzie del 1915 in Libia, imposteci dal filofascista Salandra e dal fascista Martini, furono invece glorificate in Turchia come un gran successo dell'Islam e considerate come un semitradimento, sia pure iuvo• lontario, da Gran Bretagna e Francia che, in Egitto e in Tunisia, ai due lati della Libia, resistettero con energia durante la guerra all'eccitazione musulmana. Il prestigio dell' Italia in Libia fu rialzato dal tenace e sagace lavoro dei ministri che succedettero all'on. Martini. Fu sotto le loro amministrazioni che si liberarono i prigionieri lasciati dal Martini, oltre mille, che si rioccuparono importanti località, che si concessero quelli statuti, che dovrebbero costituire .il fondamento non revocabile di ogni nostra attività in Libia, e che furono sì utili, anche fuori di Libia, per lo svolgimento della feconda politica orientale e turca dell'on. Sforza, livragata poi dai successori nazionalisti di Sforza. Fu così, e con l'aiuto di quella politica estera, che si preparò quella possibilità di azioni militari che, come illustrò il generale Badoglio in Senato, ripristinarono in Trip9litania il nostro prestigio. Coll'aiuto della politica estera, abbiamo detto: infatti, fìnchè durò l' indirizzo della politica orientale sforziana, non un turco passò in Libia a combattere cogli arabi. Oggi, non son pochi gli ufficiali turchi passati agli ordini di quella che in tutto l'Islam si chiama con ostentazione l'« Assemblea della Repubblica TripoUtana ». L'azione militare, che poi l'on. Amendola sviluppò e giunse con lui al massimo di forza, mirante ad occupare i nuovi posti, ad eliminare i sovvertitori di malafede, ma lasciando sempre aperta la via al ravvicinamento degli arabi più influenti e delle popolazioni, divenne con l'on. Federzoni guerra senza quartiere, che ha fatto gravare la strage e la distruzione sulB b cteca G1 10 31arco

TIUPOUTANIA 29 le popolazioni inermi, prime e vere vittime degli agitatori locali e stranieri per i quali la guerra è sempre un vantaggio, sia che si vinca Eliache si perda, perchè approfondisce la divisione fra arabi e italiani e consolida il loro potere. È da supporre che l'on. Federzoni non capì che quella lasciatagli dall'on. Amendola era una situa• zione tattica, che bisognava presto realizzare e solidificare con una politica di accordi; egli credette poter continuare in una azione bellica senza uscita. Se invece capì, ma continuò la guerra per « réclame >> giornalistica e fascistica, la sua colpa è ancor più grave. Non val la pena di esaminare qui la condotta di un governatore che applicò, indifferentemente, due politiche dalle concezioni opposte. , Se, diciamo, l'on. Federzoni capì, e ciò malgrado non ebbe il coraggio di realizzare in rapidi accordi pacifici i successi bellici del suo. predecessore, preferendo la facilona aureola cinematografica della guerra dalle apparenti conquiste, ciò significherebbe che egli antepose ai supremi interessi della patria un falso plauso momentaneo di giornali ingannati. Qualunque sia stata la ragione del tragico errore, la conseguenza è· che l' interno della Tripolitania è tornato quale era ai tempi della primissima nostra occupazione, a base di comandi, di presidii, di stazioni, ecc. Nulla di più comodo per un Ministero delle Colonie e per un Governatore locale, che non siano pensosi dell'avvenire, di questa armatura .artificiosa sovrapponente all'azione politico-amministrativa, difficile e delicata, il regime semplicista della forza bruta, ma nulla di più costoso per il contribuente italiano, nulla di più sterile di questo sconvolgimento della compagine sociale, nulla di più sicuramente preparatore di nuove amare sorprese. Quasi queste ragioni generali di irrequieta incerBib' oteca Gno Biarco

30 IL GOVERNO FASCISTA NELLE COLONIE tezza non bastassero, se ne stanno accattando delle minori, come, per esempio, nella questione delle terre. Nella Tripolitania, sottomessa ma non pacificata, si è dal governo fascista cominéiato a incoraggiare la colonizzazione delle terre da parte di connazionali, e ciò proprio mentre l'avvenire è quanto di men sicuro si possa immaginare senza una permanente e costosa occupazione militare. Anche in materia di colonizzazione i passati governi andavano cauti, preferendo fa. cilitare i commerci che le popolazioni orientali amano con passione. È noto quanto i mercati siano in Libia mezzo mirabile di pacificazione, un po' lenta, se vuolsi, ma profonda e sicura. Il governo fascista, con l' inebriarsi della formula « colonizzazione romana», fornisce anche in quel campo la prova di non conoscere la storia romana. Colla sua mezza cultura, che si scoprirà un giorno con sorpresa essere stata fatta per lo più al cinematografo, esso mostra non sospettare neppure che Roma impiegò secoli - sullo schermo si vedon « le mura e gli archi » ma i secoli non si vedono - per colonizzare quelle regioni, limitando per generazioni la propria azione a far cessare lo stato di guerra fra le varie tribù, proteggendo le costiere dalle interne, e guadagnandole poi lentamente tutte con il comune bisogno di pace. Mentre scriviamo, l'agitazione degli arabi contro l'espropriazione di terre desertiche, ch'essi sostengono appartenere già legalmente a dei proprietari, si accentua in modo inquietante. B b otcca G1'1031arco

V CIRENAICA Abbiamo visto quanto sia fittizio contare su una politica di pura forza in Tripolitania. Ciò è vero a cento doppi per la Cirenaica. Il solo fatto che sotto il regime f aecista si sia ritornati colà dal governo civile al militare basta a mostrare il cammino percorso a ritroso. Il governo miJitare è proprio della prima occupazione. Quando si passa al governo civile, si sostituisce alla sola forza delle armi la capacità costruttrice dell'amministrazione: appoggiata sempre, ben s' intende, sulla forza e sul prestigio delle armi. Gli arabi sentono profondamente cosa significhi la scelta fra i regimi, l' ascaria (militare) e il molchia (civile); anzi la esagerano persino, forse. In Eritrea, in Somalia, in Tripolitania, dopo esser passati al governo civile non si è più tornati al militare. La effimera e disonorevole nomina del De Bono in Somalia non infirma questa norma costante. Il De Bono era stato nominato là per poterlo allontanare dall'Italia, in modo che rimanesse abbastanza contento per continuare a tacere sui terribili eventi morali dell'ora; ma non vi andrà mai. Il Governo della Somalia fu, nello scandalo della nomina De Bono, considerato un momento dal regime che ai suoi inizi Bib' oteca Gno Biarco

32 IL GOVERNO FASCISTA NELLE COLONIE aveva fatto credere agli ingenui di voler restaurare le «competenze». . . Che, giunto il momento opportuno, 1 passati go• verni abbian ripreso in Libia le operazioni militari anche in grande stile, ma conservando il governatore civile, appunto perchè risultasse chiaro agli occhi degli indigeni che l'impiego della forza era l'ecce• zione e che la continuità del governo civile era assi• curata, è da ascriversi a merito loro non lieve. Per diminuire la tensione degli, spiriti e crescere invece le possibilità di intese, il mantenimento del governatore civile avrebbe probabilmente dato buoni frutti anche a Tripoli, se il titolare di quella carica non avesse invece esagerato in inutili quanto teatrali gesti bellici, per accelerare - come tutti i neofiti - la sua messa all'unisono collo stile fascista. Il governatore civile, mantenuto dal fascismo a Tripoli, fu invece richiamato a Bengasi, dopo un brevissimo periodo in cui da Roma stessa si approvò ed esaltò in Cirenaica un fascismo bastonatore' degli arabi e predicatore di guerra. Il Baccari, che era il governatore, ottimo funzio• nario, fu cacciato su due piedi, come su due piedi - abbiamo già visto - l'on. Federzoni cacciò poi dalla Somalia un altro governatore che assolveva degnamente il suo compito, il Riveri, per sostituirgli un ... De Vecchi. La trasformazione militarista fu, naturalmente, interpretata in Cirenaica come volontà del governo di Roma di rompere ogni rapporto con la Se• nussia e di fare la guerra. Si fece così, inconsciamente, il giuoco di quella parte intransigente della Senus• sia che si era sempre opposta ad ogni avvicinamento a noi, e che andava cercando incidenti su incidenti, appunto per giungere alla rottura degli accordi e alla guerra. I più feroci nostri nemici vinsero per l'aiuto trovato a Roma. Tale e quale come, dopo l' incidente Bib oteca G1 o Bianco

CIRENAICA 33 doloroso di Janina, la condotta diplomatica fascista della vertenza fu proprio quella che impedì di avere una soddisfazione italiana, e dovemmo contentarci, sia pur travestendola con abile scenografia per uso interno, di una soddisfazione puramente teorie:. data ~11'Italia, 1 Inghilterra e Francia unite. LA ROTTURA COL SENUSSO Nulla di più miserevole degli inni coi quali fu ce• lebrata in Italia la rottura dei patti e la dichiarazione di guerra alla Senussia. Fu, così, distrutta in un momento un'opera politica costruita faticosamente in un decennio. Tutti i Gabinetti che si eran succeduti dal 1912 avevano messo a caposaldo della politica italiana in Cineraica la convenienza assoluta di giovarsi della Senussia come strumento di governo e di penetrazione, cercando di stabilire buone relazioni con es• sa, sempre nell'orbita 9ei diritti sovrani dell'Italia. Continuità, questa, veramente mirabile in cui convennero tutti i ministri degli esteri e delle colonie, da Di San Giuliano e Bertolini a Sforza, Rossi e Amendola. Questa concezione era divenuta realtà col modus vivendi concluso colla Senussia nel 1917, quando si provvide anche ad accordi coll' Inghilterra e la Francia per disciplinare la comune azione nei rapporti col Senusso. Questo insieme di atti, interni ed internaziona1i, saviamente collegati fra loro, dettero in mano nostra il controllo della Senussia e assicurarono la pace alla Cirenaica; la quale potè co,;ì traversare in piena tranquillità il periodo della guerra mondiale, che ci fu invece sì fatale in Tripolitania. Se non si voleva dar peso, colla leggerezza dell'era nuova, ad una continuità di pensiero che andava da Giolitti e B I otcca Gino Bianco

34 IL GOVERNO FASCISTA NELLE COLONIE San Giuliano a Sforza ed Amendola, non si doveva al• meno esitare dinanzi a questa constatazione? Successivamente si passò dal modus vivendi ad un accordo definitivo, che fu detto di Regima. Vari ere• dettero allora che all'accordo formale fosse meglio non giungere, e che il modus vivendi era preferibile perchè meno impegnativo. In realtà v'è del prò e del contro per le due procedure: quel che è certo si è che nel concetto essenziale concordavano. Comunque, se l'on. Federzoni non approvava l'ac• cordo di Regima, gli sarebbe stato facile farlo retro• cedere verso l'anteriore modus vivendi o altra formula analoga, visto che lo stesso Senusso clìiedeva di esser liberato dal patto di Regim,a, che non poteva eseguire. Ciò si poteva fare senza romper le relazioni colla Senussia e senza passare alla guerra. Ma questi procedimenti non eiano abbastanza ap• pariscenti: non erano fascisti. Guerra volevano i nuovi venuti, e guerra fu. LA GUERRA FEDERZONIANA. Guerra di demolizione. Si demolì anzi tutto la se• rietà continuativa del governo, sì necessaria di fronte agli indigeni, facendo tornare in trionfo a Bengasi i facinorosi in camicia nera che il governatore prece• dente aveva cacciato via; e che il nuovo governatore militare, dopo pochi mesi, tornò egli stesso ad espellere. Fra parentesi, si deve a onore del vero rilevare che il nuovo governatore, gen. Buongiovanni, commise bensì alcuni errori iniziali, imputabili essenzialmente alle istruzioni che aveva ricevuto dalla Consulta, ma che presto cercò attenuare e rendere ragionevole la politica di apparenza giornalistica che gli e b oteca Gno B1arco

CIRENAICA 35 era imposta da Roma; dove, del resto, malgrado le approvazioni formali, non gli si perdonò di avere, con sano spirito di soldato, declinata la offertagli tessera fascista. Da quel giorno egli fu, in pectore, un condannato; e sarebbe dovuto partire anche se un malaugurato accidente d'aviazione non fosse sopraggiunto a fornire una scusa al suo richiamo. Allo scoppio della guerra federzoniana successe un fatto gravissimo, che avrebbe 'dovuto bastare ad aprir gli occhi a Palazzo Chigi e alla Consulta, per inesperti che ne fossero gli abitatori: il Senusso e i suoi seguaci si ritirarono in Egitto, s~ttraendosi ad ogni nostro controllo e creando all'estero centri di agitazione contro di noi. Il più importante successo conseguito dalle nostre vecchie amministrazioni, quello di aver organizzato intorno alla nostra autorità quasi tutte le tribù dell' interno, andò distrutto. Perchè, scoppiata la guerra fra la cristiana Italia e la Senussia, tutte le genti, tutte, affiuirono sotto le bandiere verdi del Profeta: anche quelle che avrebber voluto fino all'ultimo poter chiuder un occhio sul loro dovere musulmano; fummo noi che le obbligammo a passare il Rubicone! Atto di accusa gravissimo contro la politica mussolino-federzoniana resteranno sempre i documenti che esistono e che provano lo stato di scoraggiamento della Senussia prima del regime fascista, che col suo agire fanciullesco le infuse nuova vita. La Senussia si lagnava, allora, che quattro quinti dei fe. deli eran passati a servir l'Italia! Se in argomenti sì penosi fosse possibile scher• zare, si potrebbe pensare che il Mussolini agì nelle colonie come nel regno : voleva distruggere la Senussia e la galvanizzò; voleva spazzar via la Masso• B b' oteca Gno B1arco

36 IL GOVERNO FASCISTA NELLE COLONIE neria (non però quella di Piazza del Gesù ...) ed invece, quasi ne fosse un agente segreto, le infondeva un vigore che essa aveva perduto. In Cirenaica, infatti, potremmo oggi contentarci se la proporzione lamentata due anni fa dai capi senussitici fosse, oggi, soltanto rovesciata. La guerra intanto continua, più o meno; gli ultimi comunicati son dell'agosto 1924. Se non se ne parla più, è solo per la stessa ragione per cui, dopo la rivolta morale degli italiani, effetto del delitto Matteotti, non si osa più scrivere « era nuova », « stile fascista », ecc. Questo stato di guerra, o guerriglia, o anche, se vuolsi, di non pace, costituisce in ogni caso un enorme vantaggfo per la Senussia, persino se noi vantassimo una serie di vittorie, perchè lo stato di guer:i;a tien vivo per tradizioni secolari il fanatismo delle popolazioni intorno alla bandiera verde, e riconcilia alla Senussia le simpatie del mondo musulmano, simpatie che aveva perduto pel fatto stesso degli accordi con noi. Pareva ci volesse poco a capire che quelli accordi, anche non osservati, anche se qualche volta traditi, lavoravano per noi in ogni caso, pel fatto stesso della loro esistenza. Eppure i cervelli nazionalisti e fascisti non ci arrivarono ... LA GIORNATA DI SIDI-BILAL Ma, purtroppo, non son vittorie quelle che il governo fascista ha procurato al paese in questa guerriglia, che infierisce in Cirenaica dalla « marcia su Roma». Basta ricordare la infausta giornata del 10 giugno 1923 in cui, a Sidi-Bilal, subimmo uno dei più seri rovesci che la nostra storia coloniale abbia Bib' oteca Gno Biarco

CIRENAICA 37 \ da registrare. Il paese ne ha saputo quanto ha saputo della vera storia della evacuazione di Corfù, o del modo sprezzante con cui siamo stati trattati a Londra e a Ginevra nell'estate 1924: cioè non ha saputo nulla. Quando si oserà confessare 1~ ingentissime perdite di ufficiali, di truppe, di materiale bellico che avemmo colà? Nè si può dire: è la guerra, coi suoi alti e bassi; no. Perchè là è il fatto del non aver pace che è, comunque, perdita per noi. Vincer pochi arabi non dà prestigio; vincer delle sabbie non dà vantaggi. IL BILANCIO ODIERNO Il bilancio odierno è: impossibilità per gli italiani di sentirsi sicuri in un posto qualunque della Cirenaica; mentre nel 1921, che il Mussolini ha osato descrivere nel discorso ai conservatori anti-statutari del Cova come anno di rinunzie, il ministro Luigi Rossi la percorreva in autocarro, senza scorte militari, ossequiato dai capi sul cui territorio passava, mentre nella stessa epoca il vecchio Senusso faceva pervenire al conte Sforza, attraverso amici turchi dal suo esilio in Asia Minore, ·proposte ancor più complete e radicali di accordo perpetuo. Altro lato passivo del bilancio è costituito dalla nostra indebolita posizione di fronte all'Egitto, ove i profughi della Cirenaica han tessuto una fitta e solida rete di intrighi ed influenze. L'indebolimento della nostra posizione in Egitto non potrà non render più difficile il regolamento della questione di Giarabub. È opportuno ricordare qui brevissimamente in che consiste oggi tale questione; che era, o doveva, rimanere connessa col resto del regolamento coloBib' oteca Gno Biarco

38 IL GOVERNO FASCISTA NELLE COLONIE niale italo-britannico, da çui il Governo fascista stralciò invece, mesi fa, il parziale. regolamento del Giuba. II Governo britannico si era messo d'accordo nel 1920 colla diplomazia italiana per concederci l'oasi di Giarabuh ed il Giuba secondo la linea Milner, linea che era stata ottenuta a Londra dal Baccari. Il Ministero delle Colonie italiano richiese alcuni miglioramenti di confine senza dei quali la occupazione del Giuba diventava difficile ed onerosa; richiese spe~ialmente il triangolo del Lorian. Il governo di Londra si rifiutò di aderire alle nostre richieste, dichiarandosi pronto alla esecuzione dell'accordo Milner. Nessun goV'erno italiano volle cedere alle insistenze inglesi. Nel febbraio 1922 avvenne la proclamazione dell'indipendenza egiziana. L'Inghilterra allora notificò all'Italia che il riconoscimento della indipendenza egiziana metteva il suo governo nella impossibilità di far fronte all'obbligo, da esso precedentemente contratto della consegna dell'oasi di Giarabub, per la quale bisognava trattare con l'Egitto. Il governo italiano del tempo non credette ùi liberare l'Inghilterra dai suoi doveri correlativi, e le ohiese di volerli riconoscere ed accettare in modo tangibile, aderendo finalmente alla richiesta italiana del triangolo del Lorian. Il governo inglese, non volendo accettare la richiesta italiana impostata adesso su una solida base, fu costretto ad escogitare una parata. La parata si chiamò abbinamento delle queslioni Giubaland-Dodeca~eso: non accettato, anzi respinto, dal governo italiano di quel tempo. E nel respingere l'assurdo abbinamento mantenne ferma ,la richiesta del Lorian, quale compenso per la mancata garanzia inglese della consegna di Giarabuh. Da fonte egiziana, che non è stata smentita, le trattative circa questo completamento essenziale

CIRENAICA 39 d·ella Cirenaica si svolgerebbero attualmente con Roma sulla base del riconoscimento dello statu quo. Se ciò fosse esatto, significherebbe che il Governo fascista, per ottenere il territorio del Giuba in éondizioni nelle quali non era stato acc(;'ttato nè dal ministero Nitti, nè da Sforza nè dai suoi successori, avrebbe rinunciato non solo al triangolo del Lorian, ma anche all'impegno britannico per la consegna di una parte della Cirenaica, su cui da vent'an·ni, la no- .stra diplomazia italiana aveva con successo asserito i diritti italiani. IL PROCESSO OMAR PASCIA• Agli scacchi militari, alle difficoltà diplomatiche per Giarahuh, l'amministrazione del periodo Federzoni può aggiungere anche delle poco dignitose disavventure giudiziarie. L'on. Fed~rzoni appena giunto al potere faceva arrestare per alto tradimento Omar pascià, unò dei più rumorosi fra i maggiorenti di Bengasi. I fogli nazionalisti portarono alle stelle questo atto di « energia», questa nuova prova che era finito lo stile della « vecchia imbelle classe dirigente », ecc., ecc. Nessuno ha rilevato oggi che il nostro Supremo Tribunale di Guerra ha assolto Omar Pascià per inesistenza di reato. Ma allora il gesto di « energia » non fu dunque che una imprudente trovata fanciullesca? , In realtà fu peggio ancora : fu il tentativo di servirsi ·di arabi per colpire alle spalle i precedenti governanti italiani. Se non ci fosse stata questa faziosa ragione, non occorreva montar la macchina del processo Omar. Un governo abile e pensoso più dell'interesse della nazione che non della fazione avrebbe trovato Bib' oteca Gno Biarco

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