Giuseppe Faravelli - "Democratura"

I • GIUSEPPE FARAVELLI "DEMOCRATURA" IL P. S. D. I. E LA DIFESA DEL MARGINE DI SICUREZZA DELLA DEMOCRAZIA Discorso pronuncialo al Congresso di Genova del P. S. D. I. Con prefa::ione di U. G. Mondolfo MILANO lNDUSTR[E GRAFICHE ITALIANE STUCClll Via Marcona, 50 1983 ec 1 Gino C 1n 1

GIUSEPPE FARAVELLI "DEMOCRATURA" IL P. S. D. I. E LA DIFESA DEL MARGINE DI SICUREZZA DELLA DEMOCRAZIA Discorso pronuncialo al Congresso di Genova del P. S. D. I. Con prefa:ione di U. G. Mo11dolfo M.U.ANO INDUSTRIEGRAFICHElTALlANE STUCCHI Via M.aroona, 50 1953 B.o oteca Gino Bianco

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PREFAZIONE Per continuare la battaglia diretta a sostenere le idee per le quali combatlemmo nel Congresso di Genova del P.S.D.I., e per chiarire più netlamenle la posizione in cui, nella presente lotta eleltorale, ci troviamo noi e quei nostri compagni della «sinistra» che sono rimasti, come noi, nel f.S.D.I., abbiamo ritenuto opportuna la pubblicazione del discorso pronunziato da Faravelli a Genova, l'unico che fosse stato scritlo e che può quindi essere addotto come ineccepibile testimonianza del pensiero da noi allora espresso. Ad esso facciamo seguire l'appello emanato dalla direzione del Partito in risposta alle nostre domande e pubblicato neJJa Giustizia del 1g aprile e la successiva dichiarazione nella quale Farave/Ji ed io abbiamo espresso ;J pensiero e lo staio d'animo di numerosi compagni. Si vedrà dal discorso di Farave/Ji che, pur adducendo le ragioni per le quali sarebbe stato preferibile conservare il sistema proporzionale, noi abbiamo però già a Genova riconosciuto la necessità di difendere il margine di sicurezza della democrazia. Perciò oggi non partecipiamo affatto al desiderio cui partecipano, tra il compiacimento degli estremisti, nostri compagni carissimi, che si sono malauguratamente separati da noi: il desiderio cioè che la coalizione dei quattro partiti di centro non raggiunga il 50,01 per cento dei voti. Potremmo desiderarlo se questo evento servisse soltanto a mandare a vuoto le aspirazioni di dominio deJJa D. C., alla quale siamo con ogni forza avversi, anche se riconosciamo che in questa campagna gli elementi responsabili di essa hanno, neJJa maggior parte, mostrato di volersi mantenere immuni da contaminazioni monarchiche e fasciste. Il male è però che quel Partilo comprende in sè, in un equilibrio instabile di proporzioni numeriche, correnti così diverse di pensiero e di 3 B1::i1otecaGino Bianco

azione da non potersi prevedere quale polrà essere il suo alteggiamenlo domani. Appunto per questo noi vogliamo che sia evilato /'avverarsi di una situazione dalla quale, mancandovi la possibilità di costituire un governo stabile che si regga su /orze democratiche, potrebbero nascere due diverse conseguenze, entrambe perniciose: o il prevalere, nella D. C., della corrente reazionaria, clericale, che naturalmente cercherebbe l'appoggio, tino all'alleanza, delle /orze di estrema destra (monarchici e, forse, lascisti), oppure l'impossibilità assoluta di creare un governo, con l'effetto di gettare il paese in uno stato disastroso d'irrequietezza e di contusione, da cui solo gli estremisti totalitari possono sperare vantaggio. Questo pericolo non ci sarebbe se J'Jtalìa non avesse la sventura che un forte numero di coloro che si dànno nome di socialisti sono raccolti in un partito (il P.S.l.) che, anche se si present<} in queste elezioni, per avvii motivi, non collegato col parli/o comunista, è pur sempre strettamente unito a questo da un vincolo di suddilanza, nel quale è stato di fatto ridolto il « patto d'unUà d'azione». Infatti l'azione del P.S.I. e i suoi singoli atteggiamenti non differiscono mai in nulla da quelli del P.C.; ma mentre per questo tutti gli atti compiuti e le posizioni assunte corrispondono perfettamente alle direttive del Cominform, a cui esso appartiene, e agli interessi dell'U.R.S.S., che ne è la forza dominatrice, a quale ispirazione di socialismo, nel campo nazionale e internazionale, attinge le direttive della sua azione il P.S.J., e qual'è la concezione democratica a cui conforma queste sue direttive? E veramente la diserzione del P.S.J. dal campo democratico e il suo asservimento a un movimento totalitario la causa fondamentale che ha condotto a questa anormale situazione nella quale sono parsi necessari il premio di maggioranza e gli innaturali apparentamenti per la sua conquista. Questa colpa del P.S.1. noi dobbiamo mettere risolutamente in rilievo durante la campagna elettorale, cercando di suscitare il senso della loro pesante responsabilità in coloro che, mentre nutrono tendenze schiettamente democratiche, dànno l'appoggio della loro adesione ad un partito a tendenze schiettamente totalitarie, nel quale, nonostante le mormorazioni private e i propositi segretamente espressi, essi si Biblioteca Gino Bianco

guardano bene dal lare quasi serio tentativo per far valere le proprie idee. Ma per riuscire nel nostro intento di separare dal P.S.J. le forze che troverebbero più acconcio posto nel nostro partito, noi dobbiamo, an· che in questa lotta elettorale, far sentire che, se il P.S.D.l. ha dovuto accettare gli apparentamenti per la dilesa della democrazia alla quale restava un margine cos1 esiguo di sicurezza, non ha inteso però e non intende rinunziare al suo specifico carattere e programma; che esso vuol riprendere sempre più netto il suo carattere di partito del prole· tariato, propugnare secondo le sue specifiche direttive le riforme di struttura economica nel campo deJJ'industria e deJJ'agricoltura 1 com· battere i monopoli, promuovere n02ionalizzazioni con accorta tempe· slività e preparazione, elevare la capacità e il patrimonio inteJJettuale del proletariato, addestrandolo aJJe funzioni di classe dirigente; che esso vuole in pari tempo opporsi a ogni tentativo della D.C. di rivolgere a fini confessionali, con lesione anche della libertà religiosa, la preva• lenza che essa riesca nuovamente ad avere nelle attività dello Stato. Si tratta di tornare alle tradizioni passate di un socialismo genuino e schivo di compromessi, adeguandole alle nuove esigenze e possibilità. UGO GUIDO MONDOLFO 5 B.n· otee;a Gino Bianco

Biblioteca Ginç>Blanco

Cari compagni, tralascio ogni preambolo e vengo subito in argomento. Il punto di partenza, il dato iniziale dal quale prende le mosse la nostra discussione, e che quindi ci è comune, è un fatto emerso dalìe ultime elezioni amministrative e più o meno preveduto: il cosiddetto margine di sicurezza della democrazia - e cioè la prevalenza nume• rica delle forze riunite dei partiti, ai quali si suol dare con approssima• zione l'appellativo di democratici, sulle forze riunite degli altri partiti - è diminuito in modo allarmante, quantunque esista ancora. Su questa esistenza pare ormai, dai numerosi calcoli eseguiti, compresi quelli del Ministero dell'Interno, che non esistano dubbi. Del resto, se cosi non fosse, la Democrazia cristiana e magari qualche socialdemocratico non accetterebbero, come sembrano invece accettare, che il premio di mag• gioranza, nella legge elettorale che dovrebbe sostituire quella vigente, spetti alla maggioranza assoluta anzichè a quella relativa. Alcuni di quelli che capiscono qualche cosa di numeri hanno calcolato che quel margine di sicurezza, parlamentarmente parlando, consisterebbe in trenta o quaranta deputali. Comunque sia, il margine si è molto contratto e, quel che è peggio, tende a contrarsi sempre più se il corso deUe cose non cambia. IL PROBLEMA DEL MARGINE DI SICUREZZA. Da questo dato iniziale sorge immediatamente un problema: il pro• blema di allargare il margine di sicurezza della democrazia. Per un partito socialista degno di questo nome, il quale, cioè, sappia scrutare la realtà politica nel profondo e non alla sola superficie, la soluzione del problema non può essere fittizia, ma deve essere effettiva, sostan• ziale. In alt.re parole, un partito socialista che si rispetti deve cercare di allargare il margine di sicurezza della democrazia NEL PAESE, affinchè questo allargamento si rifletta poi durevolmente nelle assem• blee parlamentari. E anche per la gravità del pericolo incombente, B.::i-ioteca Gino Bianco

deve mettersi alropera IMMEDIATAMENTE, senza la menoma esitazione. Si può ritenere che l'urgenza della minaccia incombente sulla democrazia consigli o imponga di fare, in pari tempo, ricorso a qualche espediente, a qualche stupefacente, per dirla con Saragat; ossia a qualche congegno elettorale che allarghi il margine di sicurezza della democrazia in Parlamento, prima ancora che nel Paese. Ma sarebbe errore mortale propinare la morfina o la cocaina senza pensare ad altro, rinviando l'operazione chirurgica sine die o rimettendoci alla Provvidenza. Di stupefacente in stupefacente il nostro Partito - e gli altri partiti democratici con noi - diventerebbe un partito cocainomane, votato cioè a morte sicura e vergognosa. E con lui la democrazia in Italia. Ora la soluzione effettiva, genuina del problema dell'allargamento del margine di sicurezza della democrazia NEL PAESE, non può effettuarsi che da un lato: dal lato della classe lavoratrice. Su ciò dovremmo essere tutti d'accordo! P. inutile che vi ripeta una spiegazione già data brillantemente da Saragat. Purtroppo noi non siamo in Inghilterra e neppure in Francia, dove la borghesia, almeno nelle condizioni attuali, è conservatrice ma non sovversiva nel senso fascista di questo termine. In Italia è impossibile fondare la democrazia sulla destra, ossia sul consenso della classe borghese capitalistica, anche a prescindere dalla tendenza generale del capitalismo, in questa fase della sua evoluzione, verso forme tecnocratiche di dominio. La Democrazia cristiana ha fatto negli anni scorsi il tentativo, di cui le andrebbe dato merito se non avesse speso troppo, di guarire la borghesia nostrana dalla malattia cronica del massimalismo e del sovversivismo. Essa è riuscita a liquidare il qualunquismo e a trattenere per un certo tempo sotto le sue ali gran parte della borghesia industriale e agraria; ma oggi, come han rivelato le ultime elezioni arriministrative, non ce la fa più. Sarà la riforma agraria, sarà quel che voi vogliate; fatto sta che sul fianco destro della Democrazia cristiana si è verificato un grande franamento a vantaggio dei monarchici e dei fascisti. L'allargamento del margine di sicurezza della democrazia non può dunque essere operato che a sinistra, dal lato della classe operaia; ed io sono esterrefatto quando sento certi compagni deJla nostra destra proclamare che dal lato della classe operaia« non c'è da farsi illusioni ». Ma allora? C'è da trarne la conclusione che costoro non hanno ormai più fiducia se non nella morfina e nella cocaina, e sono quindi già rassegnati alla morte della Repubblica democratica? Se noi non riusciamo a portare nella cittadelJa della democrazia - ma sollecitamente! - almeno una parte della classe lavoratrice che ne è fuori indifferente od ostile, una parte, ad esempio, una buona parte 8 B1b1oteca Gino Bianco

di quei tre milioni di lavoratori che, secondo 1e ultime elezioni amministrative, seguono ancora il P. S. I., la democrazia è spacciata! Ironia della storia! Quel tal « grande partito socialista», la cui formazione noi ponemmo, sei anni fa, a palazzo Barberini, come fine supremo della nostra lotta, in virtù di una antiveggenza politica che in noi allora era viva; quel u grande partito socialista» che nelle nostre polemiche interne divenne poi, a poco a poco motivo di dileggio contro di noi della sinistra, e lo è tuttora, ecco che si impone, si voglia o non si voglia, come il mezzo solo e urgente, oggi, per salvare le istituzioni democratiche dalla catastrofe! LE CAUSE DI CONTRAZIONE DEL MARGINE. Ed ora bisogna scoprire i mezzi idonei ad effettuare l'operazione, ossia a richiamare buona parte di quella classe lavoratrice, che oggi si accampa indifferente od ostile fuori della Repubblica democratica, sotto le bandiere del socialismo democratico, essendo chiaro che l'operazione non potrà essere effettuata che dal nostro Partito, e da lui solo. Mi sembra tuttavia lapalissiano che la scoperta dei mezzi idonei è impossibile se prima non si sono scoperte le cause che hanno ridotto ai minimi termini il margine di sicurezza della democrazia. Ed a questo riguardo permettetemi di esprimervi la mia stupefazione per il fatto che durante la preparazione congressuale nessuno, ch'io sappia, ha fatto la fatica di compiere seriamente un'analisi ed una critica di importanza così essenziale. Si direbbe che i più considerano questo fenomeno tragico di una democrazia, che invece di espandersi si rattrappisce, come una specie di calamità naturale, di una fatalità ineluttabile, contro la quale non c·è niente da fare. Ma le cose non stanno affatto così, perchè dappertutto altrove noi assistiamo al fenomeno contrario di una socialdemocrazia che si espande. In Inghilterra, dove i laburisti sono stati momentaneamente scalzati dal potere, vi ritorneranno quandochessia trionfalmente come ci promettono i risultati recenti delle elezioni amministrative britanniche. In Germania tutti prevedono che nelle prossime elezioni politiche la socialdemocrazia avrà un forte incremento di voti e quindi prenderà il potere. Non parliamo dei Paesi scandinavi. Anche nel Belgio, nell'Austria e nella stessa Francia il socialismo è in ascesa, mentre il bolscevismo è in costante regresso. Solo in Italia il socialismo democratico è in regresso, o segna il passo da sei anni, e con lui e per colpa di lui la democrazia. Perché? Vediamo di indagare sommariamente {giacchè il tempo non ci per~ mette un'ampia analisi) le cause del fenomeno. Come ebbi occasione di dire un'altra volta, io penso che la Libe9 Bibl otec;a Gino Bianco

raZione è stata una rivoluzione lalHta, pressapoco come le rivoluzioni che ne1l'altro dopoguerra noi vedemmo prodursi in Germania, in Austria, in lspagna, in Polonia e in qualche Paese balcanico. La cosiddetta « rivoluzione antifascista» ha infatti cangiato, e neppure interamente, le soprastrutture politiche del Paese; ma ne ha lasciato intatte quelle economiche, sociali e morali. E bene dire subito che la colpa principale e imperdonabile di questo fallimento spetta al bolscevismo e soprattutto ai suoi giannizzeri fusionisti, il quale e i quali di altro non si sono preoccupati se non di mettere le mani sul numero maggiore possibile delle leve di comando centrali e locali, per il previsto colpo di mano che avrebbe dovuto inserire il nostro Paese nel sistema sovietico de1le democrazie popolari che deliziano i popoli oltre il sipario di ferro. Il bolscevismo e il fusionismo hanno sequestrato la classe lavoratrice distogliendola delittuosamente dal suo compito rivoluzionario. Dì qui tutti i mali che sono avvenuti ulleriorme11te. INVOLUZIONil REAZIONARIA. Che cosa è avvenuto? E avvenuto che, assente la classe lavoratrice e passali i primi momenti di paura, le vecchie classi e caste reduci dagli amplessi fascisti, dopo essersela cavata con qualche vergognosa taglia (vergognosa più per chi l'ha presa che per chi l'ha data), si sono rinfrancate, hanno rialzato la testa e a poco a poco hanno ricostituito il loro vecchio predominio economico. Guardatevi intorno: industriali, agrari, finanzieri, burocrati, militari, ecclesiastici (da non dimenticare che la Chiesa, olJre che potenza religiosa e politica, è anche una grande potenza economica, e con che appetito!) sono tutti al loro posto come prima, meglio di prima. L'esponente politico, ossia l'ombrellone sotto la cui protezione è avvenuta questa riscossa borghese è stato il Partito democristiano, vuoi per le ragioni buone che ho indicato or ora, vuoi per rngioni meno buone e pessime. Per adoperare una espressione più circoscritta, l'esponente politico della riscossa borghese è stato l'inamovibile ministro Pella, con la sua gretta politica di puro ministro del bilancio, col suo sedicente liberalismo economico a senso unico, il quale significa obbiettivamente questo: mano libera al capitalismo e ai monopoli! La mia analisi è sommaria. Naturalmente sul fenomeno hanno influito potenti fattori internazionali: a partire dalle necessità dell'ultima fase della guerra antifascista per giungere alla recente necessità del riarmo impostoci dalla politica imperialistica di Stalin. Le deboli, quantunque ben intenzionate, resistenze del nostro Partito e di una parte della stessa Democrazia cristiana sono state vinte e IO Bibl oteca Gino Bianco

travolte, sicchè oggi (come avviene in politica, dove le buone intenzioni contano ancor meno che in altri campi) noi appaiamo corresponsabili della polilica che ha permesso al vecchio mondo borghese di ticostruire il suo predominio. E qui è la radice deJJa nostra debolezza. A che punto è arrivata l'involuzione che sto analizzando? A me pare che essa sia arrivata a questo punto: la Repubblica democratica non è più che una facciata, dietro la quale urge e preme un mondo economico ostile che minaccia di farla saltare per aria. L'esponente, se non tipico, più arrogante, di questo mondo è Lauro. Un uomo, un plutocrate a cui la Repubblica democratica ha permesso di accumulare, nei modi che ci ha spiegato Saragat 1 una potenza economica enorme, il quale si vale di questa potenza, anche sotto forma di pasta asciutta, per demagogizzare e fanatizzare masse avvilite dalla disoccupazione e dalla miseria, per catapultarle contro la Repubblica democratica!! In un ottimo opuscolo, che Saragat pubblicò durante 1'esilio e di cui sarebbe desiderabile una ristampa, i fenomeni tipo Lauro, sulla base dell"esperienza nazista e fascista, sono individuali e denunciati come radice del fascismo, contro i quali, per garantire la libertà, il rimedio sovrano è la nazionalizzazione. Si può dubitarne? Ora tra il mondo di Lauro, tra il mondo del capitale plutocratico e monopolistico e la Repubblica democratica c'è assoluta incompatibilità. Se il corso delle cose non è infrenato, contenuto e rovesciato, il mondo di Lauro imporrà poco a poco le forme politiche che gli sono confacenti e che probabilmente consisteranno nella monarchia clerico-fascista. Infatti, non lo scalmanato e squinternato Movimento Sociale Italiano, ma il legittimismo monarchico e il clericalismo politico costituiscono oggi il pericolo più grave. Non è chi non veda che questo connubio clerico-monarchico si va, per mille segQi, più o meno sotterraneamente compiendo. La Chiesa vuole un largo margine di sicurezza non solo anticomunista ma anche antilaico. D'altra parte, durante il fascismo essa ha imparato la IeZione. Il suo ideale non è mai stato la democrazia, alla quale, quando non può farne a meno, si adatta in una maniera appena un po' meno pacchiana della maniera bo]scevica. E la sua esigenza immediata è un regime autoritario e magari totalitario, nel quale essa non sia ancella ma padrona, o per 1o meno compartecipe del governo. Insomma un regime alla Franco o alla Salazar. Purtroppo il bolscevismo ed i suoi giannizzeri - i quali hanno la faccia tosta di convitarci alla dHesa della democrazia, della Costituzione e della indipendenza nazionale - offrono magnifici pretesti a questi nemici deJla Repubblica democratica; anzi rega1ano loro gratuitamente il manto di paladini della libertà, sotto il quale essi possono nascondere al popolo ìtaliano tutta la loro merce avariata. li Bib1otec;a Gino Bianco

Il processo di graduale adattamento delle forme politiche al mondo di Lauro è già da molto tempo in atto e si svolge inesorabilmente. Ba• sta un po· di attenzione, non turbata dalla paura, per constatarlo. « DEMOCRATURA ». Anzitutto sono ancora in pieno vigore e maneggiate senza parsimonia vecchie, fondamentali leggi fasciste, tra le quali basterà citare quella di pubblica sicurezza, il codice penale, la legge comunale e provinciale, ecc., e ciò mentre la Costituzione in molte parti essenziali non è ancora attuata, e specialmente non è attuata quella Corte costituzionale che rappresenterebbe un presidio della legalità democratica e un argine contro gli arbitri del potere esecutivo, e che dovrebbe pertanto costituire la nostra rivendicazione numero uno. Che dico1 Prima ancora di attuarla, già si pensa a riformare la Costituzione, e precisamente nella direzione di quella involuzione antidemocratica di cui sto parlando. Come se ciò non bastasse, sono in fucina leggi nuove dello stesso genere, come quella sulla milizia civica, quella sulla disciplina dello sciopero, quella sulla stampa, la polivalente e via discorrendo. Parallelamente a questo graduale adattamento delle leggi al mondo di Lauro, e come naturale complemento, si estende e diventa sempre più soffocante il dominio della burocrazia, dominio che è da riconnettere anche col fatto che lo Stato controlla in una forma o neu·aura il trenta per cento dell'economia nazionale. Inutile dire che questo dominio statale-burocratico, questa tecnocrazia, non ha niente da fare con la naziol'lalizzazione prevista dal nostro programma, ma sembra anzi fatta apposta per screditarla. Un altro aspetto del fenomeno involutivo di cui sto parlando è la generale, paurosa invadenza e strapotenza clericale, specie nel campo dell'educazione e dell'assistenza, e che già osa manifestarsi anche come persecuzione religiosa contro i protestanti, in aperto contrasto con la Costituzione. Ed io non capisco come un partito socialista, il quale dovrebbe rappresentare la quintessenza della democrazia, e quindi il tutore più sensibile di questa, non frema e non insorga contro queste scan• dalose violazioni delJa libertà di coscienza che è la radice di tutte le libertà, distrutta la quale esse crollerebbero come un castello di carta, non insorga contro questa specie di bolscevismo rovesciato. Ben pochi ad es. han protestato contro quel recente, incredibile provvedimento che concede gratuitamente, per cinque anni, alla Commissione ponti• fida di assistenza (cioè ad un ente straniero) tutte le colonie marittime della ex G.I.L., privandone i miseri patronati scolastici. Come se non 12 Biblioteca Gino Bianco

bastasse il miliardo e rotti che il governo concede ogni anno alla stessa Commissione pontificia, che naturalmente lo impiega facendone un merito al Vaticano! A completare gli esempi che ho citato, aggiungete la corruzione dilagante che offusca le opere buone compiute dai governi che si sono succeduti dalla Liberazione in poi e che a molti sembra peggiore della stessa corruzione fascista, forse perché oggi il Paese è più povero. Purtroppo, giova ripeterlo, il bolscevismo reazionario, con la paura che incute nei pavidi, attutisce o cancella negli animi il senso di rivolta contro tutta questa roba. Ho detto che tra Repubblica democratica e mondo di Lauro vi è assoluta incompatibilità. li processo di erosione delle nostre istituzioni politiche è dunque inesorabile, e se una forza nuova non interviene ad arrestarlo, la sua conclusione è fatale. A ben guardare già entriamo nella fase in cui la dittatura non si è ancora impiantata ma la democrazia non è più democrazia; una fase che, secondo un bello spirito tedesco, ricordato in un discorso di Calamandrei, si potrebbe chiamare di « democratura ». Credo che per arrivare alla conclusione di questo processo basti ormai un piccolo atto: la congiunzione politica della Democrazia cristiana (che ha già liquidato la propria sinistra) con i monarchici, conclusione che l'Azione Cattolica sta attivamente preparando. Abbiamo delineato quegli aspetti dell'involuzione, che interessano il mondo di Lauro. Guardiamone ora - e anche qui sommariamente, anzi con brevi parole - l'altra faccia tragica, che interessa invece i1 mondo del lavoro. Questo aspetto è rappresentato dalla massa paurosa di quei due milioni circa di disoccupati, che stanno diventando ormai cronici, e che con il loro peso insopportabile di miseria vanno rovinando e corrompendo il tessuto economico, sociale e morale della nazione. COME ALLARGARE IL MARGINE. IL PROGRAMMA TREMELLONI. La conclusione di questa mia analisi si può riassumere nei dilemmi perentori ed urgenti di Saragat e di Tremelloni: 1) o noi riusciamo a democratizzare l'economia o l'economia fascistizzerà le istituzioni; 2) o uccidiamo la disoccupazione e la miseria, o queste uccideranno la democrazia. 13 B,blioteca Gino Bianco

Altro che espedienti elettorali! Altro che cocaina, compagni cari della destra! Ecco dunque chiarite le cause che hanno portato alla contrazione del margine di sicurezza della democrazia, ed ecco già implicitamente indicato il rimedio per allargarlo: bisogna superare, bisogna rovesciare la politica del 18 aprile, intendendosi per questa politica soprattutto la politica economica di Pella. E bisogna sostituirla con un'altra politica economica. Quale? Potrei far mia senz'altro l'enunciazione che ne fa Saragat nel numero del suo settimanale in data 27 settembre: « Alla duplice causa di disagio dei lavoratori, e cioè l'insufficiente volume della produzione e la sua iniqua ripartizione, noi opponiamo come rimedio efficace una politica fiscale che agisca come incentivo della produzione e come elemento perequatore della distribuzione dei beni. Questa politica fiscale deve essere integrata da una riforma agraria ben più radicale e generalizzata di quella esistente e da una non meno radicale revisione di tutta l'organizzazione industriale e creditizia del Paese. Lo squilibrio tra classe e classe e tra nord e sud non può trov<1irealtro rimedio che in una visione democratica di tutto il problema economico e sociale italiano. In altri termini, alla concezione capitalistica che oggi domina in seno al potere esecutivo noi opponiamo una concezione che si ponga dal punto di vista degli interessi deHe classi lavoratrici italiane. 8 solo così che potremo affrontare il problema della disoccupazione e del miglioramento del tenore di vita dei nostri lavoratori». Ma per rendere onore al merito, preferiamo denominare il programma col nome di un altro compagno, tanto più che costui è un economista: programma Tremelloni. Tutti sanno che cos'è, perché Tremelloni lo ha illustrato cento volte: è un programma produttivistico, destinato ad accrescere le occasioni di lavoro, ad accrescere la produzione di ricchezza, ad elevare cosi il livello di vita. Il programma Tremelloni è dunque il mezzo, il vero ed insostituibile mezzo, sic et nunc, per richiamare la classe lavoratrice dentro le trincee della democrazia ed allargare il margine di sicurezza di questa. Il programma di Tremelloni contro quello di Pellai E se non riusciamo ad imporlo, è perfettamente inutile andare in cerca di altri rimedi, di stupefacenti. La democrazia è finita. Mettetevelo bene in testa e non Jatevi illusioni! L'ho chiamato mezzo insostituibile. Ed infatti io ritengo che altri mezzi, benché non stupefacenti nè trascurabili, sui quali insistono molti compagni, abbiano tuttavia un solo valore complementare. Tale sarebbe il mezzo della propaganda, del proselitismo e dell'organizzazione nelle forme che al partito socialista sono tradizionali; e tale sarebbe 14 Biblioteca Gino Bianco

altresi l'opera di persuasione verso gli elementi non bolscevizzati del P.S.I. lnuliJe dire che adoperando quest'ultimo mezzo non bisogna smarrire, neppure per un momento (come purtroppo succede a taluno), la coscienza, teorica e soprattutto pratica, dell"abisso incolmabile che ci separa dal fusionismo. Altrimenti potrebbe capitare il brutto scherzo toccato ai pifferi di montagna ..., caro Calosso! LA LEGGE ELETI'ORALE PREFERIBILE. Tutto questo premesso e venendo ora in medias res, atrargomento principe di questo congresso, resta da esaminare qual· è lo strumento elettorale migliore, ossia più adatto a mettere il _nostro Partito in condizione di imporre il programma Tremelloni. (Si vedrà poi perchè adopero questo termine imporre). Come vedete, io affronto il problema della legge elettorale in modo realistico, non moralistico nè idealistico, quantunque non neghi affatto valore agli argomenti m·orali e ideali. Le leggi elettorali in sè, ossia come mezzo tecnico, non sono nè buone nè cattive (naturalmente entro certi 1imili). Il giudizio sulla loro bontà deve essere riferito alla concreta situazione politica alla quale devono essere applicate. Ad esempio, la proporzionale pura in Inghilterra avrebbe reso impossibile !"esperimento rivoluzionario <leilaburisti. In Francia, nelle ultime elezioni politiche, avrebbe probabilmente creato il caos. Invece nei Paesi scandinavi, dove regnano un alto livello civile, una grande stabilità politica e un formidabile partito socialdemocratico, va benissimo. Il collegio uninominale oggi in Italia sarebbe molto probabilmente la guerra civile e la dittatura. Insomma, io non sono affatto del parere di quei compagni i quali giudicano che un congruo premio di maggioranza al partito o alla coalizione di partiti che ottengano la maggioranza assoluta dei suffragi costituisca sempre e dovunque uno sfregio mortale alla demo• crazia. Dirò di più: una determinata situazione eccezionale potrebbe giustificare il premio anche alla maggioranza relativa; senza dire che una determinata situazione eccezionale può giustificare l'invio alrin• ferno della legalità e la sostituzione del voto col fucile per difendere la democrazia. Orbene, io sostengo che oggi in Italia la proporzionale pura è il sistema elettorale che più sicuramente di qualsiasi altro ci permetterà di raggiungere il nostro scopo politico (dico nostro, perchè dovrebbe essere comune a noi tutti), e cioè di superare la politica del 18 aprile, di imporre il programma di Tremelloni e di allargare in modo non fittizio, ma reale e duraturo, il margine di sicurezza della democrazia. Ed eccovi l'enumerazione dei motivi di questo mio asserto: 15 B,o: oteca Gino Bianco

1) E chiaro che lo scopo politico che noi ci proponiamo di raggiungere e di attuare (programma Tremelloni) è così arduo da richiedere la maggiore possibile scioltezza di movimenti e quindi la completa indipendenza del nostro Partito (parlo di indipendenza e non di isolamento, che son cose ben diverse, checché ne pensino certi compagni giocatori di bussolotti). Ora è ovvio che nulla, meglio che la proporzionale, potrà garantire questa indipendenza, liberare il nostro Partito dalla necessità dei compromessi a getto continuo, che finiscono col diventar metodo, risanare quindi la sua vita interna e riportarlo a una genuina azione socialista democratica di classe, senza di che è vano sperare di attrarre a noi le masse lavoratrici di cui la democrazia ha bisogno. In tal guisa, quella a cui potrà addivenire con la D. C. sarà vera, dignitosa e proficua collaborazione, non vassallaggio. A questo punto è assolutamente necessario che io dica alcune cose intorno allo stato e alla vita interna del nostro Partito, e perdonatemi se a taluno potranno fare arricciare il naso. II compagno Saragat, nel discorso pronunciato a palazzo Barberini, cioè al momento della nascita del nostro partito, disse fra l'altro: « C'è un altro pericolo, dicono i nostri critici. Voi potreste diventare un partito di piccoli borghesi. Un partito che non avrà le caratteristiche proprie ad ogni movimento socialista. E chiaro, compagni, che la fisionomia politica di un movimento è determinata non dalla volontà di coloro che lo dirigono, ma dalle condizioni sociali delle forze che lo compongono. Ed è chiaro che se la maggioranza degli iscritti al nostro movimento dovesse essere formata dai lavoratori del ceto medio, la fisionomia del partito ne risentirebbe. Noi siamo certi che così non sarà. Ma se anche per un'ipotesi assurda fosse vero che nel nostro Partito i lavoratori del ceto medio dovessero prevalere sui proletari; anche se fosse vero, come speriamo, che i lavoratori del ceto medio al nostro appello si raccogliessero in masse profonde intorno alla bandiera del socialismo, noi riusciremmo a impedire quello che è avvenuto nel 1922. Allora questi lavoratori del ceto medio si orientarono verso formazioni di destra, e peggio ancora verso formazioni reazionarie. Anche in tal caso noi avremmo reso un servizio incalcolabile allo sviluppo democratico del nostro Paese ». Ormai, dopo circa sei anni di vita, possiamo domandarci come sono andate le cose. Sciaguratamente, fra le altre manchevolezze, il nostro Partito ha anche quella della statistica, ragion per cui è impossibile conoscere con esattezza, ch'io sappia, la sua composizione sociale. Dob• biamo quindi affidarci agli incerti elementi disponibili. Orbene io direi 16 Biblioteca Gino Bianco

che quella che Saragat dava come un'ipotesi assurda, e cioè che il nostro Partito diventasse un partito di ceti medi, non si è avvei--ata, o almeno non si è avverata nella misura ipotizzata da lui: i ceti medi non si sono raccolti nel nostro Partito in « masse così profonde» da rendere quel tal servizio incalcolabile allo sviluppo democratico del nostro Paese. E c'è una ragione. I partili democratici di ceti medi, che sono in estrema decadenza in tutti gli altri paesi di Europa, da noi non han mai trovato l'humus adatto. L'ultimo esperimento, quello del partito d'azione, sapete com'è finito. E quanto al partito repubblicano ognuno vede che diventa sempre più storico. La verità è che l'inquadramento democratico dei celi medi nel mondo odierno non può essere effettuato se non da un partito socialista che già sia riuscito a raccogliere sotto le sue bandiere la grande maggioranza della classe lavoratrice e sia riuscito a disciplinarla nell'azione politica del socialismo democratico. L'esempio del partito laburista valga per tutti. Resta da domandarsi se le forze che compongono il nostro Partito, secondo la previsione saragatiana, sono forze proletarie. lo ne dubito, in mancanza di dati statistici precisi. Del resto il dubbio è anche in quei compagni ottimisti che hanno definito il nostro come un partito di « aristocrazie operaie». E c'è inoltre da osservare che, come indicano molti segni, queste aristocrazie operaie segnano il passo. Senonchè un partito socialista non è tale solo per la posizione sociale di quelli che lo compongono. Un partito socialista è tale soprattutto per i legami che sia riuscito ad allacciare con la classe lavoratrice e con le sue istituzioni, legami che devono essere permanenti ed organici; legami coi sindacati, con le cooperative, con le mutue, con le associazioni di assistenza, ecc. ecc. Questa è la visione del riformismo socialista (e io aggiungo, del marxismo), secondo cui gli elementi del1a nuova società socialista - ossia, precisamente, le istituzioni della classe lavoratrice - s1 devono formare in seno alla vecchia ed il partito socialista deve esserne l'animatore e la guida. Da questo punto di vista dobbiamo dire purtroppo che il nostro Partito non è ancora un partito proletario. Del resto basta osservare che la sua azione, nel senso di animatore e guida delle istituzioni proletarie, è zero o poco più. Ed è zero o poco più nel campo più importante, che è quello sindacale, dove - contro i deliberati del Congresso di Bologna - si tenta di spacciare come socialista una concezione di sindacalismo apolitico all'americana, privo di qualsiasi legame col Partito. Ai legami permanenti e organici con le istituzioni della classe operaia molti di noi hanno sostituito la fiducia nel consenso, che si presume permanente (chissà perchè?), di un pulviscolo di circa due mi17 Biblioteca Gino Bianco

lioni di elettori inafferrabili e incontrollabili. E secondo quei molti, il nutrire quella fiducia dovrebbe bastare. È il « socialismo che si contenta», di bonomiana memoria! LA PROPORZIONALE E IL P.S.D.I. 2) E veniamo al secondo motivo della preferibilità della proporzionale pura su ogni altro sistema elettorale. La proporzionale contribuirà alla chiarificazione e moralizzazione del costume politico e di tutta la vita della Nazione, inquinata dalla mania del compromesso, dall'insincerità e dalla corruzione. Ciò vale soprattutto per la D. C. che sarà obbligata a guadagnarsi il consenso elettorale non mediante i favori, ma con la precisione dei programmi e soprattutto con la fedeltà ai medesimi. 3) Con la proporzionale lo scarso margine di sicurezza della democrazia oggi esistente nel Paese sarà più sicuramente che con qualunque altro sistema allargato e allargato di riflesso nel Parlamento. Come le recenti elezioni amministrative hanno mostrato, il nostro Partito, presentandosi da solo1 cioè senza collegamenti e imparentamenti di nessuna specie, otterrà certamente un numero maggiore di voti. Per convincersene non c'è che da confrontare il numero dei voti ottenuti da noi, nei Comuni dove ci siamo imparentati con altri partiti, con iJ numero dei voti ottenuti nei col1egi dove i nostri candidati provinciali si sono presentati in perfetta indipendenza. Credo che la stessa cosa possa dirsi degli altri partiti democratici. Ma c'è di più. Facciamo il caso che, sostituita alla proporzionale una legge elettorale « imparentistìca », il P. C., sapendo di non poter raggiungere la maggioranza anche imparentato col P. S. I., lasciasse .quest'uHimo sciolto da ogni imparentamento, dandogli una condizione vantaggiosa in confronto di noi che saremmo invece imparentati con la D. C. La nostra perdita di voti potrebbe essere tale da compromettere quel tal 50,01 °/,, che con l'imparentamento voi vi proponete di raggiungere per godere del premio. In altri termini, l'imparentamento, p·roprio l'imparentamento, produrrebbe quel disastro che voi invece temete dalla proporzionale! Lo stesso guaio potrebbe capitarci se, sempre a causa del nostro imparentamento con la D. C., si presentasse aJla nostra sinistra una lista di socialisti indipendenti, si presentasse un qualunque M.L.I., a contenderci i suffragi delle « aristocrazie operaie». Amici cari, pensateci bene!... 18 Biblioteca Gìno Bianco

LA PROPORZIONALE E LA D. C. 4) La D. C. non ritornerà più in Parlamento con la maggioranza assoluta. Di ciò, con la proporzionale, si ha matematica certezza, sempre riferendoci ai risultati delle elezioni amministrative; mentre questa matematica certezza è impossibile con altri sistemi elettorali .. Conseguentemente la D. C. per formare il governo dovrà necessariamente chiedere la collaborazione degli altri partili democratici, e specialmente del nostro. Dico necessariamente, perchè, secondo i calcoli dei competenti, in una Camera eletta con la proporzionale e sempre riferendoci ai risultati delle elezioni amministrative, le forze parlamentari dei monarchici e dei fascisti sarebbero insufficienti ad offrire alla D. C. una maggioranza di ricambio. In altri termini, la D. C. non potrebbe non tener conto deHa nostra volontà. 5) Conseguentemente ancora, il nostro Partito - valendosi di una tale posizione parlamentare, se non di una grande forza intrinseca - potrà imporre il programma Tremelloni ritornando al governo (perché è chiaro che verificandosi una tale condizione, esso dovrà ritornare al governo). Potrà imporre cioè la sola soluzione, non fittizia ma effettiva e duratura, del problema dell'allargamento del margine di sicurezza della democrazia. In nessun'altra condizione, se non in questa, la D. C. accetterà mai il programma Tremelloni. Non venite a darci ad intendere il contrario. Se nella nuova Camera la D. C. potrà disporre di una maggioranza assoluta o avrà la possibilità di una maggioranza di ricambio alleandosi ai monarchici, o anche a uno solo dei partiti democratici minori, per es. ai liberali, non accetterà o non attuerà mai il programma Tremelloni. Se io fossi nel torto, la D. C. non dovrebbe rifiutarsi di impegnarsi nel programma economico del futuro governo prima delle elezioni e comunque voi, fra le alt'(e condizioni per il mutamento della legge elettorale, avreste il dovere di porre anche questa. Salvemini ha dato di ciò una dimostrazione inconfutabile sull'ultimo numero del Mondo. Vi confesso che io mi sono illuso per un momento circa una tale possibilità. Ma la D. C. ha già ricusato di impegnarsi in un programma prima delle elezioni. Qualcuno potrebbe obbiettare che profittare di una situazione strategica, come quella che la proporzio'nale pura darebbe in Parlamento al nostro Partito, per imporre il nostro programma economico, sa di ricattatorio e sarebbe in fin dei conti una immoralità politica. A questa 19 B,o;ioteca Gino Bianco

obbiezione rispondo che in una simile operazione, che produrrebbe a favore delle classi lavoratrici e della democrazia gli effetti indicati da Saragat nel suo articolo, noi potremmo a buon diritto sentirci di rappresentare e rappresenteremmo effettivamente non soltanto i due milioni di lavoratori che votano per noi, ma tutta la classe lavoratrice, compresa quella turlupinata e tradita dal bolscevismo e dai suoi giannizzeri. 6) Infine, fatto non completamente da trascurare, la proporzionale spingerebbe probabilmente il P. S. I. a presentarsi alle elezioni da solo e gli permetterebbe di mandare alla Camera un gruppo di deputati che dovranno al solo elettorato del P. S. I. le proprie medagliette. Non ch'io mi faccia molte illusioni in proposito; ma questa indipendenza del gruppo parlamentare del P. S. I. potrà forse giovare alla democrazia nella eventualità di gravi crisi politiche e potrà forse essere la sua ultima ancora di salvezza. Non dimentichiamo le vicende che portarono nell'altro dopoguerra alla costituzione del partito socialista unitario in Italia. Turati diceva che la grande maggioranza dei membri del gruppo pdrlamentare di questo partito era composta di compagni che avevano rinnegato il bolscevismo e il massimalismo. La proporzionale merita dunque di essere difesa. E se la si vuol correggere, la si corregga, ma non per « scorreggerla », bensì nel senso di renderla veramente pura, dato che la legge elettorale vigente favorisce i partili di massa in danno dei partiti minori. La proporzionale deve essere difesa, tanto più che è difficile dimostrare che, se il nostro Partito ci si mette con risolutezza, coraggio e compattezza, in guisa da impressionare i proporzionalisli degli altri partiti e specialmente della D. C., è difficile dimostrare che la proporzionale non potrà salvarsi. Io non capisco il pessimismo e fatalismo di certi compagni, i quali si sono convertiti all'idea della « correzione» della proporzionale unicamente perchè disperano di salvarla. E o non è vero che al Senato la « scorrezione» non può passare senza il concorso dei nostri voti? L'argomento che la proporzionale è sostenuta da comunisti, monarchici e missini, e che perciò deve essere sepolta, è piuttosto demagogico e parecchio inconsistente. Si capisce che questi partiti difendano una legge elettorale che non falcidierà la loro rappresentanza parlamentare. D'altro canto i totalitari si aggrappano oggi con accanimento a tutti gli istituti della democrazia, perché giovano alla loro azione sovvertitrice. Vorremmo forse per questo chiedere l'abolizione della libertà di stampa, di riunione, di sciopero, ecc.? :È chiaro che da parte nostra sa• rebbe il sacrificio di Origène, 20 Biblioteca Gino Bianco

UN ATIO DI CORAGGIO. E vengo alla conclusione. Una obbiezione possibile alla mia tesi è che il mantenimento della proporzionale, malgrado tutto, non esclude completamente il pericolo che nella prossima Camera i partiti cosiddetti democratici non abbiano piti la maggioranza assoluta o raggiungano una maggioranza insufficiente alla saldezza del governo che essi formeranno. All'obbiezione, di cui riconosco la serietà, rispondo: 1) che nessuna delle correnti del nostro Partito manifestatesi nel periodo precongressuale si mostra preoccupata di eliminare questo rischio, in quanto tutte, nessuna esclusa, ammettono il premio di maggioranza soltanto nel caso che i partili democratici collegati raggiungano la maggioranza assoluta dei suffragi; 2) che la gravità della situazione impone imperiosamente e urgentemente che i partiti democratici passino da uno stato di difensiva, ratto di disorientamento, di pessimismo e di paura, ad un atteggiamento di audace offensiva, fatto di coraggio e di fiducia. In particolare simile atteggiamento è uno stretto dovere per un partito come il nostro. Il partito socialista democratico deve affrontare il rischio; esso deve dare questo esempio di coraggio ad una massa dì democratici impauriti e fuggiaschi. Esso lo deve perché è il solo partito democratico integrale, per il quale la democrazia non é una posizione di comodo, ma una ragione di principio e di vita. Esso le deve perché é un partito che tende a rivoluzionare il mondo, ossia a rinnovarlo introducendo la democrazia in tutti i rapporti, non solo politici, ma economici, sociali e morali. Un partito che abbia di sè - come il nostro deve avere - questa orgogliosa e giusta consapevolezza, questa orgogliosa e giusta fiducia, non può perdersi di coraggio, non può fuggire, non può non rischiare. Il proletariato che non vuole lasciarsi trattare da canaglia - come disse Marx in polemica coi democristiani del suo tempo - ha bisogno del suo coraggio assai più che del suo pane. 21 B.o: oteca Gino Bianco

APPELLO DELL'ESECUTIVO DEL P.S.D.l. Mentre sta per iniziarsi la campagna elettorale l'Esecutivo felicita tutti i compagni per il continuo sviluppo organizzativo e il continuo aumento delle Sezioni e degli iscritti e manda loro un saluto fraterno e in particolare a quelli di loro che, pur dissentendo dalla politica della maggioranza, sono rimasti fedeli al Partito. Questo loro atto di lealtà impegna gli organi direttivi a valutare con piena consapevolezza i motivi di solidarietà che essi hanno saputo subordinare al maggiore dovere verso il Partito. L'Esecutivo rivolge infine un fraterno appello a quei compagni che. credendosi colpiti da un provvedimento dettato invece dalla necessità di difendere l'unità del Partito, lo hanno privato della loro preziosa atti• vità e li invita a ritrovarsi, compagni tra compagni, nella casa comune. Con questo spirito di pieno riconoscimento dell'alto significato della mantenuta o della rinnovata adesione alla nostra compagine di compagni che unitamente a tutti gli altri costituiscono la forza viva da cui il Partito trae il suo prestigio presso la classe lavoratrice, l'Esecutivo riconferma che Ja pill ampia libertà di opinione è assicurata a tutti i suoi militanti nell'ambito di una serena interpretazione dello Statuto e di una democratica disciplina. Il Partito riafferma la sua fedeltà agli ideali di libertà politica e di giustizia sociale e combatte per superare le condizioni che hanno reso e rendono tuttora necessaria la sua tattica atluale. L:accordo con i partiti di democrazia borghese, imposto oggi dalle esigenze di difesa della democrazia, insidiata dai totalitarismi rivali ed uguali, è un punto di partenza dal quale il Partito si propone di muoversi verso quel fine che costituisce la meta specifica della sua azione. Tale fine è la realizzazione di una società socialista, e il Partito lo potrà conseguire tenendosi sempre aderente ai principi della dottrina socialista democratica, che considera la classe lavoratrice come la forza trasformatrice della società in opposizione al sistema capitalistico. Affinché questo fine possa sollecitamente avverarsi il Partito deve poter fare assegnamento sull"opera dei compagni di tutte le tendenze. L'Esecutivo rinnova quindi rappello fraterno a quei compagni che hanno creduto di appartarsi e la cui opera è necessaria al raggiungimento del fine comune. I fatti successivi al Congresso di Genova non saranno cosi che un episodio il cui ricordo sarà cancellato con la fra• terna riconciliazione di tutti i compagni attorno alla gloriosa bandiera del Partito Socialista Democratico Italiano. Rama, 18 aprile 1953. 22 Biblioteca Gino Bianco

DICHIARAZIONE Ad evitare ogni erronea o arbitraria interpretazione sul nostro ri• torno nel P.S.0.I. e sulla nostra accettazione della candidatura al Senato fin qui insistentemente rifiutata, crediamo utile dare una chiara spiega· zione ai compagni ed a quanti si interessano deHe vicende del nostro Partito. Noi non deflettiamo dalla posizione che tenemmo al Congresso di Genova, dove, rimasti in minoranza, dichiarammo che saremmo però restati nel Partito. Ne uscimmo inratti solo più tardi, ritenendoci noi pure colpiti dal provvedimento con cui la Direzione aveva inteso rispondere alla protesta della corrente di sinistra contro l'interpretazione che essa aveva dato ai deliberati di Genova; e ne uscimmo non col proposito di restarne fuori, ma di premere per la convocazione del Consiglio Nazionale, che compisse una revisione del giudizio che la Direzione aveva dato sul nostro conto, permettendoci cosi di riprendere il nostro posto nelle file del Partito nelle condizioni di libertà da noi reclamate. Il Consiglio Nazionale non è stato più convocato e la revisione del giudizio della Direzione è pertanto mancata in quella sede; ma ne ha tenuto luogo l'appello lanciato, per mandato della Direzione, da quello stesso Esecutivo che aveva pronunciato la condanna contro di noi. In tale appello, pubblicato nella Giustizia del 19 aprile, quella revisione è in.fatti implicita ed è per giunta espresso molto chiaramente il pen• siero che ha sempre ispirato il nostro atteggiamento di fronte alla maggioranza del P.S.D.I., che solo in una politica di classe e di autonomia socialista, atta ad attrarre verso di esso forze di autentico proletariato, il nostro Partito potrà riprendere la sua storica funzione. In questa situazione ci è parso pertanto necessario e doveroso riprendere il nostro posto nelle file del Partito a continuarvi la nostra lotta per ottenere che alle dichiarazioni dell'appello corrisponda la realtà dell'azione. Siamo più che mai convinti che la lotta contro le deviazioni da noi imputate all'azione del P.S.D.I. non possa essere condotta efficacemente se non da chi rimanga nel seno del Partito, che è sorto nelle vicende postbelliche soprattutto per volontà ed opera nostra e nel quale, in Halia e nell'Internazionale, è ravvisata ormai la rappresentanza del so• cialismo democratico italiano. Ogni scissione, come l'esperienza insegna, genera una dannosa dispersione di forze e un ulteriore smarrimento e sfiducia della coscienza proletaria, smarrimento e sfiducia che 23 B.o· oteca Gino Bianco

rendono impossibile la vita ed il successo politico di nuove formazioni socialdemocratiche. Anche ammettendo che abbia qualche giustificazione morale l'atto di coloro che hanno dichiarato di abbandonare definitivamente il P.S.D.I. ed hanno iniziato un nuovo movimento, certo esso costituisce un evi• dente e grave errore politico. Non ostante le manifeste deficienze dei quattro partiti della coalizione democratica, resta pur sempre vero che il rafforzamento del margine di sicurezza della democrazia è una perentoria necessità che noi pure a Genova riconoscemmo, a1la quale la corrente di sinistra voleva soltanto che non si provvedesse col premio di maggioranza e coi connessi imparentamenti, ma con altri mezzi più serii ed efficaci e più rispondenti ai principii della democrazia socialista. Invece i compagni che d hanno lasciato, oltre che hanno dovuto, per dare qualche vigore elettorale al loro movimento, accettare l'alleanza di persone e di gruppi che non hanno lo stesso loro pensiero, compiono opera diretta a logorare ulteriormente, fino a distruggerlo, il margine di difesa della democrazia, contribuendo a creare un'estrema polarizzazione di forze, che noi, al contrario, ci siamo sempre sforzati di impedire, e la cui probabile conseguenza sarebbe quella di determinare immediatamente un'alleanza della D. C. con i monarchici e di preparare così l'avvento di un regime salazariano. E non crediamo davvero che questo « tanto peggio » - logicissimo fine dei totalitari - possa avere per gli amici socialisti che ci hanno abbandonato, rendendo più difficile il nostro compito, il valore di un « tanto meglio »; anzi riteniamo che aver contribuito a creare l'accennata possibilità in un momento in cui le forze socialiste non sono certo atte a sostenerne l'urto, sarà per essi motivo di rimorso. Purtroppo non riteniamo oggi possibile che i promotori di questo movimento si ritraggano dalle posizioni su cui sono giunti e che non hanno più niente da fare con le comuni posizioni di Genova. Auguriamo che queste nostre considerazioni trattengano molti dal seguirli, inducano altri a riesaminare il perico1oso sbocco verso cui stanno avviandosi. Auguriamo che la temuta minaccia di un regime salazariano non si avveri e speriamo che le forze di coloro che sono ora divisi da noi si ricongiungano alle nostre per riprendere con noi la lotta per quel pensiero che ha ispirato il nostro comune atteggiamento al Congresso di Genova ed a cui noi siamo ed intendiamo restare fedeli. UGO GUIDO MONDOLFO GIUSEPPE FARA VELLI Milano, 25 aprile 1953. Biblioteca Gino Bianco

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