La Voce - anno II - n. 9 - 10 febbraio 1910

degli esseri come un lutto; intuisce i legami delle cose, e non costruisce un edificio per frammenti, come fa lo scienziato empirico. Tutto egli conosce senza aver nulla imparato; non certamente le teorie della scienza egli conosce, ma bensl l'intimo senso delle cose. Poichè, « colla rivelazione dell'io, egli ha « ricevuto immediatamente, senz' alcun soc– .::corso del pensiero, il germe di una conce– « zione dell'universo. Concezione del!' uni– « verso non è la sintesi immane che nel « giorno del giudizio della scienza, un uomo «: diligente, dopo essersi erudito via via in < tutti i rami dello scibile, eseguirà dinanzi « al suo tavolo da scrivere, in mezzo a una « gran biblioteca; concezione dell'universo è « qualche cosa di vissuto, che può essere chiara e e certa nell'insieme, nonostante tutte le « oscurità e le contraddizioni che possono re– « stare nei particolari. Essa ha la sua radice -, nella rivelazione dell'io; e questo per l'ar– « tista non meno che per il filosofo. E per « quanto radicali possano essere le differenze « fra concezione e concezione, hanno però • sempre questo di comune: la convinzione c: che esiste un io, o un'anima sola nell'uni– • verso, di fronte a cui sta tutto l'universo, « la quale contempla l'intero universo ». Non vi sono se non genii universali; ge– nio è solamente colui che si sente in rap– porto coll'intero universo i e sono tali sola– mente il filosofo 1 l'artista e il fondatore di religione. Nei genii differenti mutano i mezzi e le forme dell'espressione ( 1), ma i I conte– nuto è sempre un'intuizione personale del- 1' unh•erso. « Per esempio, il musico può, se e egli ~ veramente grande 1 nella lingua che « gli è indicata dal particolare indirizzo del e suo talento, essere universale e abbracciare « l'intero mondo interiore ed esteriore tanto e quanto il poeta o il filosofo. Un genio '" simile era Beetho\•en ». ~la il Genio non è solo intellettualmente, egli ~ anche moralmente l'uomo più ele\·ato. « Solo chi sente che il vicino è ancora un « io, una monade, un particolar centro del « mondo, con un modo suo di sentire e di e pensare, con un suo passato, solo quegli < si preserverà dal trattare il prossimo come « mezzo per un fine ; egli cercherà, pre– « sentir?!., e perciò rispetterà nel prossimo, e come vuole l'etica kantiana, la personalità e (come parte del mondo intelligibile) .... • Fondamento psicologico di ogni altruismo « pratico è dunque l'individualismo teorico .... « lo e tu sono concetti reciproci. Chi sente e la personalità in sè, la sente anche negli • altri. Il pili alto individualismo è il pii1 -. alto universalismo .... l'individualità è il « presupposto di ogni disposizione al vivere -.: sociale .... • Genialità è, secondo il suo concetto, un do\•ere dell'uomo : è I' ideale stesso della compiuta umanità, la quale non si attua per– fettamente in nessun uomo. Bensì ne parte– cipano in maggiore o minor misura gli uo– mini tutti, e la raggiungono in qualche istante della vita, il più spesso forse solo sul punto di morire. Genii si diventa per un supremo atto della volontà ; ma la genialità è un grave peso; poichè accogliere tutto in sè, equivale a togliere su di sè la responsabilità del tutto j e ben pochi vi si risolvono. * Del suo libro &sso e carallere, il "'einin- ger disse : < ciò che io ho trovato non può « dare a nessuno maggior dolore che a me j -.: questo libro importa una condanna a morte; « la quale colpisce o il libro o il suo au– « tore >. In verità qui, come in tutte le sue pagine, il \Veininger prosegue velatamente una perpetua ed estremamente dolorosa con– fessione di sè medesimo. Uno dei capitoli di &sso e carallere traccia l'idea del Giudaismo j nella quale egli ritrova tuttl l'assenza di va– lore che aveva tro\'ato nella donna. Xon bi– sogna dimenticare che egli stesso era ebreo; e che in qualche punto egli afferma che an– che i genii più grandi, non escluso il suo adorato "ragner, - ebbero in sè tal\•olta 1) La teoria dcll'E!-ttetica, come fu intesa e S\'Olta dal Croce (e da me 1 !'tCr\'c a definire la lingua degli artis:ti, e fornio;ceun criterio per ri– cono-;cerli, ma non per ,·aiutarli. LA VOCE qualche co~a di giudaico : - che odiamo negh altri solo ciò che e odioso in noi, e l'antisemitismo è generato dallo scorgere in 5.è Pebreo 1 almeno come possibilità. - Egli dunque senti\-a in sè, per adoperare i !-Uoiter– mini, l'ebreo e l'ariano, - la donna e l'uomo, o il genio, - il delinquente e il santo: egli \'Oleva liberarsi dal peccato e dalla materia, e salire al bene e allo spirito puro. Quel suo metodo di condurre l'analisi psi– cologica per tipi ideali opposti, si può giu– stificare ricordando quello che egli scrisse in un luogo di Sesso e caral/ere: che per com– prendere un uomo bisogna aver in sè esso e il !i-UO contrario. l\Ja il fatto ha radici pii1 profonde. In un luogo del volume postumo Ueber tlie lel\fm Dù,ge, egli dice che l'osser– vazione interiore è un fenomeno di odio; e che i più grandi osser\'atori di sè sono odiatori di sè. Il \Veininger odiava sè, ossia il suo io empirico. E che cosa è odio, se non ne– gazione di una cosa, e affermazione del suo opposto? In un altro luogo egli afferma che la sola form:1 morale di mo\'imento, è il moto rettilineo ; e interpreta la re1tilinearità del tempo come ·un simbolo etico. - Passato e futuro, è la coppia di opposti che indi– vidua il tempo; male e bene quella che in• dividua la condotta mora!e, f! fra cui si muove la sua indagine psicologica. Nel capitolo sul Giudaismo, dopo aver affermato che Pebreo manca c1ssolutamente di fede, in sè e nel mondo esterno, spiega come tuttavia precisamente dal Giudaismo possa nascere il Cristo, perchè « il fondatore « di religione è quell'uomo il qual~ è vissuto « totalmente senza Dio, e pur nondimeno è e riuscito a conquistarsi la fede-.,. Senza dubbio il \Veininger patì dell'incertezza radicale che egli attribuisce all'ebreo e \·olle conquistarsi una fede. li carattere di volontarismo rigoroso e ferreo del suo pensiero dovette molto rapi– damente esasperarsi. Il volume Ueber dic lel{len Dù1ge tradisce spesso uno sforzo im– paziente e violento di stringere nella morsa di quel suo idealismo morale tutta quanta la realtà empirica. Quivi egli affronta dire11a– mente i problemi imperscrutRhili del pc.;c..1to originale e della vita terrena. Il nostro pec– cato è la nostra nascita, il vicendevole cer– carsi del nulla e dell'essere, della materia e della forma, dell"uomo e della donna, il di– scendere dello spirito nella carne umana. li peccato originale solo formalmente è uno: ciascuno nascendo porta con sè il suo pec– cato, e con esso il suo problema e il suo compito. L'uomo non può comprt!ndere se stesso, perché egli è un atto senza tempo, un alto che egli compie sempre di nuovo; e non si dà momento in cui non lo compia: come dovrebbe, perchè egli potesse com– prendtrsi {poichè si comprende qualche cosa solo quando ne siamo fuori). I fenomeni biologici, salute e malattia, movimento e im– mobilità, vita e morte, debbono aver tutti la loro radice nella vita dello spirito. Tutta la n~tura non ha pili significato se non come sistema di simboli e1ici: che il \Veininger si sforza di leggere. la forma diventa più asciutta e sconsolata, e spesso tradisce un 1ormento, un'angoscia, uno spasifT'lo chiuso e senza eloquenza di sfoghi: come nel luogo dove spiega l'allegoria del flt: Gran Gobbo » nel Peer G;'III di lbsen, il quale sarebbe e la forza che rende sempre di nuovo l'uomo e infedele a sè, che lo mostra sempre vano, • che anzi, per quanto egli si sia frugato e (( fustigato, gli lascia sempre s::orgere nelle < ultime pieghe del suo interno la vanità, e non snidata affatto 1 illesa, uguale a sè, nello « stesso luogo, collo stesso dominio »; e ancora esso < è la forza intera dell'io empi– « rico, con cui questo torna sempre ad eri· « gersi incontro ali' intelligibile» ecc. 11 pen– siero procede. E negli ultimi aforismi il \Veininger giunge a negare la Personalità, che prima aveva affermato con tanto calore. « Le stelle sono simboli dell'uomo che ha « superato tutto, tranne la vanità. Molte sono e le stelle perchè il problema della vanità è « il problema dell'individualità .... L'io intelli- 1( gibile non è che \'anità: legare il \'alare alla .: persona, porre il reale come irreale > ecc. .-\nche que,;10 v~lume è ricco di pagine belle e profonde i noto fra le ilhre 1 due saggi più organici e compiuti 1 e forse meno lon– tani dal pensiero comune; quello su Enrico lbsm, e quello sui rapporti fra Scitnt.a e wlturn. Del primo ho gi~ riferito qualche passo: è nella sua massima parte un tenta– tivo di interpretazione dei simboli del Pter GJ•11t: e, insieme col giudizio con cui si chiude 1 in dispregio della moderna critica impressionista e tecnica, è esempio da con– trapporsi non inutilmente ai troppo zelanti promotori della critica estetica. La quale è certamente qualche cosa di molto superiore alla critica tutta esteriore filologica; è un utile esercizio per affinare l'attenzione e l'in– telligenza; ma da sola non conduce a nulla; e voler ridurre a quella tutto lo studio e la valutazione delle opere d'arte, è cecità di specialista che si è chiuso nel suo campo di la\'oa'b, è miserabile unilateralità, che av\'i– lisLe ..:iascun uomo e l'opera sua, continan– Jolo in nna sua funzione specifica: al pen– satore il pensare, all'artista il sentire e l'e• sprime:re, senz'altro scopo; è soprnltutto in– dizio di vita spirituale slegata e priva di un interesse serio per uno scopo supremo. L'altro saggio, Scie11;11 e cultura, è forse la satira più amara e profonda che sia stata scritta contro il lavoro scientifico dei nostri giorni. • Scir11{a diventa unn parola d'ordine, « uno scopo, non come conoscenza, ma e come somma grande q~anto è possibile di « cognizioni < positive ».... Perchè nella « serie delle paraffine mancano ancora alcuni " omologhi, importa di tro,•arli, non perchè « se ne attenda un profitto effeuivo per il « pensiero, ma c: per la S(1'c11\•' >•••. Nessuno legge la memoria, essa passa nelle biblio– < teche e nelle bibliografìe 1 111a possiamo e riposare tranquilli, è stato fatto.... Kon « senza profonda giustizia questa scienza ha « dichiarato tutte le sue affermazioni ugual– e mente importanti. ... Forse solo perchè que– ,t: sta scienza è una democrazia senz:1 presi– • dente il quale aves!-e pieno potere di par– « lare i11suo nome, non è ancora stato di– « chiarato espressamente che la più piccola e scoperta chimica ha più \'alore effettivo e ,che la più grande poesia. Arte, religione, e tilosotia dallo scienziato tipico sono sen– « tite come superflue .... Questa scienza pos– « siede risultati e si propone dei compiti, « ma non conosce più problemi. Problemi « esistono solo per gli uomini che pensano « per sè e su di sè, e non per un idolo, se « anche esso porti il nome e Scim{a >. - .\. questa miserabile scienza corrisponde un'arte altrettanto misera : « Di fronte al– « l'arte moderna, la quale è caratterizzata e dall':issolula assenza di pensiero, e ha ele– < \'ato questa assenza a principio, in quanto « non si\cnra affatto del pensiero nell'arte, « t: necessario affermare ene:·gicamente che « ogni \'era arte è arie di pensiero, ogni e grande artista è un grande pensatore se « anche pensa in altro modo. Ogni arte e grande è profonda 1 non vi è che arte sim– « boli ca. Poichè 11 uomo è geniale in quanto « sta in rappol't0 cosciente coll' universo, - « si dovrà sempre poter rintracciare nelle « opere del Genio il respiro dell'universo ». La vera cultura per il \Veininger è cosa individuale e non sociale; non vi è progresso nella storia rispetto ad essa ; ma gli sforzi per giungervj si ripetono da ciascun indivi– duo, partendo sempre dallo stesso punto. E.o,sa è quell' ideale d'umanità, al quale i più prossimi sono quelli che chiamiamo geni (filosofi, artisti, fondatori di religioni). Quali princfpi nuovi ha recato il \Vei– ninger nella filosofia? -- Nella teoria, egli è stato un interprete di Kan1 1 l:1 teoria del valore, non è ahro che un particolare aspetto con cui gli si presentò l'etica kan– tiana, rispondente :il suo bisogno quando an• da\'a cercando qualche cosa di stabile in cui affisarsi. Il \1/eininger 11011 credeva nel pro– gresso filosofico : ciascuna concezione dell' u– niverso è creazione dell'individuo e non della societ~ nè della storia, e ciascuna h:1 un ca– rattere universale cd eterno i i problemi della filosofia, egli dice, ~ono gli <ites,;idai pili an– tichi e miti e pro,erbi dei Babilonesi e degli < Indi fino ad oggi ». ;\la egli ri\'isse ·l'etica kantiana con una intensi!~ nuova; Bibloteca Gino Bianco 261 \'olle con una energia straordinaria richia– mare il mondo al culto dei \'alori morali, ed insegnò n distinguere nel mondo umano le forme e i gradi in cui l'ideale morale si altua. Cosi gli diede un'evidenza pl,1stica, e drizzò quasi un segno visibile alle aspirazioni deboli e malcerte degli uomini. Che il Genio sia un ideale morale, e non una mostruosit.\ 1 non un eccesso di forze o di beni naturali i che esso non debba essere ogge110 di meraviglia o d'invidia, ma di imitazione (nel senso in cui è oggetto di imitazione Cristo) 1 che esso non sia potenza, ma grandezza e bontà, è un pensiero grande. Che il grande religioso, il grande filosofo e il grande artista siano appariziC1ni simili e di ugual valore, e che con mezzi diversi espri– mano ciascuno e sempre una concezione del• l'universo individuale (1) e coeterna alla loro anima, è un pensiero profondo, appello a cui pare del tutto risibile la simpatia (o \'Ogliam dire il compatimento) con cui certi filosofi parlano della mutevole impressionabilità dei poeti. Il \Veininger meditò lungamente e senza pietà per sè 1 a faccia a faccia coi piìi tre– mendi misteri. Egli non r.i compiacque di speciose simmetrie di sistema, come qualche troppo rumoroso filosofo nostrano; non cercò nè la novità nè l'originali!:) ; combaltè fino all'ultimo per uccidere in sè il ~miero di sè 1 ch'egli chiama vanità; volle essere l'uo– mo kantiano che non ride e non danza, non rugge e non giubila; il genio che rinuncia ad ogni grandezza esteriore, per la pura gran– <lezza interiore. Spasimò non per altro che per ottenere la perfetta armoni:1 ~cl unilà_ in– teriore. Forse alla sua fede Mdente, mancò la fede nel perdono d' lddio j ~gli non ebbe inJul~ genza verso di sè, e non seppe attendere la grazia; e perciò si perdette . .\la qualche cosa di eterno e di divino fu in lui senz.l dub– bio; qualche cosa che lo fa degno della \"e• aerazione e dell'imitazione nostra e dei ven– turi. Giulio A. Levi. 11celibato del clero. Veramente, porre la questione cosl : se al clero convenga o meno rimanere in celibato, per ragione della santità dei riti e delle man– sioni che gli sono affidale, è cacciarsi per una via senza uscita ; e a una soluzione lo– gica, ispirata cioè a prindvi precisi e sicuri, si potrebbe venire solo concludendo o che il matrimonio è inumano, fosse anche solo per t"'-S.ereesso sopra alla presente umani1à, o che il sacerdozio professionale non può sottrarie i suoi alla loro umanità ed all'impeto trion– fatore del la specie. Fuori di qui ci si involge in un intrico inestricabile di opportunità o di probabilità di varia natura e valore, pro e contro il celibato. Ma lasciamo stare il sacerdozio professio– nale, i quadri o i ruoli della gerarchia eccle– ~iastica, e consideriamo un'altrn questione, che è implidta in questa, ed ha un alto valore ideale. Interessa:, innanzi tutto, porla chiara– mente. La storia è, si direbbe, un equilibrio instabile, nel divenire delle coscienze o dello spirito, fra due tendenze opposte che operétno in questo : delle quali l'una lo porta a supe– rarsi, :id aITTuire e concentrarsi nello s,'011- cio crea/ore, a rinnovare, con sè, il mondo esteriore delle sue creazioni storiche, degli isti– tuti e rapporti umani ; l'altra invece lo porta ad adagiarsi sul risultato raggiunto, a farsi di nuovo abitudine, passività, inerzia, mate– ria. Ora, lo sforzo rinnovatore avviene per molte maniere; ma, normalmente, o certo assai spesso, esso avviene per opera di uomini, o di coscienze, le quali, accogliendo in sè, come per una particolare \'irll1 recettiva, le confuse ed incerte aspirazioni delle masse, leggend<', con intuito divinatore 1 nella realtà, abbandonandosi all'empi10 della volontà crea: trice e consolidando e intensificando in ess.1 (1) Una tale concez;ont: ri1cngo, 110110-.Lante lluel cht: si disse in con1rario. !'tia ,tam pos,c– dula dal Leopardi. Ct:rtO non la ,i dc\'c cercare nt:ll'esposiidone clcl G,,TTI, Il sistema jilorofiro di t:iaromo l.t'O/'lfrtfi.

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