Una città - anno III - n. 23 - giugno 1993

• storie I VICINI CHE SI VERGOGNAVA Quando hanno cominciato a parlare piano fra di loro. Dopo pochi mesi la città era distrutta. I rastrellamenti e i saccheggi. Le sfilate dei funzionari Onu di fronte a porte aperte dai carcerieri per l'occasione. Intervista a una donna mussulmana di Mostar. L'intervista che pubblichiamo di seguito è informa anonima, perché questa donna si sente ancora in pericolo e sopra1tu1tonon vuole far correre rischi al marito che da Mostar sta cercando il modo di raggiungerla in Italia. Come altre già pubblicate nei numeri scorsi ci dà un quadro allucinante dell'improvvisa esplosione di una violenza senza senso, di un odiofomentato da pochi, che, improvviso e travolgente, in pochissimo tempo ha sbriciolato anni di convivenza, di amicizia, di progetti. Nulla sembra essersi salvato: né le case, né le città, né le anime. Questa giovane donna ci ha detto di non provare odio, ma esclude che sia possibile che le cose tornino come una volta. La pulizia etnica andrà avanti. L'Europa non farà niente. Per questo la suafamiglia ha messo un grande punto, ha abbandonato tutto e si prepara a ricominciare daccapo, in un altro paese. Un 'altra vita. Sono di Mostar e ho 30 anni. Sono mussulmana, anche se preferisco dire bosniaca, perché in Europa appena dici mussulmana la gente pensa ad una origine turca o mediorientale. La mia famiglia è di Mostar almeno dal 1700. Non sono mai stata religiosa. Mio padre era membro del partito comunista, mia madre era più o meno credente, proveniva da una famiglia religiosa, o meglio una famiglia in cui era sviluppato il concetto, il desiderio dell'identità nazionale bosniaca. Infatti, durante il regime comunista, questo forse non tutti lo sanno, non esisteva una identità per i mussulmani: in Bosnia bisognava dichiararsi Serbi o Croati. Naturalmente, devo ripetere questa cosa che dico sempre: non c'è nessuna differenza visibile, nessuno potrebbe mai riconoscere un serbo da un croato o da un bosniaco. Quando sono stata in Germania, prima di tutto credevano che fossi tedesca, essendo alta, bionda e con gli occhi azzurri e poi non volevano assolutamente credere che fossi mussulmana! Per convincerli recitavo una preghiera in arabo che mi aveva insegnato mia nonna e di cui non capivo niente neanch'io, conoscevo solo a memoria le parole. Avevo amiche serbe e croate con cui viaggiavo e trascorrevo le vacanze e non esisteva mai un discorso che riguardasse il problema etnico o religioso. Posso dire che fra i Croati c'era qualche giovane che andava in chiesa, fra i Serbi un po' di meno e fra i mussulmani ancora meno. Per quello che mi riguarda ho visitato molto più spesso le chiese cattoliche che le moschee. Per quanto riguarda Mostar posso dire con sicurezza che il problema della religione non era assolutamente un problema, non esisteva proprio che ci fossero delle discussioni, delle differenze, delle divisioni su base religiosa. Vorrei che la gente capisse questo. E anche oggi, nonostante tutto quello che sta succedendo, so che è ancora molta la gente che non è cambiata, che non sta dando importanza alla religione per dividere le persone in buoni e cattivi, in amici e nemici. Il fondamentalismo islamico non esiste nel modo più assoluto, non si sa nemmeno cos'è nella comunità mussulmana, però credo che in molti stiano facendo di tutto per farlo nascere, per poter dire che i mussulmani minacciano la civiltà europea. Si può dire che c'è una differenza, credo come in tutto il mondo, fra le campagne e le città: i contadini tengono di più alla religione e nei villaggi in campagna c'è più omogeneità, meno mescolanza. A Mostar c'erano moltissimi matrimoni misti e ci sono oggi tante persone che non sono proprio in grado di dire cosa sono. Il problema è che quando nasce, o rinasce, un nazionalismo il primo effetto è che ne nasce subito un altro e poi un altro ancora. In Bosnia hanno cominciato i serbi, poi i croati e alla fine i mussulmani. E' stato tutto molto veloce. Alle ultime elezioni, appena tre anni fa, io ho votato per il capo di un partito riformista che era croato. Già allora il nazionalismo cominciava a essere importante, tanto è vero che questo politico non piaceva a Milosevic perché era croato e non piaceva ai leaders croati perché non ra abb stanza azio~sta. E ~ti poi vinsero le elezioni i partiti nazionalisti, quelli che si stavano organizzando su base etnica e non in base alle idee. E questo è accaduto soprattutto nelle campagne. Sono bastate poche migliaia di persone, nazionaliste fanatiche, a creare quella paura che è stata la base di tutto e che ha costretto tutti gli altri a schierarsi, a dire se erano serbi o croati o bosniaci. Ripeto questo è successo soprattutto nelle campagne, perché in città c'erano i matrimoni misti, c'erano le amicizie miste, c'erano i condomini misti, c'erano i posti di lavoro misti. A Mostar i primi segnali un po' concreti sono venuti dai serbi, che nei posti di lavoro chiacchieravano sempre più spesso fra di loro, in piccoli gruppi e sembrava proprio che gli altri non dovessero sentire cosa si diceva. La prima spaccatura si è avuta con l'arrivo dell'esercito federale, che però non era più l'esercito di tutti perché ormai c'erano solo serbi. Ecco, in quell'occasione i serbi dicevano che era giusto che l'esercito venisse a proteggerci. Proteggerci da chi? Da chi bisognava proteggere l'aeroporto? E le colline? In praticà Mostar è stata circondata e occupata. Di giorno in giorno è aumentata la paura. Di sera nessuno usciva dopo le 8, perché con questi soldati ogni tanto nascevano incidenti, erano a volte ubriachi o davano fastidio alle donne. Questi soldati non erano serbi bosniaci, ma della Serbia e del Montenegro. C'era molta tensione, però i rapporti umani ancora resistevano. L' 8 marzo 1992 ho partecipato ad una festa di compleanno di un bambino il cui padre era serbo e la madre era croata; il 4 aprile è cominciata la guerra. In quel periodo di tempo le cose sono andate sempre peggiorando, le voci di una possibile guerra circolavano tutti i giorni, ma non volevamo crederci. Qualcuno cominciava a pensare di scappare. Poi è circolata la voce che i serbi della città avrebbero aiutato i soldati a rastrellare e portare via i mussulmani e i croati. Era vero oppure era solo una voce? In quei momenti la paura è tanta che non si riesce a capire più cosa è vero e cosa no. Fatto sta che davanti ad una caserma dei serbi i croati hanno fatto scoppiare una cisterna e c'è stato qualche morto e di lì son cominciati i combattimenti casa per casa. Proprio il giorno che è cominciata la guerra era venuto mio fratello a dirmi di andarmene per qualche giorno, perché avevo una bambina piccola ed ero anche incinta ed era meglio non rischiare... Io mi stavo preparando per andare con una mia amica in un albergo dove si sarebbe svolta una sfilata di moda. Credo che questo dia l'idea di come la vita normale, la paura e i segnali brutti si mescolavano continuamente. Due giorni prima, ora ricordo, un esponente politico croato, uno che doveva sapere, mi disse che avrebbe portato via sua moglie "almeno fino a domenica", perché poteva succedere qualcosa. Anche lui quindi non sapeva esattamente cosa stava per succedere. Alle 5 del pomeriggio, quando ancora eravamo lì senza sapere cosa fare, se partire o andare alla sfilata, s'è udita la grande esplosione della caserma. Così sono partita per la Dalmazia, dove son rimasta per molti mesi, profuga presso la casa di un'amica. A Mostar, come sapete, c'è poi stata la guerra, la città è stata semidistrutta, i ponti sulla Neretva son tutti crollati. I Serbi son stati respinti a 15 chilometri, sulle colline, da dove potevano continuare a bombardare la città tutte le volte che volevano. E l'hanno fatto quasi tutti i giorni, tanto che ci sono stati più morti dopo giugno, cioè dopo la liberazione della città, che non durante i tre mesi di guerra vera e propria. Mussulmani e croati avevano combattuto insieme, ma i croati erano meglio armati, erano più preparati a dimostrazione di come quello che è avvenuto fosse veramente una sorpresa per i mussulmani. Quando sono tornata a casa, era già passato settembre, ho capito subito che stava cambiando qualcosa. In TV ho visto un'intervista su Mostar e parlavano quasi solo croati. Poi a Spalato c'è stato un concerto per Mostar e ancora a parlare sono stati solo i croati, a parte un paio di mussulmani. CO Poco a poco la vita a Mostar, sebbene distrutta, è ricominciata. Però la radio era croata, la tv era croata ... Poi hanno cominciato a circolare le critiche ali' Armija, l'esercito bosniaco, che tutte lecose andate male nei combattimenti erano colpa sua, e che al suo interno c'erano le spie di Belgrado, e che tutto quello che non andava bene era colpa dei mussulmani. Fra i civili i rapporti erano ancora buoni, anche se la maggioranza mussulmana sentiva un certo disagio. Ad esempio, non si poteva più girare liberamente, per uscire dalla città ci voleva un permesso. Nelle scuole, che stavano per aprire, volevano adottare i programmi croati, con la storia croata e la nuova lingua croata, che in realtà è la vecchia lingua croata, con parole che da tanto tempo non si usano più. Abbiamo accettato tutto, per amore della pace non abbiamo fatto storie. Eravamo la maggioranza della popolazione, ma non avevamo nessun potere ed eravamo anche meno organizzati. Per questo credo che ci sia anche un motivo: per un certo periodo fra i croati ci sono stati degli attentati che hanno eliminato le persone più moderate, meno nazionaliste e hanno fatto capire a tutti che non potevano esserci idee diverse. Non ho le prove di questo, ma sono convinta che i croati sono uniti e organizzati perché al loro interno c'è anche la paura di esprimere le proprie idee. Nella città continuavano a vivere anche tante famiglie serbe che non avevano voluto abbandonare le proprie case per seguire l'Armata in ritirata. Non sono state trattate male, anche se ogni tanto c'erano degli incidenti. Alcuni serbi hanno parlato in televisione per dire che non condividevano quello che era successo e , che si vergognavano per i ··· bombardamenti dei serbi contro i civili. Credo comunque che in quel periodo i serbi rimasti abbiano vissuto nella paura. Intanto un'altra offensivadell 'HVO, l'esercito croato di Bosnia, e dell' Armija aveva allontanato di qualche chilometro i serbi e così la vita a Mostar è sembrata normalizzarsi, è stato tolto il coprifuoco e fra i civili i rapporti son ripresi come prima. A Pasqua abbiamo festeggiato tutti insieme, poi c'è stato Bajram, una festa mussulmana e anche in quest'occasione s'è fatto festa con i vicini di casa, come era abitudine e senza distinzione di religione. Poi le associazioni mussulmane, per me molto divise e disorganizzate, hanno cominciato a rivendicare più potere, a protestare per una situazione che li vedeva così emarginati. Ma non è cambiato niente. Improvvisamente una notte siamo stati svegliati da un bombardamento terribile, le bombe scoppiavano da tutte le parti, non si capiva da dove partivano né dove arrivavano. Dopo un paio di giorni è stata firmata una tregua, è stato detto che bisognava risolvere i problemi pacificamente, che c'erano delle teste calde e bisognava calmarsi. Sono però comparsi i cecchini e ogni tanto qualcuno veniva ucciso. Poi, il 9maggio, ci ha svegliato un bombardamento incredibile, peggiore dell'altro e che non finiva mai. Sono comparsi dei soldati e abbiamo capito che s'era cominciato a combattere casa per casa fra croati e mussulmani. Abbiamo visto tutta la gente, le donne con i bambini che scappavano, che ci urlavano di scappare, che loro erano stati cacciati dalle case dai croati che gli avevano detto di andare dall'altra parte della Neretva, cioè incontro ai Serbi. E anche da noi sono arrivati e sono entrati in casa col pretesto che forse c'era un cecchino. Il nostro amico croato ha tentato di fermarli, ha garantito per noi, ma non c'è stato niente da fare, quello del cecchino era solo un pretesto. Ci hanno preso i documenti, hanno voluto la chiave della casa, mi hanno dato il tempo di prendere due cose per la bambina e ci hanno mandato via. Dappertutto cadevano granate. Ci siamo uniti a quelli che erano diretti verso la parte vecchia della città, poi ci siamo fermati a discutere perché andare da quella parte voleva dire morire dieci volte più in fretta. Abbiamo formato un gruppo e siamo andati dall'altra parte, verso lo stadio. Eravamo solo civili, tutti disarmati. Nei pressi dello stadio ci hanno fermati, hanno diviso gli uomini dalle donne e dai bambini. Gli uomini li hanno portati dentro lo stadio, noi con i bambini ci hanno portato dove c'era l'università, che era stata trasformata in una caserma della polizia e poi di lì, con degli autobus ci hanno portato a sud della città dove ci sono delle caserme dell'HVO e una prigione. Eravamo più di 150 e ci hanno messo in tre grandi celle. C'erano bambini coi pannolini e ragazzi di 17 anni, giovani madri e anziane donne di ottant'anni. Devo dire che la polizia militare è stata più che corretta e ci ha protetto dagli altri militari delle caserme lì vicino, perché ogni tanto veniva qualcuno, magari ubriaco, e voleva entrare. Credo che noi che eravamo in quella prigione alla fine siamo stati più protetti dell'altra gente che s'è trovata in giro, o che è rimasta nella parte del la città controllata dall' HVO, perché dopo ho saputo di storie terribili. Comunque eravamo in prigione. Alla sera verso le 9 ci hanno dato da mangiare; i bambini non mangiavano dalle 5 della mattina, puoi immaginare. Ci hanno dato una fetta di pane e un po' di latte. So che gli uomini non hanno avuto niente per due giorni. Dopo due o tre giorni sono venuti questi che fanno le "sfilate", che sembra sempre che facciano qualcosa e non fanno niente, le varie associazioni dell'ONU. Mi dispiace, ma è così. Allora, appena arrivano queste persone la polizia ci apre le porte per far vedere che non siamo proprio in prigione, che i bambini possono stare fuori e giocare. L'hanno fatto tre volte ed è stato proprio uno schifo. Uno spettacolo, una messinscena, con il dolce per i bambini. Un giorno dalle sbarre ho visto una persona che conoscevo e gli ho chiesto com'era la situazione nel nostro quartiere, se si sarebbe potuto tornare a casa, e lui mi ha detto che sì, che era abbastanza tranquillo. Ma noi continuavamo ad essere in prigione. Un giorno sono arrivati degli uomini, fra cui mio marito e abbiamo saputo che erano stati usati come "scudo" durante i combattimenti. Li hanno messi in una palestra, dormivano sul pavimento e per due giorni non hanno mangiato. Poi è arrivata altra gente, scampata veramente dall' inferno perché abitavano vicino al comando dell' Armija e l'HVO l'ha bombardato con le granate incendiarie. Dopo una settimana finalmente ci hanno caricato su pullman e ci hanno liberato, per quello che s'è capito in cambio della liberazione di prigionieri croati in altre zone. Sono così tornata a casa e dall'appartamento ci avevano rubaIO tutte le cose elettroniche, video, computer, ecc. I miei vicini croati si vergognavano per tutto quello che ci stava succedendo, la paura, la prigione, la casa derubata ... Come mi vergogno io oggi appena ho sentito le notizie di Travnik, perché non si può fare la guerra contro i civili. Mi vergogno veramente. Ma siccome nessuno in Europa ha fatto niente contro i serbi che per primi hanno fatto la guerra contro i civili, oggi tutti sanno che possono fare i loro comodi e che i civili non li protegge nessuno. Sulla porta di casa non c'era più il nostro nome: i vicini ci hanno raccontato che un soldato l'aveva tolto dicendo che non saremmo più tornati e che quella casa ora era la sua. lo ho cambiato la serratura, naturalmente, ma non mi è certo passata la paura, perché serratura o no i soldati hanno i mitra e possono tutto. Per due o tre giorni non ho mai risposto quando qualcuno suonava e sono scappata sempre dai miei vicini. Son venuti tre volte a controllare se eravamo tornati. Mio suocero è morto di crepacuore, io ho perso la gravidanza. Allora mio marito ed io abbiamo deciso di mettere un grosso punto alla nostra vita a Mostar. Avevamo un ottimo lavoro tutti e due, un bell'appartamento grande, eravamo felici. Abbiamo chiuso. Il primo passo è già stato fatto, io e mia figlia siamo già qua. Lui arriverà appena possibile e ricominceremo da zero. -

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