Una città - anno III - n. 19 - gen.-feb. 1993

SI .PUOI ANCO VIVERE INSIE E? I risultati della spedizione pacifista a Sarajevo, una ciffà dove, malgrado le devastazioni dei bombardamenti e delle "pulizie etniclte"serbi, croati e bosniaci mussulmani vivono ancora insieme. Intervista a don Albino Bizzoffo. Don Albino Bizzotto, dei Beati Costruttori di Pace, è stato uno dei promotori della spedizione dei 500 pacifisti a Sarajevo. Che bilancio può trarre dall'esperienza della carovana a Sarajevo? I 500 che sono andati crèdo siano ritornati cambiati; si è rafforzata la convinzione di avere un compito di pacificazione da portare avanti e questo non sono io a dirlo, ma le testimonianze dirette di chi ha partecipato. Per quanto riguarda invece il piano politico, è stato un risultato minimale. Chiaramente non ci aspettavamo di risolvere il problema, ci sono state delle difficoltà oggetti ve e iI poco tempo a disposizione ha fatto sì che questa non potesse essere che un' azione limitata. Tuttavia anche su questo piano sono soddisfatto. Intanto abbiamo rotto l'isolamento internazionale: a Sarajevo non si vive la guerra, si vive l'assedio. Non possono scrivere, né comunicare con l'esterno e questo per loro è la cosa più dura, con la nostra iniziativa abbiamo mostrato che non sono stati abbandonati da tutto il mondo e che qualcuno vuole ancora lavorare per la pace. A Sarajevo ci siamo andati adottando la politica del passo-a-passo, non abbiamo assolutizzato l'obiettivo e non ci siamo posti la meta di arrivare a Sarajevo a tutti i costi, ma abbiamo verificato quotidianamente quello che ci poteva avvicinare alla meta, nonostante tutte le pressioni che ci sono state fatte perché non andassimo avanti. eravamo disponibili ad aiutare anclte loro Quando I' 11 dicembre siamo stati fermati da un posto di blocco serbo ci hanno detto che non avevamo nessuna possibilità di passare. Invece è stato possibile passare grazie a dieci di noi che si sono offerti come delegazione per trattare coi serbi e per fermarsi nel territorio controllato dai serbi per intraprendere un dialogo basato sulla realtà umana, al di là di quella politica e militare. La trattativa coi serbi è stata fondamentale per cambiare l'immagine che loro avevano di noi, cioè quella di avventurieri che facevano del turismo di guerra. Al contrario, ha fatto loro vedere che ci sono strade forse molto più produttive dei progetti di tregua che vengono proposti in sede diplomatica. La nostra immagine è cambiata ancor più quando hanno visto che la delegazione non aveva una composizione uniforme (c'erano un parlamentare, due preti, cristiani, laici, giovani, vecchi, ecc.) e che eravamo disponibili ad aiutare anche loro: anche loro, peresempio, sono senza medicine e vaccini, hanno avuto i bombardamenti sui civili e non hanno neanche un'ambulanza. Quando hanno visto che prendevamo sul serio queste situazioni umane la nostra immagine si è rovesciata completamente e hanno dato il permesso di passare a tutti e 500. L'ultimo problema era quello della responsabilità. I serbi si erano impegnati con noi a far sì che non succedessero incidenti, ma se fosse successo qualcosa di non voluto la colpa, agli occhi della comunità internazionale, sarebbe ricaduta senz'altro su di loro. Abbiamo quindi accettato di firmare una dichiarazione in cui ci assumevamo ogni responsabilità per eventuali ferimenti o altro. A quel punto non hanno più fatto nessuna difficoltà e ciò che è più importante è che tutto è avvenuto in un clima di fiducia reciproca che ha permesso qualcosa di unico. L'ONU entra ed esce da Sarajevo solamente fino alle 4 del pomeriggio, dopo non lo fa più neanche con i mezzi blindati. Noi invece siamo entrati alle 7 di sera. Sembrava assurdo e fuori da ogni logica, invece è stato possibile perché la fiducia ha pagato. Ma se avete riscontrato questa disponibilità, come è possibile poi tanto accanimento nel combattere? Io sono del parere che la guerra non sia conseguenza di qualche cosa, ma anzi sia la causa del deterioramento di tutto. Attorno alla guerra gira tutta un'umanità allo sbando che scarica una crudeltà inconcepibile proprio tramite essa, creando un gioco al massacro. In ogni caso la guerra non ha irrimediabilmente rovinato la convivenza multietnica? La guerra ha dissotterrato spettri terribili; è stata la guerra a riesumarli, non loro a produrre la guerra, perché in Jugoslavia, come da noi, un ragazzo di 20 anni non sa niente degli anni '40, che furono anni terribili col conflitto etnico fra ustascia croati e cetnici serbi. la pulizia etnica è qualcosa di devastante Tutto questo non finirà in tempi brevi, perché la pulizia etnica è qualcosa di devastante e non sarà risolta con una dichiarazione scritta a tavolino e firmata, ma con azioni concrete, perché adesso il nazionalismo è un fenomeno reale a livello popolare. Quella che prima era una convivenza, per quanto difficile, ora è diventata un rifiuto. lo vedo come emblematica I' azione che abbiamo compiuto. Vedo anche l'urgenza che, a livello della comunità internazionale, a fianco dei "caschi blu", che portano dentro i viveri con mezzi blindati, ci siano delle strutture civili dell'ONU che permettano un abbassamento della tensione attraverso un dialogo, un'opera culturale che favorisca gli elementi positivi che ancora rimangono fra la gente e che non vengono valorizzati. Il guaio è che la guerra propone come unici gli elementi schematici del rifiuto e della crudeltà. La propaganda nazionalista ha molta presa sulla gente, ma le mire di questi paesi sono anche legate alla politica di potenza. La corsa all'Occidente e la necessità di possedere un certo status economico per non essere esclusi dall' Europa sono, almeno in parte, responsabili della politica di queste repubbliche. E questo vale anche nei rapporti fra Nord e Sud del mondo, che sono una vera e propria contrapposizione fra ricchi e poveri. In questo senso mi sembra che l'idea di un'Europa comune non abbia molto significato. Il movimento pacifista avanza come proposta quella dell'ONU dei Popoli. Che cosa significa? L'ONU nacque dopo la bomba atomica, quando l'umanità ebbe paura della strada che aveva imboccato, perché "il flagello della guerra", dice testualmente il preambolo dello Statuto dell'ONU, non debba appartenere al futuro delle nuove generazioni. Solo che di fatto è stata l'ONU dei governi, ali' interno di logiche come quella della contrapposizione est-ovest. In questo momento l'ONU ha perso autorevolezza perché ci si accorge che è in mano ai forti e agli Stati. Di fronte a ciò io penso due cose: innanzitutto la guerra e la fame riguardano la vita quotidiana della gente e credo che non ci debbano più essere problemi che toccano il quotidiano della gente sui quali la gente stessa non abbia il diritto di intervenire. poclti militari e· g_ovemanti decidono il destino di tuffi Invece fino a questo momento pochi militari e capi di stato determinano il destino di tutti. Da questo punto di vista anche la piccola esperienza che abbiamo fatto, intervenendo direttamente nei problemi e nelle contraddizioni della realtà quotidiana, dimostra che si possono toccare anche le strutture di livello più alto, senza dare una delega in bianco a poche persone. L'ONU dei popoli non deve essere il frutto di una decisione a tavolino di giuristi internazionali, che decidono di modificare le strutture dell'ONU di New· York, quanto piuttosto il fatto che la gente comincia ad organizzarsi per agire con una certa efficacia nei problemi che la toccano direttamente. Inoltre, secondo me esistono già delle strutture, cioè le Organizzazioni Non Governative che operano in tutto il mondo direttamente sul territorio, che conoscono la realtà locale e complessiva dell'umanità molto di più dei capi di governo. Ma cosa intende quando dice che la gente dovrebbe agire direttamente? lo non voglio fare della teoria democratica, dico solo che esistono delle organizzazioni che lavorano a fianco della popolazione in tutti i continenti, e non in una sola località, e credo che queste, almeno in parte, possano farsi portatrici dei bisogni delle popolazioni. una "polizia infemazl"""le" da parte dell'ONU Dico anche di affiancare alla legittimazione degli stati un' altra legittimazione, con delle istanze più vicine alla popolazione, per non avere solo un'ONU in mano ai più forti. Per quanto riguarda i rapporti fra popoli ricchi e poveri, credo che noi stiamo agendo contro il nostro stesso interesse. Credo ci siano due possibilità: o si avvierà un.nuovo sviluppo mondiale, proprio nel senso di fare in modo che la vita possa esprimersi là dove si trova attraverso una ridistribuzione di tutto, oppure dovremo attuare un nuovo modello di difesa contro i poveri, saranno loro i nuovi nemici e verranno tenuti il più possibile lontani dalla fortezza occidentale. Ma così il nostro modello di civiltà e di sfruttamento delle risorse che oggi regge il mondo è destinato alla distruzione. I grandi problemi di oggi, economici, demografici, ambientali, sono tutti all'insegna dell'interdipendenza mondiale, per cui, anche se rimane importante l'identità culturale di ogni popolo, non ha più senso articolare su base nazionale I' organizzazione politica. Per questo anche il concetto di "difesa popolare nonviolenta" mi sembra superato e da sostidi pace, di guerre tuire con una reale organizzazione di""polizia internazionale" da parte dell'ONU. Questo non significa bombardare donne e bambini, ma interporre forze dell'ordine dove ci sono conflitti per evitarne la degenerazione violenta. Il limite della CEE riguardo alla ex Jugoslavia è stato che, per garantire le autonomie legittime delle popolazioni, non ha saputo fare altro che riproporre il solito schema per cui bisogna avere dogane, esercito, barriere, burocrazia. La Slovenia era disposta a non avere un esercito, ma che garanzie le sono state date in cambio di questo? Ma come giudica questa voglia di ritrovare una propria identità e appartenenza specifica che poi spesso sfocia in rigurgito nazionalistico? Io credo che siamo in un periodo molto bello per quanto riguarda il riconoscimento delle diversità, in tutte le parti del mondo c'è una riscoperta dell'identità e della cultura dei popoli; la diversità dei linguaggi e dei modi di essere arricchisce l'umanità. Il guaio è che noi tentiamo di omologarla entro uno schema economico e culturale: basti pensare che in Nord Africa guardano la TV italiana. Per reagire a questa standardizzazione la riscoperta delle culture è molto positiva. La grande sfida è di non mortificare le identità, ma anche di non affermarle contro gli altri. Lei, che è ministro di culto, come si spiega che l'ambito religioso sia uno di quelli in cui più forte si manifesta la logica del nemico e dell'ostilità verso i diversi? Innanzitutto vorrei ricordare che a Sarajevo, davanti ad un cinema pieno, i rappresentanti delle quattro religioni si sono espressi insieme contro la guerra. Non è facile vedere insieme e d'accordo cattolici, ortodossi, ebrei e musulmani. Questo la dovrebbe dire lunga sulla verità del concetto di guerra di religione in Bosnia e sulla possibilità di convivenza fra religioni diverse. Comunque, le tensioni fra le persone e il modo in cui risolverle rimangono un problema aperto: altro è affermare di voler abbattere l'idea di nemico, altro è incontrare la persona con cui sei in disaccordo e cercare di risolvere il conflitto. Questo è un problema che vale per tutti, in ogni momento, e le chiese non fanno eccezione. lo non vedo verità precostituite, vedo la necessità di un cammino, tra l'altro molto difficile. Anche personalmente non sempre ·riesco a controllare l'aggressività e a sentire dentro di_me la tranquillità per affrontare tutte le situazioni. Ma c'è una tendenza naturale dell'uomo è al conflitto? Il conflitto esiste, c'è sempre stato, l'abbiamo chiamato lotta, dialettica, guerra. Il problema è come affrontarlo. Secondo me non ci sarà mai un momento in cui l'umanità sarà tranquilla: essere in pace non significa essere tranquilli, ma avere un metodo non violento di affrontare i conflitti e non dare prevalenza alla forza. Ma i conflitti ci saranno sempre. lo, più che di pace, parlerei di pacificazione. Il concetto di "guerra giusta", fatto proprio fino ad ora anche dalla Chiesa, francamente non lo capisco. li passaggio culturale sulla non esistenza di una "guerra giusta" c'era già nel Concilio Vaticano Secondo. Se il criterio seguito è dato da opportunità politiche, questo significa non aver capito niente del Vangelo; se il criterio non è questo, vuol dire allòra che ci si rifà ad una tradizione storico-politica e moralistica della Chiesa, non alla fonte originaria del Vangelo. serbi bersaglio dei IJom,,_damenli serbi In ogni caso la guerra per me rimane l'organizzazione dell'omicidio in massa di innocenti, non ci trovo una giustificazione. Perché i serbi non si sono ancora presi Sarajevo? Non sono in grado di farlo? Non credo che in questo momento ne abbiano la forza. Una parte di Sarajevo è occupata dai serbi, ma nella parte centrale della città, che è assediata, serbi, croati e musulmani stanno ancora vivendo insieme e si ribellano alla logica della divisione. Hanno rifiutato, per esempio, l'offerta dei serbi di un corridoio per lasciare la città senza pericolo. Quando gli si chiede se i musulmani vanno d'accordo coi cattolici ecc., loro dicono che sono bosniaci e che questi discorsi sono assurdi; sarebbe come se qui da noi qualcuno andasse in giro per la strada a chiederti se sei ebreo, cattolico o altro. La situazione a Sarajevo è talmente paradossale che fra 'i bersagli dei bombardamenti serbi ci sono gli stessi serbi che vivono all'interno della città. Anch'io non ci credevo la prima volta che ci sono andato, ma me l'hanno confermaro le suore francescane: ho domandato loro, a bruciapelo, se la guerra avesse separato i cattolici dagli altri e loro mi hanno risposto che la risposta la potevo vedere con i miei occhi, visto che loro vivono nel quartiere musulmano più povero e si trovano benissimo. • LIBRINCONTRO UNA GUIRRACHI NON CAPIREMOMAI 2000 •••••••••••••••••• libri nuovi a metà prezzo libri nuovi a prezzo intero Testi per professionisti PIROLA e IL SOLE 24 ORE A richiesta tutto. Consegna anche a domicilio • • • • • • • • • • • • • • • • • • Via Giorgio Regnoli, 76 Forlì Tel. 054.3 / 23847 L'impressione di viaggio di Claudio Bazzocclti, uno dei partecipanti alla spedizione pacifista a Saraievo Mi sono chiesto diverse volte se, trovandomi realmente di fronte ai pericoli ai quali, prima di partire, ci preparavamo con i training nonviolenti, avrei effettivamente potuto mantenere il controllo di me stesso. E chiaramente non posso rispondere con sicurezza. La guerra come si vede nei films non l'abbiamo vista: niente carri armati per .le strade e per i campi, niente colpi di cannone. Quello che potevamo vedere erano i segni che ne rivelavano la presenza: "cavalli di frisia", posti di blocco, macchine senza targa. E poi molti uomini in divisa e lungo la strada case distrutte o sfondate dai mortai. Nel paese dove abbiamo dormito le due notti prima di entrare li Sarajevo, che è a 30 chilometri di distanza, la guerra non è mai arrivata. Ognuno di quelli che abbiamo potuto conoscere reagiva alla guerra a suo modo: alcuni dicevano che avevano sempre vissuto insieme e che questa guerra non la capi vano, che era assurda; altri erano rassegnati; un uomo ci diceva che quando c'era Tito si stava meglio; una ragazza di 15anni, davanti alla scuola dove abbiamo dormito, ci ha detto: "Se proprio dovevate venire, potevate almeno portarci delle armi!". In campagna c'era un sentimento di pietà popolare molto forte, di gente forse abitùata da sempre alla sofferenza. Prima di entrare a Sarajevo siamo stati fermati da un posto di blocco serbo. Alcuni contadini, vedendo i pullman, sono usciti dalle loro case e una famiglia ha invitato i due vescovi che erano con noi al rito di commemorazione del padre defunto sei mesi prima. E' loro usanza che sei mesi dopo la morte di un familiare, la famiglia si riunisca in un momento conviviale. Uno di loro ha detto ai vescovi: "Questa è la nostra famiglia: io sono mussulmano, mia moglie è ortodossa, le mie cognate sono cattoliche ... e viviamo insieme. Questa guerra. non la capiremo mai." E celebravano quel momento, riuniti a tavola, con rassegnata serenità e mestizia. Un'altra donna, serba, è uscita dalla sua casa e ha offerto il té ai dieci autisti, ben sapendo che erano croati, perché li aveva visti molto sfiduciati. Poche ore prima, al posto di blocco, un militare serbo aveva minacciato con il fucile l'autista del primo pullman, intimandogli di tornare indietro. Per questo gli autisti erano agitati e non sarebbero voluti ripartire, ma quella donna è venuta ad offrire il té, consapevole di q1,1elloche il suo gesto significava. E' difficile dire di avere rischiato la vita, perché, almeno per quanto mi riguarda, quando sei lì in fondo pensi sempre che non succederà niente, non hai l'atteggiamento di quello che rischia. A Sarajevo l'incontro con le persone è stato molto commovente, senza bisogno di parole, una cosa di una forza e bellezza non comuni. Appena ci siamo incontrati è scattata un'emozione profonda fra "noi" e "loro" e questo mi ha fatto pensare che forse possiamo ancora provare a considerarci fratelli, ho avuto il senso di una comunità che si è mossa per andare a trovarne un'altra. Io non so se quello che abbiamo fatto è servito solo a noi o anche a loro. Però posso dire questo: un ragazzo a Sarajevo ci è venuto incontro e ci ha detto: "Questa è la pace, noi possiamo girare per le vie della nostra città perché sanno che oggi ci siete voi e non bombardano. Possiamo sorridere e abbracciarvi, guardare il passeggio, incontrare persone. Possiamo fare vita da esseri umani, e questa è la pace. Grazie, anche solo per questa mezza giornata." . Sarajevo è così: non è colpita dai bombardamenti, ma è una citt.àmorta dove le persone non vivono più da esseri umani. • UNA CITTA' 5

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