Una città - anno II - n. 12 - aprile 1992

CHI SIETE? CHI SIA O? che c'è stato il crollo di tutto, che glie) 'hanno data da bere, che l'hanno preso in giro, e poi dall'altra dice "spazziamoli via!" Chi? Non quelli che lo hanno preso in giro, che lo hanno imbrogliato in questi anni, ma il solito nemico. Ecco, noi non ci riconosciamo in questa cosa qui. Io adesso penso che il fatto che il PCI non sia mai andato al potere in Italia è stata una fortuna, per l'Italia e per la sinistra. Io, che ho combattuto per tanti anni contro persone che avevano come fondamento il carrierismo, l'arrivismo, etc. adesso mi fermo un attimo e dico: alla fine avevano ragione loro. La società che mi propongono continua a non piacermi e sono persone con cui faccio fatica a star insieme, però onestamente non posso rifarmi una verginità dicendo in modo consolatorio: sono stati fatti degli errori, l'uomo non è perfetto, il passato è discutibile, la gente ha sbagliato. Se era per me, l'Italia non dico che ora fosse come l'Albania, però quasi. Non che qualcuno lo volesse, però se il PCI negli anni settanta avesse avuto un po' più di voti e fosse andato al potere, credo che si sarebbe risolto in un disastro. Certamente il discorso è complesso, perchè il disastro sarebbe stato provocato anche da coloro che non avrebbero accettato democraticamente un esito elettorale favorevole alla sinistra. Di conseguenza, si sarebbe posta l'alternativa di fare la fine del Cile o di essere risucchiati più o meno rapidamente nella sfera sovietica ... Concludendo, quello che voglio dire è che anche se mi sento ancora di sinistra, anche se i valori che sono stati alla base delle mie scelte non sono neppure paragonabili a quelli della destra, tutti centrati sull'egoismo, sulla carriera, sui soldi, tuttavia devo riconoscere, e so bene quanto mi costi perchè non ho nessuna stima di quella gente, che la loro paura del comunismo era fondata. Per questo Valerio non mi convince: non si può ripartire da un colpo di spugna sulle cose che non ci fanno comodo e rimettersi sulla stessa strada. Sento la necessità di capire meglio cosa vuol dire oggi sinistra. ***** Saporetti. Non sono del tutto d'accordo con una lettura tutta politica, e non esistenziale, di quello che è successo nel passato. Perché, fra l'altro, rischia di non farci capire. Se io devo ricordare qualcosa del mio passato po1itico, non ricordo i programmi, ho dimenticato tutto l'elenco delle elezioni, delle scadenze in cui ci siamo impegnati e in cui abbiamo investito tantissimo. Sicuramente, però, ricordo la comunità, un periodo in cui un gruppo di persone ha vissuto insieme un'esperienza, e questa non la potrò mai rinnegare, è un'esperienza che mi ha formato, così come ha formato, in tutto il mondo, una generazioni di giovani. E non ho neanche la coda tra le gambe rispetto a tanti reazionari di allora, perché me lo ricordo bene, era gente con il pelo sullo stomaco. Ma questa comunità stava in piedi non già sulla politica ma sulla fede. · Ora ciò cfte credono i Kay_apo' non "è" più ili per sé Per spiegare tutto quello che succede oggi perché non partiamo da questo dato esistenziale e non dal dato politico? Non si sta discutendo che il comunismo fosse orrendo, ma che fosse l'ultima fede fondata. Tant'è che gente che non l'ha mai vissuto oggi ne sente una certa nostalgia, perché quando va giù una religione dispiace un po' a tutti, ti senti un po' più vuoto, al limite tu eri contro, però è venuto meno qualcosa, o forse ti viene la paura di far la stessa fine. La caduta di quella fede è una cosa definitiva, perché è la caduta dell'antropologia che la sorreggeva. E la crisi è di tutti, ma in particolare di una sinistra che ha creduto più degli altri nell'uomo, nella scienza, nell'industrialismo, che ali' orizzonte dell'uomo ci fosse la soluzione finale, quella buona. La caduta della fede è un dato fermo. O ne facciamo tesoro, sia dell'esperienza di fede che abbiamo fatto che della sua caduta, del nostro "ateismo" attuale, o se no per me non sta più in piedi niente, non capisco cosa stiamo facendo e chi siamo, paradossalmente mi viene meno proprio la mia identità. Don Pietro dice che non c'è più una verità che fondi la comunità. Lo dice lui che la verità ce l'ha. Oggi le verità non è che non esistono più, ma non hanno più un fondamento sicuro. Le scegli, o, peggio, te le vai a prendere al supermercato. Così adesso, liberati finalmente dall'ipoteca dell'est, si può benissimo, quasi a maggior ragione, rimettere in campo il comunismo. Le lezioni della realtà ci danno torto? Bene, buttiamo via il materialis~o. non l'ideale rivelato. Che, detto fra parentesi, per me equivale a buttar via il bambino per conservarsi gelosamente un'acqua oggi irrimediabilmente sporca. Anche se potrebbe sembrare il contrario. Voglio dire che nello smarrimento generale in cui si trova l'uomo oggi, il supermercato offre anche verità forti, con cui poter anche coagulare una piccola comunità in questo marasma, perché nella comunità tutto sommato ci si sta anche bene,· ma in questo c'è quasi la prova di quello che dicevamo prima. Voglio dire che )'"ortodosso", il fondamentalista, l'amish o che so io confermano non smentiscono, è revival, sono figure modernissime, "in linea". Allora. Il supermercato non lo metto in discussione, perché ormai c'è, giusto o sbagliato che sia e perché, in fondo, sospetto di non volerne fare a meno. Semmai voglio discutere quello che vi si vende. Spero che si vendano dei libri, più che detersivi che fanno bianco più bianco, verità facili. Voglio dire che non si può pensare che il libro, la riflessione o I' autoriflessione, la lacerazione interiore siano parentesi, per poi ritornare alla verità forte. Certo, .la comunità, quella vera, forse non la fondi più, però il dialogo riacquista di nuovo una grande forza, quell '"onesto e retto conversare cittadino" di cui ci parlava Rocco Ronchi citando Leopardi. Siamo tutti più soli, ma siamo anche tutti più portati a incontrarci, magari temporaneamente. Così io non rinnego l'esperienza che ho fatto, ma non la farò più. La nostalgia è una cosa da coltivare, è un sentimento bello, una parola dai progressisti sintomaticamente regalata ai fascisti, ma più passa il tempo e più viene meno il suo oggetto preciso, si confonde, diventa una cosa più indefinita. "L'anno prossimo a Gerusalemme", quando sappiamo bene che non ci arriveremo mai. Che poi nostalgia, dubbio, disperazione nel senso di una speranza che fa fatica, producano qualcosa, e non so cosa, questa è l'unica scommessa da fare. Il resto, sarò un po' sbrigativo, ma è terapia di gruppo. ***** Tesei. lo però ho qualche dubbio. Ho letto su "Micromega" una conversazione fra Havel e Michnik. Se è vero che l'uomo ha bisogno di semplificazioni, questo sta alla base delle fedi. La realtà è veramente troppo complessa, spaventa, non è possibile capire quello che succede. Oggi ancora di più. Il bisogno di semplificare è quasi un bisogno umano naturale, non ne puoi fare a meno. L'uomo avrà sempre questo bisogno. E lo soddisfa inventando una fede, perché è quella che gli dà quelle quattro formulette che gli permettono di spiegare quella realtà altrimenti incomprensibile. Oggi, i nazionalismi, la ripresa degli etnocentrismi, che cosa sono se non una fede? E lo vedo come un rischio. Un rischio di. nuove fedi, che verranno vissute anche in buona fede, ma con la convinzione di aver trovato la nuova leva per cambiare il mondo. Per far sì che il mondo non ti schiacci. Per interpretare, dare la spiegazione, semplice, elementare alla complessità del mondo. Come fate a dire che le fedi non esisteranno più? ***** Melandri. Attenzione: una fede, una volta che è stata messa in crisi, la si può certo ancora praticare, ma non come se niente fosse successo; c'è sempre la consapevolezza che essa non contiene quelle verità rivelate, "oggetti ve" che ne starebbero al la base. Prendi ad esempio l'indio che girava con Sting, Raoni della tribù Kayapò. Delle persone che si occupano di solidarietà con i popoli nativi americani, mi hanno detto che al suo ritorno in Amazzonia Raoni non è stato più accettato dalla sua tribù. E questo perché? Perché gli altri Kayapò pensano che quello che lui ha visto in qualche modo lo abbia cambiato. Per noi non c'é pericolo che Raoni si confonda con noi, basta guardare il piatto di portata che si infila nelle labbra, ma per i Kayapò è il fatto stesso che lui abbia abbandonato la sua terra che lo ha fatto diventare diverso. non si discute cfte fosse bruffo, ma cfte fosse l'ultima fede E questo non tanto per le cose che ha visto, le macchine o le radio le vedono anche i Kayapò che sono in Amazzonia, quanto perché Raoni è "entrato" in quello che per loro è "l'altro". Un "altro" che dimostra che quel che i Kayapò credono non "è" di per sé, ma è solo quel BibliotecaGino Bianco che i Kayapò credono. Ed è proprio per questo che Raoni non può più essere come gli altri. Lui continuerà a vivere di caccia e pesca, ma sa che non è quello l'unico modo possibile di concepire il mondo. Così la fede, se è tale, non può accettare la totale validità dell '"altro", o può accettarla solo per quel tanto che concorda con quanto la fede afferma. Il capitalismo, o meglio quello che col capitalismo è diventato più evidente, dimostra che non ci può essere una fede oggettivamente fondata e pertanto quelli che riscoprono la fede non possono ignorare che il loro credere è frutto di una scelta, non di una verità che si impone di per sé. Quanto poi all'essere di sinistra oggi secondo me c'è stra militanza a sinistra ci può insegnare qualcosa io credo che questo qualcosa non possa che essere la consapevolezza che non è possibile, che è colpevole, mettere in secondo piano le domande per accogliere risposte che magari ci aiutano ad agire nel presente, ma che alla fine ci fanno chiudere gli occhi sul mondo, sulla gente e su noi stessi. ***** Saporetti. O non ci intendiamo sui termini o non sono d'accordo nel dire che il nazionalismo è una fede. Pensiamo alla Polonia. Finché c'era il comunismo, nelle fabbriche si riunivano in circolo, col prete nel mezzo che confessava un operaio inginocchiato. Una foto impressionante. Non so bene adesso, però le elezioni polacche sono andate come sono andate. Io credo che le "quattro formulette" sostitutive siano quelle del supermercato, della fantasmagoria del supermercato. Credo che il polacco voglia, come noi, poter scegliere fra quello, quello e quello. Fra tante cose spesso anche inutili, che nulla hapno a che fare con una qualsiasi visione del mondo, naturale o religiosa che sia. Cose infondate, per l'appunto. E un domani può darsi che, per insoddisfazione, tomi a confessarsi in circolo, ma di certo non potrà più farlo nella mensa della fabbrica, con tutti gli operai. mai litigano, se non peggio. Rischiamo di fare questo anche noi, tanto più che l'eterogeneità che c'è fuori la rispecchiamo: pensiamo cose diverse, abbiamo anche storie diverse, saremmo garantiti in questo. Nella mia logica, però non dovrebbe essere così, perché al centro della nostra piccola ricerca ci dovrebbe essere quakos' altro che non so definire bene, ma che ha a che fare con la domanda, con la curiosità, con il dubbio, comunque con un "taglio" unico, trainante. L'altro esempio, anche se imbarazza legare scelte così piccole e insignificanti con questioni più grandi di noi, è quello del "taglio drammatico", la scelta dei tem~ il fatto che non vogliamo vignette, la grafica-,eccetera. E' una scelta nata dall'idea che in questi anni, a sinistra, per non parlare di altri laici ben più laidi, si sia riso fin troppo, casomai delle gobbe di altri. Che non c'era poi tanto da ridere. Perché la questione del male, oggi e in futuro, dopo la caduta delle grandi fedi e, sopra tutte, di quella progressista, acquisterà una radicalità inusitata. Perché non si avranno più strumenti per "lavorare" il male, salvo andarsi a ripescare quelli vecchi. Che comunque saranno.malandati. La donna che dopo due figli morti va coi Testimoni di Geova è un segno dei tempi di domani. A . . , . E la Lega cos'è? Una fede? E' un ripiego, io posso fare lega se sto male, per risentimento. E questo forse è veramente il "lupo": che incertezza, smarrimento, insoddisfazione si coagulino in risentimento. Con tutto questo non vorrei aver dato l'impressione dell"ateo" saccente, quella saccenza che, guarda caso, ci si permetteva quando si aveva un'altra fede, la fede nel superuomo, nel superoperaio che metteva a posto tutto e non c'era bisogno d'altro. Oggi ho la coda fra le gambe, anche se penso che la questione dell"'ateismo" non sia affatto da confinare nel chiuso delle case, nelle scelte private, nella "non credenza" come è invalso dire. D'altro canto si fa un po' fatica anche ad accettare la saccenza degli altri, tipo "il fatto Cristo" di CL che a me suona come una formuletta, appunto, se non, peggio, e mi scuso della :,òlgarità, come un cristianesimo alla Muccioli. Con chi ha una fede e nello stesso tempo si interroga, con lui posso parlare, posso discutere, abbiamo qualcosa in comune, restiamo nella storia. E ho la presunzione, quella sì, di pensare che non ci siano tante alternative. un "consesso di risposte", alla fine "concordatario" da fare una messa a punto. Non solo non si può voler ricostruire facendo finta che le macerie non ci siano, che l'utopia non si sia trasformata in dramma, ma occorre avere il coraggio di trarre una lezione radicale dalla nostra militanza a sinistra. E per me la lezione fondamentale è che occorre avere il coraggio di tornare alle domande radicali da cui eravamo partiti vent'anni fa. E' in nome dell'urgenza di quelle domande che dobbiamo chiaramente dire che non solo non possiamo ricostruire sulle macerie, ma che vogliamo anche interrogarci, e all'occorrenza far saltare, anche le fondamenta dell'edificio culturale, ideologico, filosofico costruito dalla sinistra. E questo avendo ben presente che quelle stesse fondamenta reggono anche il capitalismo vincente e la "modernità" planetariamente dispiegata. Se la noLa questione non è che uno veda tante fedi, un altro nessuna. E' che le due cose, oltre ad essere entrambe vere, sono strettamente connesse. Se pensiamo al giornale e a quello che tentiamo di fare, però una differenza di vedute può esserci. E faccio due esempi. Uno è il dialogo coi cattolici che abbiamo tentato. La logica del discorso "tante fedi" rischia di portare a una forma di ecumenismo alla fine poco produttiva. Come quando si riuniscono il cattolico, l'ortodosso, il protestante, l'anglicano, con ognuno che pensa di avere la verità in tasca. E' un consesso di "risposte". E vien fuori un dialogo "concordatario". Vogliamoci bene, rispettiamoci, tolleriamoci. E alla fine easoPensiamo alla geografia. Nell'Ottocento uno che volesse andar via dall'Occidente aveva una sponda, un'altra terra dove andare, l'Africa, Tahiti; adesso dove andrebbe? A prendere il sole in una piscina d'albergo del Kenia? IL GOLPEDELLA GENTE COMUNI Indipendentemente dai risultati delle elezioni non credo che la sinistra abbia finito di perdere. Un preoccupante segno è dato dalla bandiera che ha deciso di sventolare durante la campagna elettorale. La bandiera di "Samarcanda" ad esempio, la bandiera della "gente comune" tradita dal palazzo, messa a tacere dall'arroganza di un potere miticamente concepito come cricca di irresponsabili affaristi. Tatticamente questa semplificazione brutale può anche risultare vincente e, in sede elettorale, si trattava probabilmente di una scelta obbligata. Tuttavia qualche perplessità rimane. Quella bandiera, occorre dirlo con franchezza, è la stessa bandiera sventolata con ben maggiore energia e convinzione da tutte le destre, quelle trasversali come quelle "etniche", quelle picconatrici come quelle modera te. La "gente comune" stufa, indignata, incazzata (il turpiloquio è d'obbligo quando si simulano sdegni ...) contro il ''palazzo" sordo, avulso dalla realtà, sordidamente dedito ai propri egoismi ... Questa formula, che esprime un modo rozzo di leggere una realtà ben altrimenti complessa, ha già vinto le elezioni. Non occorre essere informati dei risultati. In essa vi è uno strano ma efficace cocktail di populismo e di anarchismo becero, di fascismo e di moralismo, di protesta generica e di conformismo reale. In molti lo hanno rilevato, pochi sembrano però sinceramente preoccuparsene. Pochi, troppo pochi, sono poi coloro che in questa torbida miscela hanno il coraggio di identificare il nemico - non il nemico attuale, ma il nemico venturo, quello che, a lungo termine, verrà ad avvelenare le nostre vite. E' un nemico senza volto, come senza volto è il pubblico anonimo che quotidianamente si specchia nella televisione, trovando vi finalmente una identità immaginaria fatta di luoghi comuni, di sentimenti preconfezionati e di semplicissime equazioni intellettuali (si pensi, ad esempio, all'uso che si fa della storia e del dolore privato). Questo pubblico corteggiato, vezzeggiato e, soprattutto, profondamente rispettato, è l'ultima metamorfosi di quella sfera dell'"opinione pubblica" che era nata come istanza di controllo del potere politico. Questo pubblico pretende oggi di porsi come istanza sovrana. L'uso privato delle istituzioni di cui si sono resi responsabili i partiti e gli uomini di governo legittima questa sua aspirazione e rende credibile ciò che per esperienza storica è sempre stato la prova generale del fascismo: il sospetto generalizzato contro il momento istituzionale come tale, l'appello alle piazze (Alan Bullock conclude il suo racconto delle settimane che seguirono le ultime elezioni al Reichstag evocando l'immagine suggestiva della "strada" che finalmente era giunta alle leve del comando). La tanto conclamata crisi delle ideologie - che costituisce la nostra specifica ideologia- non lascia poi alcuna chance ad una qualche interpretazione della realtà che si discosti dalle banalità def senso comune ( ci sarebbe da aprire una lunga pare_ntesi su quanta ideologia e cattiva coscienza vi sia dietro la richiesta di liberare /'informazione dall'invadenza della politica: l'esperienza americana insegna come una informazione de-ideologicizzata, "neutra", coincida di fatto con la disinformazione più assoluta, con la cecità della cronaca e con una propaganda divenuta invisibile). Cesarismo e potere carismatico bene si sposano infine con questa aspirazione della "gente comune" al protagonismo. Non si tratta di uno scenario catastrofico ma, a ben guardare, del nostro presente, dove sempre più frequentemente dibattiti televisivi si sostituiscono alle aule dei tribunali e disinvolti servizi giornalistici fanno le veci della ricerca storica. Gli studiosi della comunicazione spiegano questa trasformazione facendo riferimento alle tecnologie elettroniche che esaltano il momento della immediatezza e della presenza a scapito di quello della riflessione e della critica. La televisione come immensa agorà restituirebbe così alla retorica, al discorso che persuade facendo leva sulle passioni elementari, quel primato che le era stato sottratto con la nascita della dialettica e del pensiero critico (fondato sul medium silenzioso della scrittura). Posti di fronte a questo scempio "democratico", occorre resistere alla tentazione di fare della sinistra il baluardo dell'umano identificandolo senza residui con ciò che questa trasformazione antropologica avrebbe compromesso. Involontariamente si sarebbe ancora complici dello scempio. Angolini appartati dove si possa comodamente discutere del tramonto dello spirito non solo sono infatti tollerati, ma addirittura promossi, incentivati da una barbarie che non vuole mai sentirsi troppo nuda. Forse, per finire di perdere la sinistra dovrebbe lasciarsi alle spalle sia la retorica della gente comune (un vero e proprio caso di identificazione con l'aggressore!) sia la tentazione isolazionista per farsi luogo pedagogico, luogo di trasformazione, di elaborazione e di riflessione su/l'esperienza. Il suo interlocutore dovrebbe essere il volto che la folla cela. Al desiderio espresso in quel volto essa dovrebbe corrispondere, sacrificando, se è il caso, i bisogni della "gente comune". Rocco Ronchi UNA CITTA' 5

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