diversissimi, che esce rrepotentemente dalla rassegna di documentan americani di Torino. La grande vitalità del genere e la sua insospettata tenuta spettacolare (Hoop Dreams di James, Gilbert e Marx, tre ore su1 basket giovanile, è stato un successo di cassetta nella comunità nera statunitense) dovrebbero fare riflettere pubblico e operatori culturali italiani, quasi esclusiv~mente co~ce!ltr~ti sulla fiction. Il documentano, o meglio 11 cmema non-narrativo - ché per esempio l'affascinante, ironico e morboso From the ]ournals of ]ean Seberg di Mark Rappaport, anch'esso in rassegna, a dispetto del suo andamento saggistico è decisamente fiction - non ha certo esaurito la sua funzione. Oggi, finalmente svincolati dalla forma tradizionale e liberi nella scelta dei temi, i documentari sembrano anzi aver recuperato pienamente quella capacità di restituire il presente che il declino del cinema militante registrato negli anni reaganiani aveva annebbiato. Così in America. In Italia, fra problemi economici e disinteresse istituzionale, le cose sono decisamente più complicate. Gli organizzatori torinesi hanno fatto la loro parte selezionando, e forse anche stimolando, una buona quota di lavori non narrativi per "Spazio Italia". Più delle riflessioni sul linguaggio cinematografico (Fuori Campo di Angelo Amoroso d'Aragona) e della trattazione dei grandi temi (Alessandro Angelucci in Cattedrali della memoria - sulla fabbrica - e nel progetto collettivo sulla Resisten~a Le stagioni della memoria) hanno positivamente colpito i videoritratti in concorso per la quantità (6 su 10 in "Spazio Italia" piu altri 2 nella [anoramica "Un anno di corti italiani") e per i positivo atteggiamento dei loro autori. In effetti il videoritratto sta diventando un vero e proprio filone del cinema indipendente italiano, segno di incoraggiante combattività nei confronti della dittatura estetica della televisione attuale. Ai faccioni minoliani e ai magnetici intervistatori sempre in primo piano questi film contrappongono pudore e misura. Rispetto per l'intervistato e per l'intelligenza dello spettatore. · Sia chiaro però: benché polemico, il riferimento alla tv risulta alla fine inevitabile e una maggiore autonomia, soprattutto sotto il profilo linsuistico, sarebbe auspicabile. A questo proposito e al di là degli esempi americani, occorre segnalare che strade originali e stimolanti sono battute da autori italiani come Daniele Segre (un precursore con Ritratto di un giovane spacciatore del 1982) e più recentemente da Antonietta De Lillo (Promessi Sposi, il ritratto di Alda Merini, Racconti di Vittoria). Tornando ai film visti a Torino, tutti almeno decorosi nei risultati (anche se per ora manca. il lavoro geniale), ci è piaciuto lo sforzo di molti dei loro autori di capire e quindi di rappresentare la realtà, una realtà. Interessati più a produrre lavori interessanti e 'utili' che a realizzare opere d'autore, si sono messi alla ricerca di soggetti (personaggi dello spettacolo e della cultura o perfetti sconosciuti) m grado di dare con il racconto della propria storia un senso all'esperienza collettiva. Senza però cadere nella trappola ideologica dell'esemplarità e conservando intatto lo sressore umano, individuale e irrinunciabile dei protagonisti. Mentre i napoletani Andrea De Rosa e Alessandro Dionisio si concentrano sullo spetSUOLEDI VENTO tacolo ritraerido rispettivamente Enzo Moscato e Angela Luce (tanto artificiosa e diva, quanto naturale si presentava all'obiettivo di Pasolini e Martone), e Maria Venezia racconta la ricerca del successo nell'arte di Una come tante, Andrea Serafini, Andrea Gobetti e Fulvio Mariani trovano sulle Alpi personaggi che testimoniano di una ormai avvenuta trasformazione epocale. Sulla terra di Luigi e Bruna, ritratti nella pacatezza di una messa in scena che mima i ritmi alla natura, passa la linea di resistenza alla modernità, mentre sulle Dolomiti di Brenta l'alpinista_ scultore Mauro Corona (L'uomo di legno) racconta la propria ricerca di equilibrio nel rapporto con la natura. Più nella tradizione del film di inchiesta sociale il premiato Dolenti compagni di viaggio di Tonino Curagi. Il racconto dei frammenti di vita di un gruppo di nuovi poveri, della precaria invisibilità della loro esistenza è corretto e rispettoso, ma risente di un eccesso di prudenza e di pudore. Curagi rinuncia a giocare con il naturale esibizionismo di chi si mette davanti a una telecamera e finisce, suo malgrado, per riprodurre nel film quella separatezza e quella distanza che vuole denunciare. Una dose della vitale spregiudicatezza di Broomfield probabilmente non avrebbe guastato. ESORDIENT._ QUATTRO STORIE a cura di Luca Mosso ♦ Francesca Frangipane A Locarno con Il Sorvegliante, 16 mm, interpretato da Ivano Marescotti. Ho trentatre anni, mi sono laureata in giurisprudenza con una tesi sul processo nel cinema americano. Ho cominciato girando dei video. Poi ho fatto una brevissima scuola di cinema in America, 5 settimane in tutto. Questo è il mio primo lavoro in pellicola. · Volfango De Biasi Incubo relativo, 6 minuti: film di genere dai costi produttivi bassissimi (qualcosa come 1 milione al minuto, in 35 mm) in cui ho cercato di rispettare fino in fondo i codici del cortometraggio. Ho 23 anni, studio lettere a indirizzo cinematografico e non ho fatto nessuna scuola di cinema. Ho girato cinque corti, che ho prodotto personalmente perché preferisco lavorare in autonomia. Voglio imparare facendo, seguendo un percorso personale di ricerca sul linguaggio cinematografico. . · Daniele Gaglianone Nato nel '66. A Torino dal '72. Dal '91 collaboro con l'Archivio Cinematografico della Resistenza. Ho fatto alcuni cortometraggi, Era meglio morire da pie-
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