La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 11 - gennaio 1996

OCCUPAZIONI, NUOVI RITI Michele Colucçi Michele Colucci studia storia contemporanea all'Università di Roma. ♦ Nel periodo compreso tra ottobre e dicembre, in buona parte de~li istituti superiori italiani, da circa tre anni, s1consuma un rito, ormai quasi istituzionalizzato: si chiami occupazione, autogestione o altro ricalca sempre lo stesso copione e diviene fenomeno sociale o folcloristico di cui diverte ed incuriosisce parlare. Nel suddetto periodo non c'è giornale o telegiornale rivista o rubrica che non dedichi il suo spazio alla fantomatica "protesta studentesca", con tanto di identificazione delle "parole d'ordine del movimento", di compiaciuta descrizione delle mode del "giovane ribelle", di accorati appelli ad ascoltare "cosa hanno da dirci i giovani": l'interesse che i media dedicano al mondo della scuola ed ai suoi sommovimenti è come al solito superficiale, come superficiali sono spesso questi "riti autunnali", che potrebbero mvece dare spunti per una riflessione più seria su un mondo, quello giovanile, sempre più confuso e paralizzato ed un universo, quello della scuola, perennemente e pericolosamente sull'orlo del collasso. I movimenti studenteschi che si sono susseguiti negli ultimi anni. hanno effettivamente coinciso con un notevole incremento delle proposte di riforma della scuola che i vari governi hanno cercato di attuare e che hanno costituito, con esiti finora disastrosi, una novità nel panorama decisamente statico e immobile della scuola italiana. Il problema però non è · stato affrontato in modo organico e sono rimaste insolute le questioni fondamentali poste negli ultimi anni, tra tutte l'innalzamento dell'obbligo e la riforma dei contenuti e dei programmi: qualcosa insomma si è mosso, ma senz'altro nel senso sbagliato, come nel caso dei rapporti tra scuola pubblica e privata, ma nulla fa sperare che la situazione cambi in meglio. Sono quindi in molti a chiedersi cosa ha spinto una quantità così ampia di adolescenti a cercare di uscire, almeno provvisoriamente da quell'uniformità scolastica tanto diffusa perché un avvenimento globale qual'è l'occupazione di una scuola risulta certamente come una novità, una "uscita dai binari" per chiunque ne entri in contatto. È proprio questo bisogno di diversità che, secondo me, conviene analizzare, al di là delle confuse "piattaforme politiche" e delle rivendicazioni ci1e, anche se motivate, sono quasi sempre dei pretesti. Le occupazioni sono sempre una sorta di grande festa e i momenti culminanti di esse sono proprio i concerti, le nottate folli, i momenti di socializzazione più estrema, mai i dibattiti o gli enigmatici "gruppi di studio". Chi ne ha avuto esperienza diretta ha come ricordo queste situazioni collettive totalizzanti, sicuramente rare nell'esperienza di un'adolescente i oggi. L'occupazione è una sorta di "segnale di vita" da parte di giovani che si segnali ne mandano solamente pochissimi, ma non si evolve in nessuna maniera, è priva di quella creatività che potrebbe essere la sua forza e rinuncia a essere un momento di stimolo ma diventa vetrina di mode e miti generazionali: si organizzi il torneo di calcetto all'interno della scuola o la "discoteca autogestita", la discussione politica e la lezione di storia per i pochi interessati o il cineforum, i ragazzi fanno dentro la scuola le stesse cose che farebbero abitualmente fuori e che continueranno a fare finita l'occupazione; rimangono rigidamente divisi nelle loro tribù (le manifestazioni degli studenti colpiscono molto per questa divisione in caste) e la protesta non ha alcun ruolo formativo, anzi si caratterizza per questo aspetto "normalizzante" e spesso addirittura ostile a novità culturali esterne, quasi che i giovani fossero gelosi del loro m<;>nd<?e _loproteggesse~o da pericolose contammaz10m. Questo carattere decisamente conformista, e in certo modo, rassicurante dei movimenti studenteschi provoca reazioni tipicamente paternaliste e addirittura benevole nel mondo degli adulti, finendo col costituire forse la nota più triste del fenomeno. Ci sono dunque i professori, annoiati e alienati anche loro dal sistema-scuola, spesso propensi a chiudere un occhio per riitagliarsi un buon periodo di ferie pagate più che per comprendere realmente i propri studenti, i presidi, oscillanti tra pugno di ferro e generosa comprensione e i genitori, la novità più deprimente di quest'anno: nelle scuole-bene di Roma si organizzano per dormire accanto ai figli e dare uno sfogo alle loro frustrazioni post-sessantottine, ma non si accorgono di capire ben poco una generazione da loro troppo distante e sufficientemente addormentata per essere in grado di _l;)Orrequestioni che la caratterizzano e identifichino in qualche modo. In questi movimenti studenteschi si respira certamente il vuoto culturale di cui oggi soffrano, evocato sempre più S.l;)essoma mai colmato, o tentato di colmare, m nessuna maniera. Gli studenti si crogiolano sui loro miti e sono assolutamente privi di strumenti che possano permettergli un approccio critico nei confronti della realtà e della collettività, ne sono testimonianza non solo le occupazioni ma anche lo stato pietoso in cui versano i pochi luoghi di dibattito che ancora faticosamente resistono nella scuola, come le assemblee di istituto (vacanze legalizzate nella maggior parte dei casi) che diventano tristi momenti di annaspamento generale. Vedendo la scuola quest'anno per la prima volta dal di fuori ho potuto toccare con mano quanto sia umiliata e ignorata e quanto il calderone massificatore consumista-televisivo muova le fila di questa generazione un po' inebetita, che anche quanto tenta di protestare si chiude in se stessa, riproponendo un po' stancamente i suoi rituali. ♦ SUOLEDI VENTO

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