Ancora su San Salvario. L~ difficoltà di semplificare Ragionando di nuovo su San Sa/vario, questo quartiere e la sua vicenda sono molto più complessi di come appare sui giornali. Solo a titolo d'esempio: a San Sa/vario vi sono le sedi di quattro culti religiosi - cattolico, ebraico, evangelico e musulmano; vi sono, poi, parti del quartiere, a duecento metri dagli isolati dove s'è accumulata tensione, assolutamente tranquille; agiscono nel quartiere, infine, persone e gruppi che, da parecchio tempo, stanno lavorando su questo problema. La vicenda improvvisamente esplode, con la cattiva semplificazione dei mass media, che riducono la questione a un'esigenza di ordine. Ora, qual è il problema? La vicenda è più complessa di come appare, occorrerebbero quindi della buone semplificazioni, altrimenti verremo sempre travolti da quelle cattive. È molto difficile dare una risposta generale. Preferisco ragionare sulla situazione di San Salvario per quello che capisco. Torno a una cosa che avevo detto prima, cioè che prima di dare un giudizio definitivo su questa vicenda, dobbiamo aspettare che si sia sviluppata. Proviamo a ricostruirla. C'è una fase in cui questi fenomeni si concentrano nel quartiere: immigrati si concentrano lì, cattiva integrazione nella città si concentra lì, si concentrano lì anche fenomeni di devianza. Si cominciano a verificare quei fenomeni classici che l'ecologia urbana, ai suoi tempi, aveva studiato a Chicago, cioè la sostituzione di popolazione in alcuni quartieri: popolazione che se ne va e altra che conquista delle nicchie. Tutto questo avviene un po' per conto suo - fino a un certo punto, perché c'è chi specula, come gli affittacamere. Insomma, non è che sia naturale, ma questo processo va un po' per conto suo, cresce a poco a poco. Poi - torno al discorso che facevo all'inizio sulla velocità del processo in rapporto alla concentrazione dei fenomeni - questo processo esplode e quelli che si danno da fare e acquistano visibilità politica sono, probabilmente, anche quelli che giocano le carte più semplici: quelle del pregiudizio, della relativa intolleranza. Adesso ho l'impressione che siamo in una fase ulteriore, quella della risposta al problema - se fosse messa in atto, sarebbe veramente sorprendente che ci sia voluto, tutto sommato, così poco. In questa fase cominciano a emergere altre forze che si mobilitano, e anche la città nel suo insieme e le istituzioni politiche prendono coscienza di questo problema. Credo che siamo entrati in questa terza fase, e non è ancora evidente come la faccenda andrà a finire; questa fase, in rapporto alla complessità tiP,ica del quartiere, sarà caratterizzata, probabilmente, da una serie di risorse di gestione consistenti in una mescolanza di repressione e di attivazione di nuova integrazione nel quar- . tiere. Sarà un processo per tentativi cd errori, varrà come misura, esperimento delle cose che si posson'o fare per fronteggiare una situazione di questo genere. Dal racconto che Daniel Cohn Bendit ha fatto della sua esperienza, a Francoforte, di assessore ai problemi dell'immigrazione (Patria Babilonia, 1994, ndr), mi viene in mente un'osservazione politica: la destra è capace di semplificare situazioni complesse in tempi rapidissimi, la sinistra sa stare nelle pieghe della com- ' plessità, ma ha grande difficoltà a semplificare. Occorrerebbero buone semplificazioni. È vero, però il punto è che questo non è un problema facilmente semplificabile: si può semplificare solo nei termini generali di diritti di cittadinanza e di doveri della città. Bisognerebbe fare molta attenzione alle cose con la capacità di vedere come si combinano delle possibilità e se ne chiudono delle altre. Per esempio, un fatto interessante: i nigeriani stanno facendo una provocazione, quella di una raccolta di fondi tra loro per Ragare il viaggio di ritorno agli spacciatori. È una provocazione, però è anche un principio di organizzazione politica di un'etnia che si è stabilita qui, equesto è interessante. Forse una buona semplificazione potrebbe farsi delle forme democratiche; mi spiego: i protagonisti di queste vicende sono molti e diversi tra loro, forse faremmo un passo in avanti se riuscissimo a istituire dei luoghi dove questi soggetti possano interloquire. In una parola, è un problema di democrazia. Difatti, si tratta di dare rappresentanza politica. A Torino, per questo è stata eletta una Consulta degli immigrati, è una cosa difficile, un po' formale, però esiste. Due pratiche della politicaFinora abbiamo ragionato sulle condizioni attuali della politica delle città; per passare, invece, alle prospettive, ragioniamo da una sua affermazione: una buona città dovrebbe essere capac,ed'integrazione interna e di azione unitaria verso l'esterno. Per valutare anche solo l'esistenza di una città come istituzione politica, dobbiamo vedere se essa è capace di svolgere queste due funzioni, cioè se è capace di mobilitare e integrare le risorse interne e, poi, di rappresentarle all'esterno. Possiamo leggere in questa chiave il modo in cui funzionano le città e dire: ecco, quella città si vede perché riesce a mobilitare risorse, a legarle e integrarle, a farle interagire, perde pochi pezzi su questa strada, riesce a far tutto questo e, al tempo stesso, svolge un'azione di rappresentanza di queste risorse, nel loro insieme, verso l'esterno. Naturalmente, questa non è soltanto una funzione delle istituzioni politiche: la politica deve essere capace di giocare con gli altri. Questo rapporto lo si può guardare anche nel contesto dei cambiamenti che processi esterni impongono alla città - ne parla, nel caso di Torino, l'urbanista Luigi Mazza (a cura di A. Bagnasco, La città dopo Ford, 1990) - in questo contesto appare un po' più difficile tenere insieme questi due aspetti della politica urbana. Non c'è dubbio, però le due cose si tengono abbastanza: un Sindaco che riesce a mobilitare risorse all'interno, probabilmente è anche un Sindaco che crea delle risorse da spendere ali' esterno. Non è automatico che avvenga. Tutt'altro che automatico, infatti sono due aspetti che tengo concettualmente distinti: è uno schema _perleggere la città. Sarebbe metafisico immagmare che ci sia un punto che rappresenta all'esterno la città per tutti gli interessi, così come che ci sia un unico punto d'inteIA CIITA
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