La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 11 - gennaio 1996

pio, che domanda c'è di politica? Due anni fa si è votato, forze sociali diverse hanno espresso domande diverse e, a fronte, si sono contrapposte offerte diverse. E' molto difficile dire che domanda di politica esprima questa città, ho l'impressione che, sinché qualche radicamento politico non farà un'offerta visibile e convincente, questa società non sarà capace di esprimerla per conto suo. In effetti, trovo l'insieme abbastanza disattento - non so se sia la parola esatta. Il problema è.anche che la domanda politica è molto più segmentata ... ... è certamente più segmentata: non è facile aggregarla, e questo vale per tutte le società contemporanee. Tradizionalmente, a Torino, è stato molto facile aggregare la domanda politica perché la società era semplificata, la politica che produceva era molto schiacciata sul lavoro, sulla fabbrica ed era tendenzialmente radicalizzante. Usci ti da quella città, la mia impressione è che vi sia molta difficoltà a individuare una domanda politica precisa. Il confronto con il passato suggerisce una considerazione più generale: la città fordista aveva, a modo suo, relative capacità inclusive e ciò in presenza di un conflitto sociale radicale. Forse non c'era contraddizione tra quelle capacità inclusive e il conflitto. Fino a u·n certo punto, non sono del tutto d'accordo. C'è una vecchia storia sulle città industriali a proposito del paragone classico fatto dagl~ storici tra Manchester e Birmingham nell'800: Manchester era una città monoculturale, di grande industria, Birmingham, invece, era una città differenziata, mescolanza di industrie di diverse dimensioni e terziario. Le due città esprimevano stili di politica estremamente diversi: la prima tendeva alla radicalizzazione dei conflitti, con difficoltà ad amministrare la città; la seconda a definire in termini contrattuali i conflitti, venendo considerata, a un certo punto, la città meslio amministrata del mondo: non è che non c1fosse conflitto, questo, però, si organizzava in maniera contrattuale, facilitata dalla struttura della città. Credo che questo dualismo sia generalizzabile, nell'Italia di vent'anni fa possiamo confrontare Torino e Bologna: l'una come Manchester, l'altra come Birmingham. Perciò, è vero che Torino fordista era in grado di esercitare capacità inclusive, ma quella inclusione era di tipo non contrattuale, non progressivo: era o autoritaria oppure di matrice conflittuale radicale. Ciò che si è incrinato, 15 anni fa, è pro-. prio questa tendenza manchesteriana di Torino. Il processo che si è innescato dopo è, però, molto incerto e confuso. Cittadini ed esclusi A proposito di capacità inclusive epensando non solo a Torino, nella città che oggi si profila ricompaiono processi di esclusione quasi inesorabili, non rimarginabili. Nel suo libro Fatti sociali formati nello spazio (1994, ndr ), lei configura, in fondo a una prospettiva non so quanto vicina, la possibilità di una polarizza.:. zione sociale non più dentro un rapporto codificato come borghesia-classe operaia, ma tra due mondi che non comunicano: cittadini ed esclusi. Quindi, una polarizzazione che, così come immediatamente ci appare, non produce LACf77À un conflitto visibile, virtuoso, nel senso d'esser produttivo di storia. In questo contesto: che senso attribuisce a concetti come cittadino, cittadinanza? La mia impressione è che questi fenomeni rischiano di comparire, per la prima volta. A Torino, c'erano quartieri operai; quello che può succedere adesso è. la nascita di ghetti. Gli operai avevano rappresentanza politica, potevano essere in difficoltà, in certi momenti anche grave, in termini di lavoro, casa, attrezzatura urbana, però non era il ghetto. Il rischio, adesso, è che l'Europa conosca il ~hetto: l'Europa continentale ha avuto uno sviluppo industriale e urbano molto intenso, però ha per tradizione capacità di coinvolgere, di organizzare politicamente i diversi insiemi della. società e di rappresentarli. Adesso, ciò che rischiamo è che questa capacità si perda. Tornando a Torino, se c'è un elemento simbolico nella vicenda di San Salvario è che rischia di essere molto diversa da quelle dei quartieri poveri tradizionali, dei quartieri operai. Cioè di essere qualcosa che produce, da un lato, devianza sociale e, dall'altro, anche al di là della devianza, dei fenomeni difficilmente rappresentabili in termini politici. Quello dezli immigrati è il caso limite; si verificano, infatti, meccanismi d'esclusione anche verso parti del corpo sociale ordinario, per esempio verso fasce giovanili; come se fosse scritto nella regola di queste città che non ci si entra tutti, che queste sono città a cittadinanza limitata. Questa è una novità rispetto alla città industriale, d'altro canto proprio per questo motivo ritorna, oggi, il concetto di cittadinanza come strumento per affrontare questi problemi: la cittadinanza come diritto di appartenenza a una società. Appunto, da che cominciamo per ricostruire questo concetto? Alle nostre spalle, in quest.o secolo, abbiamo una tradizione nella quale l'essere cittadino è una condizione legata al lavoro; in una società che, invece, non considera più, nei ·termini di prima, il lavoro come cosa centrale, da che ricostruiamo la cittadinanza? Proprio per questo è significativo tornare a porsi la questione. È vero che la cittadinanza era fondata sul lavoro ma, in realtà, ·si parlava del lavoro non di essa. Che oggi invece se ne parli è legato proprio al fatto che il lavoro non implica più facilmente o necessariamente, come ancora potevamo pensare prima, cittadinanza: questa è la difficoltà attuale. Torniamo alla questione di San Salvario: è vero che, in certa misura, si è formata una concentrazione di popolazione extra-comunitaria, con una concentrazione relativa di fenomeni di devianza - ovviamente questi non riguardano tutti, è opportuno non generalizzare. E' anche vero che la risposta è stata molto lenta nei confronti di un problema che è andato peggiorando. Bisognerebbe, però, guardare con attenzione alle cose che stanno succedendo: c'è, adesso, una mobilitazione sul problema con aspetti che si prestano a essere utilizzati e letti in direzione contraria alla sua soluzione, ma anche di segno positivo. In ogni caso, bisogna andarci piano prima di parlare di ghetto.

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