La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 11 - gennaio 1996

emanata il 3 giugno 1987, costituisce un'importante opera giuridica e psicopedagogica che racchiude, al suo interno, le varie sfaccettature di un progetto di integrazione scolastica, considerando che, per operare una corretta integrazione, bisogna tenere contemporaneamente presenti il punto di vista sociale, psicologico, pedagogico, didattico, istituzionale e politico. I principi che vengono enucleati dalla sentenza hanno mutato non solo l'assetto burocraticoistituzionale scolastico, ma soprattutto hanno reso il contesto della scuola permeabile alle innovazioni di carattere relazionale, per confermare o restituire dignità di persona e di cittadino a tutti i disabili. Questo documento si compone di cinque punti, ognuno dei quali andrebbe elaborato e discusso eer proprio conto. Anche se in questa sede ci s1limita solamente a elencarli, nel corso dell'esposizione della nostra esperienza si potrà verificare il legame che collega i punti tra loro, e comprendere come l'esclusione di uno di essi significherebbe invalidare il significato complessivo della sentenza. I punti sono i seguenti: 1) gli ahinni disabili non sono irrecuperabili; - 2) nessuna scuola può chiudere le porte ai suddetti alunni; 3) uno degli strumenti per rimuovere gli ostacoli è l'integrazione; 4) la frequenza a scuola non può essere rifiutata i:ieppure ad alunni con disabilità grave o grav1ss1ma; _ 5) gli impedimenti alla frequenza vanno visti in riferimento, solo ed esclusivamente, all'interesse del disabile. Affrontando ora il problema dell'osservazione delle competenze sociali e dei compor~am~nti_pro-sociali verso le persone dis~b~- li, si puo affermare come questo campo d1 ncerca, in Italia, sia abbastanza recente, nonostante che nel nostro Stato le scuole comuni dell'obbligo siano state aperte dal 1977 a studenti portatori di disabilità, fin dall'approvazione della legge 517 (vedi il mio Il "comune senso" di integrazione, in "Il bambino e l'acqua sporca" n.7, pp.32-35, Roma 1993). La letteratura prevalente sull'argomento considera necessario insegnare alle persone "normali" come poter interagire positivamente con i soggetti disabili. Infatti, all'origine dell'impedimento esiste un pregiudizio, ossia la mancanza di conoscenza "reale" dell'altro a cui segue l'impossibilità di poter instaùrÙe una "chiara" relazione con la persona diversa da sé. Ciò che non si conosce è estraneo alle nostre percezioni e, pertanto, nella maggior parte dei casi, viene rifiutato. Imparare a riflettere sulle relazioni che si sviluppano con gli altri compagni, dovrebbe diventare parte· dell'organizzazione della classe, ma affinché le strategie sociali e le aspeqative nei confronti degli altri non siano distorte e rispondano a percezioni "reali", ognuno deve eliminare la presenza di eventuali elementi "fantasmatici" o "proiezioni". I risultati di alcuni studi hanno suggerito che la creazione di progetti didattici, mirati allo sviluppo di migliori condizioni interattive, non devono costituire l'eccezionalità in presenza di un soggetto disabile (vedi Andrea Canevaro, Handicap, ricerca e sperimentazione, NIS, Romal 988). Ma il facilitare l'interazione ,sociale positiva e la disponibilità verso gli altri non risulta dal semplice stare insieme nello stesso contesto, ma dipende anche dalle mediazioni psicopedagogiche degli stessi insegnanti che strutturano le attività e guidano le interazioni tra soggetti disabili e non. Altre ricerche più recenti hanno approfondito lo studio dell'integrazione per verificare l'idea di base che riconosce al bambino una capacità specie·specifica di accostarsi in modo naturale ai compagni disabili. Ci si è resi conto dall' osservazione che, generalmente, gli approcci interattivi u:;ati dai bambini sono di due tipi: alcuni "controllano" gli altri con lo sguardo, lasciando aperta "la porta" all'inizio di una corrispondenza comunicativa, fatta anche solo di sguardi e sorrisi; altri cercano attivamente un contatto, o sono pronti a riceverlo. Queste modalità lasciano capire come i bambini siano essi stessi degli agenti attivi che organizzano e strutturano in maniera complessa la classe, dandoci una visione più reale e dinamica dell'integrazione (vedi S. Sasso, O. Prete, L'amicizia non è bella se non è litigarella, in M. Panier Bagat, S. Sasso, a cura di, L'altra crescita, Angeli 1995). Dall'analisi giuridico-istituz.ionale e da quella psico-socio-pedagogica emerge una risultante dinamica che permette di far superare definitivamente sia l'inserimento selvaggio di disabili nelle classi, sia la loro pura socializzazione. Infatti, nel primo caso, la comunicazione_in classe.ha un carattere unidirezionale poiché l'attenzione di tutti è concentrata, inevitabilmente, verso il diverso, ed è atta a prevenire richieste o comportamenti. Nel caso della socializzazione, non esiste ancora una condivi- · sione generalizzata delle esperienze in classe, ma si verificano ancora relazioni parziali, vissute prevalentemente in maniera bidirezionale; l'attenzione nasce a livello individuale e lo scambio è reciproco, ma non viene coinvolto il gruppo allargato. L'integrazione di un soggetto disabile in un gruppo, infatti, non significa un suo semplice inserimento all'interno di esso in balìa dei coqiportamenti degli altri (adulti o pari). Da un punto di vista psicosociologico, l'integrazione ripercorre le fasi di costruzione e sviluppo delle relazioni tra gli individui. Questo processo si svolge in un gruppo in fieri, ossia che non si è costituito una volta per tutte, ma che dinamicamente affronta il.cambiamento rispetto ai comportamenti dei suoi membri, sia che essi facciano già parte del gruppo o che ne aderiscano· successivamente, sia con disabilità che "normali". La comunicazione che si svolge tra gli individui è, in questo caso, di tipo circolare; l'attenzione è reciprocamente condivisa e le diverse motivazioni individuali (cognitive, affettive e relazionali) diventano collettive, oppure le motivazioni nascono dal gruppo per diventare patrimonio personale. . Per favorire questo approccio sarebbe necessario che gli insegnanti si abituassero ad utilizzare l'osservazione etologica. Questa metodologia offre la possibilità di osservare e descrivere le varie transazioni che avvengono in un determinato contesto naturale (classe, giardino, palestra, laboratori, ecc). Inoltre, nell'ambito di un progetto didattico, esiste talvolta la necessità di aiutare i bambini a porsi dei problemi, a riflettere sulle risposte che essi si sono già dati, a far emergere nel gruppo le variazioni individuali, e consentire così lo scambio di pareri, favorendo, infine, la costruzione o ri-costruzione delle proprie conoscenze Q. S. Bruner, Verso una teoria dell'istruzione,

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