La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 11 - gennaio 1996

la risata e quell'intercalare: i personaggi riprendono le sembianze che li rendono tali, individuabili, pensabili, e almeno in parte riconoscibili alle persone di cui sono rappresentazione, Più di una volta mi sono sorpresa ad orientare lo sguardo fra intrecci di figure rapide e veloci di ragazze e ragazzi: cercavo, zigzagavo finché i miei occhi non rintracciavano lei o lui, o loro, gli allievi che non sappiamo mai come chiamare, per i quali tendiamo ad usare iniziali puntate, lunghe o brevi definizioni diagnostiche, imbarazzanti e sconcertanti giri di parole. Allora accade, in un magico incontro a distanza, che lei o lui si girino proprio verso di me, che sto laggiù in fondo al corridoio, quasi sepolta da una valanga di grappoli di ragazzi. Eppure ci ricolleghiamo: lei o lui ·sanno che io mi alzerò sulla punta di piedi proprio in quell'istante. Forse un cenno, non sempre ·unsorriso, e il nostro contatto si ristabilisce, mai si fosse interrotto! · Mi impongo di non ricadere nella routine, di non diventare ·intrusiva, di non muovermi apprensivamente verso il magma turbolento dell'intervallo. Intervallo o la terra di nessuno: l'ondeggiare solitario di lei o .lui porta solo raramente a qualche scambio verbale o corporeo con i compagni indaffarati in relazioni, sommosse, scherzi, intrighi e confidenze. Come fossero rapiti da una nube d'aria, i ragazzi che non sappiamo mai come chiamare, si annidano per lo più in se stessi, in angoli di se stessi, rendendosi imprendibili, quasi invisibili. L'arte antìchissima dello scomparire pur essendo presenti raggiunge i suoi massimi risultati in quel breve lasso di tempo in cui i pericoli della convivenza e del suo contrario divengono assai difficili da tollerare. L'intervallodiventacosì ilparadigmadi uno iato: la continuità tempo-spazio si interrompe bruscamente,la porta dell'aula si apre,non vi sono più confinigarantiti alla separatezzaprotettiva definitadalperimetrodelbanco,chiunque pu? irromper~come ~ te~poralee distruggerem un atti.moil fragile equi!ibrio del silenzio o della provocaztone. C aperturasi riproponeognigiorno in tutta la sua mostruosità:"No, prof, non voglio uscire, voglio star qui", e una certa lei resta avvinghiata alsuo bancocomefosseun nascondiglio,un riparo."No, non vengo fuori, sto allafinestra",e proprio lui,che chiededi uscirecinquevolte in un' ora, resta immobile, reso trasparente dalvetrooltre ilqualeva rifugiandosi. Fuori, il corridoio è temporaneamen te colonizzato dagli altri, quelli che di solito stanno in classe. L'intervallo è la spaccatura: non ammette né armistizi né compromessi, ed esalta i conflitti, le lontananze, i non-detti, gli isolamenti, le esclusioni. L'intervallo mostra, senza ipocrisie, solitudini forse temporanee ma irmegabili. "Ragazzi sfuggenti" che abitano un territorio contrassegnato dall'indefinitezza: personaggi si può essere soltanto se si ha l'opportunità di raccontare un pezzetto della propria storia, di rita~ SCUOLA gliarsi lo spazio di qualche pagina del romanzo, altrimenti è la nebbia, è la dimenticanza. "Vite segrete" che rischiano di evolversi in vite parallele, appartate: la fissità del fare scolastico non riesce che raramen_tead aprirsi ad altre m?dalit~ di _pensiero e conoscenza, ad altri sapen e memone. Accade così di parafrasare un ritratto per sineddoche, dilatare un dettaglio: un maglione sempre attorcigliato alla vita, un gesto ripetitivo, una coltre d'ansia che circonda quel mezzo metro quadrato d'aula, un sorriso mi_ratoche annuncia l'ennesimo attacco alla routine delle buone maniere. . Vorrei partire dal nome, seppure, come ci ricorda Pennac nel suo più bel libro per ragazzi, L'occhio del·lupo, "un nome non significa nulla senza la sua storia. È come un lupo nello zoo: una bestia in mezzo alle altre se non si conosce la storia della sua vita."1 Ma il nome può essere almeno una partenza, una traccia decisiva. Pensiamo a Burtleby, lo scrivano di Molvillo: il suo nome è tutto ciò che ha voluto svelarci di sé, accanto a quel suo ÌIJ.esorabilerifiuto "avrei preferenza di no"2 ; eppure dal fatto stesso di poterlo nominare noi ricaviamo la pienezza della sua misteriosa identità. Bartleby c'è, non possiamo dubitarne. Lo scrivano si staglia in quanto presenza in un'assenza e accende intorno a sé sentimenti ambigui e intensi: non si sfugge alla sofferenza che emana dal-; l'esistenza di Bartleby, non ci si sottrae al silenzio che precede e segue il suo minimo dire "I would prefer not to". Silenzi "sovrumani", attraen~i, inglobanti: come accade al datore di lavoro di Bartleby, ci si può far avvincere dal silenzio e divenire partecipi ed empatici interlocutori. Lei o lui, personaggi di cui intravedo a poco a poco schegge di storia, navigano sovente attraverso pause, sguardi neganti, silenzi, complici risate, briciole di confidenza e fiducia. La qualità della comunicazione passa attraverso un'ampia gamma di toni affettivi: all'interazione non verbale si integrano le sfumature delle voci sottili, a volte urlanti; e si schiudono piccoli varchi su stili di pensiero prevalentemente analogico: "Nella vita di tutti i giorni i processi prelogici operano in tutti i rapporti interpersonali e formano il vasto sfondo di tutti i vari tipi di azioni e contatti umani. In effetti le cose più importanti che accadono dentro l'uomo, e tra uomo e uomo, implicano questi occulti processi di riferimento. Gran parte di ciò che facciamo l'uno con l'altro onsiste nel percepire risposte emotive non espresse in preposizioni e nel reagire ad esse. Infatti la maggior parte delle azioni reciproche interpersonali procedono in modo prelogico."3 Così Tau ber e Green evidenziano l'impalpabilità di un evento quotidiano: le strade intricate del comunicare ci raggiungono nostro malgrado, e ciò è ancora più importante per chi opera con i "ragazzi sfuggenti". Il nome, dunque. Facciamo finta che lei sia Sara e lui sia An-

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