2. Questa realtà è anche nella scuola. La dizione "portatore di handicap" è presente come la spia di una confusione dannosa. È presente in fonti ufficiali, ed anche· in fonti "colte" - studiosi, specialisti - che pure dovrebbero conoscere un'altra fonte, autorevole come l'Organizzazione Mondiale della Sanità, o Oms .. È sotto questa sigla che è stata elaborata e proposta la distinzione fra deficit e handicap, come premessa operazionale per una prospettiva di integrazione. L'integrazione dovrebbe essere una prospettiva positiva che dice no all' esclusione ed ali' assimilazione. È chiaro che è una prospettiva difficile, che rischia continuamente di essere banalizzata, tecnicizzata, ridotta da aspetti legislativi, oppure volontaristici. A maggior ragione, sarebbe bene avere idee chiare sulla sua impostazione, a partire anche dalla terminologia. Ma non bisogna essere maniacali. Di fatto, e per fortuna, nelle pratiche quotidiane vi sono molti insegnanti ed educatori, donne e uomini, che utilizzano l'espressione gergale sbagliata ma operano sapendo distinguere deficit da handicap, e sapendo i diversi svantaggi in una risposta complessiva. Prendiamo, ad esempio, il tema del tempo. Una ragazzina o un ragazzino Down può avere qualche difficoltà in proposito. Le sue difficoltà sono manifeste, palesi. Altri, ragazzine a ragazzini coetaeni, non Down - e quindi senza deficit - possono avere difficoltà in proposito, ma mascherate, tenute nascoste con comportamenti mimetici ( i più noti: l' irrequietezza da una parte, la passività dall'altra). Il tempo può essere vissuto come problema percettivo, che impedisce di organizzare la propria attenzione e le proprie energi~ secondo uno schema distributivo adeguato; può essere un problema narrativo, per cui non si connettono i diversi aspetti dell'apprendimento, ed anche della giornata, che, o confondendoli o frantumandoli; può essere un problema storico, che, confondendo il "prima" e il "dopo", crea delle incapacità a stabifire delle sequenze causali. Di fronte al tema "tempo" come difficoltà, e quindi ostacolo, possiamo comportarci se- ~ condo due logiche, schematicamente intese. Nella prima, lo facciamo divent~re oggetto di una didattica speciale. Con buona disponibilità professionale, cerchiamo di acquisire informazioni e materiali riguardanti questo tema per i soggetti Down; quindi ci organizziamo per poter realizzare un percorso, che chiamiamo individualizzato, per quella ragazzina o quel ragazzino Down. Nella seconda prospettiva logica, l'acquisizione di informazioni e materiali è presa in considerazione per elaborare una risposta complessiva a bisogni tematici unitari di soggetti differenziati. La prima logica ha alcuni corollari che si possono trovare, rovesciati o quasi, nella seconda. Il "livello": è facile arrivare a ragionare per livelli di sviluppo compatti ed assoluti, stabilendo quindi che " un Down ha il tal livello", inteso come " in tutto ". René Zazzo (1969;1979) ha coniato il termine eterocronia", e di conseguenza "profilo eterocronico", proprio per indicare una realtà composta da livelli differenti nello stesso individuo. E Zazzo si riferisce ali' insufficienza mentale, che ha quindi uno statuto non uniforme e non livellabile. Il profilo eterocronico è vistoso in chi è insufficiente mentale, come una ragazzina o un ragazzino Down: può presentare buone capacità in certi settori e impaccio in altri. Ma chi vive questa condizione può essere fra$ile. Sia nel senso che può uniformarsi alle richieste di basso profilo che vengono dagli altri e da contesto; sia nel senso che è un oggetto di pregiudizi. Può sembrare un' affermazione generica; tradotta in comportamenti spiccioli, può voler dire che la resistenza alla sottovalutazione per certi aspetti, o alla sopravvalutazione per altri, può essere ricevuta ed interpretata come conferma di una condizione di minorazione, in una pericolosa operazione che potrebbe essere mascherata in una presunta rappresentazione globale dell' individuo. Il rischio di considerare livelli assoluti e totali può colpire anche chi non ha deficit. Rovesciando il ragionamento, la comprensione del profilo eterocronico in un individuo Down può aiutare a capire i coetanei non Down. Un altro corollario riguarda la "continuità". La riflessione più atten'ta chiarisce che gli aspetti positivi della continuità contengono la discontinuità, e non possono fare a meno di questa. Ma si può anche intendere la continuità come processo di apprendimento unicamen te lineare; come presenza costante di un'unica forma di supporto. La realtà è costi-· tuita da continuità e discontinuità. Ed è proprio grazie a questo che, nella storia, chi è handicappato ha mostrato possibilità di apprendimento non previste. Si pensi al celebre caso del sauvage de l'Aveyron. Non tanto la discontinuità fra l' essere abbandonato e l' avere attenzioni e cure ; quanto la discontinuità fra l'atteggiamento "scientifico" dell'educatore-medico Itard e quello "istintivo" della governante Madame Guérin. Essere continuame~te seguito, .continuamente protagonista, contmuamente osservato, contmuamente ·valutato ... Ecco una continuità di cui un individuo, bambina o bambino, donna o uomo, si libererebbe volentieri. Si può dire che vi sono due livelli di interpretazione del termine continuità. Uno è limitato, e può diventare limitativo. L'altro può essere letto come la continuità nelle discontinuità. Può accadere che chi è handicappato sia
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