La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 11 - gennaio 1996

ARTE E PARTE "Underground". Come sono belle le tue bugie Vittorio Giacopini 1. "Non si può parlare direttamente di una guerra in corso". Più e meglio delle accuse di "tradimento", con maggior forza e con più precisione dei sospetti di ipocrisia, indifferenza, cinismo, insensibilità, questa reticenza programmatica, questo pudore ambiguo, questa disperata, ostinata, scelta di diluire le luci paralizzanti del presente nella nebbia e nel caleidoscopio accecante di suoni e colori e voci del passato rappresentano forse il vero segreto di Underground. Il piccolo - osceno - grumo di dolore, il lutto solo intuito ma mai elaborato, l'incerta ossessione che Emir Kusturica trasforma in una travolgente macchina di- sogni incompiuti, in una folgorante cascata di immagini, in un magnifico trionfo della fantasia e in una sconcertante sconfitta del pensiero e della morale. In un successo che è anche e soprattutto una grande rinuncia. Straordinario evocatore di situazioni e ritmi trascinanti, fantastico narratore visionario, Kusturica - s~mJ?licemente - non sa giudicare. Non sa o non vuole parlare del!' oggi fuori dal filtro di una memoria deliberatamente inattendibile e arbitraria. Imprigionato nelle sue metafore, non può o non riesce rinunciare all'epica, alle "belle bugie" della nostalgia, alla perversa tentazione di voltarsi indietro che lo trasforma in una statua di sale. Ma cosa rende il presente così impenetrabile? Cosa determina questa afasia morale, questa incapacità di giudicare, questo silenzio paradossale, pieno di voci e di storie e di rumori? Cosa impedisce a quel "ciclone di realtà" che la guerra ha innescato di assestarsi in una narrazione, in un racconto onesto e in una scelta, in una . provvisoria ricostruzione di un mondo stupito e lacerato? Non credo sia un caso; un YQS;1 esempio isolato; una,coincidenza. Prendiamo Anghelopolus. Come Underground, anche Lo sguardo di Ulisse (un'altro grande film - fallito - sugli orrori della guerra in Bosnia), tradisce la stessa, sbigottita, impossibilità di dire il presente, la medesima incapacità di lacerare le brume della 'storia in atto per ritrovare fuori dal mito una scheggia di senso e una morale, una risposta o almeno una piccola ipotesi. Sia Underground sia Lo sguardo di Ulisse girano probabilmente intorno allo stesso dilemma. Cosa significa - come si può - abitare personalmente un mondo dominato dalla furia collettiva di un insensata frenesia omicida, dall'abiezione etnica e politica, dal fallimento sistematico di tutte le pratiche pubbliche, dal miserabile cinismo di ogni stratagemma individuale? Cosa lega ancora l'Io e la Storia in questo sfacelo e in questa farsa? Anghelopolus trasforma il silenzio obbligato di questo sgomento nell'ipocrita, rassicurante, solennità classica del mito. La Storia scorre, atroce e insensata, accanto a noi. Ma la vita individuale le resiste. E resta qualcosa. Qualcosa che viene prima della storia. Il vagabondaggio "garantito" di Ulisse, le sue tappe scontate, le sue scoperte troppo prevedibili (gli amori regalati dal destino, le bobine scomparse - specchi perduti di una realtà che si ripete semere - gli spari finali nella nebbia), il suo ritorno senza nessun clamore. Grande didascalia, illustrazione compiaciuta di una sproporzione irrimediabile ma conciliata tra la coscienza personale e i tempi lunghi e le cose e i vuoti del mondo, la lunga scena fluviale del Lenin .di marmo rivendica all' esistenza individuale un margine di manovra, delle risorse di libertà e saggezza, una precaria armonia e una dote di grazia irridubili all'oggettività opprimente della Storia. La strategia di Kusturica è molto diversa. Meno ottimista del regista greco, ma più vitale di lui (e più disperato), Kusturica affoga deliberatamente i grotteschi fantasmi del presente nei sotterranei di un passato senza redenzione. Lo "sguardo" di Ulisse imbalsama una storia che non sa interpretare. Le vorticose accelerazioni, le marce zigane, gli ottoni scordati, la processione di ubriachi frenetici che apr~H~oil _lungo, fulminante? delirio d1 Underg"round c1 portano subito in un'altra regione estetica e morale. Prima, forse, lo stesso silenzio, la stessa titubanza, la stessa incapacità di parlare del mondo, producono un strano blocco di nostalgia e di cautela e di risentimento. Ma c'è in Kusturica un tale, esasperato, bisogno di movimento, di ritmo assoluto, di velocità, che in ogni scena si ricrea il miracolo di un puro inizio e il desiderio di un'altra storia, contro la Storia o sotto la Storia. Sogno impossibile, naturalmente. Ma Underground è forse soprattutto questo: una risposta scatenata dell'immaginazione, un fuoco d'artificio della fantasia, un lungo incubo ossessivo ma quasi innocente che prende il posto del "male" e della guerra, delle responsabilità e dei pesi del presente, della catasfofe che non sa raccontare. Marx diceva che la storia si ripete sem{lre: prima come tragedia, poi come farsa. Senza ironia, Kusturica inverte termini e tempi della questione: prima c'è lo sgangherato, folle, effervescente splendore di una grande farsa. Le bugie e gli affari e la politica e gli amori squallidi e le grandi passioni. Nella rarefazione di questa stentata ipotesi di vita atteschino la noia, il ritmo coatto di un meccanismo cieco, i germi idioti della violenza. Quando si ripete - banalmente - la Storia è finita. Siamo nella ~ragedia.Nel silenzi_o ottuso di una metafora moltiplicata all'infinito (il sotterraneo che attraversa adesso l'intera Europa) da un gioco di specchi casuale; in un mondo desertificato, senza individui e (anche) senza storia. In una specie di cosmo "necessario", privo di scelte, ripensamenti, parole utili e iniziative e idee. Se si ripete - quando si ripete - la storia è soltanto un destino.

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